I Testimoni di Geova – Lezione 142
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BIBBIA E PURGATORIO
Premessa
Giustifica la Bibbia la dottrina dei purgatorio così com’è insegnata dalla Chiesa Cattolica? La risposta a questa domanda deve essereaffermativa. Perciò noi vogliamo interrogare la Sacra Scrittura su questo argomento, analizzare cioè alcuni testi biblici nei limiti concessi da un opuscolo. Vogliamo ragionare facendo uso corretto delle Scritture.
Precisiamo ancora una volta che due sono gli elementi o componenti essenziali della dottrina sul purgatorio.
Primo: La volontà o bontà di Dio concede al peccatore, dopo il perdono delle colpe, la possibilità di offrire un’adeguata soddisfazione per la sua completa purificazione. Nulla d’impuro può entrare nella celeste Gerusalemme (cf. Apocalisse 21, 27).
Secondo: La stessa volontà salvifica o bontà di Dio ha disposto che anche i membri del Corpo Mistico o cittadini del Regno ancora su questa terra possono aiutare coi suffragi i loro fratelli nella purificazione dopo la morte.
Peccato e soddisfazione
Dio perdona sempre i peccati al peccatore pentito, ma esige un’adeguata soddisfazione. Insegnamento biblico.
Antico Testamento
1 – La sorte di Mosè. Uomo di Dio, servo di Jahve fu certamente Mosè. Ma in qualche circostanza della sua vita non era stato senza macchia al cospetto del Signore. Una volta aveva parlato da stolto, con poca saggezza (cf. Numeri 20, 1-12; Salmo 105, 32-33). A motivo di questa stoltezza:
“Jahve allora disse a Mosè e ad Aronne: “Poiché non avete creduto in me riconoscendomi santo agli occhi dei figli di Israele, perciò non introdurrete quest’assemblea nel. la terra che io ho assegnato loro” (Numeri 20, 12; cf. Deuteronomio 1, 37).
Ciò che Dio aveva predetto, si avverò alla fine della vita del grande condottiero. Mosè salì sul monte Nebo e Jahve gli mostrò tutta la terra:
“Jahve gli disse: “Questa è la terra che ho giurato ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe, dicendo: Alla tua posterità io la concederò. Te l’ho fatta vedere con i tuoi occhi, ma tu non c’entrerai” (Deuteronomio 34, 4).
Spiegazione:
a) Senza dubbio Mosè fu e rimase un grande amico di Dio (cf. Ebrei 11, 23-28; Siracide 45, 1-6), il più grande profeta dell’antichità. Solo Gesù, la Sapienza divina fattasi presente nel figlio di Maria, sarà superiore a lui (cf. Atti 3, 22-24).Dio perdonò a Mosè il suo peccato, che forse dovette consistere in qualche mancanza di fiducia in Jahve (cf. Numeri 20, 10). Il peccato, comunque, fu perdonato. Mosè apparirà agli Apostoli sul monte Tabor circonfuso di gloria assieme ad Elia, quale testimone qualificato della divinità di Gesù (cf. Matteo 17, 1-9; 1 Pietro 1, 16-19).
b) Tuttavia Dio non esentò Mosè dalla legge della soddisfazione dopo ottenuto il perdono dei peccato. Jahve non concesse a Mosè di entrare da trionfatore nella terra promessa. Fu certamente un modo di soddisfare per la colpa commessa, senza essere comunque escluso dalla gloria e dalla gioia degli amici di Dio nella patria celeste (cf. Ebrei 11, 13-16).
2 – Il peccato di Davide. Quest’uomo, benché scelto da Dio per essere il primogenito, ossia il più potente tra i re della terra (cf. Salmo 88, 26), si macchiò d’un duplice delitto: si appropriò della moglie di Uria, suo fedelissimo soldato, e poi lo fece uccidere a tradimento per coprire il suo crimine vergognoso (cf. 2 Samuele 12, 1-12).
Ma David si pentì sinceramente del suo peccato e pianse amaramente (cf. Salmo 50).
“Disse Davide a Nathan: “Ho peccato contro Jahve” Nathan rispose a Davide: “Anche – Jahve perdona il tuo peccato: tu non morirai; tuttavia, poiché hai osato oltraggiare – Dio liberi – Jahve con questa azione, anche il figlio che ti fu generato, morirà certamente” (2 Samuele 12, 13-14, Garofalo).
Il bambino che la moglie di Urìa aveva generato a Davide s’ammalò gravemente e dopo poco morì (cf. 2 Samuele 12, 15-19).
Spiegazione.
a) E’ degno di nota, prima di tutto, che il male fatto ad Urìa è considerato come un atto di grave offesa a Dio, cioè come un peccato, una grave colpa morale. Davide si pente e chiede perdono a Dio: “Pietà di me, o Dio, nel tuo grande amore (…). Sono colpevole e lo riconosco…” (Salmo 50, 1-5). Dio perdona a Davide il peccato. Davide continua ad essere il primogenito dei re della terra, l’unto di Jahve.
