Il sogno di Dio
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Don Giovanni Bertocchi, per gli amici “don Giò”, era un giovane sacerdote che, nella sua breve esistenza, ha saputo realizzare il progetto che il Signore aveva su di lui, donandoglisi continuamente e completamente e servendo il gregge a lui affudato con un amore gioioso e trascinante. Nelle sua comunità, tutti continuano ad amarlo e a ricordarlo con dolce ed incontenibile nostalgia.
Don Giovanni Bertocchi nasce nel 1975, ad Alzano Lombardo (BG) poi va a risiedere a Clusone (BG) un grosso centro nella Val Seriana. Fondamentale nella vita di don Giò è stata la sua famiglia e sono proprio la madre Maddalena, il padre Piero e le due sorelle Barbara ed Elisabetta ad acconsentire di aprire una finestra sul mondo interiore del loro amato Giovanni, dopo quattro anni dalla sua morte. Grazie a loro e al lavoro di mons. Arturo Bellini, sacerdote e giornalista bergamasco, sono stati raccolti in un libro tutti gli appunti di don Giò. Si tratta di sei quaderni più i suoi diari di scuola, e vanno dal 1989, quando entrò in seminario, fino a pochi giorni prima di morire, spiega papà Piero. Ne è nato un libro che forse esaudisce uno dei desideri di questo ragazzo bello e contento di essere prete. Sin da ragazzo don Giovanni Bertocchi sente forte la presenza di Dio nella sua vita. Il 4 dicembre 1990 annotava: «Spesso mi ritrovo a pensare che io sono un sogno di Dio. Io vedo Dio che sogna la nostra storia» A 14 anni entra in seminario a Bergamo. Nel 1995, dopo il diploma di maturità classica inizia gli studi in Teologia. Nel corso dei suoi studi teologici, viene chiamato a diversi incarichi in Seminario….
…Per due anni presta servizio presso il Centro Diocesano di Azione Cattolica, come membro della Commissione Giovanissimi, Si occupa in modo particolare degli adolescenti. Svolge, inoltre, il compito di assistente per gli studenti più giovani. Spesso viene invitato a predicare le Giornate del Seminario e ad animare gli incontri vocazionali. Nell’anno del diaconato svolge il ministero nella Comunità Parrocchiale di Cassinone (BG) , prestando il suo servizio con impegno ed entusiasmo.
Nel 2000 completa gli studi e ottiene il bacellierato in teologia; il 3 giugno dello stesso anno viene ordinato sacerdote, diventando così per tutti “don Giò”. Don Oliviero Giuliani, parroco di Valtesse, che era stato direttore dell’Oratorio di Clusone negli anni ottanta, quando don Gio’ era alle elementari, ricordando la sua ordinazione, scrive di lui: “Don Gio’ stava bene nel vestito bello della sua ordinazione sacerdotale. L’abito della celebrazione eucaristica dava visibilità al mondo interiore che lo Spirito tesseva ogni giorno in lui, per rendere luminoso e gioioso il suo ministero sacerdotale.” Il suo è stato un ministero breve, nel tempo, solo quattro anni di sacerdozio, ma la fecondità ne è stata grandissima. La sua opera continua ancora in coloro che lo hanno conosciuto e amato. Egli cercava di applicare nella vita concreta le parole ricevute dal Vescovo il giorno della sua ordinazione: ” Credi sempre a ciò che proclami; insegna ciò che credi; vivi ciò che insegni” Si faceva carico di ogni vita ferita, e non si tirava indietro neppure quando qualcuno reagiva male. Voleva raggiungere il cuore degli adolescenti. Aveva imparato da Don Bosco che il segreto della riuscita nell’educazione dei giovani è la mitezza. Per questo, affrontava l’impresa non facile con la pazienza e la dolcezza, piuttosto che con severità o modi bruschi.
Don Giò ha voluto diventare sacerdote per essere santo, lieto di mettere in gioco la propria vita unicamente per il Signore. Ha desiderato essere un libro aperto come le braccia e le mani di Cristo sulla Croce. Il 17 agosto 1995 al campo scuola di Azione Cattolica, scriveva infatti: «Voglio essere un libro aperto. Voglio migliaia di pagine bianche su cui sia Tu a scrivere il resto della mia storia… Voglio che sia Tu a completare le pagine della mia esistenza, le frasi della mia vita… Voglio davvero che i miei puntini di sospensione siano i tuoi punti esclamativi visti dal basso».
La sua prima destinazione come prete l’aveva avuta per Verdello, una grossa parrocchia nella Bassa Bergamasca, con un oratorio dedicato a Don Bosco, pieno di giovani e ricco di tante tradizioni oratoriane. Don Giò (così lo chiamavano tutti, e lui ne era contento) conosceva e amava Don Bosco e voleva bene ai giovani con cuore ‘salesiano’. La sua prima festa che organizzò e animò in onore del patrono del suo oratorio, la impostò tutta sul tema della corda, in ricordo di quella memorabile corda che il piccolo Giovannino Bosco tirava tra due piante sui prati dei Becchi e se ne serviva per fare il saltimbanco: “La corda non ci ha abbandonato neanche per un momento – scriveva sul notiziario parrocchiale – l’abbiamo ricevuta, tagliata e riannodata durante le confessioni, per dire che il peccatoci fa perdere il legame con Gesù, ma il perdono la riallaccia (…) Ci abbiamo fatto sopra altri nodi, trovandoci a pregare insieme prima di andare a scuola. Per ogni nodo un episodio della vita di Don Bosco ci suggeriva qualcosa che ci avvicina a Gesù: la famiglia, gli amici, lo studio, la preghiera, l’oratorio, la speranza, la nostra vocazione.
