Testimoni di Geova – Lezione LVI
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La fede degli Apostoli
Dopo tante prove e dichiarazioni da parte del Maestro, specialmente dopo la prova suprema della sua risurrezione dai morti, i fedeli discepoli di Gesù, prima di tutti gli Apostoli, hanno professato la sua divinità, la sua uguaglianza sostanziale con l’unico Dio.
Ricordiamo alcune di queste professioni di fede:
1 – A Natale noi cattolici e tutti i veri cristiani, anzi l’intero mondo civile, riviviamo la gioia di quei fortunati pastori, ai quali nella notte in cui nacque Gesù, un angelo disse: “Vi annunzio una grande gioia: (. ..). Oggi, nella città di Davide, è nato a voi un salvatore che è il Messìa, il Signore” (Luca 2, 10-11, Garofalo).
In quel neonato l’evangelista Matteo ha visto avverata la profezia di Isaia: “Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio, e lo chiameranno Emmanuele, che significa Dio-con-noi” (Matteo 1, 23; Isaia 7, 14; 9, 6) . Dunque il bambino nato dalla vergine giudea, oltre a essere un bambino maschio, era anche Dio-con-noi. Era molto più di un puro uomo. In Lui, Matteo, autore ispirato, indica l’Uomo-Dio.
2 – San Giovanni l’evangelista dice la stessa cosa quando scrive: “E il Verbo si fece carne (= uomo) e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv. 1, 14)’
L’espressione di Giovanni: venne ad abitare in mezzo a noi ‘ tradotta letteralmente dal greco equivale a: pose la tenda in mezzo a noi. Ora nell’Antico Testamento la tenda indicava la dimora di Dio dove Jahve aveva voluto essere realmente presente.
Giovanni perciò vuol dire che il bambino nato da Maria e divenuto poi adulto era l’uomo in cui Dio si trovava realmente presente. Il Verbo, rimanendo quello che era, ossia l’Eterno e l’Onnipotente, cominciò ad essere anche uomo. Non semplicemente puro uomo, ma vero Dio e vero Uomo.
3 – Fu pure Giovanni a conservarci la lapidaria professione di fede dell’Apostolo san Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!” (Giovanni 20, 28). Essa non è una vaga esclamazione di meraviglia, come vorrebbero far intendere i geovisti, ma un esplicito riconoscimento della divinità e della signoria universale di Cristo. Il testo greco scritto dall’autore ispirato dice: “Rispose Tommaso e disse a Lui: ‘Signore di me e Dio di me’”.
4 – Infine Giovanni ha fatto la sua solenne dichiarazione di fede, nella divinità di Gesù Cristo ,chiudendo la sua Prima Lettera con le ben note parole:
“Sappiamo pure che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato discernimento per cui conosciamo il Vero. E noi siamo nel Vero, nel Figlio suo Gesù Cristo. Questi è il vero Dio e vita eterna” (1 Giovanni 5, 20. Garofalo).
5 – Quando perciò Giovanni chiude il suo vangelo dicendo: “Queste cose sono state scritte affinché crediate che Gesù è il Messia, il Figlio di Dio” (Giovanni 20, 31) non intende affatto dire che Gesù è un figlio di Dio come tanti altri, ma ,che è il Figlio proprio, unico di Dio, l’Unigenito (cfr. Giovanni 3, 16), consustanziale al Padre, Onnipotente ed Eterno come Lui, Uno con Lui.
In forma di Dio e in forma di uomo
San Paolo professa la sua fede nella divinità di Cristo soprattutto attribuendogli il titolo divino di Signore (Kyrios), che ricorre più di 130 volte nelle sue lettere. Riportiamo il celebre inno cristologico della Lettera ai Filippesi:
“Abbiate in voi lo stesso sentire che fu in Cristo Gesù. Lui che, avendo forma di Dio non riputò una preda l’essere uguale a Dio; esinanì, invece, se stesso, prendendo la formi di schiavo, divenuto simile agli uomini. (… ). Per questo Iddio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio sì pieghi in cielo, in terra, nell’inferno e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre” (Filippesi 2, 5-11).
Spiegazione:
a) Benché Cristo Gesù avesse forma divina (greco morphé = natura immutabile), fosse cioè consustanziale al Padre, non si aggrappò tenacemente a questa sua incomparabile grandezza. Al contrario, rinunciò agli onori a Lui dovuti, umiliandosi fino alla condizione dì servo, fìno alla morte di croce.
Chi si umilia nulla perde della sua naturale grandezza. Rimane quello che sostanzialmente è conforme alla sua natura.
b) Dopo questo atto di umiliazione e in virtù di esso Gesù Cristo, l’Emmanuele, il Dio-con-noi, fu esaltato alla dignità di Signore, davanti al quale si piega ogni ginocchio. Tutte le creature, terrestri, celesti e infernali, riconoscono la sua Signoria, ossia la sua divinità.
Commenta la Nuova Enciclopedia Cattolica:
“In questo testo il nome che è al dí sopra di ogni altro nome non è quello di Gesù, che Egli ricevette alla sua circoncisione, ma quello di Kyrios (Signore), che sostituisce il nome Jahve; e così questo antico inno afferma che Cristo va collocato allo stesso livello del Padre”.
c) Né serve cavillare, come fanno i tdG, dicendo che fu Dio a dare a Cristo quel nome e che l’esaltazione di Cristo mediante quel nome ridonda alla esaltazione del Padre, che deve perciò dirsi superiore a lui.
Infatti, san Paolo vuol dire che tutta l’opera di Cristo, l’uomo-Dio, sofferente e glorioso, ha come fonte e come termine l’unico Dio, Alfa e Omega, Principio e Fine della creazione e della re- staurazione o redenzione. L’esaltazione del Figlio manifesta la bontà dell’unico Dio, non è un re- galo fatto da un superiore a un inferiore.
Se fosse come dicono i tdG avremmo l’assurdo. Infatti, ciò che Cristo riceve è l’essere Signore, ossia essere in tutto uguale a Dio. Dio Padre avrebbe dato a Cristo tutto se stesso, si sarebbe annientato, avrebbe cessato di essere Dio!
Padre Nicola Tornese s.j.
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