Don Edoardo Poppe ai Sacerdoti
Questo articolo è stato già letto1316 volte!
Riceviamo e pubblichiamo
Don Edoardo Poppe nato a Temsche (Belgio) il 18 dicembre 1890, dopo una gioventù esemplare, entrò nel Seminario di Gent e fu ordinato Sacerdote il 10 maggio 1916. Da allora, come Viceparroco a Gent (1916-’18), come Direttore della Suore di S. Vincenzo a Moarzeke (1918-’22), come Direttore spirituale a Leopoldsburg (1922-’24), irradiò, come la fiaccola sul candelabro, il dolce splendore di una vita santamente sacerdotale. Si distinse per un grande spirito di povertà, una umiltà profonda, un’obbedienza perfetta, una fede semplice come quella di un fanciullo, una carità ardentissima.
Nella sua consacrazione sacerdotale, aveva domandato a Dio di poter essere lui stesso l’offerta e la vittima del suo apostolato. Dio gli diede una salute debole e malferma. Gli otto anni che visse come Sacerdote li passò fra penose alternative di una malattia, che sempre si ripeteva con nuove crisi, seguite da convalescenze lunghe e difficili. Emanava da lui un influsso potente di grazia, e la sua parola dolce e benefica suscitò in migliaia di anime un rinnovamento di fede attiva e di vita interiore. Fu il grande apostolo di Maria Mediatrice e del Regno Eucaristico di Gesù, e legò indissolubilmente il suo nome alla pratica della “Vera Devozione” e al movimento della “Crociata Eucaristica”.
Negli ultimi anni, consumato da uno zelo ardente per la santificazione dei suoi confratelli nel Sacerdozio, si studiava di condurre con la parola e con l’esempio gli eletti di Cristo alla perfezione propria dei loro Stato. Specialmente i suoi cari “Cibisti”, seminaristi e religiosi, infermieri di Leopoldsburg, dei quali gli era stata affidata la direzione spirituale, trovarono in lui una guida e un animatore incomparabile.
Offrì la sua vita a Dio per la santificazione del Clero e si spense santamente il 10 giugno 1924.
Il processo informativo diocesano per la Causa di Beatificazione è stato aperto a Gent, il 21 marzo 1946.
Pater, santifica eos. Mettiamoci con fiducia sotto l’impero di Maria Mediatrice delle grazie del sacerdozio di Gesù… Ave Maria!…
MIEI CARI CONFRATELLI,
Per quanto io mi senta indegno e incapace di scrivere questa lettera spirituale, lo faccio tuttavia, per l’amore che porto alla vostra perfezione sacerdotale.
Dio vi ha dato una grazia preziosa: vi ha fatto sentire il dovere di una vita sacerdotale santa. Voi stessi vi siete ripetuto più volte: «Io devo diventare un santo Sacerdote; se così non avvenisse, giudicherei finita la mia carriera». Com’è vero ciò, sostanzialmente vero!
GUERRA ALLA MEDIOCRITA’
Sì, cari Fratelli; voi dovete essere Sacerdoti santi, non già dei preti qualunque, dei preti ordinari. Altrimenti il vostro zelo e le vostre fatiche riusciranno a ben poco e le vostre pecorelle si allontaneranno da voi e si perderanno in gran numero. Una sola parola di un santo è più efficace che un mucchio di prediche di un freddo oratore. Le parole di un Sacerdote santo colpiscono, scuotono, commuovono e penetrano le anime, rinnovandole in modo meraviglioso. Sono, infatti, parole nate dalla grazia, dalla preghiera, fors’anche dalla penitenza; per questo sono piene della forza di Dio. Un sapiente potrà anche imitarle con rara abilità, ma Dio predica solo attraverso la bocca di un santo: «Non vos qui loquimini…» (Mt. X, 20). La scienza è un utile aiuto, i doni naturali sono necessari, ma senza la santità noi siamo più o meno dei «cymbalum tinniens, aens sonans…» (I Cor. XIII, 1).
