Cristo non si è fatto uomo “solo” per redimerci: desiderava stare con noi
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I miei sono possibili spunti per un dialogo benevolo, rispettoso, alla ricerca, insieme, dell’amore, della vita. Misteri dei quali non finiremo di scoprire sempre più la bellezza, la vitalità.
Divido questo intervento sul tema, cardine eppure talora così poco dibattuto, delle impostazioni spirituali e umane in due paragrafi, un brevissimo post scriptum e una nota-appendice.
Riflettere, discernere, senza cercare più attentamente i fondamenti spirituali e umani
Negli interventi precedenti su Vatican Insider rilevo che l’amore del Padre si manifesta, nello Spirito, in Gesù, anche nella sua umanità. Dunque non un’umanità qualsiasi. Per esempio, mi pare, non un’umanità intellettualistica. Gli uomini si possono incontrare sempre più, in avanti, in Cristo, Dio e uomo. Nelle cose essenziali, anche nella sua umanità che possiamo scoprire sempre più, per grazia, nei Vangeli. Quello di porre sempre più fiducia e dettagliata attenzione al Cristo dei Vangeli, al come discerneva, rifletteva, edificava, etc., è un dono grande. Lo Spirito vi condurrà alla verità tutta intera, ricordandovi quello che vi ho detto (Cfr. Gv 16, 13 e Gv 14, 26). Talora questo aspetto dell’amore del Padre che si manifesta nell’umanità di Gesù può non venire considerato con crescente attenzione.
Anche nel dialogo, in una ricerca comune. Proprio questo dunque può rivelarsi un importante punto di crescita a tutto campo. Infatti un’umanità diversa, per esempio variamente razionalista, intellettualista, potrà orientare, anche subliminalmente, in modo diverso ogni discernimento. Uso il termine spiritualismo non spregiativamente, non senza riconoscere anche lì un possibile germe, anche già un grande dono, di grazia. E con spiritualismo intendo questo sorvolare in varia misura l’umanità concreta di Cristo. Per esempio, questo insegnare a riferirsi a Cristo, anche da cristiani, restando in vario modo intellettualisti. Ossia per esempio ragionando in tante questioni a tavolino invece di lasciarsi condurre dalla serena e sana luce che illumina gradualmente, delicatamente, sempre più il cuore e fa vedere sempre più ogni cosa in modo nuovo.
Si tratta dunque di questioni determinanti, fondanti, feconde di sviluppi. Per esempio nella vita di una persona si possono in questa direzione scoprire forse talora più attentamente le molte, anche subliminali, negative conseguenze di un vario razionalismo. Spirituali, psicologiche, fisiche. Problematiche che attualmente non di rado possono sfuggire, per esempio, alla spiritualità, alla psicologia, alla medicina. Non si fa caso, talora, all’umanità dell’uomo: ragione o sentimento o spirito o coscienza o coscienza e ragione o coscienza spirituale e psicofisica…. Possono risultare, paradossalmente talora proprio nel mondo della cultura, temi sui quali non vi è bisogno di dialogare, perché ognuno sa bene come orientarsi.
In un intervento precedente su Vatican Insider mostro come una scuola neutra, intellettualista, può contribuire a spegnere, ridurre, frammentare, l’uomo, le comunità, la società. Variamente spegnendo, distorcendo, ogni cosa, per esempio la politica, l’economia.
Anche tante difficoltà nel dialogo ecumenico nascono dalla necessità di trovare una sempre più profonda, equilibrata, centratura integrale, spirituale e umana. Anche implicitamente, in Cristo, Dio e uomo. Nell’Emmanuele, nel suo cuore divino e umano, nel quale ogni uomo si può sempre più incontrare. Vi sono per esempio concezioni di Dio e dell’uomo che non sono in realtà strettamente parte di una data fede ma possono invece nascere da impostazioni spirituali e umane più riduttive, per esempio intellettualistiche. E possono esistere orientamenti fondamentalmente aperti, anche se bisognosi di sviluppo, ma il cui sviluppo potrà dipendere anche dal cuore degli uomini*.
Un Cristo non ridotto e frammentato è un Cristo sempre più vivo e vicino, come il Cristo dei Vangeli
Su questo tema della ricerca, per grazia, dell’autentica umanità di Cristo, di una spiritualità tendenzialmente sempre più divina e umana, sviluppo molte riflessioni nei miei scritti, per esempio nel «Manifesto del cuore divino e umano di Cristo». Con riferimenti concreti e possibili vie di soluzione concreta di tante difficoltà.
