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I Testimoni di Geova – Lezione N° 154

9 Aprile 2015 | Filed under: Testimoni di Geova
     

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II – Natura del Paradiso
Una patria migliore, quella celeste

Nel Nuovo Testamento, alla scuola di Gesù, che è la Sapienza divina (Giovanni 1,1), non si parla mai di un paradiso su questa terra come promette con ossessiva pertinacia il cervello della setta geovista. L’affascinante messaggio che arriva da Brooklyn, N. Y., è che quanti seguono ciecamente gli ordini del Corpo Direttivo “potranno vivere per sempre su una terra paradisiaca”.
Ma la Bibbia non dice così. Il Paradiso che Gesù promette ai suoi veri discepoli è di natura immensamente più elevata, assai più degno dell’uomo fatto da Dio a sua immagine e somiglianza.
Che cos’è il Paradiso dei credenti in Cristo? Un’informazione abbastanza chiara l’abbiamo nella Lettera agli Ebrei:
“Nella fede morirono tutti costoro, senz’avere conseguite le cose promesse, ma avendole visto solo e salutato da Iontano, e avendo riconosciuto d’essere pellegrini e forestieri sulla terra. Coloro, infatti, che parlano così mostrano chiaramente di cercare una patria. E, certo, se avessero fatta menzione di quella onde erano usciti, avrebbero avuto opportunità di ritornarvi.Ora, invece, essi aspirano a una migliore, cioè celeste: per questo di loro non si vergogna Iddio, di chiamarsi loro Dio; poiché ha preparato per essi una città” (Ebrei 11, 13-16, Garofalo).
Spiegazione:
a) Può darsi che al tempo in cui l’autore ispirato scrisse la Lettera agli Ebrei vi fossero alcuni cristiani provenienti dal Giudaismo, che aspettassero un paradiso su questa terra. Ma l’autore ispirato scrisse proprio per correggere questo errore. Non era stata questa la speranze nei fedeli credenti
In Jahve prima di Cristo. Erano stati centinaia di migliaia!
b) Esaltando la fede di quei credenti, l’autore ispirato afferma che essi avevano ben capito le promesse divine.   Dio non prometteva loro un futuro migliore su questa terra, una patria terrena. Se questo era il   caso, avrebbero potuto averla. o riaverla. Ma essi non si curarono di questo. Al contrario, capirono che Dio avrebbe dato loro una patria ben diversa, assai migliore, quella celeste. Vi credettero e con questa speranza morirono, affrontando anche il martirio.
c) Ciò che caratterizza questa patria celeste non è l’abbondanza di beni materiali, cibi e bevande.. , ma qualcosa di molto migliore. Perché la patria celeste è la città dove Iddio non si vergogna di chiamarsi loro Dio. Questo vuol dire che la felicità della patria celeste – del Paradiso dei veri cristiani – consiste soprattutto nella comunione con Dio, col Padre celeste, fonte di ogni gioia.
Il Paradiso come Cielo

Non è dunque la terra il Paradiso dei veri cristiani. Nella Bibbia è chiamato “patria celeste” o semplicemente “cielo” o “cieli” (cf. Filippesi 3, 20; 2 Corinzi 12, 2). Su questa parola “cielo” o “cieli” bisogna fare una precisazione.
Nella Bibbia sia dell’Antico che del Nuovo Testamento “cielo” o “cieli” può avere due significati. Uno è quello spaziale e corrisponde alla volta celeste, ossia all’universo stellato. L’altro è quello religioso o sacro, che qui c’interessa.
Nel significato sacro “cielo” o “cieli” equivale alla “dimora” di Dio (cf. Salmi 2, 4.11, 4; 1 Re 22, 19; Matteo 5, 16; 6, 9 ecc.). Diciamo subito che la parola “dimora” di Dio non va presa in senso letterale, come fanno i tdG “. Se così fosse, non si capirebbe perché la Bibbia dica: “I cieli e i cieli dei cieli non possono contenere Dio” (1 Re 8, 27; cf. Giovanni 4, 20-24).
“Cielo” come dimora di Dio indica la trascendenza di Dio, ossia la diversità e superiorità del suo modo di essere rispetto al modo di essere dell’uomo su questa terra, in questa vita. In altre parole, “cielo” come dimora di Dio vuol dire che Dio non è circoscritto da dimensioni spaziali. I suoi rapporti con lo spazio non sono come quelli della creatura umana su questa terra, in questa vita. Dio non è legato a spazio e a luogo. E’ come il pensiero che  è dovunque, senza essere circoscritto da un dove.
Alla luce di  queste considerazioni, possiamo intuire che cosa intenda la Bibbia quando promette ai giusti – a tutti i giusti – il cielo come futura dimora (cf. Filippesi 3, 20; Ebrei 11, 16 ecc.). Essa vuol farci intendere che il nostro modo di essere in Paradiso non sarà condizionato dallo spazio. Il Paradiso è un modo di essere diverso e immensamente superiore al nostro modo di essere su questa terra.
Il Paradiso come Vita

