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Le virtù teologali: la fede

22 Luglio 2018 | Filed under: Morale
     

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Le prediche di Spoleto

Fin dalle origini della Chiesa, nel cercare il senso della fede, è constante il riferimento alle Sacre Scritture, leitmotiv di ogni riflessione giudeo-cristiana. Dobbiamo però ai pensatori medievali, arricchiti soprattutto dalla riflessione sul pensiero di sant’Agostino, il merito di inquisire il rapporto esistenziale tra la singola persona e Dio. Si trattò di interrogarsi sul come il dono della fede, dato a tutti, può essere recepito da ogni persona umana.
Quando la Chiesa nascente, sostenuta dalle categorie del pensiero semitico, cominciò a misurarsi con il mondo greco, che fu la più proficua esperienza di inculturazione a noi conosciuta – anche se non l’unica -, l’insegnamento dei grandi pensatori aiutò non poco a cercare una conciliazione tra Dio, Totaliter aliter, e di per sé inconoscibile se non rivelato, e l’uomo, sempre affascinato dal mito di Ulisse, in cerca di superare le Colonne d’Ercole.
Quando si andò ad analizzare in forma sistematica questa relazione, se cioè fosse essa possibile, e come superare, al di là del cognitum, il rapporto tra Dio e l’uomo, si avviarono tentativi che, di generazione in generazione, giunsero fino ai nostri tempi. Dobbiamo rifarci al concetto di interior instinctus di Tommaso d’Aquino: la prima Grazia che Dio fa all’uomo.
È la facoltà, insita nella creatura umana, di tentare di porsi in relazione con il Creatore: «Ad tertium dicendum quod interior instinctus, quo Christus poterat se manifestare sine miraculis exterioribus, pertinet ad virtutem primae veritatis, quae interius hominem illuminat et docet». L’intuizione tomista dette origine a una serie di riflessioni piene di fascino. L’Aquinate, figlio della sua epoca, affrontò la speculazione sul tema, soprattutto attraverso il principio di causalità. Causa – effetto è il nesso della Scolastica sulle cosiddette “5 vie” per dimostrare l’esistenza di Dio.
Nella solare esperienza di Tommaso non andò perduta la riflessione di Agostino. Il decimo capitolo delle Confessiones esprime liricamente il rimpianto per la tardiva conoscenza di Dio, della libertà, del peccato e della Grazia. Qualche eco della gnosi antica risulta nella ricerca del rapporto con Dio attraverso la via della conoscenza, o quella antichissima dei Padri Apostolici della via dell’illuminazione.
Mi piace ricordare, seppur con un fugace cenno, la svolta di Blaise Pascal, forse edotto dai mistici spagnoli del secolo che lo aveva preceduto, di indirizzare la ricerca su quel concetto che nella Scrittura è il leb, identificato con la categoria del “cuore”. È un concetto non certamente estraneo a una sempre più profonda discesa nell’interiorità dell’uomo.
Altra è la via dei grandi pensatori tedeschi dei due secoli successivi, che, ciascuno con un’indagine propria, approfondiscono la realtà umana, senza eludere una ricerca sull’interiorità, con gli approcci che appartengono a ciascuna filosofia. Queste ultime sono le radici del pensiero contemporaneo.
Mi pare che un significativo passo avanti sui fondamenti della fede, nel turbinio disastroso della prima metà del Novecento, tra le due guerre mondiali, debba riconoscersi soprattutto nel Personalismo francese e nei felici epigoni di quel pensiero avviato da Mounier e da Bergson. Mi piace presentare a questo distinto uditorio un approccio al tema, che trovo veramente fascinoso.
È l’elaborazione sul concetto di empatia, che ci ha lasciato Edith Stein, più nota tra i cattolici con il titolo che si meritò di santa Teresa Benedetta della Croce, martire ad Auschwitz. Tra l’essere umano e Dio esisterebbe un rapporto empatico che salva la libera dignità dell’uomo e finisce per incontrarsi con la mai interrotta ricerca di Dio di rinnovare la relazione con la persona e con il popolo dei credenti.
Quando la qualità empatica dell’uomo si incontra, per via di conoscenza ed esperienza, con la provvidente misericordia di Dio, nasce una scintilla dove due pathos si incontrano, l’uomo e Dio, in un rapporto che avvia le note della empatia: «Così l’uomo coglie la vita psichica del suo simile; così anche il credente coglie l’amore, la collera e il comandamento del suo Dio; e Dio non può cogliere la vita dell’uomo in altro modo».
Il tema del rapporto tra uomo e Dio ha segnato, attraverso l’antropologia biblica, tutta la cultura giudeo-cristiana, ma anche, attraverso i Caldei, il successivo mondo islamico. Dal discorso di Paolo sull’Areopago di Atene, accanto ai credenti, è stato sempre presente un numero di persone, che si dichiararono non credenti: «Su questo ti sentiremo un’altra volta».
Non è questo il luogo per ricostruire la storia dei rapporti tra i credenti e i non credenti. Nella mia esperienza di prete, ho incontrato tanta gente, anche lontana dalla Chiesa. Credo di non essermi mai imbattuto in un ateo vero. Molti hanno visioni del mondo diverse dalla nostra. Proporre il Vangelo a tutti è la nostra missione, nel dialogo e nel rispetto di ciascuno, al di là dei nominalismi. La Chiesa non ha nemici, perché la stessa categoria dell’inimicizia contraddice il Vangelo.
Credo che valga la pena approfondire il tema della “simpatia”, almeno come illustrata da alcuni pensatori della prima metà del Novecento, tra i quali Max Scheler, che affermava: «La forma suprema dell’amore di Dio non è l’amore “di Dio” come bene infinito, cioè come una cosa, bensì la co-attuazione dell’amore di Dio per il mondo ( amare mundum in Deo) e per se stesso ( amare Deum in Deo) ».
Accanto al rinascimentale quisque fortunae suae faber, vi fu una contemporanea visione dell’uomo, “ homo novus”, capace di coinvolgersi nello stesso amore che ha Dio per l’uomo, anche quando l’uomo rifiuta il dialogo con Lui. L’esasperazione di questo voler contrapporre i cosiddetti credenti e non credenti – categorie ottocentesche – genera solo fanatismo e contraddice, da ultimo, quel concetto di «Chiesa in uscita », che Papa Francesco ha proposto per noi in Evangelii Gaudium.
Anche il concetto stesso di laicità, peraltro anch’esso Ottocentesco, ha problematiche analoghe. Laddove si afferma la «autonomia dell’ordine temporale», cioè si nega la contiguità tra Chiesa e potere, in sostanza si affermano principi evangelici. Dove, invece, si affermano dogmatici assiomi, assunti dal primato dell’economia, dalla visione liberale e dall’autodeterminismo, del singolo o di gruppo, non si è molto distanti dai fanatismi religiosi.
Mons. Riccardo Fontana

 


     

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