Per esempio evidenzio come forse può rivelarsi una conseguenza anche di certe impostazioni spirituali e umane, in vario modo e misura, spiritualiste, razionaliste, il non riconoscere la presenza reale di Cristo nell’eucaristia. E si può ivi intuire che proprio nel trovare sempre più, per grazia, questo Gesù tutto intero, divino e umano, si possono sciogliere per esempio anche i più complessi nodi ecumenici, dottrinali. E si possono aprire orizzonti nuovi in ogni campo, per esempio nella logica. Anche scoprendo talora la necessità di riassestare sempre di nuovo tutta la cultura intorno a un nucleo vitale spirituale e umano liberamente scelto e maturato. Meglio avvedendosi, per esempio, del meccanicismo astratto di certe giustapposizioni interdisciplinari.
Anche aiutando a riconoscere e superare gli ostacoli, per esempio spiritualistici, pragmatistici, razionalistici. Ponendo una sempre più profonda attenzione a una equilibrata, graduale, personalissima, crescita spirituale e umana secondo gli aiuti, i criteri, della fede. Questione decisiva, questa degli aiuti e criteri della fede, perché è Cristo che dà vita e rinnova ogni cosa. Eppure questione sulla quale si può riscontrare talora una varia distrazione, faciloneria, invece che una vissuta, sempre più attenta, ricerca. Tale difficoltà può nascere anche, appunto, nelle guide spirituali, dal non aver ancora trovato più profondamente la via di una spiritualità tendenzialmente sempre più divina e umana. Per cui si può oscillare, per esempio, nella pastorale tra una spiritualità variamente astratta e rigida e una variamente facilona spiritualità astratta del fare. Un’altra causa profonda di questa distrazione può risiedere per esempio nel non vivere, talora anche in parti della comunità ecclesiale, la maturazione nel discernimento come una crescita del cuore in Cristo ma, in certi casi, come frutto di una riduttiva razionalità terrena. Pensiamo ai tempi di Galileo. Forse il cuore immacolato di Maria a Fatima prima di tutto ci indica questo.
Ogni persona può dunque venire aiutata a scoprire le autentiche, ben al di là degli schemi, vie, tappe, della sua crescita. Osservo qui di passaggio che una spiritualità più rigida, schematica o più del fare possono ostacolare, alla fine anche scoraggiare, quell’ascolto dialogato, personale e comunitario, della Parola che vediamo vissuto dal Cristo dei Vangeli. Ogni persona può venire accolta, amata, non all’ingrosso, ma secondo la sua concreta umanità la cui crescita talora può passare, per esempio, per un donarsi più orizzontale, al fratello, che a Dio. Come vado osservando una tale tappa della crescita può venire stimolata e assecondata cercando però, quando possibile, di non trasformare tutta la parrocchia in un centro sociale. Ciò può per esempio avvenire sulla scia di come, se vediamo con attenzione, edificavano, mi pare, lo stesso Cristo dei Vangeli e poi gli Apostoli negli Atti. Affidare, almeno dove la situazione lo consiglia, ruoli e incarichi secondo un graduale cammino di crescita spirituale e umana, personale e comunitaria.
Sempre in questa direzione, una sempre rinnovata, vissuta, centratura spirituale e umana in Cristo può aiutare a entrare tendenzialmente sempre più nel suo sguardo. Che per esempio vedeva una possibile messe abbondante dove un altro occhio avrebbe forse visto solo indifferenza e talora anche ostilità. E poteva vedere crescita profonda in piccoli, impercettibili, cambiamenti, anche solo umani. E poteva anche credere, senza vedere, a tanti possibili frutti anche per gli altri di una sincera sequela. Veniamo orientati in modo tendenzialmente più profondo sulla via di un’attenzione, di uno sguardo, autentico, non astratto, non pragmatico, verso ogni uomo. Cristo, inoltre, mi pare, non si è fatto uomo «solo» per redimere l’uomo, «solo» per illuminarlo. Certo anche questo, fortissimamente, davanti a tante sofferenze, bisogni, speranze. Ma forse Cristo desiderava tanto stare, con uguale discrezione, con ciascuno di noi, vicino, prima di tutto semplicemente perché ci ama.
Le persone che hanno contribuito a edificare la Chiesa vanno amate, onorate, ringraziate. È importante avvedersi, nei periodi di passaggio, di crescita, che tale sviluppo avviene sulla base di una storia pregressa.
