Gesù desiderava mettersi a tavola con gli altri
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Si è notato che, tra i diversi testi religiosi dell’antichità, nessuno come la Bibbia parla tanto di cibi e bevande, e nessuno come i quattro vangeli parla tanto di pasti e di banchetti. Gesù è stato totalmente uomo come noi, dunque ha praticato la tavola come ogni essere umano, ma vanno riconosciute una frequenza del suo stare a tavola e un’insistenza su questo tratto della sua persona che vogliono essere portatrici di un messaggio, ben più che semplici attestazioni.
Egli, infatti, amava la tavola quale luogo di incontro con gli altri, parlava sovente di tavola e di banchetto per profetizzare la condizione di comunione con Dio e con sé nel Regno, e volle la tavola come luogo che radunasse i suoi discepoli per vivere la sua memoria dopo la sua morte-resurrezione.
I vangeli ci raccontano quindici pasti di Gesù (sono molti in quattro libretti di poche pagine!), e ogni pasto ha una particolarità, è un incontro non ripetibile ed è un’occasione di un insegnamento da parte di Gesù. Ovviamente non possiamo leggere e commentare tutti questi quindici pasti significativi, ma di essi occorre far emergere innanzitutto alcuni tratti importanti.
Partendo da una visione più generale, si può affermare che Gesù desiderava mettersi a tavola e pranzare con le persone con cui entrava in relazione. A tavola conversava con facilità, stringeva amicizia, accettava le discussioni che qui potevano sorgere (cf. Lc 22,24). Stare a tavola per Gesù era un segno, una parabola vissuta del significato della sua stessa missione: portare la presenza di Dio nel mondo, avvicinare il regno di Dio ai peccatori, a chi dal Regno si sentiva escluso e lontano.
Quando era invitato a pranzo, Gesù restava sempre vigilante, cercava di vedere e di non lasciarsi sfuggire qualcosa che potesse esser più urgente della partecipazione a un banchetto. Per esempio, mentre, in giorno di sabato, sta per entrare in casa di uno dei capi dei farisei per pranzare, nota un uomo malato di idropisia. Allora lo prende per mano, lo guarisce e lo congeda, anche se deve giustificarsi di fronte agli uomini religiosi che lo circondano per aver operato una guarigione in giorno di sabato, dicendo che in quel giorno è lecito curare (cf. Lc 14,1-6).
Ma Gesù osserva anche come gli invitati a pranzo scelgono i primi posti, e consiglia di mettersi all’ultimo posto (cf. Lc 14,7-8). Esorta inoltre a invitare a pranzo o a cena quelli che non possono contraccambiare, per non entrare nel terribile meccanismo dell’invitare per essere invitati (cf. Lc 14,12). “Al contrario” – afferma – “quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti” (Lc 14,13- 14). Anche se magari questi non accetteranno e rifiuteranno il dono: bisogna esporsi a tale rischio!
Scendendo più nello specifico, i vangeli sinottici attestano dei pasti presi da Gesù insieme a gente pubblicamente malfamata, peccatrice, disprezzata, agli scarti della società. Ci raccontano che un chiamato alla sequela di Gesù, Levi, era un pubblicano che stava seduto a riscuotere le imposte in una città sul lago di Tiberiade (cf. Lc 5,27-32 e par.). Gesù, passando, “lo vide … e gli disse: ‘Seguimi’. Ed egli, lasciando tutto, si alzò e lo seguì”.
Lo sguardo e la parola di Gesù hanno attirato quest’uomo e così egli si è convertito, affidandosi incondizionatamente a lui. Gioioso per il nuovo cammino intrapreso, Levi si congeda dai suoi amici (che certamente non erano religiosi osservanti!) con un grande banchetto e Gesù partecipa a questo pasto senza remore, scatenando però la reazione dei difensori delle osservanze dettate dalla Legge.
