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Don Edoardo Poppe ai Sacerdoti

26 Settembre 2015 | Filed under: Santi Beati e Venerabili
     

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edoardoPoppe

Riceviamo e pubblichiamo

Don Edoardo Poppe nato a Temsche (Belgio) il 18 dicembre 1890, dopo una gioventù esemplare, entrò nel Seminario di Gent e fu ordinato Sacer­dote il 10 maggio 1916. Da allora, come Vi­ceparroco a Gent (1916-’18), come Diret­tore della Suore di S. Vincenzo a Moar­zeke (1918-’22), come Direttore spirituale a Leopoldsburg (1922-’24), irradiò, come la fiaccola sul candelabro, il dolce splendore di una vita santamente sacerdotale. Si di­stinse per un grande spirito di povertà, una umiltà profonda, un’obbedienza perfetta, una fede semplice come quella di un fan­ciullo, una carità ardentissima.

Nella sua consacrazione sacerdotale, aveva domandato a Dio di poter essere lui stesso l’offerta e la vittima del suo apostolato. Dio gli diede una salute debole e malferma. Gli otto anni che visse come Sacerdote li passò fra penose alternative di una malat­tia, che sempre si ripeteva con nuove crisi, seguite da convalescenze lunghe e difficili. Emanava da lui un influsso potente di gra­zia, e la sua parola dolce e benefica suscitò in migliaia di anime un rinnovamento di fede attiva e di vita interiore. Fu il grande apo­stolo di Maria Mediatrice e del Regno Eu­caristico di Gesù, e legò indissolubilmente il suo nome alla pratica della “Vera Devo­zione” e al movimento della “Crociata Eucaristica”.

Negli ultimi anni, consumato da uno zelo ardente per la santificazione dei suoi con­fratelli nel Sacerdozio, si studiava di con­durre con la parola e con l’esempio gli elet­ti di Cristo alla perfezione propria dei loro Stato. Specialmente i suoi cari “Cibisti”, seminaristi e religiosi, infermieri di Leopold­sburg, dei quali gli era stata affidata la direzione spirituale, trovarono in lui una guida e un animatore incomparabile.

Offrì la sua vita a Dio per la santificazione del Clero e si spense santamente il 10 giugno 1924.

Il processo informativo diocesano per la Causa di Beatificazione è stato aperto a Gent, il 21 marzo 1946.

Pater, santifica eos. Mettiamoci con fiducia sotto l’impero di Maria Mediatrice delle grazie del sacerdozio di Gesù… Ave Maria!…

MIEI CARI CONFRATELLI,

Per quanto io mi senta indegno e in­capace di scrivere questa lettera spi­rituale, lo faccio tuttavia, per l’amo­re che porto alla vostra perfezione sacerdotale.

Dio vi ha dato una grazia preziosa: vi ha fatto sentire il dovere di una vita sacerdotale santa. Voi stessi vi siete ripetuto più volte: «Io devo di­ventare un santo Sacerdote; se così non avvenisse, giudicherei finita la mia carriera». Com’è vero ciò, so­stanzialmente vero!

GUERRA ALLA MEDIOCRITA’

Sì, cari Fratelli; voi dovete essere Sacerdoti santi, non già dei preti qualunque, dei preti ordinari. Altri­menti il vostro zelo e le vostre fa­tiche riusciranno a ben poco e le vostre pecorelle si allontaneranno da voi e si perderanno in gran numero. Una sola parola di un santo è più efficace che un mucchio di predi­che di un freddo oratore. Le parole di un Sacerdote santo colpiscono, scuotono, commuovono e penetrano le anime, rinnovandole in modo me­raviglioso. Sono, infatti, parole nate dalla grazia, dalla preghiera, fors’an­che dalla penitenza; per questo so­no piene della forza di Dio. Un sa­piente potrà anche imitarle con rara abilità, ma Dio predica solo attra­verso la bocca di un santo: «Non vos qui loquimini…» (Mt. X, 20). La scienza è un utile aiuto, i doni na­turali sono necessari, ma senza la santità noi siamo più o meno dei «cymbalum tinniens, aens sonans…» (I Cor. XIII, 1).

