L’origine della vita: l’insostituibile rapporto madre e bambino
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L’origine della vita: l’insostituibile rapporto madre e bambino (che l’utero in affitto non considera)
Uno dei problemi etici di maggior rilievo nella pratica della maternità surrogata (oltre che la negazione di una delle figure genitoriali maschili o femminili nel caso di relazioni omosessuali) è l’ombra del nuovo schiavismo nei confronti di donne che affittano il proprio utero per le condizioni di vita precarie. Ma se a “donare” un utero invece fosse una donna benestante?
Giulia Innocenzi ha creduto (bontà sua!) di aver fatto un “tana liberi tutti” affermando la disponibilità a prestare il suo utero in favore di amici omosessuali e non. La giornalista, forse, crede di aver sancito un principio di libertà (la propria) dai problemi etici e, soprattutto, economici. All’ex “santorina”
sfugge, da donna che però non è madre, quel rapporto profondo e vitale che si instaura fra la gestante e il bambino che custodisce nel suo grembo. La gran parte degli studi degli ultimi cinquant’anni, che hanno interessato campi differenti d’indagine quali la ginecologia, la psichiatria, la psicologia, hanno messo in luce i processi d’interazione madre-bambino in fase prenatale ponendo l’attenzione su una realtà più ricca e dinamica di quanto si potesse credere in passato.
Secondo la dott.ssa Miriam Lanotte, psicologa e psicoterapeuta, “le ricerche hanno dimostrato come tutto ciò che la madre vive viene percepito anche dal feto; il bambino già nel corso della gestazione evidenzia una grande sensibilità unita ad un elevato livello di competenze psicofisiologiche e neuropsicologiche, inimmaginabili in passato. Alla luce di ciò si può capire quanto possa influire e quanto sia fondamentale durante la gravidanza la relazione che si instaura tra la madre e il nascituro sul successivo sviluppo del temperamento e della salute psicofisica del bambino”.
Da queste evidenze è nata negli anni ’70 proprio una disciplina, la Psicologia Prenatale, tesa a mettere sotto esame scientifico proprio questa fase di sviluppo della vita in relazione con il periodo immediatamente post-natale. Lo studio vuole dimostrare che lo sviluppo e le capacità psicofisiche, comunicative, relazionali e psicologiche del feto hanno un imprinting proprio nella vita prenatale, in quanto l’utero materno non è un ambiente asettico e neutro, ma assolutamente ricco di stimoli di diversa natura per il bambino. È noto, ormai, che le comunicazioni e le interazioni fra madre e figlio nei primissimi anni di vita sono rese possibili proprio da quella “forma mentis” ricevuta dal bambino durante la vita intrauterina, cioè molto prima che egli sia capace di comunicazione verbale.
Nella maternità, infatti, accade immediatamente alla fecondazione qualcosa di unico. Il corpo della donna si modifica per accogliere la vita, per proteggerla e nutrirla lungo tutto il cammino che la porterà alla luce. Ma non solo, anche l’intero equilibrio psicofisico della donna cambia, mutando l’assetto ormonale, la respirazione e la circolazione sanguigna. Non si può quindi considerare questo rapporto come ininfluente per la buona crescita di ogni bambino, come non si può sottrarre ad una gestante il figlio appena partorito per soddisfare desideri di genitorialità, che seppur legittimi sul piano emotivo, risultano del tutto discutibili su quello etico.
Il contatto con il calore del corpo della madre con il bimbo appena nato, l’insostituibile valore energetico del latte materno, l’incredibile capacità del bambino di riconoscere non solo la voce della mamma, ma di instaurare con lei da subito un dialogo intersoggettivo, dovrebbero far riflettere sulla naturalità di tale evento, ma anche sul rischio di alterare un equilibrio che si radica all’origine della vita sulla terra.
Un legame che è inevitabilmente anche emotivo. Molto incide, difatti, sulla vita del bambino anche lo stato psichico ed emotivo con il quale la madre porta avanti tutta la gravidanza. Tra le ostetriche in Occidente è pratica comune oggi fare corsi di aggiornamento su come i bambini nascano, non in cliniche private ultra efficienti e ipertecnologiche, ma nelle zone più povere dell’Africa, a riprova che il parto e tutto ciò che ne consegue è un fatto naturale e come tale dovrebbe essere trattato.
Quindi se ne faccia una ragione la Innocenzi, prestando il suo utero potrebbe fare si un favore ad una coppia di amici omosessuali, ma non lo farebbe mai a quel bambino che l’avrà “riconosciuta” da subito come sua madre.
Matteo Carletti – Libertàepersona
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