Fratelli, non vendete ciance! Fratelli, non siate vasi vuoti; abbiate pure scienza e talento, ma prima di tutto siate uomini di preghiera e austeri nella penitenza: siate santi!
GUARDARSI DALL’ABITUDINE!
Fratelli, tutti i giorni siamo chiamati alle solite occupazioni: nobili, ma monotone e spesso faticose. Fratelli, attenti a non lasciarvi vincere dall’abitudine, e vegliate perché i Sacramenti non perdano agli occhi vostri il loro carattere divino; attenti che il vostro Maestro non vi diventi tra le mani «un oggetto indifferente»; attenti a non perdere la stima cristiana per gli ammalati e i poveri; attenti a che i fanciulli non vi diventino cagione di noia, oggetto d’avversione i peccatori. Ma che dico? Siate attenti a una cosa sola, a non diventare dei preti mestieranti.
State bene attenti: sappiate star fermi nel proposito di farvi santi come lo siete in quello di salvarvi. Solo così il continuo contatto con i santi Sacramenti sarà per voi una fonte ricchissima di consolazioni e di edificazione.
Restate sul sentiero della santità! Allora il vostro Maestro sarà l’amico intimo del vostro cuore, allora Egli vi si farà conoscere «in fractione Panis» (Lc. XXIV, 35), e in nessun luogo lo riconoscerete più facilmente e lo visiterete più volentieri che nell’Ostia così spesso maneggiata. Continuate a tendere alla perfezione! Allora i vostri malati diventeranno i vostri più validi collaboratori, e voi avrete per essi le più belle parole di consolazione. Allora amerete i vostri poveri e vedrete in essi i veri fratelli di Cristo, e ben presto vi sentirete nei loro confronti piuttosto dei debitori che dei creditori. I fanciulli, nonostante i loro difetti, saranno i prediletti del vostro cuore e voi i loro: essi diventeranno per voi come una grande famiglia spirituale di cui voi sarete il padre: «Sterilem fecit matrem filiorum laetantem!» (Sal. CXII, 8).
NON SCORAGGIARSI MAI!
Continuate a battere la via diritta! Incontrerete nel cammino croci su croci, malintesi, contrarietà, derisioni, aridità, abbandoni; ma voi arriverete alla méta senza bisogno di mendicare consolazioni dal mondo. In mezzo alle croci conserverete almeno la speranza e la fiducia: questo già basta quaggiù, ma potrebbe anche darsi che proprio la vostra croce diventasse la vostra gioia. Fratelli, viviamo una volta sola e non siamo destinati a una patria terrena: siamo dei viaggiatori in cammino, e pazzo sarebbe colui che cercasse quaggiù la sua dimora e il suo riposo: «Non habemus hic manentem civitatem, sed futuram inquirimus» (Eb. XIII, 14). A che servono i bei mobili con teste di leoni e ornamenti di cuoio? Fra trent’anni si troveranno nella camera dei nostri eredi. A che giovano le aderenze e le amicizie di questo mondo? Quindici giorni appena dopo la morte, voi sarete già svaniti dalla memoria e usciti dal cuore di coloro che ora vi costano tanto tempo e tante seccature. E che cosa ci giovano la lode e la stima? Fumo vano, che troppo facilmente ci dà alla testa, rendendoci men chiaro il cammino e facendoci più male che bene.
POVERTA’ E DISTACCO
Povertà! ecco, Fratelli, la parola benedetta, la parola dura, ma salutare, che ci conviene avere sulle labbra alla vista dei beni e delle gioie mondane: «Omnia detrimentum feci et arbitror ut stercora, ut Christum lucrifaciam» (Fil. III, 8). Sì, noi consideriamo «ut stercora» il denaro che possediamo per le nostre necessità; fuggiamo «ut stercora» la popolarità mondana e le lodi così seducenti degli uomini; fuggiamo «ut stercora» ogni abitudine del mondo e tutte le sue consolazioni. «Ut Christum lucrifaciam», per poter partecipare dello spirito del Cristo, della forza del Cristo, della fecondità di Cristo.