“Il Signore perdonò a Davide i suoi peccati ed esaltò per sempre la sua potenza. Sì impegnò con lui per la successione reale, gli assicurò un regno glorioso in Israele” (Siracide 47, 11).
b) Ma il pentimento ed il perdono non cancellarono ogni traccia del male commesso. Sarebbe stato troppo comodo!! A Davide viene inflitta una pena gravissima, che come un fuoco brucia l’intimo del suo essere. Non è il bambino a essere castigato! E’ il padre che subisce il castigo nella perdita del figlioletto tanto amato.
Commenta la Bibbia di Salvatore Garofalo:
“Si noti come, anche rimessa la colpa, rimanga da scontare la pena, più o meno grave: solo la soddisfazione libera completamente dal reato”.
Alle stesse conclusioni si arriva analizzando il racconto biblico del censimento ordinato da Davide (cf. 2 Samuele 24, 1-17; 1 Cronache 21, 1-117).
Nuovo Testamento
1 – Nel Nuovo Testamento non è assente l’idea della soddisfazione nel senso che il peccatore possa riacquistare l’amicizia con Dio e la salvezza mediante la sofferenza. Caso tipico può essere quello dell’incestuoso di Corinto (cf. i Corinzi 5, 1-5). Al colpevole non è negata la salvezza. Paolo afferma esplicitamente che il suo intervento e il giudizio di condanna hanno come scopo “che il suo spirito possa ottenere la salvezza nel giorno del Signore”.
Tuttavia al colpevole deve infliggersi una grave pena espiatoria, che non comporta solo l’espulsione dalla comunità dei fedeli, ma anche la consegna a satana perché lo colpisca con malattie e altre pene corporali. La punizione o sofferenza ha per fine la salvezza eterna del peccatore.
2 – Neppure manca nel Nuovo Testamento l’idea circa la possibilità d’una purificazione dopo questa vita, dovuta a causa del peccato, e quindi l’esistenza del purgatorio o di uno stato intermedio tra la morte e la gioia del paradiso. Non pochi biblisti vedono questa idea e quindi un valido fondamento della dottrina cattolica del purgatorio in alcune espressioni di san Paolo ai fedeli di Corinto. Riportiamo prima le parole dell’Apostolo:
“Ora, se si costruisce su questo fondamento con oro, argento, pietre preziose, legname, fieno, stoppia, l’opera di ognuno si renderà manifesta. Il giorno del giudizio la farà conoscere, dato che esso si ha da rivelare col fuoco, e il fuoco stesso proverà la qualità dell’opera di ciascuno. Se l’opera di chi ha costruito sussisterà, egli ne riceverà la mercede; se l’opera di qualcuno sarà consumata dal fuoco, egli la perderà; quanto a lui, però, sarà salvo, ma come attraverso il fuoco” (1 Corinzi 3, 12-16, Garofalo).
Spiegazione:
a) San Paolo fa qui alcune considerazioni sul lavoro di coloro che predicavano il Vangelo, ossia che intendevano edificare la Chiesa. A Corinto non tutto andava per il meglio: vi erano gelosie e contese (cf. 1 Corinzi 3, 3-5). L’Apostolo esprime il suo pensiero con l’immagine delle costruzioni e dei costruttori. Alcuni usano materiale pregiato e resistente come marmo, pietre preziose e simili, altri, materiale scadente come legno, fieno, stoppia. Il materiale pregiato rappresenta la predicazione genuina del Vangelo, la costruzione sul fondamento che è Cristo; quello scadente indica l’opera dei predicatori facili ad errori ed eresie.
b) Come prova della solidità o meno della costruzione, della validità o meno della predicazione, per Paolo vale il giudizio di Dio, che sarà manifesto nell’ultimo giorno mediante il fuoco (cf. 2 Tessalonicesi 1, 8; 2 Pietro 3, 7).Mediante il fuoco sarà verificata la qualità del lavoro apostolico, la solidità della costruzione: quella buona resisterà e l’operaio avrà la sua mercede; quella cattiva sarà distrutta. Che cosa avverrà dell’operaio o predicatore infedele o scriteriato?
c) Egli sarà salvo, dice Paolo, ma come attraverso il fuoco. La sua sorte non sarà la distruzione come per la sua opera, ma la salvezza, non senza però qualche danno personale, non senza qualche scottatura come chi fugge da un incendio improvviso. L’operaio o predicatore infedele subirà una pena personale prima di conseguire la salvezza.
“Molti teologi vedono qui, non a torto, una prova implicita della esistenza del purgatorio; infatti, benché l’Apostolo non parli direttamente di esso e tanto meno della pena del purgatorio, tuttavia suppone chiaramente la possibilità che dopo la morte una eventuale imperfezione dell’opera del predicatore possa essere espiata mediante qualche sofferenza o pena”.
d) A conferma vale la considerazione specificamente biblica secondo la quale il giudizio finale termina solo con la felicità o condanna degli uomini (cf. Matteo 25, 46; Giovanni 5, 28-29). Se Paolo concede la salvezza anche agli operai evangelici non privi di imperfezioni, si può dedurre che essi saranno ammessi alla vita eterna – saranno salvi – mediante una purificazione dopo la morte. Nella Città Santa Gerusalemme, ossia nel Regno di Dio nella sua fase definitiva “non entrerà tutto ciò che è impuro né chi compie abominazione o menzogna” (Apocalisse 21, 27).
Padre Nicola Tornese s.j.
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