LA MIA STORIA NELLE MANI DI DIO
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Ho rivisto il luogo dove una volta c’era casa mia, dove c’erano solo baracche. Sono dawero figlia di gente povera. Che bella la povertà! La povertà non è qualcosa di negativo: la povertà è libertà. Ci siamo noi prima delle cose, prima della ricchezza, prima delle ambizioni. La vita vale più delle cose! Sono contenta di essere nata in un momento storico in cui non tutti si potevano saziare e ci alzavamo da tavola sempre con tanta fame, perché tutto questo ci ha educati al sacrificio.
Quando penso alla mia famiglia ringrazio mia madre, mio padre, Tutti sapete che a mio padre, piaceva bere il vino: questa realtà mi disturbava e mi faceva vergognare quando ero bambina, quando mi veniva a prendere a scuola “brillo” dinanzi alle mie compagne. Adesso però capisco che mio padre comunque veniva a prendermi a scuola: tanti papa invece non andavano e non vanno mai!
Ricordo che veniva barcollando con la sua bicicletta e i bambini mi prendevano in giro; mi sentivo umiliata perché capivo che non era una cosa positiva dipendere dall’alcool, ma quelle situazioni mi hanno insegnato che cosa vuole dire il sacrificio, che cosa vuole dire l’umiltà.
Quella sofferenza, quando ho incontrato Dio, si è trasformata e illuminata, e oggi posso dire che mio padre è stato la mia universitàper imparare ad amare, a servire tutti con dignità, Mio padre mi ha insegnato tante cose perché non ha avuto paura di svegliarmi di notte e di dirmi: «Rita, vai a comprarmi le sigarette!» ed io ricordo bene: dovevo fare un tratto di strada al buio e correvo cantando per vincere la paura. Queste cose oggi le racconto per dare gloria a Dio, che mi ha dato un padre che non ha avuto paura di essere quello che era.
Mi sembra di fare un elogio alla Provvidenza pensando a mio padre, perché sicuramente lo Spirito Santo già lo usava pensando alla missione che Dio aveva preparato per me. Mio padre mi ha insegnato l’umiltà, il coraggio, mi ha aiutato a togliermi la paura di dosso perché era buio e i rami spogli degli alberi nella notte mi sembravano lunghe braccia minacciose.
Con questo non voglio giustificare gli sbagli di mio padre, ma ricordiamoci che non si nasce genitori, si impara pian piano, lo insegno ai nostri ragazzi ad amare, rispettare, perdonare il loro padre e la loro madre proprio come ho fatto io, ma questo èpossibile solo quando incontrano quel Padre celeste che viene prima del padre e della madre terreni. Un padre come quello che ho avuto io ha sicuramente sofferto tanto nell’infanzia, e dobbiamo avere tanta misericordia così come gli altri l’hanno avuta con noi. Ho amato tanto mio padre, l’ho servito tanto e per questo non mi vergogno a parlarne. Quando ami non ti vergogni.
Vi dico questo perché oggi ci sono ancora tanti, tanti giovani che purtroppo hanno un padre così, e io lo dico a tanti dei nostri ragazzi, e non lo accettano, scappano di casa, si fanno del male. Dico loro: «Non importa, comunque è tuo padre, tu lo devi perdonare. Ricordati che anche tuo papa è stato piccolo, emarginato, non considerato; immaginati tuo padre come un bambino di due anni che ti corre incontro, abbraccialo, abbraccialo e perdonalo!». E nel perdono si scioglie la durezza del cuore, il risentimento che uno porta dentro. Il perdono ci libera dalle conseguenze negative di ciò che abbiamo vissuto.
Insegno ai giovani che la cosa più bella è la verità del cuore: è ciò che siamo oggi che conta, e per questo non dobbiamo nascondere o avere paura di ciò che siamo stati ieri. Ieri appartiene a Dio e alla sua misericordia.
Madre Elvira Petrozzi
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