Fratelli, non vendete ciance! Fratelli, non siate vasi vuoti; abbiate pure scienza e talento, ma prima di tutto siate uomini di preghiera e austeri nella penitenza: siate santi!

GUARDARSI DALL’ABITUDINE!

Fratelli, tutti i giorni siamo chiamati alle solite occupazioni: nobili, ma monotone e spesso faticose. Fratel­li, attenti a non lasciarvi vincere dall’abitudine, e vegliate perché i Sacramenti non perdano agli occhi vostri il loro carattere divino; atten­ti che il vostro Maestro non vi di­venti tra le mani «un oggetto indif­ferente»; attenti a non perdere la stima cristiana per gli ammalati e i poveri; attenti a che i fanciulli non vi diventino cagione di noia, og­getto d’avversione i peccatori. Ma che dico? Siate attenti a una cosa sola, a non diventare dei preti me­stieranti.

State bene attenti: sappiate star fer­mi nel proposito di farvi santi come lo siete in quello di salvarvi. Solo così il continuo contatto con i santi Sacramenti sarà per voi una fonte ricchissima di consolazioni e di edi­ficazione.

Restate sul sentiero della santità! Allora il vostro Maestro sarà l’ami­co intimo del vostro cuore, allora Egli vi si farà conoscere «in fractio­ne Panis» (Lc. XXIV, 35), e in nessun luogo lo riconoscerete più facilmen­te e lo visiterete più volentieri che nell’Ostia così spesso maneggiata. Continuate a tendere alla perfezio­ne! Allora i vostri malati diventeran­no i vostri più validi collaboratori, e voi avrete per essi le più belle pa­role di consolazione. Allora amere­te i vostri poveri e vedrete in essi i veri fratelli di Cristo, e ben presto vi sentirete nei loro confronti piut­tosto dei debitori che dei creditori. I fanciulli, nonostante i loro difetti, saranno i prediletti del vostro cuo­re e voi i loro: essi diventeranno per voi come una grande famiglia spirituale di cui voi sarete il padre: «Sterilem fecit matrem filiorum lae­tantem!» (Sal. CXII, 8).  

NON SCORAGGIARSI MAI!

Continuate a battere la via diritta! Incontrerete nel cammino croci su croci, malintesi, contrarietà, derisio­ni, aridità, abbandoni; ma voi arri­verete alla méta senza bisogno di mendicare consolazioni dal mondo. In mezzo alle croci conserverete al­meno la speranza e la fiducia: que­sto già basta quaggiù, ma potrebbe anche darsi che proprio la vostra croce diventasse la vostra gioia. Fratelli, viviamo una volta sola e non siamo destinati a una patria terrena: siamo dei viaggiatori in cammino, e pazzo sarebbe colui che cercas­se quaggiù la sua dimora e il suo riposo: «Non habemus hic manen­tem civitatem, sed futuram inquiri­mus» (Eb. XIII, 14). A che     servono i bei mobili con teste di leoni e or­namenti di cuoio? Fra trent’anni si troveranno nella camera dei nostri eredi. A che giovano le aderenze e le amicizie di questo mondo? Quin­dici giorni appena dopo la morte, voi sarete già svaniti dalla memoria e usciti dal cuore di coloro che ora vi costano tanto tempo e tante sec­cature. E che cosa ci giovano la lode e la stima? Fumo vano, che troppo facilmente ci dà alla testa, rendendoci men chiaro il cammino e facendoci più male che bene.  

POVERTA’ E DISTACCO

Povertà! ecco, Fratelli, la parola be­nedetta, la parola dura, ma salutare, che ci conviene avere sulle labbra alla vista dei beni e delle gioie mon­dane: «Omnia detrimentum feci et arbitror ut stercora, ut Christum lucrifaciam» (Fil. III, 8). Sì, noi con­sideriamo «ut stercora» il denaro che possediamo per le nostre necessità; fuggiamo «ut stercora» la popolarità mondana e le lodi così seducenti degli uomini; fuggiamo «ut stercora» ogni abitudine del mondo e tutte le sue consolazioni. «Ut Christum lu­crifaciam», per poter partecipare dello spirito del Cristo, della forza del Cristo, della fecondità di Cristo.

