La nostra debolezza intenerisce il Cuore di Dio
Questo articolo è stato già letto2217 volte!
Sant’Ellero era abate in un monastero con 800 monaci e si dice che questi monaci cercavano di mancare ogni giorno perchè era così dolce il richiamo dell’abate, che desideravano proprio, per avere questo perdono, mancare anche nella vita del monastero.
Così è anche Dio con noi. I nostri peccati, dicevo già all’inizio, non fanno che provocare una maggiore tenerezza da parte di Dio. Certo non sono quei peccati che implicano per noi un rifiuto di Dio ma sono quelle mancanze che dipendono dalla nostra debolezza.
Il bambino che cade, che incespica, non vuole certamente farsi del male ma nella sua debolezza non si regge in piedi senza l’aiuto della madre. Così anche l’uomo nei confronti di Dio. Chi di noi può stare in piedi senza la Sua Grazia e se il Signore, qualche volta, sembra mancarci, è proprio perchè si compiace di vederci traballare e cadere.
Sì, perchè voi lo sapete quello che dice Santa Bernadette: “I peccati che ci dispiacciono, non dispiacciono a Dio” perchè là dove non c’è una volontà deliberata di opporsi alla Sua volontà, c’è soltanto l’espressione della debolezza umana e tutti siamo delle creature fragili, deboli, cominciando da San Pietro per venire fino a noi.
Non c’è nessun santo che non abbia conosciuto fino in fondo la propria impotenza nel bene e non abbia sentito perciò che il vivere nella fedeltà al Signore è un miracolo della Sua Grazia, è un dono continuo della Sua santità verso di noi.
Questo vorrei dirvi perchè non dovete mai perdere la fiducia, non dovete mai abbandonarvi allo scoraggimento, non dovete mai pensare che sia impossibile per noi raggiungere la santità. La santità è un dono di Dio. Aprite il vostro cuore e l’accoglierete in voi perchè Santo rimane soltanto Lui, Lui che vive in noi.
Ma forse non vogliamo che Lui viva in noi? Non è Lui che ci ha scelti per donarsi a noi? Per vivere nei nostri cuori? Fiducia assoluta nell’amore di Dio, abbandono semplice e puro nelle Sue mani!
Se è vero quello che si dice di Ellero è più vero per noi dire che siamo contenti di sentire, di sperimentare la nostra debolezza. Non solo la nostra debolezza diviene un’occasione per il Signore di donarsi a noi con maggiore tenerezza e bontà, ma anche per noi il sentire che siamo piccoli e deboli, il sentire che noi siamo imperfetti, è per noi motivo di gioia perchè miei cari fratelli, certamente questo sentimento della nostra debolezza e della nostra povertà è cosa molto migliore di un sentimento di una nostra perfezione che non abbiamo, di una nostra sicurezza che non abbiamo in noi stessi.
Soltanto chi riconosce fino in fondo la propria impotenza, la propria debolezza, solo questo vive nella verità e vivendo nella verità anche si apre ad accogliere la bontà del Signore e la misericordia di Dio.
Vedete, un profeta come Giona si irrita contro Dio perchè Dio è troppo buono, io invece non mi irrito. Giona si sentiva già perfetto e voleva che fossero condannati i Niniviti. Io dei Niniviti non so nulla, so però quello che io sono e non sono come il profeta Giona, sono un povero uomo che attende giorno per giorno che il Signore lo sollevi a Sè per pura gratuità d’amore ed è sicuro che questo omiciattolo che io sono è sicuro che Dio lo prende per mano, lo porta nelle Sue braccia, lo stringe al Suo Cuore e sono sicuro che tutta la tenerezza del Padre è per me.
Vedete, è una cosa mirabile, Dio non può amare di questo amore di misericordia il Suo Figlio Unigenito perchè il Figlio Unigenito è Santo come il Padre, ha la stessa Santità ma Nostro Signore gode che anche qualche Suo figlio invece abbia bisogno del Suo more per essere salvo.
