Prepararsi per l’eterna vita
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Bisogna vivere di Dio nella gioventù, affinché non si abbia a menare una triste vecchiezza, perché Dio solo è perenne giovinezza dell’anima.
Gli anni della vecchiezza sono quelli dei quali si dice: non mi piacciono, perché essa stessa è un malanno per i suoi acciacchi, ed il vecchio non prova più gusto a nulla. Sono anni nei quali si oscura il sole, la luna, la luce e le stelle, perché svaniscono gli ideali, le gioie, i divertimenti, il brio e lo splendore del volto che è proprio dei giovani. La mente è oscurata, le percezioni sono meno vive e a volte stentate, la memoria si affievolisce, e l’uomo sente il peso del corpo.
Il corpo è in dissesto per i catarri e le flussioni, e per le miserie degli organi affievoliti, che non hanno più il dominio delle loro funzioni. Tremano le mani e le braccia, che sono come le sentinelle del corpo, e tentennano le ossa e le gambe, sostegno del corpo. La masticazione è stentata, perché i denti sono quasi tutti caduti, la vista si affievolisce, e spesso si perde interamente. Gli occhi si socchiudono, la bocca sdentata si chiude di più, la gola si stringe, e quasi non si sente il rumore della masticazione perché si fa con le gengive.
Negli ultimi anni si perde il sonno, e basta la voce di un uccello per far svegliare un povero vecchio; gli orecchi che prima si dilettavano dei cantici, non percepiscono più; si ha sgomento dei luoghi elevati, perché non si ha più aria, e vengono le vertigini a salire in alto; si cammina timorosi per le strade, sia per i passi malfermi e sia per il movimento dei veicoli; fiorirà il mandorlo bianco, per la canizie; il corpo del vecchio perde di agilità; cadranno i capelli e verranno meno le forze.
L’uomo così ridotto si avvia verso l’eternità, e si può dire che già si aggirano per le strade i piangenti, cioè gli accompagnatori delle esequie, perché il vecchio, camminando per le strade, attira già su di sé la compassione dei passanti, che lo riguardano presso alla morte. Giungere a questa età senza essersi ricordato di Dio, è estrema stoltezza, poiché a che serve la vita se non è tutta illuminata e vivificata dal Signore? È maggiore stoltezza però giungere alla morte con l’anima desolata. Ricordati del tuo Creatore prima che si tronchi la funzione del sistema cerebro spinale, prima che s’infranga la lampada d’oro, cioè il cuore, che rappresenta la lampada della vita, prima che termini la vita e si dissolva il corpo, cadendo nel sepolcro.
Bisogna dunque ricordarsi di Dio prima che la polvere torni alla terra dalla quale fu tratta, e lo spirito ritorni a Dio che lo donò, perché la vita non termina con la morte, ma continua nell’eternità, e lo spirito non è assorbito da Dio, confondendosi con l’Infinito, ma ritorna a Lui come spirito sussistente, con una vita propria ch’è dono del Creatore, e che non si estingue mai più per tutta l’eternità. Tutto dunque è vanità dopo la morte fuorché il possesso di Dio, come tutto è vanità delle vanità nella vita fuorché il conoscere, l’amare ed il servire Dio. Il libro si chiude come comincia, perché la vita senza l’amore di Dio è vanità dal principio alla fine. Questa vanità sparisce solo nell’elevazione della grazia, in vita, e nell’elevazione della gloria eterna, dopo morte, perciò il Santo Battesimo che si dà al neonato, è un mirabile dono divino, è come il polline che cade sul fiore e lo feconda mutandolo in frutto, i Sacramenti che alimentano la nostra vita sono una ricchezza incommensurabile che ci trasformano in novelle creature; la Fede è la luce che illumina veramente la nostra mente, la speranza è come lo splendore della luna nelle tenebre della notte, la carità è come la nube carica di acque, che ci feconda con la grazia, perché l’attira nel nostro cuore. Un uomo senza Fede, senza Speranza, senza Carità e senza i doni del Signore, rappresenta un rudere dell’umanità, è spregevole sulla terra, è segnato d’ignominia nell’Eterna Vita.
Don Dolindo Ruotolo
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