«Mihi vivere Christus est» (Fil. I, 21). È verità fuor di dubbio: «Sacerdos alter Christus!». Noi dobbiamo sentirci interiormente un altro Cristo e tali apparire agli occhi degli uomini; il che vuol dire non essere dei preti qualunque, ma sacerdoti santi. La frase: «Fate come fanno tutti» è un modo di dire insensato, che contraddice al santo Vangelo. «Sicut misit me Pater, et Ego mitto vos!» (Gv. XX, 21). «Estote perfecti, sicut et Pater vester perfectus est!» (Mt. V, 48). Nessuno ha il diritto di dirvi: «Fate come noi». Soltanto il Cristo può dire e dice con tutta verità: «Ego sum via… sequere Me». Dunque è Lui solo che noi dobbiamo fissare, contemplare, seguire.
Fratelli, e non vedete dunque ch’Egli fu povero? Bambinello, aveva almeno una mangiatoia, ma quando si dette alla vita apostolica, non aveva neanche una pietra su cui posare il capo. Ah, le abitudini!
«Exemplum dedi vobis… Ego sum via!» (Gv. XIII, 15; XIV, 6).
APOSTOLICA VIVENDI FORMA
Osservo gli Apostoli, esamino lo spirito dei Santi: essi hanno seguito Gesù, non le abitudini del loro tempo: erano poveri! II Venerabile P. Chevrier era povero, anche se viveva nel secolo XIX, e ci incoraggia con un grido di vittoria: «Un Sacerdote povero è onnipotente!».
Guai ai ricchi, perché hanno le loro soddisfazioni su questa terra… «Beati pauperes!». Come si fa carezzevole la voce del Maestro quando proclama beata la povertà! «Beati pauperes spiritu» (Mt. V, 3).
Fratelli, ne conoscete molti di questi poveri di spirito che non sono perfettamente poveri in certe cose? In questa materia, voi siate «semplici come la colomba, ma prudenti come il serpente». Che se non osate mostrare la povertà nella sala da ricevere o nei locali accessibili ai visitatori, introducetela allora nella vostra camera da letto e almeno là lasciatela regnare sovrana.
UMILTA’ E NASCONDIMENTO
Fratelli, aiutatevi scambievolmente a ricordarvi che il nostro Maestro ha amato di vivere nascosto: trent’anni su trentatrè! Non è dunque lo zelo la principale virtù del Sacerdote, ma l’umiltà. Siamo dei grandi illusi se non siamo severi su questo punto. Essere umili non vuol dire tenere gli occhi bassi andando per la strada o darsi l’aria del santo. Senza dubbio, l’umiltà deve pur scorgersi nella modestia esteriore, ma questa deve essere l’irradiazione naturale della umiltà e del raccoglimento interiore. Contegno, dunque, né pomposo né affettato. Non sussiego da magistrato, ma neppure collo torto da santerello. Modestia semplice! Questo dobbiamo tutti cercare, di essere umili di spirito. II nostro motto sia: «Sine gratia nihil sum». Non accontentatevi di dirlo, ma pensatelo quando predicate, quando confessate, quando v’intrattenete coi fedeli. Inoltre amate d’essere ignorati e considerati un nulla: «Ama nesciri». Non illudetevi con vane parole. Si vuole sì esser santi, si vuole sì esser umili, ma poi le umiliazioni nessuno le vuole. Desiderate dunque le umiliazioni, che l’umiltà tutti son capaci di desiderarla.