Noi facciamo più contento il Padre con la nostra debolezza perchè facciamo sì che si manifestino nei riguardi nostri, degli attributi divini che altrimenti non si manifesterebbero. Dio non è misericordia in Se stesso, il Padre non è misericordia nei riguardi del Figlio, Il Padre non è perdono nei riguardi del Figlio, il Padre non è
forza nei riguardi del Figlio perchè il Figlio è uguale al Padre e nulla deve ottenere da Lui per essere il Figlio ed essere pari al Padre nella S
Santità.
Ma ecco che Dio si compiace di versare in me, in questa debolezza che io sono, di versare i tesori della Sua divina Bontà. Perciò io sono contento di dare a Dio questa soddisfazione di perdonarmi, questa soddisfazione di amarmi gratuitamente, questa soddisfazione di amarmi per nulla.
Non certo che voglio offendere Dio, ma senza la volontà di offenderlo, tuttavia rimango quello che sono: un povero uomo.
Vero, anche tu ti distrai qualche volta nella preghiera? Dice di sì, e anche voi e qualche volta voi vivete un po’ in superficie, superficialmente la vostra vita.
Per esempio, dimmi tu, durante l’ufficiatura, l’ora delle lodi, hai vissuto pienamente quello che dicevi cantando? Non risponde e quando non si risponde è segno che c’è già un certo consenso alla domanda che si fa. Ebbene, se noi abbiamo questa percezione di non riuscire mai a vivere fino in fondo e a vivere pienamente quello che facciamo, ebbene rimettiamoci a Lui; che Egli riempia i vuoti della nostra vita, che Egli colmi della Sua bontà la nostra povertà.
Ecco, miei cari fratelli, quello che il Signore ci chiede. Siamo come bambini. Non dobbiamo forse essere bambini? Ma i bambini voi lo vedete camminano male, delle volte con quattro gambe invece che con due, ma è così e qualche volta se vogliono stare in piedi barcollano e cadono se non c’è la madre che immediatamente si fa presente e lo aiuta.
Così è per noi. Siamo bambini proprio perchè abbiamo l’esperienza di essere impotenti a vivere senza quella volontà di santità che pure Dio ha acceso nel nostro cuore. Vogliamo essere santi ma è bello invece che noi sentiamo di non esserlo perchè è bello, allora, sentirci amati per nulla, sentire che in fondo non è una nostra virtù che può attirare il Cuore di Dio ma proprio la nostra povertà, la nostra impotenza.
Così che posso dire anch’io di essere un po’ come i monaci di Sant’Ellero.
Sono contento ogni giorno di dire al Signore: “Guarda che ho mancato”, perchè ogni giorno il Signore mi perdona.
Diceste anche ieri il “Conphitio confessor”, anche ieri l’altro, anche il giorno prima. Ecco, ed è bello tutto questo, è proprio bello.
Vedete com’è bravo il Signore, come veramente è sapiente il Signore. Fintanto che non l’avremo acquistato, il senso della nostra impotenza vera, noi non siamo nella verità . E allora, per acquistare il senso della nostra impotenza vera, bisogna anche sperimentare questa nostra debolezza. Sperimentarla, non i peccati gravi, non i peccati che implicano di per sè l’offesa di Dio, ma quelle mancanze che invece sono espressioni della fragilità della nostra natura.
Lasciamo a Maria Santissima di essere senza peccato! Noi non pretendiamo di essere come Lei, noi sentiamo di essere quello che siamo, delle povere creature che hanno bisogno ogni giorno che il Signore doni a queste una prova ulteriore, sempre nuova, della Sua tenerezza e del Suo amore.
Se un bambino cade e si fa male, com’è pronta la madre a prenderlo nelle sue braccia, accarezzarlo, cercando di acquietarlo se piange! Così il Signore agisce in noi.