Domando, nell’obbedienza alla Chiesa, se forse Cristo essenzialmente non avrebbe scandalosamente donato, con discrezione, l’eucaristia a ogni uomo. Certo aiutando proprio anche così a riceverla gradualmente in modo sempre più pieno, attento e profondo. Con i suoi ausili in ciò. E anche nella sua comprensione, ben al di là degli schemi, del cammino di ciascuno. Talora può sembrare che ci si possa anche involontariamente incartare in regole, commi, e sotto-commi, prudenze, saggezze e colte avvedutezze. Ma il Cristo dei Vangeli, proprio per la profondità della sua maturazione spirituale e umana, era vicino, amava, dava la vita, tutto, accoglieva, comprendeva, accompagnava, ciascuno in modo graduale, personalissimo, semplice e profondo. Per nulla superficiale e distrattamente facilone. Non era spiritualista, intellettualista, pragmatista. «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13, 35): Gesù non ci propone un saggio consiglio che poi mettiamo in pratica con le nostre, inesistenti, forze. In tal caso le varie pesantezze personali e comunitarie possono più facilmente moltiplicarsi. È il crescere sempre più sereno ed equilibrato in Cristo, appoggiandoci anche gradualissimamente alla sua grazia, che fa gradualmente sperimentare il suo aiuto, la sua leggerezza, anche nella vita comunitaria, nell’amore fraterno. E anche fa affrontare e superare le difficoltà in tutt’altro modo. «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò» (Mt 11, 28). Aggiungo qui che un ateo che cerca di accogliere sempre più il bene che illumina il suo cuore in realtà si sta gradualmente appoggiando alla grazia di Cristo. Magari ricevendo doni che mai nessun cristiano ha ricevuto. E che possono dunque aiutare a scoprire sempre più Dio, l’uomo, il mondo.
Oggi siamo, forse almeno sotto alcuni aspetti, in una fase di passaggio che ci può ancora avvicinare al Cuore di Cristo, anche quello dei vangeli. Dunque la sempre più profonda scoperta, nel dono dello Spirito, nella Chiesa, con l’aiuto di tutti, dei sempre più autentici riferimenti spirituali e umani, del Cuore Divino e Umano di Cristo, potrà sempre più aprire, Dio volendo, nuove vie di fiducia, di comprensione e di incontro. Anche armonizzando e vivificando in un sempre nuovo equilibrio gli intenti positivi di ogni orientamento.
P.s.: nei miei scritti sviluppo anche osservazioni sui possibili cambiamenti, di ogni genere, nel corso della storia, che possono indurre a vedere tante problematiche con uno sguardo nuovo. Può rivelarsi importante riflettere adeguatamente e anche fantasticare, per esempio sul futuro. E ciò tanto più profondamente in questa sempre rinnovata, vissuta, spiritualità-cultura a tutto tondo.
La Parola di Dio è Dio? Possiamo a questo proposito riflettere sul tema della legge nel popolo ebraico. Era parola di Dio ma non Dio stesso? Il tema di una certa personificazione della sapienza emerge forse quasi inconsapevolmente nelle Pagine bibliche. Vi è dunque forse nella fede ebraica anticotestamentaria un essere totalmente altro di Dio che viene in qualche modo mitigato da questo creare, entrare in contatto, con il mondo, da parte di Dio stesso. Cristo viene forse a portare a consapevolezza questa potenzialità, in qualche modo pone, forse, di fronte a una scelta: la Parola di Dio è Dio stesso o meno? Come può Dio parlare in profondità agli uomini senza essere nel suo parlare? Senza entrare nel cuore dell’uomo e amarlo e dargli vita nuova? Ma anche senza sostituirsi all’uomo entrando in lui ma invece dandogli vita? Lo Spirito ha questa peculiarità anche nella Trinità stessa, di permettere che il Padre e il Figlio siano l’uno nel Cuore dell’Altro senza che l’Uno sostituisca l’Altro. Fuori di ciò, la Parola diventa una morale, un agire dell’uomo con le sue sole, in realtà inesistenti, proprie forze, non un dono dello Spirito. Ma se invece Dio è proprio Lui che parla in quella parola perché allora non può anche essere, pienamente, in un Uomo, in Cristo? E proprio perché l’infinito Dio può farsi presente, rivelarsi, nella Parola questa, pur essendo in Cristo pienezza virtuale di rivelazione, può per grazia manifestarsi, nella nostra comprensione vitale, sempre più profondamente. Ciò valeva persino per il Cristo terreno. È il motivo per cui possiamo, come non pochi ebrei, scoprirci sempre più profondamente anche noi in attesa della sempre nuova venuta del Messia, di Cristo, forse dunque più vicini nella speranza. Ma la fiducia, la speranza, della sempre nuova venuta del Messia stimola una rinnovata attenzione ai profeti e alla profezia. Quanto è sviluppata, come si configura, etc., questa attenzione nel mondo cattolico? Per esempio con quanta attenzione viene considerato il riferimento di padre Kolbe a un’era dell’Immacolata? E nel mondo ebraico si sono più riconosciuti, si possono riconoscere, dall’epoca di Cristo in poi, veri profeti, nel senso di chiari trasmettitori di un messaggio divino? Per quello che vedo, da profano del tema, dal mondo ebraico provengono, anche negli ultimi secoli, persone di profonda ispirazione spirituale. Persone che forse sono tra quelle alla radice di una profonda maturazione della stessa Chiesa cattolica. Maturazione che continua ancora oggi, sulla via, per esempio, del Cuore Divino e Umano di Cristo. Cristo, l’ebraismo dell’Antico Testamento, parlavano di cuore, non di astratta razionalità. In Cristo si scopre, tra l’altro, il cuore che matura serenamente nello Spirito, delicato come una colomba. Cito tra gli sviluppatori, in vario modo, negli ultimi secoli dall’antico ebraismo Martin Buber, Franz Rosenzweig, Emmanuel Levinas.