La festa di Don Bosco del 2003 fu celebrata in sintonia con lo slogan ‘Ama senza misura’ “San Giovanni Bosco, povero tra i poveri, noi lo conosciamo bene soprattutto perché si è sempre battuto a favore dei ragazzi, perché potessero superare la loro povertà e ha sempre speso tutto se stesso per dare loro il tesoro più grande: la fede. Ma egli si è sempre confrontato con diversi volti della povertà: quella vissuta nella sua infanzia, quella della giovinezza, quella da sacerdote, vinta sempre dalla Provvidenza. E ci sono le povertà che lui ha soccorso: poveri senza famiglia, senza istruzione, senza lavoro, perché malati, perché senza Dio”.
Don Giovanni aveva capito che Dio si manifesta e prende volto nelle piccole cose di ogni giorno: nel modo con cui stava con i suoi ragazzi e di come si prendeva cura di loro. Tra i grandi ideali e le fragilità personali, tra il coraggio di assumersi grandi responsabilità e l’immaturità dell’età. Aveva un sorriso che contagiava, un sorriso da bambino felice, ma era tutt’altro che un bambino. Era un prete e un prete in gamba, sarebbe più corretto dire è un prete in gamba, visto che dal paradiso continua a fare un gran bene ai suoi giovani, che ha amato con autentico cuore sacerdotale.
Chi lo ha conosciuto lo ricorda come un giovane generoso con tutti. Il suo diario spirituale ci dice che questa generosità nasceva dal fatto che aveva preso sul serio la sua vocazione e si era consegnato senza riserve al Signore.
Con la sua chitarra don Giò cantava la gioia di vivere, suonava, cantava, e componeva. Un modo tutto suo per esprimere gioia, felicità, per essere vicino a chi voleva bene e a Dio, soprattutto. Alcune sue composizioni sono entrate nel repertorio liturgico. Fu un regalo un po’ speciale quello che don Giò fece ai genitori nel marzo del 1997. Il giorno 13 mamma Mema compiva gli anni, e poi il 19 era la festa del papà. E così Giovanni prese carta e penna e scrisse poche frasi per accompagnare il suo regalo: «Come sempre quando sono a casa, le parole che dico su di me si contano sulle dita di una mano… Ma per fortuna il Signore ha dato all’uomo la fantasia per esprimersi in modi diversi. A me ha dato la passione per la musica, insieme a tante altre cose…».
Il suo dono era una cassetta con incise le sue canzoni. «Non costa niente – aggiungeva -, ma può valere sicuramente più di altre cose che avrei potuto comperare. È un pezzetto delle mie emozioni…».
Poco prima di morire, scriveva: “Le esperienze che hanno segnato la mia vita sono autentiche. Io davvero ho incontrato Dio! Davvero mi sono sentito amato e perdonato da Gesù. Per questo ho scelto di giocarmi con lui. Per nessun altro motivo” La vita spirituale di don Giovanni Bertocchi era intensa. Aveva un cuore sempre in ascolto dello Spirito. La sua santità semplice e luminosa, ma anche profonda e tenace, si irradiava sulla sua vita e traspariva dalle sue azioni quotidiane e dalle sue relazioni con le persone.
Don Giovanni consegnò ai suoi ragazzi alcune parole da accogliere durante la settimana e da custodire per la vita: un invito a pregare con Don Bosco e a prendere le decisioni con Gesù nel cuore, perché è “con Gesù nel cuore che bisogna decidere.
Lunedì: Chi vive nella ricchezza dimentica facilmente il Signore. Martedì: L’aiuto di Dio non manca se si lavora davvero con allegria. Mercoledì: Anche il mio sangue darei volentieri per salvarli. Giovedì: In ogni giovane c’è un punto accessibile al bene. Venerdì: A chi fa del bene verrà fatto del bene. Sabato: Per fare del bene occorre avere un poco di coraggio. Domenica: La Provvidenza di Dio, ai grandi bisogni, manda grandi aiuti.
Don Giò, “il don più pazzo di noi”, come dicevano i suoi giovani, era pronto per la vita di comunione che non finisce mai. Don Giovanni Bertocchi ha concluso la sua breve, ma intensa esistenza terrena il 30 aprile 2004, a 28 anni cadendo nella palestra dell’oratorio di Verdello (BG) durante i festeggiamenti per la conclusione dell’esperienza di vita comunitaria oratoriana intitolata: “Fratello alla grande”.
Le esequie sono state celebrate alla presenza del vescovo, mons. Roberto Amadei. «Sofferenza e dolore non sono cancellati – ha detto mons. Amadei – ma vengono illuminati dalla speranza. Non cerchiamo don Giovanni fra i morti, è fra i viventi, nella pienezza di Cristo risorto». E rivolgendosi ai ragazzi il vescovo ha aggiunto: «Non fermatevi solo nel ricordo di don Giovanni, ma fate crescere in voi il seme del Vangelo che lui vi ha dato»
La «piccola storia» di don Giovanni Bertocchi, il curato di Verdello è ora raccontata nel libro «Io sono un sogno di Dio». Anzi, è lui a svelare le pieghe della sua esistenza, le domande che l’hanno fatto crescere, la scoperta fatta regola di vita che «il Signore non vuole qualcosa da me, vuole me». Il parroco di Verdello, monsignor Arturo Bellini, nella prefazione del libro dipinge il suo curato come un prete che «non ha fatto cose straordinarie, ma ha vissuto in modo appassionato l’ordinario della sua vita. L’esperienza di sentirsi “amato e perdonato da Dio” lo ha segnato profondamente e lo ha portato a rispondere al dono di Dio con tutto se stesso e a comunicare con giovanile entusiasmo la speranza che gli bruciava in cuore».
La Redazione
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