Allora voi capite bene, io non voglio essere come il profeta Giona. Non mi piacerebbe essere come il profeta Giona, nemmeno nei vostri riguardi, non dico per i lontani che non debbo giudicare, ma nemmeno per voi di cui conosco anche le debolezze e le imperfezioni e anche qualche cosa di più. Una mancanza vera di umiltà, una non perfetta ancora liberazione dall’amor proprio, un certo egoismo. Ma tutto questo non mi dispiace perchè sono sicuro che voi non le volete queste vostre imperfezioni, non volete questi vostri difetti! sono inerenti alla vostra natura, sono una conseguenza forse di peccati passati, sono anche forse una espressione del vostro temperamento non perfettamente domato, non perfettamente diretto dalla grazia divina; non mi dispiacciono dunque come non dispiacciono a Dio.
No, cerchiamo di non essere il profeta Giona, capito? Non mi condannare, non mi mandare all’inferno, non volere che io vada all’inferno e sono quel povero ragazzo che sono; ragazzo perchè anche a 80 anni siamo dei ragazzi; sono quel povero ragazzo che sono ma, come il Signore mi vuol bene, devi volermi bene anche tu, non ti sembra? Almeno per il fatto che Lui mi vuole bene, se non per altri motivi, per questo.
Ecco, e poi che cosa devo dirvi? Poi dovrei dirvi qualche cosa sul Vangelo di oggi, non soltanto sulla prima lettura; il Vangelo di oggi che cosa ci dice? Lo avete ascoltato. Due parole soltanto, non voglio fermarmi troppo ma voglio dirvele. E’ Gesù che va nella casa di Betania presso Marta e Maria e notatelo, alcune volte viene invitato. Qui non è invitato, si sente a casa sua. Il fariseo lo invita, da Zaccheo da se stesso si invita. ma qui nemmeno si invita, è di casa. Ecco la prima cosa che vorrei che noi vivessimo. Proprio questo: di essere in tale rapporto col Signore Gesù da vivere veramente non più nemmeno come amici, una fraternità tale che quello che noi viviamo, lo vive anche Lui, quello che Lui vive lo viviamo anche noi, viviamo nella stessa casa e la casa nella quale viviamo è il seno del Padre.
Ma vivendo in questa comunione di amore col Cristo, il Signore ci richiama a liberarci da ogni preoccupazione, da ogni ansietà. Siamo troppo preoccupati di noi. Crediamo forse di poter fare qualcosa senza di Lui? Gettiamoci nelle Sue braccia. Facciamo come Maria Maddalena; che cosa faceva Maria? Nulla, stava ai piedi di Gesù e Lo guardava. Non so se Lo ascoltava davvero perchè quando uno è innamorato non sente nemmeno le parole che si dicono ma viene attratto; viene, direi proprio, preso e posseduto dalla visione di Colui che ama.
Così Maria Maddalena davanti al Signore. Perchè si dice che era ai Suoi piedi e L ‘ascoltava, però non appare dal Vangelo che dicesse grandi cose. E guardate la cosa più importante: non stava in piedi, la posizione sua è la posizione del riposo. Noi non dobbiamo vivere altro che il riposo, riposo in Dio. Dobbiamo sentire davvero che la nostra vita non è una ricerca di qualche cosa che non possediamo, è prendere coscienza invece di quello che il Signore ci ha dato. Che cos’è la santità? E’ un uscire di noi stessi per cercare fuori di noi quello che abbiamo? No.
Fintanto che usciamo fuori di noi non saremo mai santi. E’ scendere nell’intimo per prendere coscienza di questa Presenza del Signore nella nostra anima.
Dov’è il Paradiso? Lo sai? Non lo sai. E’ il tuo cuore! Non c’è mica altro paradiso per noi. Dio vive nel fondo dell’anima, nel centro dell’anima, come ci insegna San Giovanni della Croce, Santa Teresa, San Bernardo, tutti e perfino, prima di ogni altro, Gesù; e anche avete presente, San Pietro nella seconda lettera: “Finchè non sorga la stella del mattino nel vostro cuore”.