Avete forse lanciato un’iniziativa importante, ed altri ne raccoglie la gloria: «Ama nesciri». Avete fatto del vostro meglio e tornate a casa soddisfatti della vostra fatica: siete accolti con una severa ramanzina: «Ama nesciri». Questo è il momento di praticare l’umiltà. Essere umile vuol dire desiderare la stima di Dio e disprezzare quella degli uomini. Promozioni, popolarità, stima e altre formule di questo genere… adoperiamoci a sbarrar loro il passo, perché non abbiano ad esercitare la minima influenza sul nostro cuore: «Ama nesciri et pro nihilo reputari». II Cristo fu posto tra i malfattori: «Cum iniquis reputatus est» (Mc. XV, 28). E perché noi abbiamo tanto amor proprio, da voler esser considerati tra i migliori?
SOFFERENZA E FORTEZZA
Non lasciamoci illudere da buone parole o da qualche bella risoluzione in occasione di ritiri! «Chr stus passus est» (Pt. II, 20). Fratelli, Cristo ha sofferto! Se vogliamo diventare Sacerdoti santi e fecondi, Fratelli, dobbiamo soffrire. Se si esclude il dolore, è inutile pensare di mettersi a far del bene e a santificarsi. Dovete dunque dire: «Voglio soffrire, soffrire molto», con la stessa facilità con cui direste: «Voglio diventare un buono e santo Sacerdote». È la stessa cosa.
Dobbiamo essere fermamente fedeli a questa risoluzione di soffrire: è un’ancora di salvezza. Si rabbrividisce talvolta nel proprio intimo al pensiero di quanto ci potrà riserbare questo desiderio: «Voglio soffrire». Non badateci, lasciate che il vostro essere tremi e frema, e continuate a dire umilmente: «Voglio soffrire». Ben presto familiarizzerete con questa idea e comincerete ad apprezzare la sofferenza; forse, ad amarla.
VALORE DELLA SOFFERENZA
Lavorare è bene, pregare è meglio, ma soffrire è meglio ancora. Manca forse qualcosa, oggi, alla mensa del Sacerdote? La sua casa è forse men comoda di quella di un ricco? Che cosa manca al suo abbigliamento e al suo svago? Eppure, per il Sacerdote più che per gli altri cristiani valgono le parole di Gesù: «Qui non renuntiat omnibus» (Lc. XIV, 33); «Si quis vult post me venire, abneget semetipsum, et tollat crucem suam et sequatur me» (Mt. XVI, 24). Può darsi che il futuro s’incarichi di fare assomigliare di più la nostra vita a quella del Salvatore. Comunque sia, da veri amici della croce accettiamo intanto ogni infortunio, ogni contraddizione, ogni malattia, ogni prova interiore ed esteriore: «In cruce salus, nobis et animabus».
«Vos estis lux mundi» (Mt. XV, 14). Se la vostra vita non mostra davanti al mondo il sigillo della croce, che cosa sarà la vita degli altri uomini?
«Vos estis sai terrae» (Mt. V, 13). II sale della terra più che la predicazione, è la sofferenza.
Perciò, o Fratelli, non lasciatevi scoraggiare da un insuccesso o abbattere da una derisione; basta coi sospiri impazienti davanti alle contraddizioni, via la malinconia sfiduciata quando, dopo tanti anni di fatica, non raccogliete un bel nulla! Non scoraggiatevi nelle malattie, ma soprattutto non abbandonate il vostro ideale per malintesi e contraddizioni, anche se venissero da parte dei superiori. Soffrire e obbedire.
MAGNANIMITA’ E OBBEDIENZA
II servitore è forse da più del Maestro? Noi siamo intelligenti, ce la caviamo bene a ideare, organizzare e sviluppare le nostre opere; non ci manca preveggenza e senso di iniziativa e neppure l’ardore dello zelo. Ma Gesù era più intelligente, più zelante, più preveggente, più acuto di noi. II suo zelo era un fuoco divoratore. Sapeva organizzare la sua vita meglio di noi… E tuttavia Gesù obbedisce in tutto e per tutto a Giuseppe e Maria. L’ultima parola Egli la lascia all’autorità; e per trent’anni ne riconosce e insegna il valore. II valore dell’obbedienza sorpassa ogni stima se noi pensiamo che questo Gesù, che a tutti obbedisce, è Dio. Tutta la sua fanciullezza e la sua giovinezza, la sua missione e la sua morte – una morte sulla croce – furono un grande atto di obbedienza. «Factus est oboediens usque ad mortem, mortem autem crucis» (Fil. II, 8).