«Mihi vivere Christus est» (Fil. I, 21). È verità fuor di dubbio: «Sacerdos alter Christus!». Noi dobbiamo sen­tirci interiormente un altro Cristo e tali apparire agli occhi degli uomini; il che vuol dire non essere dei preti qualunque, ma sacerdoti santi. La frase: «Fate come fanno tutti» è un modo di dire insensato, che con­traddice al santo Vangelo. «Sicut mi­sit me Pater, et Ego mitto vos!» (Gv. XX, 21). «Estote perfecti, sicut et Pater vester perfectus est!» (Mt. V, 48). Nessuno ha il diritto di dirvi: «Fate come noi». Soltanto il Cristo può dire e dice con tutta verità: «Ego sum via… sequere Me». Dun­que è Lui solo che noi dobbiamo fis­sare, contemplare, seguire.

Fratelli, e non vedete dunque ch’Egli fu povero? Bambinello, aveva alme­no una mangiatoia, ma quando si det­te alla vita apostolica, non aveva neanche una pietra su cui posare il capo. Ah, le abitudini!

«Exemplum dedi vobis… Ego sum via!» (Gv. XIII, 15; XIV, 6).  

APOSTOLICA VIVENDI FORMA

Osservo gli Apostoli, esamino lo spi­rito dei Santi: essi hanno seguito Gesù, non le abitudini del loro tem­po: erano poveri! II Venerabile P. Chevrier era povero, anche se vi­veva nel secolo XIX, e ci incoraggia con un grido di vittoria: «Un Sacer­dote povero è onnipotente!».

Guai ai ricchi, perché hanno le loro soddisfazioni su questa terra… «Bea­ti pauperes!». Come si fa carezzevo­le la voce del Maestro quando pro­clama beata la povertà! «Beati pau­peres spiritu» (Mt. V, 3).

Fratelli, ne conoscete molti di que­sti poveri di spirito che non sono perfettamente poveri in certe cose? In questa materia, voi siate «sem­plici come la colomba, ma prudenti come il serpente». Che se non osate mostrare la povertà nella sala da ricevere o nei locali accessibili ai visitatori, introducetela allora nella vostra camera da letto e almeno là lasciatela regnare sovrana.  

UMILTA’ E NASCONDIMENTO

Fratelli, aiutatevi scambievolmente a ricordarvi che il nostro Maestro ha amato di vivere nascosto: trent’anni su trentatrè! Non è dunque lo zelo la principale virtù del Sacerdote, ma l’umiltà. Siamo dei grandi illusi se non siamo severi su questo punto. Essere umili non vuol dire tenere gli occhi bassi andando per la strada o darsi l’aria del santo. Senza dubbio, l’umiltà deve pur scorgersi nella modestia esteriore, ma questa deve essere l’irradiazione naturale della umiltà e del raccoglimento interiore. Contegno, dunque, né pomposo né affettato. Non sussiego da magistra­to, ma neppure collo torto da san­terello. Modestia semplice! Questo dobbiamo tutti cercare, di essere umili di spirito. II nostro motto sia: «Sine gratia nihil sum». Non accon­tentatevi di dirlo, ma pensatelo quan­do predicate, quando confessate, quando v’intrattenete coi fedeli. Inol­tre amate d’essere ignorati e consi­derati un nulla: «Ama nesciri». Non illudetevi con vane parole. Si vuole sì esser santi, si vuole sì esser umi­li, ma poi le umiliazioni nessuno le vuole. Desiderate dunque le umi­liazioni, che l’umiltà tutti son ca­paci di desiderarla.

Avete forse lanciato un’iniziativa im­portante, ed altri ne raccoglie la glo­ria: «Ama nesciri». Avete fatto del vostro meglio e tornate a casa sod­disfatti della vostra fatica: siete ac­colti con una severa ramanzina: «Ama nesciri». Questo è il momento di praticare l’umiltà. Essere umile vuol dire desiderare la stima di Dio e disprezzare quella degli uomini. Promozioni, popolarità, stima e altre formule di questo genere… adoperia­moci a sbarrar loro il passo, perché non abbiano ad esercitare la minima influenza sul nostro cuore: «Ama ne­sciri et pro nihilo reputari». II Cristo fu posto tra i malfattori: «Cum ini­quis reputatus est» (Mc. XV, 28). E perché noi abbiamo tanto amor pro­prio, da voler esser considerati tra i migliori?

