Se credi in Dio ma non credi ai Preti leggi questo articolo.
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Ma chi l’ha detto che bisogna andare a confessarsi da un prete, uomo come me, peccatore come me e forse anche più di me? Dove sta scritto? Non posso vedermela direttamente con Dio, senza intermediari?
Qualcuno pensa anche che la confessione sia un luogo di potere e di dominio della Chiesa sui penitenti. Peggio ancora, qualcuno pensa che il prete ci trovi gusto a spiare nell’intimo delle coscienze. Insomma, la confessione sarebbe una invenzione dei preti. Chi la pensa così rivela una ignoranza abissale di Cristo e del Vangelo.
Ritorniamo alla domanda di partenza:
Chi l’ha detto, dove è scritto che per ricevere il perdono dei peccati dopo commessi dopo il battesimo devo andare da un prete?
La risposta è semplicissima ed è l’unica: l’ha detto Gesù Cristo nel Vangelo di Giovanni (20,19-23). Breve commento al testo:
Giovanni 20,19 La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!».
Giovanni 20,20 Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Giovanni 20,21 Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi».
Giovanni 20,22 Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo;
Giovanni 20,23 a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi».
Siamo nel giorno di Pasqua: la Confessione è il sacramento della risurrezione: con Cristo è davvero possibile passare dalla morte alla vita; da una vita vecchia ad una vita nuova.
Gesù disse loro: “Pace a voi”: la Confessione è il sacramento della pace: frutto non dei nostri sforzi, ma della riconciliazione operata da Cristo con la sua pasqua di morte e risurrezione.
“E i discepoli gioirono al vedere il Signore”: la Confessione è il sacramento della gioia: che nasce dall’incontro con il Signore risorto.
Gioia che è anzitutto di Dio:”Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione” (Luca 15,7).
“Ricevete lo Spirito Santo… a chi rimetterete i peccati…”: la Confessione è il sacramento per la remissione dei peccati per opera dello Spirito Santo “che è Signore e dà la vita” (cfr. Credo).
Quale è il primo sacramento per la remissione dei peccati?
Il primo sacramento per la remissione dei peccati è il battesimo; così infatti diciamo nel credo: Professo un solo battesimo per la remissione dei peccati. Nelle acque del Battesimo (lett. immersione) muore soffocato sott’acqua l’uomo vecchio – quello che vive secondo il peccato – e nasce l’uomo nuovo, quello che vive secondo il Vangelo.
“Pietro nel giorno di pentecoste disse: pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei peccati” (Atti 2,38).
E se un cristiano dopo battesimo pecca?
C’è il sacramento della riconciliazione istituito da Cristo, non è un’invenzione dei preti. La confessione è come un secondo battesimo: una immersione nella misericordia di Dio. Di per sé uno potrebbe vivere tutta la vita senza andare a confessarsi… se dopo il battesimo non ci fossero più peccati gravi, perché i peccati li spazza via il Battesimo.
Come il Padre ha mandato nel mondo Cristo per compiere l’opera della riconciliazione (riparare i danni del peccato)… così il Cristo ha mandato gli apostoli e i loro successori che sono i vescovi e i collaboratori dei vescovi che sono i preti a continuare in ogni tempo e in ogni luogo questa stessa opera: riconciliare l’umanità con Dio.
Domanda: ma siamo proprio certi che nel sacramento della riconciliazione i miei peccati sono perdonati?
Se io sono sinceramente pentito dei miei peccati e vado dal sacerdote (giovane o vecchio, sano o ammalato, santo o peccatore, di città o di campagna)… e confesso i miei peccati e il sacerdote pronuncia le parole dell’assoluzione e compie i gesti propri del sacramento (mani sul capo e segno di croce)… è certissimo che in quel momento i miei peccati sono perdonati e sono riconciliato con Dio, con la Chiesa, con il mondo.
Lo ripeto – è certissimo – che i miei peccati sono perdonati e io sono riconciliato con Dio.
“La pratica di questo sacramento, per quanto riguarda la sua celebrazione e la sua forma, ha conosciuto un lungo processo di sviluppo, come attestano i più antichi sacramentari, gli atti di concili e di sinodi episcopali, la predicazione dei padri e l’insegnamento dei dottori della Chiesa. Ma circa la sostanza del sacramento è rimasta sempre solida e immutata nella coscienza della Chiesa la certezza che, per volontà di Cristo, il perdono è offerto a ciascuno per mezzo dell’assoluzione sacramentale, data dai ministri della penitenza: è certezza riaffermata con particolare vigore sia dal Concilio di Trento, che dal Concilio Vaticano II: «Quelli che si accostano al sacramento della penitenza ricevono dalla misericordia di Dio il perdono delle offese fatte a lui e, nello stesso tempo, la riconciliazione con la Chiesa, alla quale hanno inflitto una ferita col peccato: la Chiesa che coopera alla loro conversione con la carità, con l’esempio e la preghiera» («Lumen Gentium», 11). E come dato essenziale di fede sul valore e lo scopo della penitenza si deve riaffermare che il nostro salvatore Gesù Cristo istituì nella sua Chiesa il sacramento della penitenza, perché i fedeli caduti in peccato dopo il battesimo ricevessero la grazia e si riconciliassero con Dio” (Giovanni Paolo II, esortazione apostolica “Reconciliatio et paenitentia” (1984), n. 30).
