L’esercizio dei carismi – Ultima parte
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Insegnamento
di Padre Raniero Cantalamessa
(RCSCV)
L’ESERCIZIO DEI CARISMI – La Chiesa non si smentisce, Gesù non si smentisce; per venti secoli, i santi si sono santificati così. All’inizio del cammino spirituale, la grazia si fa sentire con doni e consolazioni grandi, al fine di staccare la persona dal mondo e farla decidere per Dio; ma in seguito, una volta distaccati dal mondo, lo Spirito spinge tali persone a incamminarsi per la “via stretta” del vangelo, la via della mortificazione, dell’obbedienza, dell’umiltà.
Non si vede perché oggi il Signore debba aver cambiato radicalmente metodo e fare i santi attraverso una via diversa, lastricata di dolcezze ed esperienze esaltanti, dall’inizio alla fine. Non si vede perché e come possa farli passare di gloria in gloria, senza farli passare di croce in croce.
Gesù ci ha salvati passando di croce in croce e ha fatto i santi facendoli passare di croce in croce, pur nella gioia pregustata della risurrezione. 1 carismi devono esibire i frutti dello Spirito; e se non ci sono questi, tutto è pericoloso, bisogna fermarsi, riflettere. Gesù ha detto: “Dai frutti li riconoscerete”, e i frutti di cui parla sono quelli dello Spirito: amore, gioia, pace, benevolenza, pazienza, umiltà, obbedienza…
E giacché ho nominato l’obbedienza, vorrei insistere un momento su questa virtù. Icarismi si devono esercitare nell’obbedienza. S. Paolo ci ha detto che i carismi sono di coloro che, mediante lo Spirito, fanno morire le opere della carne; cioè di quanti, attraverso l’obbedienza, mortificano l’amor proprio, l’orgoglio, il proprio punto di vista.
In un gruppo dove non c’è clima di obbedienza e di sottomissione (a chi presiede, al sacerdote, o semplicemente reciproca), tutto è in pericolo, tutto è ambiguo; nascono le fazioni e poi le delusioni. L’obbedienza è il marchio per riconoscere se un fratello è animato da un carisma autentico o no; basta vedere se egli è disposto – qualora una voce autorevole glielo chieda – a tirarsi in disparte, a sottomettere il suo carisma alla comunità.
S. Teresa d’Avila aveva delle apparizioni di Gesù; e si trattava davvero di Gesù in persona, non del demonio; ma, dal momento che un certo confessore le aveva detto che c’era un inganno del demonio e che doveva spruzzare la visione di acqua santa, ella obbediva e spruzzava di acqua santa Gesù e Gesù era contento che lei obbedisse al suo confessore.
Come si può, allora, sentire tra noi qualcuno che dice: “Mi si mortifica, sono inibito, mentre io sento che il Signore mi chiama a far questo e quello”. Tu senti, tu senti, ma non ti accorgi, caro fratello, che questo tuo “sentire” ti sta portando fuori strada. L’importante non è ciò che tu senti; l’importante è ciò che “sente” la Chiesa. Se volete proprio avere dei “sentimenti”, abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù e cioè, come dice Paolo, l’obbedienza e l’umiltà (cfr. Fil 2,5ss).
Un’ultima cosa devo dire, qui, circa l’esercizio dei carismi: che essi non possono andare insieme con il peccato. Dunque che bisogna rompere definitivamente con il peccato. Alla vigilia dell’effusione dello Spirito, tutto quello che il Signore vuole da voi è questo. Non è scegliere quale carisma chiedere (è meglio, anzi, non chiedere proprio niente e lasciare che sia lo Spirito a distribuire i suoi doni “come vuole”). La cosa veramente importante è offrire al Signore un cuore contrito e umiliato, un cuore che non ha più attaccamenti al peccato.
Beati voi se, in questa circostanza, in un momento di raccoglimento, riuscite a dire a Gesù: “Signore, ho capito qual è la mia vera radice di peccato, il legame che ancora mi impedisce di correre liberamente verso di te; perciò, tremando a causa della mia debolezza, ma pieno di fiducia nella tua grazia, dico: tra me e ‘quel’ peccato, più niente in comune; dico: Basta! Rompo definitivamente con il mio peccato!”.
A proposito di peccato, lasciate che esprima un grido accorato che ho nel cuore da tempo. Ci sono inganni nei gruppi, in alcuni fratelli; ci sono delle situazioni in cui si ha l’aria di scherzare con Dio. S. Paolo dice: “Non ci si può prendere gioco di Dio!” (Gal 6,7); ora ci sono persone che sembrano non aver capito quanto Dio prende sul serio il peccato. Non parlo dei Peccati che commettiamo tutti, che ci colgono di sorpresa e, comunque, dei quali ci pentiamo e ci confessiamo; parlo di “stato” di peccato, cioè di situazioni chiaramente individuate da tempo come situazioni di grave rottura con Dio e con la Chiesa, con le quali si continua a vivere tranquilli e si va alla preghiera settimanale.
E’ una cosa terribile: l’epistola agli Ebrei dice che chi Vive in questo tipo di peccato “crocifigge di nuovo il Figlio di Dio e lo espone all’infamia” (cfr. Eb 6,6). Chi fa questo e va, senza pentimento, all’incontro di preghiera, è uno che va a battere le mani e lodare Cristo Signore, mentre nel suo cuore lo sta di nuovo crocifiggendo. Se ci sono tra noi casi del genere, pentimento, pentimento, confessione, confessione! Basta, andare ipocritamente in giro dissimulando il proprio peccato. “Oggi, se ascolti la sua voce, non indurire il tuo cuore!”.
Signore, aiutaci ad avere un cuore contrito e umiliato, che ha tagliato tutti i ponti con il peccato volontario, perché tu possa riversare su di noi il tuo Spirito e arricchirci dei suoi doni per la gloria del Padre e per l’edificazione della tua Chiesa. Amen!
P. Raniero Cantalamessa
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