SOFFERENZA E FORTEZZA

Non lasciamoci illudere da buone parole o da qualche bella risoluzione in occasione di ritiri! «Chr stus pas­sus est» (Pt. II, 20). Fratelli, Cristo ha sofferto! Se vogliamo diventare Sacerdoti santi e fecondi, Fratelli, dobbiamo soffrire. Se si esclude il dolore, è inutile pensare di mettersi a far del bene e a santificarsi. Do­vete dunque dire: «Voglio soffrire, soffrire molto», con la stessa fa­cilità con cui direste: «Voglio diven­tare un buono e santo Sacerdote». È la stessa cosa.

Dobbiamo essere fermamente fedeli a questa risoluzione di soffrire: è un’ancora di salvezza. Si rabbrividi­sce talvolta nel proprio intimo al pensiero di quanto ci potrà riserbare questo desiderio: «Voglio soffrire». Non badateci, lasciate che il vostro essere tremi e frema, e continuate a dire umilmente: «Voglio soffrire». Ben presto familiarizzerete con que­sta idea e comincerete ad apprezzare la sofferenza; forse, ad amarla.  

VALORE DELLA SOFFERENZA

Lavorare è bene, pregare è meglio, ma soffrire è meglio ancora. Manca forse qualcosa, oggi, alla mensa del Sacerdote? La sua casa è forse men comoda di quella di un ricco? Che cosa manca al suo abbigliamento e al suo svago? Ep­pure, per il Sacerdote più che per gli altri cristiani valgono le parole di Gesù: «Qui non renuntiat omni­bus» (Lc. XIV, 33); «Si quis vult post me venire, abneget semetipsum, et tollat crucem suam et sequatur me» (Mt. XVI, 24). Può darsi che il futuro s’incarichi di fare assomigliare di più la nostra vita a quella del Salva­tore. Comunque sia, da veri amici della croce accettiamo intanto ogni infortunio, ogni contraddizione, ogni malattia, ogni prova interiore ed esteriore: «In cruce salus, nobis et animabus».

«Vos estis lux mundi» (Mt. XV, 14). Se la vostra vita non mostra davanti al mondo il sigillo della croce, che cosa sarà la vita degli altri uomini?

«Vos estis sai terrae» (Mt. V, 13). II sale della terra più che la predi­cazione, è la sofferenza.

Perciò, o Fratelli, non lasciatevi sco­raggiare da un insuccesso o abbat­tere da una derisione; basta coi so­spiri impazienti davanti alle contrad­dizioni, via la malinconia sfiduciata quando, dopo tanti anni di fatica, non raccogliete un bel nulla! Non scorag­giatevi nelle malattie, ma soprattut­to non abbandonate il vostro ideale per malintesi e contraddizioni, an­che se venissero da parte dei supe­riori. Soffrire e obbedire.

MAGNANIMITA’ E OBBEDIENZA

II servitore è forse da più del Mae­stro? Noi siamo intelligenti, ce la caviamo bene a ideare, organizzare e sviluppare le nostre opere; non ci manca preveggenza e senso di iniziativa e neppure l’ardore dello zelo. Ma Gesù era più intelligente, più zelante, più preveggente, più a­cuto di noi. II suo zelo era un fuoco divoratore. Sapeva organizzare la sua vita meglio di noi… E tuttavia Gesù obbedisce in tutto e per tutto a Giu­seppe e Maria. L’ultima parola Egli la lascia all’autorità; e per trent’an­ni ne riconosce e insegna il valore. II valore dell’obbedienza sorpassa ogni stima se noi pensiamo che que­sto Gesù, che a tutti obbedisce, è Dio. Tutta la sua fanciullezza e la sua giovinezza, la sua missione e la sua morte – una morte sulla croce – furono un grande atto di obbedienza. «Factus est oboediens usque ad mortem, mortem autem cru­cis» (Fil. II, 8).

