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Vangelo di Domenica 27 ottobre 2019  – XXX del Tempo ordinario

26 Ottobre 2019 | Filed under: Parola and tagged with: KIl Vangelo della Domenica
     

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+ Lc 18, 9-14

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

COMMENTO

Ancora un volta, per la terza domenica di seguito, il vangelo (Luca 18,9-14) parla della preghiera. Due settimane fa, con l’episodio dei dieci lebbrosi risanati, uno solo dei quali torna a ringraziare, Gesù ha richiamato il dovere della riconoscenza per gli innumerevoli benefici del suo amore. Domenica scorsa, con la parabola della vedova instancabile nel chiedere, ha esortato a pregare sempre, con incrollabile fiducia. La parabola di oggi – specialmente rivolta ad “alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri” – mette a confronto due diversi modi di rivolgersi a Dio.
Questo il racconto: “Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: ‘O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo’. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: ‘O Dio, abbi pietà di me peccatore'”.

Due uomini a confronto. Un fariseo, cioè un rappresentante di coloro che erano ritenuti (e si ritenevano) modelli dei credenti, sciorina davanti a Dio i propri meriti: “Io non sono come gli altri, ladri, ingiusti, adulteri… Io digiuno e pago le decime…” Osserva tutti i comandamenti, lui; tutti, tranne quello fondamentale, la carità; gonfio di superbia, sa solo disprezzare chi gli sta vicino. Vicino, come l’uomo postosi dietro di lui: un pubblicano, vale a dire un esattore delle tasse per conto degli odiati Romani; un uomo che, da parte degli ebrei di allora, era tanto disprezzato da essere considerato un pubblico peccatore, al pari delle prostitute; uno di quegli uomini dai quali la gente “per bene” si teneva accuratamente a distanza.

Non però Gesù, che più volte ha dato scandalo lasciandosi avvicinare dai pubblicani e anzi andandoli a cercare, come nell’episodio che sentiremo domenica prossima. Anche con la parabola di oggi, c’è da scommettere, Gesù ha dato scandalo: ha messo un “perfetto” fariseo a confronto con un pubblicano, il quale “non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo” perché si riconosceva peccatore, e ha risolto il confronto a favore del secondo, che “a differenza dell’altro tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi invece si umilia sarà esaltato”.

E’ facile trasporre l’insegnamento della parabola dalla società ebraica di duemila anni fa alla nostra: vizi e virtù della natura umana restano immutati nel tempo. E dunque, oggi come allora, Dio non approva chi confida nei propri presunti meriti, chi si ritiene “a posto” perché non è ladro, ingiusto, adultero, perché magari ha compiuto un pellegrinaggio, dice il rosario, qualche volta fa persino l’elemosina. Davanti a Dio nessuno ha da vantarsi, perché nessuno che scruti dentro di sé si trova esente da colpe; se non altre, quelle ad esempio del tanto bene che le condizioni sociali, il tempo, i mezzi, le forze, le occasioni avrebbero reso possibile, e invece ha trascurato.

Dunque la preghiera è anzitutto un vivere in profondità, è un rientrare in noi stessi alla ricerca di chi veramente siamo, è l’antidoto a una vita superficiale, tutta di corsa a “fare” cose, bombardata da infiniti messaggi d’ogni sorta, quasi sempre fuorvianti e manipolatori. La preghiera è la scoperta riconoscente degli infiniti doni ricevuti, è l’umile ammissione dei propri limiti confidando nell’inesauribile misericordia di Dio, accogliendo con intima gioia quell’Amore che, malgrado le nostre mancanze, continuamente ci inonda. Con un proposito, nei confronti di quanti ci troviamo vicino: sostituire il disprezzo (compresa quella sua forma sottile che è l’indifferenza) con sentimenti in sintonia con quelli di Dio, il quale è il Padre nostro, ma anche il loro.

Mons. Roberto Brunelli

 

 


     

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