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ALCUNI TRATTI IRRIDUCIBILI DELL’UMANITÀ DI GESÙ CRISTO

10 Marzo 2015 | Filed under: Clero, Teologia, UAC
     

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Introduzione

II Convegno ecclesiale italiano propone come titolo: “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”. In dipendenza degli interlocutori, un titolo così suggestivo esprime diversi significati. Se consideriamo Gesù come sog­getto principale della proposizione, l’attenzione si concentra sul contri­buto della sua missione : dalla vita pubblica sino alla sua morte. Per inver­so se il soggetto è il nuovo umanesimo l’attenzione si sposta sull’essere in Cristo e sull’uomo nuovo o sulla nuova creatura di cui tratta Paolo nel­le sue lettere. In pratica, da una parte si trova l’originalità della missione di Gesù, dall’altra quella del movimento sviluppatosi dopo la sua morte. Nondimeno i due livelli possono essere rivisitati in sinergia e nel rispetto delle loro proprietà, giacché resta vero che con la vicenda storica di Gesù qualcosa di nuovo s’innesta sulla concezione dell’uomo e si ripercuote, in modo irriducibile, sulle prime comunità cristiane.

Difficile è cercare di ridurre all’essenziale le novità che Gesù ha por-lalo sulla persona umana e sono irriducibili per la Chiesa delle origini e di ogni U’inpo. l;ra queste, l’abbondante produ/.ione della Terza ricerca su Gesù eli-lira hi sua matrice giudaica, la predica/ione itinerante, alcu ni contenuti della preghiera, l’amore per il prossimo, l’uso del titolo “il figlio dell’uomo”, la remissione dei peccati, la contestazione del tempio, l’eucaristia con l’alleanza nuova e la morte di croce. In questa sede fe­calizziamo l’attenzione su quattro tratti della vita pubblica di Gesù de­mandando ad altra occasione gli ulteriori apporto che abbiamo citato: l’impulso missionario della sua predicazione, la preghiera, il compimen­to della Legge e la remissione dei peccati.

Un movimento missionario

Gli storici che si sono occupati di Gesù concordano su un dato acqui­sito: la sua è stata una predicazione itinerante, svoltasi nei piccoli centri della bassa Galilea e con alcune escursioni in Giudea. Due episodi della sua vita pubblica estendono i confini della sua missione: il miracolo della figlia della donna siro-fenicia e l’invio dei suoi discepoli. La guarigione della figlia di una donna siro-fenicia (cf. Me 7,24-30//Mt 15,21-28), pos­seduta da “uno spirito impuro” deve aver creato diversi imbarazzi nelle prime comunità cristiane. Di fronte all’insistente richiesta della stranie­ra, Gesù risponde che “non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini” (Me 7,27). Sorpreso dalla reazione della donna (“Signore, an­che i cagnolini sotto la tavola mangano le briciole dei figli”, in Me 7,28), Gesù assicura la guarigione della figlia.

A prima vista, l’episodio riflette una concezione tutt’altro che uma­nitaria. In realtà esprime l’umanità di un giudeo del suo tempo. Consi­derare gli stranieri come “cagnolini” significa riconoscere che si tratta di persone impure non dal versante morale o etico, bensì da quello etnico-religioso. Ora tale concezione è comune ai giudei del tempo di Gesù (cf. Fil 3,2). Tuttavia la risposta della donna costringe in certo senso Gesù a compiere il miracolo.

Lo stesso episodio è riportato da Matteo, che segue il canovaccio di Marco. Dopo la mediazione dei discepoli affinchè esaudisca la straniera, è riportato il detto sulla missione di Gesù: “Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele” (Mt 15,24). Dunque non un Gesù dall’umanità disincarnata, ma che appartiene al tempo e alle per­sone che lo cercano, costrette da condizioni di estrema precarietà. E sono tali precarietà umane che segnalano un Gesù profondamente umano, ca­pace di rivedere anche le concezioni religiose del suo ambiente.

Lo studio   (Mfei

Restiamo nel Vangelo di Matteo e trasferiamoci sul discorso missio­nario, riportato in Mt 10,1-42. Dopo la scelta dei Dodici, Gesù chiede di rivolgersi soltanto “alle pecore perdute della casa d’Israele” (Mt 10,5-6). Come Gesù, anche i Dodici sono mandati non oltre i confini d’Israele, ma a quanti sono nel suo ovile.

Quelli che possiamo definire “i due imbarazzi” della vita pubblica di Gesù presentano alcune importanti ripercussioni. Gesù ha compiuto una predicazione missionaria; ha comunicato lo stesso impulso ai discepoli che ha scelto; e ha limitato la loro predicazione a Israele. Tuttavia le situazioni di emergenza lo hanno portato ad allargare i confini della sua missione e a prendersi cura degli stranieri.

Su questi due imbarazzi s’innesta la conformazione missionaria del movimento cristiano. Si deve a Paolo se la predicazione di Gesù trasbor­da i confini d’Israele e raggiunge i gentili. E Paolo affronta l’imbaraz­zo sulla missione di Gesù e dei discepoli, rileggendolo nella prospettiva positiva della missione. Per esortare i forti e i deboli ad accogliersi vi­cendevolmente, in Rm 15,7-12 precisa che Cristo è diventato servo della circoncisione o del popolo giudaico per dimostrare la fedeltà di Dio alle sue promesse e i gentili possano glorificare Dio. La missione di Gesù per Israele non va negata, ma andrebbe riletta nell’orizzonte di una finalità universale che comprende i gentili.

Secondo la narrazione degli Atti degli apostoli, di fronte alla richiesta dei discepoli sulla restaurazione a favore d’Israele, il Risorto presenta il programma missionario: “Non spetta ai voi conoscere i tempi e i mo­menti che Dio ha scelto nella sua potenza, ma riceverete potenza dallo Spirito Santo e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in Giudea, in Sama-ria, sino ai confini della terra” (At 1,8). Dopo la Pasqua i discepoli con­tinuano a sperate in una liberazione politica per Israele. Luca intuisce molto bene che l’universalismo centripeto, incentrato sulla città santa e sul tempio di Gerusalemme, è destinato a diventare centrifugo con la missione dei discepoli.

Pertanto l’impulso missionario di Gesù non si estingue con la sua morte, ma provoca una missione senza confini. A Gesù che rompe i con­fini entico-religiosi nel suo popolo, corrispondono la predicazione di Pa­olo che annuncia Gesù Cristo tanto al giudeo, quanto al greco (cf. Rm 1,16-17) e quella attestata dagli Atti degli apostoli.(Continua)

Prof. d. Antonio Pitta
Pontificia Università Lateranense, Roma

 


     

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