Fratelli, obbedire è qualche volta al­quanto duro. Tuttavia, anche se ve­diamo chiaramente il nostro diritto, anche se le nostre intenzioni sono eccellenti, obbediamo. Niente c’im­pedisce di esporre le nostre idee all’autorità, ma dobbiamo esser pron­ti ad abbandonarle immediatamente se il giudizio dei superiori è contra­rio al nostro modo dì vedere.

Obbedire è nello stesso tempo ave­re confidenza: perché mediante l’obbedienza voi trionferete sicuramen­te. Sì, noi dobbiamo crederlo senza ombra di dubbio.

In un ordine penoso c’è, nascosta, la parola di Dio: «Vir oboediens loque­tur victorias» (Pr. XXI, 28). Fratelli, obbediamo anche alla volontà di Dio espressa in forma sì chiara e pre­cisa nei nostri Statuti diocesani; abbracciamoli e osserviamoli: fac­ciamone la nostra santa Regola. Pos­siamo ben dirci fortunati noi, poveri Sacerdoti secolari, di avere almeno una piccola Regola; quasi quasi pos­siamo obbedire come dei veri Reli­giosi. Che fortuna! Intanto però, for­se i nostri Statuti rimangono dimen­ticati, coperti di polvere in un an­golo della nostra libreria. No, Fra­telli: essi devono stare a portata di mano, sul nostro tavolo, sul nostro inginocchiatoio; essi devono divenir­ci familiari e cari come il nostro Bre­viario, dobbiamo servircene spesso per lettura spirituale, e impararli a memoria, come diceva Monsignor Seghers.

ESIGENZE DELLA SANTITA’

Sì, Fratelli: povertà, umiltà, sofferen­za, obbedienza e ancora tante altre penose esigenze: ecco che cosa vi impone la aspirazione alla santità. La santità esige ancora purezza eroi­ca negli sguardi, nelle parole e più ancora nelle relazioni. Dobbiamo es­sere «tanquam angeli».

La santità esige una continua vigi­lanza e un raccoglimento altrettanti costante, per poter cogliere e secon­dare la grazia di Dio.

La santità esige una ininterrotta a­scensione, con un sereno abbando­no; la santità vuole tutto, e per di più, vuole tutto nella giusta misura, con discrezione e decisione insieme. Non c’è dunque da meravigliarsi se, insieme all’aspirazione ad una vita sacerdotale santa, voi provate un ve­ro terrore quando esaminate a fondo che cosa voglia dire «santità». C’è veramente da sgomentarsi se si con­sidera quanto pochi sono coloro che riescono a rimanere perseveranti nello stretto sentiero della perfezio­ne. «Si isti et illi defecerunt, cur non ego?». E se spingessimo ancor più lontano l’enunciazione degli o­stacoli e dei pericoli che ci attendo­no su questo cammino, forse pen­seremmo, quasi disperati, di ritirarci dal mondo e di cercar salvezza in un convento.  

FIDUCIA E ABBANDONO IN DIO

Fratelli, questo timore non è senza fondamento; l’ideale è alto, le esi­genze innumerevoli, non meno nu­merosi gli ostacoli. Tuttavia, dopo molto soffrire e sospirare sulla stret­ta via della perfezione, è pur certo che arriverete alla méta: è fuor di dubbio: perché voi volete arrivarci, perché è evidente che prendete sul serio la santità. Voi lo volete, e Dio lo vuole. Che manca dunque ancora? Sapete bene che la Sua grazia non s’arresta davanti a nulla e che non la dà mai vinta, solo che noi le pre­stiamo il nostro concorso. E sapete altrettanto bene che le difficoltà e gli ostacoli, sotto l’azione meravi­gliosa della grazia, si cambiano tal­volta in aiuti e cooperano mirabil­mente al bene. Perché: «Diligentibus Deum omnia cooperantur in bonum» (Rm. VIII, 28).

Che dobbiamo ancora temere? La grazia di Dio rimane con noi; la gra­zia è Dio con noi, Dio in noi. «Si Deus pro nobis, quis contra nos?» (Rm. VIII, 31). Se Dio si mette al no­stro fianco, che cosa si può ancora chiamare ostacolo? «An tribulatio? an angustia? an fames? an nuditas? an periculum? an persecutio? an gla­dius?» (Rm. VIII, 37). Già, forse la spada o la morte che abbiamo an­cora a temere? «Sed in his omnibus superamus propter Eurn, qui dilexit nos» (Rm. Vili, 37): supereremo tut­to, grazie a Colui che ci ama.