Questa certezza nessun altro me la può dare; io non posso darmela da me stesso. Si tratta di una certezza di fede: “Soltanto la fede può assicurare che in quel momento ogni peccato è rimesso e cancellato per il misterioso intervento del Salvatore” (cfr. Esortazione apostolica di Giovanni Paolo II, Reconciliatio et paenitentia, 31, III).
O uno ci crede o non ci crede. I cristiani cattolici ci credono.
Una buffonesca illusione:
Coloro che hanno la presunzione di confessarsi direttamente con Dio, senza la mediazione ecclesiale voluta da Cristo, senza il sacerdote, senza sentire con certezza con le loro orecchie le parole del perdono, senza vedere e sentire con certezza i gesti del sacerdote… cadono in una buffonesca illusione.
E’ tanto semplice: se mi confesso da solo io faccio dire a Dio quello che in quel momento mi passa per la testa, a seconda dei miei alti e bassi. Prima mi metto i panni del peccatore e poi mi svesto e mi metto il mantello di Dio. È una buffonata: perché le bugie più grandi noi le diciamo a noi stessi. I propositi più grandi e buffoneschi sono quelli che facciamo e disfacciamo nell’intimo della nostra coscienza.
A questo punto è bene rifarsi alla catechesi del papa, Giovanni Paolo II, contenuta nell’esortazione apostolica “Reconciliatio et paenitentia” (1984), n. 31:
“La prima convinzione è che, per un cristiano, il sacramento della penitenza è la via ordinaria per ottenere il perdono e la remissione dei suoi peccati gravi commessi dopo il battesimo. Certo, il Salvatore e la sua azione salvifica non sono così legati ad un segno sacramentale, da non potere in qualsiasi tempo e settore della storia della salvezza operare al di fuori e al di sopra dei sacramenti. Ma alla scuola della fede noi apprendiamo che il medesimo Salvatore ha voluto e disposto che gli umili e preziosi sacramenti della fede siano ordinariamente i mezzi efficaci, per i quali passa e opera la sua potenza redentrice. Sarebbe dunque insensato, oltreché presuntuoso, voler prescindere arbitrariamente dagli strumenti di grazia e di salvezza che il Signore ha disposto e, nel caso specifico, pretendere di ricevere il perdono facendo a meno del sacramento, istituito da Cristo proprio per il perdono”.
Sintesi:
Abbiamo detto che:
il sacramento della confessione è stato istituito da Gesù Cristo
Gesù ha consegnato agli apostoli e successori la missione di riconciliazione che lui ha ricevuto dal Padre: la remissione dei peccati;
Che è certissimo – una certezza di fede – che quando io sono pentito dei miei peccati e vado dal sacerdote e il sacerdote mi assolve… è certissimo che io sono riconciliato;
. Che la confessione sacramentale è la via ordinaria per ottenere il perdono dei peccati gravi commessi dopo il battesimo.
Domanda: che differenza c’è tra peccato grave (mortale) e peccato veniale? Anche se non è sempre “facile, nella concretezza delle situazioni, operare nette delimitazioni di confini… la chiesa ha una sua dottrina in proposito e la riafferma nei suoi elementi essenziali”[1].
L’Apostolo Giovanni, nella sua prima Lettera (5,16 ss) parla di un peccato che conduce alla morte in contrapposizione di un peccato che non conduce alla morte. Ovviamente, qui, il concetto di morte è spirituale.
Secondo la dottrina della Chiesa il peccato grave o mortale è “quello che ha per oggetto una materia grave e che viene commesso con piena consapevolezza e deliberato consenso”.
Peccato mortale: “alcuni peccati, quanto alla loro materia, sono intrinsecamente gravi e mortali. Esistono, cioè, atti che per se stessi e in se stessi, indipendentemente dalle circostanze, sono sempre gravemente illeciti, in ragione del loro oggetto. Questi atti, se compiuti con sufficiente consapevolezza e libertà, sono sempre colpa grave”.
“Con tutta la tradizione della Chiesa noi chiamiamo peccato mortale questo atto, per il quale un uomo, con libertà e consapevolezza, rifiuta Dio, la sua legge, l’alleanza di amore che Dio gli propone, preferendo volgersi a se stesso, a qualche realtà creata e finita, a qualcosa di contrario al volere divino («conversio ad creaturam»). Il che può avvenire in modo diretto e formale, come nei peccati di idolatria, di apostasia, di ateismo; o in modo equivalente, come in tutte le disubbidienze ai comandamenti di Dio in materia grave. L’uomo sente che questa disubbidienza a Dio tronca il collegamento col suo principio vitale: è un peccato mortale, cioè un atto che offende gravemente Dio e finisce col rivolgersi contro l’uomo stesso con un’oscura e potente forza di distruzione” (Giovanni Paolo II, esortazione apostolica “Reconciliatio et paenitentia” (1984), n. 17).