Fratelli, obbedire è qualche volta alquanto duro. Tuttavia, anche se vediamo chiaramente il nostro diritto, anche se le nostre intenzioni sono eccellenti, obbediamo. Niente c’impedisce di esporre le nostre idee all’autorità, ma dobbiamo esser pronti ad abbandonarle immediatamente se il giudizio dei superiori è contrario al nostro modo dì vedere.
Obbedire è nello stesso tempo avere confidenza: perché mediante l’obbedienza voi trionferete sicuramente. Sì, noi dobbiamo crederlo senza ombra di dubbio.
In un ordine penoso c’è, nascosta, la parola di Dio: «Vir oboediens loquetur victorias» (Pr. XXI, 28). Fratelli, obbediamo anche alla volontà di Dio espressa in forma sì chiara e precisa nei nostri Statuti diocesani; abbracciamoli e osserviamoli: facciamone la nostra santa Regola. Possiamo ben dirci fortunati noi, poveri Sacerdoti secolari, di avere almeno una piccola Regola; quasi quasi possiamo obbedire come dei veri Religiosi. Che fortuna! Intanto però, forse i nostri Statuti rimangono dimenticati, coperti di polvere in un angolo della nostra libreria. No, Fratelli: essi devono stare a portata di mano, sul nostro tavolo, sul nostro inginocchiatoio; essi devono divenirci familiari e cari come il nostro Breviario, dobbiamo servircene spesso per lettura spirituale, e impararli a memoria, come diceva Monsignor Seghers.
ESIGENZE DELLA SANTITA’
Sì, Fratelli: povertà, umiltà, sofferenza, obbedienza e ancora tante altre penose esigenze: ecco che cosa vi impone la aspirazione alla santità. La santità esige ancora purezza eroica negli sguardi, nelle parole e più ancora nelle relazioni. Dobbiamo essere «tanquam angeli».
La santità esige una continua vigilanza e un raccoglimento altrettanti costante, per poter cogliere e secondare la grazia di Dio.
La santità esige una ininterrotta ascensione, con un sereno abbandono; la santità vuole tutto, e per di più, vuole tutto nella giusta misura, con discrezione e decisione insieme. Non c’è dunque da meravigliarsi se, insieme all’aspirazione ad una vita sacerdotale santa, voi provate un vero terrore quando esaminate a fondo che cosa voglia dire «santità». C’è veramente da sgomentarsi se si considera quanto pochi sono coloro che riescono a rimanere perseveranti nello stretto sentiero della perfezione. «Si isti et illi defecerunt, cur non ego?». E se spingessimo ancor più lontano l’enunciazione degli ostacoli e dei pericoli che ci attendono su questo cammino, forse penseremmo, quasi disperati, di ritirarci dal mondo e di cercar salvezza in un convento.
FIDUCIA E ABBANDONO IN DIO
Fratelli, questo timore non è senza fondamento; l’ideale è alto, le esigenze innumerevoli, non meno numerosi gli ostacoli. Tuttavia, dopo molto soffrire e sospirare sulla stretta via della perfezione, è pur certo che arriverete alla méta: è fuor di dubbio: perché voi volete arrivarci, perché è evidente che prendete sul serio la santità. Voi lo volete, e Dio lo vuole. Che manca dunque ancora? Sapete bene che la Sua grazia non s’arresta davanti a nulla e che non la dà mai vinta, solo che noi le prestiamo il nostro concorso. E sapete altrettanto bene che le difficoltà e gli ostacoli, sotto l’azione meravigliosa della grazia, si cambiano talvolta in aiuti e cooperano mirabilmente al bene. Perché: «Diligentibus Deum omnia cooperantur in bonum» (Rm. VIII, 28).
