Il cristianesimo è storia di libertà
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Il messaggio del Convegno internazionale «Gesù nostro contemporaneo» organizzato dal Comitato Cei per il progetto culturale
«Il Dio in cui si crede, o non si crede, il Dio di cui anche oggi si discute, in Occidente e in gran parte del mondo, ad esempio in Russia e in America Latina, è, in sostanza, il Dio che ci ha proposto Gesù di Nazaret. Ed è vero pure l’inverso: se Gesù di Nazaret è importante anche oggi per tanti uomini e donne, è perché essi sono convinti, o almeno sperano, che egli abbia un rapporto speciale, anzi unico, con Dio».
Con queste parole il Cardinale Camillo Ruini ha concluso l’evento internazionale «Gesù nostro contemporaneo», promosso dal Progetto culturale della Conferenza Episcopale Italiana. Ripercorrendo i lavori di questi tre giorni, il Cardinale ha sottolineato come il convegno abbia contribuito a far emergere con speciale forza alcune forme di tale contemporaneità: le opere di fraternità, il rapporto personale e vivificante col Cristo, l’esperienza del dolore e, infine, la più alta di tutte, il martirio.
Nella relazione finale sul tema «L’escatologia nel mondo secolarizzato» il prof. Henning Ottmann, docente di Filosofia politica presso l’Università di Monaco di Baviera, è partito da alcuni interessanti interrogativi: che cosa porterà il futuro all’umanità? Un regno di pace e di giustizia? O quello che accadrà sarà completamente diverso? Vi sarà, alla fine, una guerra atomica? Una catastrofe climatica? Un progressivo avvelenamento della terra?
Domande che sono frutto di un pensiero storico-naturalistico per cui il mondo aveva una fine, che inevitabilmente la venuta di Gesù Cristo ha cambiato la prospettiva: «Con il cristianesimo questa concezione del tempo e della storia si è trasformata. Per i cristiani la storia ha un fine. Essa ha un inizio nella creazione, un centro nell’incarnazione di Dio, una fine nel ritorno del Signore».
Invece il teologo anglicano, Nicholas Thomas Wright, vescovo di Durham e professore all’Università di Saint Andrews, ha sottolineato che «il significato della risurrezione non può essere ridotto a qualcosa di tanto rassicurante quanto semplice come il considerarlo un “contemporaneo” nel senso di un amico accanto a noi, una presenza sorridente e confortante».
Dopo un interessante excursus storico sul significato della Resurrezione, in cui ha analizzato le figure di Pietro, Tommaso e Maria di Magdala come sono state descritte dal vangelo di san Giovanni, il teologo ha concluso: «la risurrezione non è la fine della storia; è l’inizio di una nuova storia, precisamente perché Gesù è la primizia e la pienezza del raccolto deve ancora venire».
Interessante è stato anche il colloquio, avvenuto il giorno precedente, tra il cantautore Roberto Vecchioni, lo scrittore Alessandro D’Avenia, il giornalista Alessandro Zuccari e don Armando Matteo, docente di teologia alla Pontificia Università Urbaniana, sulla percezione della figura di Gesù da parte dei giovani.
Roberto Vecchioni ha esordito, affermando: «Se abbiamo voluto un figlio, da quel giorno dobbiamo dividere la nostra vita con lui. I ragazzi di oggi non hanno maestri, punti di riferimento», sottolineando la caratteristica del Dio cristiano: l’amore. Alessandro D’Avenia ha raccontato la figura di don Pino Puglisi, suo insegnante di religione nella scuola superiore: «Ci sono persone capaci di guardare gli altri facendo percepire con gli occhi la dignità che ciascun uomo ha.
È il caso di padre Pino Puglisi, assassinato dalla mafia a Brancaccio, quartiere di Palermo, nel 1993». Il sacerdote era insegnante di religione nella scuola superiore di Alessandro D’Avenia, oggi a sua volta insegnante e scrittore. Quindi per lo scrittore gli educatori devono possedere uno sguardo che comunichi dignità e bellezza: «Gesù può farsi nostro contemporaneo se i ragazzi vedono negli adulti la capacità di trovare la bellezza che ciascuno di noi ha in se stesso»
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