Allora si tratta per noi non di uscire, non di andare alla ricerca, chi va alla ricerca lo perde.
Ti è mai venuta a te Chiara di cercare qualche cosa che hai già in mano? A me qualche volta mi è avvenuto, ma soprattutto nella vita spirituale ciò avviene, cerchiamo quello che già possediamo e non ne prendiamo coscienza proprio perchè siamo affaticati, siamo come dire preoccupati di cercarlo, di trovarlo come se l’avessimo perduto.
Sei in grazia di Dio? Penso di sì perchè almeno credi di esserlo, perchè fai la comunione; fai la comunione vero a Messa ora? Dunque che cosa ti manca? Dimmi, che cosa ti manca? Se hai, se possiedi Dio nel tuo cuore, non hai già in te il paradiso?
Ma tu non vivi nel centro dell’anima tua, tu non vivi così come viveva Maria Maddalena ai piedi di Gesù per guardarLo, per contemplarLo. Non importa nemmeno che tu viva ai piedi di Gesù; basta che tu entri dentro di te e ti senti pieno di Lui.
Davvero quanto più si scende dentro, tanto più noi ci vuotiamo di noi stessi, di ogni ricordo di noi stessi, di ogni presunzione di noi stessi, di ogni presunzione di essere qualcuno o di essere qualche cosa o di avere qualche cosa e nella misura che perdiamo il sentimento di un nostro valore che non abbiamo, nello stesso tempo ecco la nostra anima si riempie di quella Sua Presenza.
Liberàti da noi, tutto il nostro intimo diviene pieno di Dio, colmo della Sua pace, colmo della Sua dolcezza. Perchè non ne fate la prova? Perchè volete agitarvi ancora? Perchè preoccuparvi? Perchè questa ansietà tante volte che contraddistingue le anime religiose, perchè questa ansietà? Quasi che mancasse qualche cosa a Dio che ci ama. A Dio non manca nulla, ma tutto quello che Dio ha è per noi. Se Egli ci ama, di che cosa dubitiamo dunque? Perchè?
Ecco, da oggi in avanti stai davanti ai piedi di Gesù come la Maria Maddalena e forse, poi ci sarà suor Agnese che è la superiora che dirà: ma svegliati, devi fare qualche cosa! Bene, si deve fare, certamente devi fare ma senza preoccupazioni, senza ansietà, mantenendo lo sguardo dell’anima fisso in Dio che vive in te. E’ quello che dobbiamo fare. Quando la Sacra Scrittura ci dice che Gesù e anche San Paolo ci dice che dobbiamo pregare sempre non può intendere che noi dobbiamo tenere formule dalla mattina alla sera, anzi non dobbiamo dire nessuna formula perchè l’amore quando è grande perde ogni parola. La parola implica, infatti, una distinzione e una divisone di colui che parla da colui che ascolta. Ma tu stesso sei divenuto la parola. Tu vivi la tua unione con Dio in tale intimità che non hai bisogno di formule, Lo contempli, Lo ami.
Tutta la tua vita è questo atto di adesione a Lui, alla Sua volontà, sì alla Sua volontà, ma adesione alla Sua Presenza perchè non siamo fatti soltanto di volontà, è tutto l’essere nostro che deve aderire a Lui. L’intelligenza nella visione di Lui. La volontà dell’amore per Lui, nel sentimento che tutto deve vivere in noi al contatto di Dio. Non è così? “Cor meo et cora mea esulta verum in te Deum vivum”.
Miei cari fratelli, mie care sorelle, a questo ci chiama il Signore, a vivere una pace dolcissima, una dolcezza ineffabile, a vivere l’amore. Che cosa dobbiamo chiedere? Che cosa da cercare? Che cosa ci manca? Di che cosa ci manca?
