Studentesse e sesso a pagamento
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L’ultima volta che ho visto “Ilaria”, è venuta a raccontarmi di aver «quasi finito la sua tesi di laurea; pronta a partire per gli Usa». Una studentessa come molte altre: voti discreti, in regola con gli esami, una mamma svedese, voglia di girare il mondo, grande curiosità, molto bella.
Aggiungo questa notazione perché Ilaria (solo il nome è di fantasia) un po’ per pagarsi l’università da «fuori sede», un po’ di più per vivere al di sopra delle sue possibilità, più e meno virtualmente si fa pagare (o ricompensare) per le sue prestazioni sessuali, perché, come dice lei, «qualcuno si deve prendere cura del mio tempo».
È un fenomeno in espansione anche nelle nostre università. Tenuto sotto traccia da una certa finta pudicizia tutta milanese. Già acclarato e in parte descritto in molti campus, soprattutto nel mondo anglosassone, ma presente anche in Asia.
Un recente studio condotto in alcune università statunitensi indicava che una ragazza su dieci avesse fatto sesso, almeno virtuale, a pagamento negli anni di studio. Sono soprattutto le prestazione sessuali via Internet in esponenziale aumento. Per molti (più o meno benpensanti) tutta questa storia si deve ridurre a semplice prostituzione e quindi a una prostituta. Purtroppo o per fortuna le cose sono molto più complesse e questo comportamento va studiato poiché è, anche, lo specchio della città e della civiltà contemporanea in cui viviamo e del distorto rapporto tra corpo e denaro.
Ilaria, come altre, vive un suo avere con molti o moltissimi fidanzati in un susseguirsi di rapporti più o meno brevi e più o meno regolati da regali o denaro, semplicemente in conseguenza del suo trasporto per l’altro o per la generosità del suo partner. Vive tra l’università e la notte milanese che l’accoglie nei sui vestiti scintillanti e firmati dentro i suoi locali più trendy, in un continuo girovagare notturno. Ilaria, come molte sue amiche, è fin troppo superfluo dirlo, non si sente una prostituta, non si sente nulla.
In una liquidità sociale completa e con un’identità mutevole e sovrapponibile, vive questo rapporto con il proprio corpo e con gli altri. Interpreta, anche così, la sua permanenza a Milano come studentessa. Eh sì, difficile da digerire. I paradigmi cambiano. Nessun senso di colpa.
Nelle sue parole anche un sottinteso che racconta come per alcune professoresse o compagne più grandi è troppo appariscente e interessata alle scarpe per essere intelligente. Si tratta innanzitutto di alzare un velo su questo fenomeno e invece di fare finta che non esista, provare a comprenderlo, senza condanne a priori poco utili; continuare a parlarsi, creare un ambiente e una città dove sia possibile per tutti potersi confrontare senza la paura di anatemi morali.
STEFANO BLANCO
direttore del Collegio universitario di Milano
16 giugno 2012
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