Ma chiedo, umilmente, da profano, se in qualche caso nel mondo ebraico il problema è appunto che il profeta riapre la questione della presenza di Dio nella parola. Se è così si può rischiare di ridurre, come dicevo, la fede a morale, a filosofia, a religione, etc.. «Gesù rispose: “Vi farò anche io una domanda e se voi mi rispondete, vi dirò anche con quale autorità faccio questo. Il battesimo di Giovanni da dove veniva? Dal cielo o dagli uomini?”» (Mt 21, 25a). È forse interessante osservare che anche Giovanni Battista, che poteva forse risultare figura più vicina, sotto certi aspetti, alla mentalità ebraica di allora, non è stato riconosciuto da alcune autorità religiose ebraiche del tempo. «Se diciamo “dal cielo” ci risponderà: “perché dunque non gli avete creduto?”» (Mt 21, 25b). Possiamo allora osservare che il Dio che definitivamente si chiude nella sua totale alterità può rischiare anche di divenire un Dio ideologico. Franz Rosenzweig, per esempio, mi pare, si è manifestato come un uomo dal cuore aperto, persino disponibile a divenire cristiano. Il Dio che vive, comunica, nell’amore trinitario è il Dio che può comunicare anche con l’uomo, farsi intimo a lui, rivelandosi sempre più. Aspetto fondamentale dunque di un cuore tendenzialmente sempre più aperto può dunque rivelarsi, almeno gradualmente, proprio un dialogo sincero ma anche benevolo, che non giudica il cuore. Un cuore sempre più in cerca del vero, sempre più disposto, anzi assetato, di lasciarsi rinnovare completamente nelle intenzioni e anche nei modi di pensare apparentemente più naturali.
«Pietro disse a Gesù: “Maestro è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia”. Egli non sapeva quel che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li avvolse; all’entrare in quella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo” (Lc 9, 33-35)». L’uomo può tendere a schematizzare, a incasellare, e dunque anche a dividere, le persone e persino Cristo. La Parola di Dio ci conduce, se lasciamo operare la sua grazia, oltre noi stessi, all’incontro sempre più profondo con Dio e con gli altri uomini in lui. Se invece vogliamo possedere con la nostra mente la Parola questa può diventare un’ideologia. Allora l’uomo può anche ricusare l’ideologia, l’intellettualismo, gettandosi nel fare. Ma questo fare non aperto al continuo rinnovamento nella sapienza può comportare una chiusura, uno spegnimento del cuore. Se l’uomo accoglie con cuore sincero la Parola, con i personalissimi doni di grazia che vuole elargirgli di volta in volta, potrà tendenzialmente scoprire sempre più la presenza viva di Dio in essa. Si potrà scoprire allora per esempio che i Comandamenti non sono imposizioni morali rivolte all’uomo e nemmeno solo buoni consigli. Nella Parola vi è, secondo il cammino personalissimo di ciascun uomo, un amore, una grazia, che, con delicatezza, se accolta, opera, dà vita: questo allora può anche significare il termine «comandamento». «Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata» (Is 55, 10-11). Sono domande, come dicevo, di un profano nella conoscenza del mondo ebraico.
Don Giampaolo Centofanti – Vaticaninsider
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