Che dobbiamo ancora temere? La grazia di Dio rimane con noi; la grazia è Dio con noi, Dio in noi. «Si Deus pro nobis, quis contra nos?» (Rm. VIII, 31). Se Dio si mette al nostro fianco, che cosa si può ancora chiamare ostacolo? «An tribulatio? an angustia? an fames? an nuditas? an periculum? an persecutio? an gladius?» (Rm. VIII, 37). Già, forse la spada o la morte che abbiamo ancora a temere? «Sed in his omnibus superamus propter Eurn, qui dilexit nos» (Rm. Vili, 37): supereremo tutto, grazie a Colui che ci ama.
OMNIA VINCIT AMOR
No, Fratelli, possiamo considerare ad una ad una tutte le persone, le abitudini, le cose che ci si presentano come ostacoli sul cammino della santità. «Certus sum»: potete dire con San Paolo; io sono sicuro che nessuna creatura al mondo ha il potere di allontanarmi dal cammino della santità, la quale è chiamata dall’Apostolo: «Charitas Dei quae est in Christo lesu Domino nostro». No, Fratelli: la vita attiva non è una notte ove si spegne il lume dell’ideale: essa è, invece, un’aurora che innalzerà questo lume e lo farà risplendere in mezzo alle nubi. La vita attiva, piena di triboli e spine, diviene un terreno fertile per coloro che non temono di praticarla energicamente e di irrorarla di sudore e di sangue. La vita attiva non presenta solamente la lotta, ma offre pure la vittoria e la consolazione. Se alcuni dei migliori vi hanno perduto il loro ideale, abbiate più fiducia di quella che essi hanno avuto, umiliatevi più profondamente per la vostra debolezza, e una grazia più abbondante vi condurrà senza dubbio a un felice successo.
FILIALE RICORSO A MARIA
Cari Fratelli, c’è un segno per voi, il quale vi presagisce in modo sicuro che non vi affaticherete invano, un segno il quale vi dà la certezza che le vostre sante aspirazioni raggiungeranno la méta: voi siete «schiavi di Maria». Fratelli, voi le appartenete, siete sua proprietà, suo tesoro: Maria ha preso la vostra causa nelle sue sante mani. Quand’anche i vostri difetti abituali fossero il doppio di quel che sono, quando pure si moltiplicassero per dieci e per cento i confratelli che, intrapreso il cammino della santità, cadono e si arrendono miseramente: «cadent mille a dextris et decem milia a sinistris… ad te autem non appropinquabit» (Sai. XC, 7); da voi, vi assicura Maria, il flagello rimarrà lontano.
Ne farete l’esperienza se resterete gli umili e zelanti piccoli schiavi di Maria. La Vergine potente «scapu!ís suis obumbrabit tibi, et sub pennis eius sperabis» (Sal. XC, 4): Ella vi coprirà della sua ombra, e voi ve ne starete calmi e fiduciosi sotto le sue ali. Ella si porrà in cammino al vostro fianco e vi condurrà per delle scorciatoie segrete. La sofferenza non vi risparmierà, ma Ella giungerà a farvene sentir la fame, come di alimento di cui non potete fare a meno. O Maria! Maria! Questo nome sarà come miele e balsamo sulle vostre labbra. Maria! Maria! Maria! Ave Maria! Chi può resistere a questo nome? Chi dunque – ditemi – chi dunque si perderà col nome di Maria sulle labbra? Maria! Maria! La Madre dei piccoli, la forza dei deboli, la stella nella tempesta… Maria! Maria! Vi sentite privi di aiuto? Ave Maria! Avete perso il coraggio? Ave Maria! Soffrite di aridità spirituale? Ave Maria! Siete in pena, vi sentite in pericolo? Ava Maria! Ave Maria!