OMNIA VINCIT AMOR

No, Fratelli, possiamo considerare ad una ad una tutte le persone, le abitudini, le cose che ci si presenta­no come ostacoli sul cammino della santità. «Certus sum»: potete dire con San Paolo; io sono sicuro che nessuna creatura al mondo ha il po­tere di allontanarmi dal cammino della santità, la quale è chiamata dall’Apostolo: «Charitas Dei quae est in Christo lesu Domino nostro». No, Fratelli: la vita attiva non è una notte ove si spegne il lume dell’idea­le: essa è, invece, un’aurora che innalzerà questo lume e lo farà ri­splendere in mezzo alle nubi. La vita attiva, piena di triboli e spine, di­viene un terreno fertile per coloro che non temono di praticarla energi­camente e di irrorarla di sudore e di sangue. La vita attiva non pre­senta solamente la lotta, ma offre pure la vittoria e la consolazione. Se alcuni dei migliori vi hanno per­duto il loro ideale, abbiate più fidu­cia di quella che essi hanno avuto, umiliatevi più profondamente per la vostra debolezza, e una grazia più abbondante vi condurrà senza dubbio a un felice successo.

FILIALE RICORSO A MARIA

Cari Fratelli, c’è un segno per voi, il quale vi presagisce in modo sicuro che non vi affaticherete invano, un segno il quale vi dà la certezza che le vostre sante aspirazioni raggiun­geranno la méta: voi siete «schiavi di Maria». Fratelli, voi le appartenete, siete sua proprietà, suo tesoro: Maria ha preso la vostra causa nel­le sue sante mani. Quand’anche i vostri difetti abituali fossero il dop­pio di quel che sono, quando pure si moltiplicassero per dieci e per cento i confratelli che, intrapreso il cammino della santità, cadono e si arrendono miseramente: «cadent mille a dextris et decem milia a si­nistris… ad te autem non appropin­quabit» (Sai. XC, 7); da voi, vi assi­cura Maria, il flagello rimarrà lon­tano.

Ne farete l’esperienza se resterete gli umili e zelanti piccoli schiavi di Maria. La Vergine potente «scapu!ís suis obumbrabit tibi, et sub pennis eius sperabis» (Sal. XC, 4): Ella vi coprirà della sua ombra, e voi ve ne starete calmi e fiduciosi sotto le sue ali. Ella si porrà in cammino al vostro fianco e vi condurrà per delle scorciatoie segrete. La sofferenza non vi risparmierà, ma Ella giungerà a farvene sentir la fame, come di ali­mento di cui non potete fare a meno. O Maria! Maria! Questo nome sarà come miele e balsamo sulle vostre labbra. Maria! Maria! Maria! Ave Maria! Chi può resistere a questo nome? Chi dunque – ditemi – chi dunque si perderà col nome di Ma­ria sulle labbra? Maria! Maria! La Madre dei piccoli, la forza dei de­boli, la stella nella tempesta… Ma­ria! Maria! Vi sentite privi di aiuto? Ave Maria! Avete perso il corag­gio? Ave Maria! Soffrite di aridità spirituale? Ave Maria! Siete in pena, vi sentite in pericolo? Ava Maria! Ave Maria!

Ah, questa parola incantevole, questo dolce canto… questa potente in­vocazione: Ave Maria! Consolazio­ne degli oppressi, coraggio dei pic­coli, forza dei deboli, Ave Maria! Quando pronuncio il tuo nome, il mio cuore è tutto infiammato “Ave Maria!” Allegrezza degli angeli, nu­trimento delle anime, Ave Maria! Fratelli, non ho altro da aggiungere; voi sapete già tutto: amate Maria! Che debbo ancora insegnarvi? Voi conoscete il segreto, il segreto di Maria. Siete sulla strada buona, la strada più breve, più sicura, più facile: restare i piccoli schiavi, i pic­coli, i coraggiosi schiavi di Maria.