Domanda: io confesso sempre i soliti peccati. Vale la pena continuare ad andare a confessarmi?
L’esperienza dice che l’efficacia di trasformazione e di salvezza di questa parola di assoluzione non è sempre visibile e verificabile. Molti cristiani vi hanno trovato per molto tempo un certo senso di sollievo e di pace, ma hanno l’impressione di non essere riusciti a fare un solo passo avanti nella lotta contro i loro peccati. Ogni volta confessano le stesse colpe. E alla fine si domandano se il gioco valga la candela, se la confessione sia una medicina in grado di guarire il peccato o non soltanto una droga capace di tranquillizzare momentaneamente la coscienza.
Così molti finiscono per abbandonare la lotta.
Il problema è molto serio. Se la parola di assoluzione concede veramente un perdono che non è solo un condono ma una trasformazione reale, perché allora restiamo sempre gli stessi? Perché chi si confessa non è (o non appare) sempre molto migliore di chi non lo fa?
Rispondiamo che la grazia del perdono non può fare violenza alla nostra libertà; non può operare la sua trasformazione vittoriosa se non nella misura in cui noi ci apriamo alla sua azione liberatrice. Ci sono poi dei casi in cui l’esecuzione materiale della confessione non è accompagnata da un sincero pentimento. Altre volte si sente il disagio del proprio peccato, ma non si vuole veramente abbandonare la sua schiavitù. Molte volte il pentimento ha tutta l’apparenza della sincerità, ma ci si sente impotenti davanti al dominio del peccato in noi, ci si sente malati di una malattia che la confessione non sembra capace di guarire.
La confessione è segno che combattoLa confessione serve soprattutto a garantire che la nostra lotta contro il peccato è seria e non illusoria e proprio per questo le nostre cadute sono meno colpevoli o non colpevoli. Essa è segno che noi siamo spiritualmente vivi, che combattiamo, che non ci rassegniamo alla schiavitù del peccato. E questa è in fondo la nostra vittoria. Se combattiamo siamo già, in un certo senso, vincitori. Se continuiamo a impegnarci è perché l’amore di Dio continua a operare in noi anche attraverso la grazia del sacramento.Al di là di tutte le mie sconfitte, anche umilianti, Dio mi tiene sempre saldamente nelle sue mani perché è mio Padre.
La grazia opera nel perdono
La grazia che ci perdona cambiandoci, non opera negli strati più superficiali della nostra personalità (ai livelli degli istinti, delle abitudini, della memoria, delle emozioni,…); per questo non possiamo sentirla, non possiamo verificarne la presenza e l’azione in maniera sperimentale. Essa opera nel più profondo della nostra libertà, dove siamo soli davanti a Dio e dove prendiamo le decisioni fondamentali della vita. È a partire da questo livello profondo della libertà che la grazia influisce, indirettamente, in tutti gli altri strati più superficiali della psiche. Su questi strati superficiali la nostra libertà esercita una padronanza solo parziale. Così le scelte particolari e il comportamento esterno della persona non nascono soltanto nelle sue intenzioni profonde, ma anche dai tanti condizionamenti (abitudini, pulsioni, istinti,… ) cui è soggetta. Ma deve essere chiaro che la persona è veramente responsabile solo di ciò che vuole con piena libertà. Per questo non tutti i comportamenti oggettivamente immorali di una persona sono sempre anche soggettivamente colpevoli. Non sempre ciò che è materialmente peccaminoso è peccato in senso totale e pieno, non sempre è un vero no della libertà a Dio; esso è solo il segno che la lotta contro il peccato, per quanto sincera e volenterosa, non ha ancora ottenuto il successo. Quasi mai si avrà la vittoria piena in questa vita: i nostri vizi moriranno tre giorni dopo di noi. Ma non per questo la confessione è stata inutile.
E ha effuso lo Spirito Santo per la remissione dei peccati…” (la dimensione pentecostale del perdono)
Il momento del perdono è una nuova pentecoste. È lo Spirito del Risorto che annulla il peccato e ridona la vita di Dio. All’inizio ci ha creati il soffio di Dio (Gen 2,7), ora ci ricrea il soffio (lo Spirito) del Risorto (Gv 20,22). Così prega la Chiesa: Venga, Signore, il tuo Spirito Santo e disponga i nostri cuori a celebrare degnamente i santi misteri, perché egli è la remissione di tutti i peccati (Sabato della VII sett. di Pasqua).
Ora ci chiediamo: quali sono gli elementi essenziali per fare una buona confessione?Sono quattro:
l’esame di coscienza che porta al pentimento;
l’accusa dei peccati;
l’assoluzione sacramentale;
la soddisfazione o penitenza.
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