Ah, questa parola incantevole, questo dolce canto… questa potente invocazione: Ave Maria! Consolazione degli oppressi, coraggio dei piccoli, forza dei deboli, Ave Maria! Quando pronuncio il tuo nome, il mio cuore è tutto infiammato “Ave Maria!” Allegrezza degli angeli, nutrimento delle anime, Ave Maria! Fratelli, non ho altro da aggiungere; voi sapete già tutto: amate Maria! Che debbo ancora insegnarvi? Voi conoscete il segreto, il segreto di Maria. Siete sulla strada buona, la strada più breve, più sicura, più facile: restare i piccoli schiavi, i piccoli, i coraggiosi schiavi di Maria.
Ah, Maria! Potessimo vederli, per prenderli a modello, questi Sacerdoti di Maria! Maria, abbi pietà di noi, pietà delle anime, pietà della tua Chiesa! Maria! Maria! L’empietà e la corruzione invadono la città, il flagello del peccato penetra, passando per la parte dei poveri e dei ricchi, in milioni di anime; odio e ingiustizia regnano su tutti i popoli; tutto ciò che i secoli avevano sino ad oggi risparmiato, oggi si sfascia e crolla miseramente.
PER LA SALVEZZA DEL MONDO
Maria! Maria!… II demonio sta per impadronirsi della piazza, sta per entrare nei nostri villaggi, nella scuole, nelle famiglie.
Potrà forse espellere il Vangelo del tuo Figliuolo, cacciarlo dalla società e dal cuore degli stessi cristiani? Riuscirà forse a far adorare Mammona al posto della Croce? Maria! Maria!… Madre di misericordia, il mondo sta subendo la sua punizione. Solo Tu puoi formare le anime capaci, di arrestare il braccio di Dio; forma dunque dei Sacerdoti nuovi, dal cuore di fuoco, per incendiare questo mondo freddo e arido; e dona a questi apostoli una lingua nuova, che vada diritta ai cuori e scuota anche le anime più indurite. Forma dei Sacerdoti, dei Sacerdoti santi, che secondino la grazia e volino al suo minimo cenno. Forma dei Sacerdoti semplici e umili, dei Sacerdoti come gli Apostoli, che facciano rivivere fra i pastori e le pecorelle il fervore della perfezione evangelica.
O Maria! O Maria! Non ti chiediamo onori, gloria; ti domandiamo solo di essere tuoi veri schiavi, di cui nessuno parli, nessuno sappia niente, ignorati, disprezzati, piccoli di dentro e di fuori, ma interamente devoti e asserviti a Te per la salvezza delle anime! «Mites et umiles», dolci e umili come Te, come Gesù, ma fedeli e intrepidi, senza debolezza e senza rispetto umano.
CONCLUSIONE
Maria, onnipotente mediatrice, apri infine il tuo cuore colmo d’amore e le tue benefiche mani. Fa’ piovere sulle nostre povere anime questa grazia tanto attesa! Eccoci davanti a Te, vergognosi per la nostra indegnità, dubitosi per la nostra debolezza e miseria: fa’ di noi dei tuoi veri schiavi. Per amore dei peccatori, o Maria! Per amore della santa Chiesa! O Maria, o Maria, per amore di Gesù…
Quando riaprirà gli occhi questo povero mondo? Quando si sveglierà per riconoscere che le sue gioie sono solamente delle catene? Quando dunque, o Maria, quando si risolleverà questo povero mondo per ritornare ai piedi di Gesù singhiozzando: «Peccavi»? Quando schiaccerai di nuovo e per sempre la testa al serpente? Quando finalmente Gesù regnerà come merita? Quando il povero mondo ripeterà di nuovo le tue lodi con quelle di Gesù: «Laudetur lesus et Maria»?
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.