Ah, Maria! Potessimo vederli, per prenderli a modello, questi Sacer­doti di Maria! Maria, abbi pietà di noi, pietà delle anime, pietà della tua Chiesa! Maria! Maria! L’empietà e la corruzione invadono la città, il flagello del peccato penetra, passan­do per la parte dei poveri e dei ric­chi, in milioni di anime; odio e in­giustizia regnano su tutti i popoli; tutto ciò che i secoli avevano sino ad oggi risparmiato, oggi si sfascia e crolla miseramente.  

PER LA SALVEZZA DEL MONDO

Maria! Maria!… II demonio sta per impadronirsi della piazza, sta per en­trare nei nostri villaggi, nella scuo­le, nelle famiglie.

Potrà forse espellere il Vangelo del tuo Figliuolo, cacciarlo dalla società e dal cuore degli stessi cristiani? Riuscirà forse a far adorare Mam­mona al posto della Croce? Maria! Maria!… Madre di misericordia, il mondo sta subendo la sua punizione. Solo Tu puoi formare le anime ca­paci, di arrestare il braccio di Dio; forma dunque dei Sacerdoti nuovi, dal cuore di fuoco, per incendiare questo mondo freddo e arido; e do­na a questi apostoli una lingua nuo­va, che vada diritta ai cuori e scuota anche le anime più indurite. Forma dei Sacerdoti, dei Sacerdoti santi, che secondino la grazia e volino al suo minimo cenno. Forma dei Sa­cerdoti semplici e umili, dei Sacerdoti come gli Apostoli, che facciano rivivere fra i pastori e le pecorelle il fervore della perfezione evange­lica.

O Maria! O Maria! Non ti chiediamo onori, gloria; ti domandiamo solo di essere tuoi veri schiavi, di cui nes­suno parli, nessuno sappia niente, ignorati, disprezzati, piccoli di den­tro e di fuori, ma interamente devoti e asserviti a Te per la salvezza delle anime! «Mites et umiles», dolci e umili come Te, come Gesù, ma fe­deli e intrepidi, senza debolezza e senza rispetto umano.  

CONCLUSIONE

Maria, onnipotente mediatrice, apri infine il tuo cuore colmo d’amore e le tue benefiche mani. Fa’ piovere sulle nostre povere anime questa grazia tanto attesa! Eccoci davanti a Te, vergognosi per la nostra inde­gnità, dubitosi per la nostra debo­lezza e miseria: fa’ di noi dei tuoi veri schiavi. Per amore dei peccato­ri, o Maria! Per amore della santa Chiesa! O Maria, o Maria, per amo­re di Gesù…

Quando riaprirà gli occhi questo po­vero mondo? Quando si sveglierà per riconoscere che le sue gioie so­no solamente delle catene? Quando dunque, o Maria, quando si risolleve­rà questo povero mondo per ritornare ai piedi di Gesù singhiozzando: «Pec­cavi»? Quando schiaccerai di nuovo e per sempre la testa al serpente? Quando finalmente Gesù regnerà co­me merita? Quando il povero mondo ripeterà di nuovo le tue lodi con quelle di Gesù: «Laudetur lesus et Maria»?


     

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Tu ci hai dato un modello di vita
nella famiglia di Nazareth,
aiutaci, o Padre buono,
a fare della nostra famiglia
un'altra Nazareth, dove regnano
l'amore, la pace e la gioia.
Fa' che la nostra vita,
sia profondamente contemplativa,
intensamente eucaristica
e vibrante di gioia.
Aiutaci a rimanere insieme
nella gioia e nella sofferenza
attraverso la preghiera familiare.
Insegnaci a vedere Gesù
nei membri della nostra famiglia
specialmente nelle loro difficoltà.
Possa il Cuore Eucaristico di Gesù
rendere i nostri cuori miti ed umili
come il suo e possa aiutarci
a compiere i nostri doveri familiari
in modo santo.
Possiamo amarci
come Dio ama ognuno di noi,
ogni giorno sempre più,
e possiamo perdonarci le offese
come Dio perdona le nostre.
Aiutaci, o Padre buono,
a prendere ciò che ci dai
e a darti tutto ciò che ci chiedi
con grande gioia.
O Immacolato Cuore di Maria,
causa della nostra gioia,
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