Se noi possediamo Dio non siamo già in paradiso? E che cosa ci impedisce di essere in paradiso? Soltanto la pochezza della nostra fede, soltanto il fatto che noi teniamo gli occhi chiusi o almeno anche se li teniamo aperti, i nostri occhi sono malati, non sanno vedere quello che è, perchè quello che è, è la Sua Presenza, una Presenza che veramente ci colma, ci riempie. Non possiamo nemmeno pensare ad altro talmente Egli prende il nostro cuore e l’occupa tutto.
Se tu ami una creatura, c’è posto anche per un’altra creatura, tu ami un ragazzo, puoi amare anche la tua mamma, non è vero? Tu ami la tua mamma, puoi amare perfino anche il gatto o le galline. Fino a un certo momento si tratta di amore, però un certo amore anche per gli animali si può avere. Ma se tu ami Dio non c’è più posto per nessuno. Ma questo ci rende, forse, estranei agli altri? No, perchè troviamo tutti in Lui. Non abbiamo bisogno di uscire di Lui per vivere un rapporto coi fratelli, assolutamente no, anzi dobbiamo dire: si può vivere l’unione coi fratelli soltanto nel Cuore di Cristo perchè come voi sapete, per il peccato noi siamo divisi. Come ha diviso l’uomo da Dio il peccato, così ha diviso l’uomo dall’uomo.
Giustamente diceva Terenzio che la legge dell’uomo nel peccato è “homo hominis lupus” esser l’uno contro l’altro per egoismo, per amor proprio. Ma se tu vuoi vivere l’amore per gli altri, devi scendere nel fondo del cuore, là dove tutti siamo uno, perchè tutti siamo il Corpo di Cristo, tutti siamo uno, perchè tutti siamo il Cristo Signore, membra di questo unico Corpo per vivere il Suo medesimo Spirito. Allora scendiamo nell’intimo nostro, vi scendiamo e dimoriamo nel centro dell’anima. Vedete com’è facile, com’è semplice!
Salire è difficile e costa fatica, non ti sembra? Ma discendere molto più perchè non devi muovere nemmeno i passi, è come un volo per il quale tu lentamente cadi, discendi giù nel tuo fondo. Lasciati portare dal peso dell’amore! Il peso porta giù. Dice Sant’Agostino che tutto è guidato dal peso, perciò il peso dell’amore ci porta verso Dio, cioè in alto. Non è vero nulla, mi spiace per Agostino, non se ne intendeva Sant’Agostino di queste cose, invece noi siamo un peso davvero, ma discende per discendere nel fondo dell’anima, là dove dimora Dio.
Il peso porta per sè. E’ un peso che ci fa discendere, mica ci fa salire, non ti sembra? Ed è questo davvero anche il peso del nostro amore. Ci fa discendere, là dove Dio eternamente riposa perchè noi viviamo già in questa vita una certa anticipazione della vita del cielo.
Ecco, io vi prometto, molte siete qui che siete nel noviziato, c’è anche Matteo, non ci sono soltanto le sorelle, ebbene vi dico precisamente questo: ricordatevi che la vita religiosa è una vita, se no non è religiosa, è una vita di pace e di gioia nello Spirito Santo; è una vita che ci fa veramente sperimentare in anticipo tutta la dolcezza di Dio! Non è vero affatto che la vita cristiana sia tormento, sia pena, sia mortificazione ma è invece la presenza di Dio che è sufficiente a se stessa, ci basta, non abbiamo più bisogno di nulla se veramente ci sentiamo amati da Lui, se veramente sperimentiamo questo amore che Egli ci porta.
Vivete questa percezione, lasciate che il peso dell’amore vi trascini giù in fondo, davvero nel fondo dell’anima, là dove dimora per sempre il Signore per voi. Il paradiso non è fuori di voi, non dovete cercarlo, lo portate nel cuore.
don Divo Barsotti
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.