Per darci qualche idea del nostro futuro modo di essere in Paradiso la Bibbia del Nuovo Testamento si serve di varie immagini. Una di esse è quella della vita. “Questa è appunto la volontà del Padre mio che chiunque vede il Figlio e crede in lui, abbia la vita eterna ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Giovanni 6, 40; cf. 1 Giovanni 5, 11-12).
Riflettendo sul concetto di vita è facile capire che, negativamente, esso comporta tutto ciò che si oppone appunto alla vita. Il grande Agostino illustra questo aspetto negativo della vita paradisiaca con una delle sue magistrali pennellate: saremo liberi (latino vacàbimus). Il Paradiso dei veri cristiani è una totale liberazione. Liberi da tutto ciò che appesantisce questa nostra vita terrena e ci fa soffrire nel fisico e nel morale. Liberi dalla malattia, dalla vecchiaia, dalla morte. Liberi da tutto ciò che può appesantire il nostro spirito: liberi dalle ingiustizie, dalle persecuzioni, dall’odio, dalla vendetta  … Liberi dal vuoto che spesso fa soffrire la parte più intima di noi stessi: l’ansia, l’affanno, la paura, l’ignoranza    …
“E tergerà ogni lacrima dai loro occhi, e la morte non sarà più, né lutto né grido né dolore saranno più; perché le cose di prima sono passate” (Apocalisse 21, 4).
Il Paradiso come Banchetto

Ma la vita, positivamente, è soprattutto gioia, possesso di tutto ciò che rende l’uomo felice. L’immagine che la Bibbia usa spesso per farci intuire in qualche modo questa pienezza di vita è quella del banchetto, specialmente del banchetto nuziale. Gesù fa sua questa immagine usata già dai profeti.
“Voi, poi, mi siete rimasti fedeli nelle mie prove, e io dispongo per voi un regno, come il Padre ha disposto per me, affinché mangiate e beviate alla mia tavola, nel mio regno, e sediate sui troni per giudicare le dodici tribù d’Israele” (Luca 22, 28-30,Garofalo).
A questa mensa saranno invitati tutti i popoli della terra:
“Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno, e si adageranno a mensa nel regno di Dio” (Luca 13, 29,Garofalo).
Sempre con riferimento alla gioia dei giusti nel Paradiso leggiamo nell’Apocalisse:
“Scrivi: beati i chiamati al banchetto delle nozze dell’Agnello” (Apocalisse 19, 9).

Spiegazione:
a) E’ chiaro anzitutto che qui è usato un linguaggio simbolico. Se si trattasse d’un linguaggio letterale, dovremmo pensare a, un interminabile festino nuziale per celebrare le nozze d’un agnello con milioni e miliardi di creature umane (cf. Apocalisse 19, 7-‘8).
b) Il simbolo del banchetto ha lo scopo di dare l’idea d’una immensa gioia comunitaria. Questo è conforme al contesto culturale del popolo della Bibbia. Presso gli Ebrei era fortemente sentito il senso della solidarietà. La gioia vera si aveva nello stare insieme, nell’amicizia, nella comunione di vita. Il banchetto, quello nuziale in modo particolare, esprime assai bene questo senso di gioia piena e di felicità.
Lo stare insieme di persone che si amano con tutto il cuore senza preoccupazione alcuna né limiti di tempo costituisce il Paradiso dei veri cristiani:  “Hai messo più gioia nel mio cuore di quando abbondano vino e frumento” (Ps. 4, 8).
Nel convito nuziale la gioia degli sposi non è dovuta   tanto alla abbondanza e squisitezza di cibi e bevande, quanto piuttosto alla loro conseguita unione.
c) Vale la pena ricordare l’invito del Padrone al servo buono e fedele. Il Padrone non dice: “Vieni a mangiare e a bere con me!” Egli esprime il suo invito dicendo: “Entra nella gioia del tuo Padrone” (Matteo 25, 21). La gioia che il Padrone offre è quella del banchetto nuziale (cf. Matteo 8, 11). Gesù è lo sposo (,cf. Matteo 9, 15; Apocalisse 19, 7-9); i giusti, cioè l’immensa folla dei suoi discepoli, sono simboleggiati nella sposa (cf. Apocalisse 19, 7).
d) Sì, la gioia del Paradiso dei veri cristiani consiste nella compagnia dei giusti, di tutti i giusti, ossia delle creature umane purificate dall’amore di Dio. Vedremo e staremo per sempre con le persone a noi care: parenti, amici, conoscenti. Vedremo i nostri genitori, la nostra cara mamma, i fratelli, le sorelle, lo sposo, la sposa, i figli, riuniti tutti per sempre non tanto dal vincolo del sangue, ma dall’amore, che scaturisce dall’amore di Dio. Vedremo anche quelli che furono i nostri nemici, i nostri persecutori e carnefici, purificati dal fuoco che emana dal Sangue di Cristo, per sempre, perché l’odio e la vendetta e la crudeltà saranno cose passate,
“Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di, prima erano scomparsi e il mare non c’era più” (Apocalisse 21, 1).
“Non si ricorderà più il passato, non verrà più in mente, perché si godrà e si gioirà sempre di quello che sto per creare, e farò di Gerusalemme una gioia, del suo popolo un gaudio” (Isaia 65, 17).
Gioia  di tutti, riconciliati nell’amore, tutti cittadini della Gerusalemme celeste, abitanti per sempre nella dimora di Dio:
“E udii una voce grande proveniente dal trono che diceva: Ecco la dimora di Dio con gli uomini; e dimorerà con essi, ed essi saranno i suoi popoli, e Dio stesso sarà con essi” (Apocalisse 21, 3, Garofalo).

Padre Nicola Tornese s.j.


     

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