I farisei, questi militanti, e i loro scribi, sicuri della loro capacità di influenza e della loro autorità, cercano di destabilizzare i discepoli di Gesù: “Come mai mangiate e bevete insieme ai pubblicani e ai peccatori?”. Ma Gesù risponde: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori alla conversione” (l’aggiunta di quest’ultima specificazione è solo lucana).
Se Gesù è venuto per invitare alla conversione i peccatori, innanzitutto li va a cercare dove essi sono, e poi stabilisce con loro una comunione umana attorno alla tavola: è così che si crea la situazione in cui si possono instaurare conoscenza reciproca, accoglienza reciproca, comunicazione! E siccome questo avveniva abitualmente, i nemici di Gesù finivano per chiamarlo con disprezzo “un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori” (Lc 7,34; Mt 11,19), e spesso mormoravano dicendo: “Costui accoglie i peccatori e mangia con loro” (Lc 15,2).
La verità invece andava colta nell’abbondanza dell’amore di Gesù, che sa accogliere il grazie di Levi a lui che lo ha ritenuto degno di essere fatto discepolo; che accetta di stare a tavola gioiosamente per festeggiare l’evento di un peccatore che ha detto no al suo passato e si è incamminato su una nuova via; che vuole mostrare la sua capacità di empatia e di amicizia verso tutti, nessuno escluso.
Molto simile a questo banchetto è quello nella casa di Zaccheo (cf. Lc 19,1-10). Entrando in Gerico, Gesù vede un uomo che, essendo piccolo di statura, pur di vederlo si è arrampicato su una pianta, un sicomoro. Gesù lo guarda in volto e gli dice: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi”, anzi dimorare (meînai) “a casa tua”. E Zaccheo scende in fretta e lo accoglie in casa, pieno di gioia. Anche qui una chiamata, un entrare in casa, un sedere a tavola, contrapposti a una mormorazione: “È entrato in casa di un peccatore!”.
Ma non sempre la tavola alla quale Gesù è invitato diventa luogo di vera accoglienza, di ascolto di Gesù e dunque di comunione. Egli, infatti, accettava l’invito a tavola da parte di tutti: da parte di peccatori ma anche da parte di “giusti” osservanti, i farisei. Era ritenuto un rabbi famoso, e la curiosità spingeva dei farisei ad accoglierlo nella loro casa: ed egli accetta, come ci testimonia per due volte il vangelo secondo Luca. La prima volta chi invita Gesù è un fariseo di nome Simone (cf. Lc 7,36-50).
Gesù entra nella sua casa, ma l’ospite che offre quel pasto si mostra subito riservato nei suoi confronti: vuole Gesù a tavola, ma senza compiere gesti d’amore verso di lui. Nei banchetti solenni era usanza che il padrone di casa salutasse con un bacio l’ospite per cui offriva il banchetto, che i servi gli lavassero i piedi e che fosse versata sui capelli dell’ospite una goccia di profumo. Era un rito di accoglienza segnato da attenzione, affetto, volontà di onorare l’ospite. Ma Simone non fa nulla di tutto questo per Gesù…
Ed ecco, entra in quella casa una donna innominata, conosciuta da tutti in città come “una peccatrice”, dunque una prostituta, che compie per Gesù i gesti che egli avrebbe dovuto ricevere in qualità di ospite. Si avvicina in modo nascosto e, presa da commozione, bacia i piedi di Gesù, li bagna di lacrime, li asciuga con i suoi capelli e li cosparge di profumo.
Simone resta scandalizzato: non si domanda per quale motivo egli non ha compiuto i gesti previsti dall’ospitalità, ma sa guardare solo al peccato della donna e conclude che Gesù non è profeta, come egli già pensava, dal momento che si lascia avvicinare e toccare da una donna impura. Per lui Gesù o è un ingenuo oppure è uno a cui queste cose piacciono, in quanto anche lui peccatore: ma certo non è un profeta!
Gesù allora, resosi conto di questo mormorare tra sé da parte di Simone, gli narra una parabola per spiegargli che a chi ha molto amato – come questa donna che gratuitamente e senza essere lei l’ospite ha fatto molto – moltissimo si perdona. E così dice alla donna: “I tuoi peccati sono perdonati … La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!”.
