Beati i poveri o gli impoveriti?
Questo articolo è stato già letto904 volte!
Un Dio che è sempre il Dio dell’oggi è ovviamente un Dio che essendo tutto-amore e nostra-giustizia impegna la sua Chiesa ad essere Chiesa povera e Chiesa dei poveri. Esaminando la proponibilità e attualità di tale assunto17, non si immaginava, nemmeno qualche mese fa, che tale motto, uno dei più innovativi dell’insegnamento di Giovanni XXIII del Vaticano II18, trovasse in un pontificato, come accade oggi in quello di Papa Francesco, un’applicazione convinta, sistematica, vasta e profonda.
Anche qui appare un ulteriore nesso, dopo quello tra la povertà e l’impegno per il suo superamento: quello che passa attraverso la semplicità del linguaggio, l’autenticità della testimonianza e la sobrietà dei gesti e dello stile. È un nesso proficuo, a volte sconvolgente, che ci consente di leggere l’opzione preferenziale per i poveri come direttamente collegata alla fede.
Se la fede è la luce che brilla, dando senso e sapore alla vita, alla sua luce vediamo anche rilucere la povertà nel suo significato gesuano e cristologico. Distinguendo così la prassi di Gesù e lo stile di Gesù da quello che, non separatamente da lui, ma in stretta relazione con lui, deve contraddistinguere anche l’agire del cristiano, ne deriva una proposta forte e non più rimandabile di uno stile di Chiesa in generale.
Qualcuno riconosce proprio nel recuperato e prescrittivo valore dello stile sobrio e povero proposto e offerto da Papa Francesco ciò che caratterizza in maniera specifica l’annuncio del vangelo del nuovo Papa19, e per giunta nel contesto della stessa fede e dell’annuncio del vangelo: «nell’anno della fede il Papa mette a disposizione della nuova evangelizzazione la sua lettera circolare mandata a tutti i fedeli. L’insuperabile ed eterna novità del Vangelo di Gesù Cristo deve raggiungere la coscienza proprio dei cristiani dei paesi di antica tradizione cristiana»20.
È un annuncio che è un tutt’uno con uno stile e una valorizzazione della povertà, non già della miseria disumanizzante, di cui si parlava prima, ma in quanto caratteristica di Gesù e dunque del suo Vangelo: «La nostra speranza è Gesù Cristo in persona. Viene in mente Abramo, il padre della fede, che in collegamento con Paolo, è ampiamente valorizzato nell’enciclica. “Contro ogni speranza egli ha creduto colmo di speranza” … Divenne forte nella fede in Dio e diede gloria a Dio, essendo pienamente convinto, che Dio ha il potere di compiere ciò che ha promesso»21.
Si arriva così a collegare povertà e annuncio di fede: «Corrisponde anche allo stile di predicazione del nuovo Papa, lasciando decisamente da parte interferenze di dotti apparati e con uno stile diretto, volendo parlare agli uomini con la consapevolezza dei problemi e in maniera profonda»22.
È un modo finalmente coerente di interpretare l’annuncio come rivolto sia all’evangelizzatore, sia ai destinatari dell’annuncio, con gesti concreti e credibili: «I segni [da lui compiuti), interpretati talvolta come banali o sensazionalistici, sono espressione del suo amore senza compromessi verso il Cristo povero e verso il Cristo nei poveri. Ci si sente così richiamati alle parole iniziali della costituzione pastorale Gaudium et spes, nel suo celebre incipit: “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore»23.
Quello che qui si può aggiungere è che il messaggio di una Chiesa che deve diventare povera al seguito di Cristo povero, è pienamente proponibile ed attuale. Obbedire a Cristo è prendere sul serio la via della povertà, per condividere il cammino con gli impoveriti dagli uomini, ma ricchi agli occhi di Dio. Tutto ciò al fine di realizzare la salvezza come affrancamento da ogni forma di oppressione e di ciò che impedisce la piena realizzazione umana.
Essere Chiesa povera per essere Chiesa dei poveri non è orpello retorico, ma autentica esigenza teologica. Si basa su una reale continuità tra predicazione/prassi di Gesù e predicazione/prassi della Chiesa, tra il suo annuncio del Vangelo, buona notizia ai poveri, e la nostra evangelizzazione, che più che nuova deve essere vera e pertanto modellata su quella di Cristo.
Per noi tutti ciò diventa essenziale e ci consente di capire e di vivere la realtà della Chiesa come corpo storico oltre che corpo mistico. Significa che proprio la Chiesa è corpo di uomini e di donne che non vivono astrattamente nella storia, bensì nelle contraddizioni, nelle cadute, ma anche nelle riprese e nei sogni di questa nostra storia di oggi24.
In definitiva, la conversione a Cristo e ai poveri passa attraverso la “conversione della Chiesa al Regno di Dio”, un regno dove i poveri sono in prima fila. Solo questo può realizzare la messianicità della Chiesa, che continua l’opera messianica di Cristo: «Perciò il popolo messianico, anche se di fatto non comprende ancora la totalità degli uomini e ha spesso l’apparenza di un piccolo gregge, è però per l’intera umanità germe sicurissimo di unità, di speranza e di salvezza. Costituito da Cristo per la comunione di vita, di carità e di verità, viene assunto da lui anche come strumento di redenzione per tutti, ed è inviato a tutti gli uomini come luce del mondo e sale della terra (cf. Mt 5,12-16)»25.
In quest’opera messianica, riscoperta e sempre da riscoprire, riprendiamo alcune proposte minimali: compiti da fare a casa e nella città, nel vissuto personale e sociale:
1) Adottare e sviluppare un nuovo modo di pensare e di agire: “pensare ed agire sensibilmente”, che non per questo è meno scientifico dell’abituale freddo e incorporeo modo di pensare, di derivazione e deriva razionalista, il “pensare astrattamente”, ma ciò significa assumere la responsabilità e la cura dell’altro sulla soglia della propria coscienza;
2) Aprire, decodificare, approfondire e divulgare la portata utopico-liberante della fede cristiana, oltre che del suo annuncio: dei suoi simboli (dal Symbolum fidei ai sacramenti) perché siano strumenti di speranza e di realizzazione delle promesse messianiche;
3) Camminare pertanto con agli uomini sempre, portando Dio nel cuore e nella vita, ma proprio per questo, privilegiando i più svantaggiati e indicando nella storia e soprattutto in loro l’eccedenza non solo di dignità, ma di futuro che li abita.
Giovanni Mazzillo
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.