La malattia mi ha donato la fede – I
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Si chiama Fabio Salvatore. Ci siamo incontrati a Roma, pochi giorni prima che un’improvvisa nevicata mettesse in crisi la capitale. Però, di quella neve di cui si è tanto parlato, nell’aria c’erano tutti i segni. Tanti anni di lavoro all’aperto, in mezzo ai cavalli, mi hanno insegnato a capire quando il vento porta con sè la promessa del bianco.
E quel giorno, il soffio di febbraio era gelido e secco, tagliente come la lama di un bisturi, e si infilava sotto la sciarpa, sotto il maglione, se la rideva della mia giacca pesante. La sentivo nel palato, la neve. Ma non ho fatto in tempo a vederla perché ho lasciato Roma prima che cominciasse a scendere. L’ho vista in seguito, al telegiornale, insieme a tutte le polemiche che ha sollevato col suo arrivo inaspettato.
Quel pomeriggio, in mezzo a tutto il freddo che annunciava la neve, avevo però il cuore caldo. Pulsava, anzi cantava. Perché avevo incontrato una persona speciale, una di quelle le cui parole restano, si fanno strada nell’anima e lì si costruiscono un nido. Fabio Salvatore è uno così. E la sua storia, di sofferenza e di speranza, è di quelle che fanno respirare meglio, di quelle che ci fanno sentire meno soli a questo mondo. Una storia alla quale ci si può appoggiare come ad un bastone saldo e seguitare il cammino più stabili di prima.
“La malattia ha cambiato la mia vita ma soprattutto mi ha regalato la fede. Quella vera e profonda”, mi ha detto Fabio. “Vivevo senza uno scopo, inseguendo solo il piacere. Poi ho incontrato il cancro e con la sofferenza ho incontrato anche Gesù”. Queste parole sarebbero accettabili se fossero pronunciate da una persona anziana, una persona che dopo una vita di sbagli si redime in vista dell’ultimo passo. Invece, Fabio ha soltanto 36 anni e da tempo combatte contro la terribile malattia. Che lo ha trasformato completamente.
L’appuntamento era al “Centro Benedetto XVI”, sede romana di “Nuovi Orizzonti” una associazione religiosa laica, fondata da Chiara Amirante, che sta affermandosi in campo internazionale, soprattutto tra i giovani, e che ha già avuto l’approvazione della Santa Sede. Il “Centro” si trova in una villetta da poco restaurata, proprio accanto all’ingresso del Parco di Monte Mario. E’ stato proprio Fabio a venirmi incontro, avvolto in una sciarpa e col berretto di lana calcato fino sugli occhi.
Un ragazzo esile, minuto e coi lineamenti affilati, ma col fuoco nello sguardo. E un sorriso di quelli che “spostano”, che hanno la forza di una spinta. Mi ha abbracciato, come prima cosa. E io, che sono molto attento a questo tipo di cose rimanendo sempre un po’ “orso” nei contatti con la gente, sono rimasto colpito. Non c’era affettazione in quel gesto, solo tanta spontaneità. E’ stato un abbraccio che mi ha scaldato.
Ero lì a Roma, mandato dal mio giornale, per raccogliere la testimonianza di Fabio in vista dell’uscita del suo libro intitolato “A braccia aperte tra le nuvole”, pubblicato da Piemme. Un libro pieno di quei “segni” e di quelle “coincidenze” inspiegabili e particolari che caratterizzano le conversioni. Quelle vere. Un libro che ha da subito incontrato l’affetto del pubblico tanto che, a poche settimane dalla sua uscita, sta scalando in fretta le classifiche delle vendite.
Nelle sue pagine, Fabio racconta la sua storia con disarmante onestà. A cuore aperto e senza nascondere niente. E la sua vicenda pare davvero uscire da un romanzo tanto è ricca di colpi di scena, imprevisti e tanta, tanta spiritualità. Una storia che ha la forza di spingere a pensare, che fa chiudere gli occhi e rivolgere l’attenzione verso quel “qualcosa”, quel “qualcuno” che sta lassù e che continua a tenderci la mano. E che troppo spesso non riusciamo a vedere.
Fabio Salvatore era lanciato verso una lucente carriera artistica. Allievo di Enzo Garinei e Giorgio Albertazzi, recitava in teatro, appariva in televisione, era l’idolo delle ragazze nelle discoteche. Ma poi, improvviso, il cambiamento totale, al punto di decidere di lasciare la carriera artistica e la vita mondana per dedicare totalmente la propria esistenza agli altri. Mi sono fatto raccontare da lui i perché, i sentimenti e le emozioni e riporto tutto qui, adesso. Ma senza aggiungere le mie domande, come si fa negli articoli per i giornali. Voglio lasciare che siano le parole di Fabio a spiegare, senza interruzioni, tutto quello che è successo. Ecco il suo racconto:
“Quando avevo vent’anni facevo il vocalist nelle discoteche e nell’ambiente ero molto apprezzato. Giravo l’Italia, ogni sera in un locale diverso. Ero ammirato e conteso dalle ragazze e scoprii in fretta che mi piaceva molto il gioco del sesso. Avevo una ragazza diversa ogni sera, senza trasporto, senza emozione però. Solo la ricerca di un piacere che non mi dava soddisfazione. E’ che non ero felice, sentivo che mi mancava qualcosa”.
“Una sera, dopo l’ennesimo incontro di sesso con una ragazza appena conosciuta, camminando per strada ho trovato a terra una medaglietta della Madonna con la scritta “MIR”. Allora non sapevo che era l’immagine della Madonna di Medjugorje e che quella scritta in croato significa “pace”. Me la sono ugualmente messa in tasca, seguendo un impulso che forse era un suggerimento, e da quel momento non me ne sono più separato. Eccola, l’ho sempre con me, insieme ad un rosario, dono di un ragazzo detenuto in un carcere minorile.
“A quel tempo non sapevo pregare. Ero un cristiano distratto, incostante, opportunista. Mi capitava di rivolgermi a Dio nel bisogno e senza mai dire grazie. Insomma, Dio non occupava i miei pensieri eppure, dentro di me, avvertivo che quel senso di infelicità, di disagio, poteva essere alleviato soltanto pregando. Così mi sono rivolto alla Madonnina della medaglietta dicendole: “So che sto sbagliando. Voglio cambiare. Donami la capacità di amare”. La risposta a quella mia preghiera non si fece attendere. (CONTINUA)
Roberto Allegri
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