Qui la tavola è diventata luogo di contraddizione: colui che ha invitato Gesù non è stato un ospite alla sua altezza, non ha capito nulla, non è entrato in comunione con lui; colei che invece è entrata nella casa, non invitata e di soppiatto, ma con fede e amore, ha ottenuto l’amore di Gesù. Sì, la tavola non è per tutti un luogo di comunione: dipende da come si sta a tavola con gli altri commensali, se si vuole comunione con loro, se si vuole veramente celebrare con il pasto, con il banchetto, l’incontro, la fraternità, l’amicizia.
Sempre Luca ci parla di un altro pasto a cui Gesù è invitato da un fariseo anonimo – “Un fariseo lo invitò a pranzo. Egli entrò e si mise a tavola” (Lc 11,37) –, pasto che finisce in una veemente polemica (cf. Lc 11,38-54). Guardando la loro ipocrisia, le loro osservanze di prescrizioni umane, l’ossessione delle loro supererogazioni per acquisire meriti, Gesù si scatena in una serie di: “Guai a voi, farisei! Guai a voi, dottori della Legge!” (cf. anche Mt 23,13-329.
Ciò rappresenta una rottura con gli uomini religiosi: Gesù non sarà più invitato a pranzo da loro e ormai questi suoi nemici complottano per farlo morire. Resta vero che Gesù non aveva disdegnato i loro meriti: è andato a tavola anche insieme a loro, ma il risultato è stato un fallimento della sua missione.
Abbiamo però anche cenni di uno stare a tavola di Gesù presso amici che lo accolgono con premura, gli offrono la casa per riposarsi e per riprendere le forze nel suo cammino verso la Pasqua. Luca ci parla della sosta di Gesù nella casa di due sorelle, Marta e Maria (cf. Lc 10,38-42). Sono due amiche di Gesù, insieme al loro fratello Lazzaro, e la loro casa a Betania è poco distante da Gerusalemme.
In quella sosta di Gesù, Maria si fa con audacia sua discepola, mettendosi ai suoi piedi per ascoltarlo come un rabbi, mentre Marta prepara tutto per l’accoglienza pratica di Gesù, dunque anche il pranzo. Se quest’ultima è rimproverata da Gesù non è perché prepari il pasto, che Gesù gradiva, ma perché preferisce restare una donna serva senza diventare discepola. Prima – le dice Gesù – è necessario l’ascolto della parola di Dio, prima è necessario diventare discepola, poi si può predisporre la casa e il cibo per l’accoglienza.
Anche il vangelo secondo Giovanni ci parla dell’amicizia tra Marta, Maria e Lazzaro (cf. Gv 11,1-44) e ci testimonia che questi amici offrono a Gesù una cena, l’ultima prima della sua passione. Questi amici sono suoi commensali, ed è così grande l’affetto che li lega a lui, che Maria unge di profumo preziosissimo i piedi di Gesù, “e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo” (Gv 12,3).
Straordinario: una cena di amici, l’ultima cena insieme, in cui il profumo che si spande è segno di quell’affetto che non troverà nessun limite, ma sarà addirittura più forte della morte. Ed ecco la promessa riservata da Gesù a questo gesto, secondo i sinottici: “Amen, io vi dico: dovunque sarà proclamato il Vangelo, per il mondo intero, in memoria di lei si dirà anche quello che ha fatto” (Mc 14,9; cf. Mt 26,13).
Si annuncerà la morte e la passione del Signore rifacendo i gesti di Gesù sul pane e sul vino “in memoria di lui” (lett. “di me”; eis tèn emèn anámnesin: Lc 22,19; 1Cor 11,24), ma si annuncerà anche ciò che questa donna ha fatto per Gesù, “in memoria di lei” (eis mnemósynon autês). Memoria dell’amore di Gesù, memoria dell’amore degli amici per Gesù!
Enzo Bianchi
basilicasantambrogio
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