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ll Vangelo nelle visioni della mistica M. Valtorta

27 Dicembre 2015 | Filed under: Rivelazioni private
     

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 Santa famiglia

Dal “Poema dell’Uomo Dio”

di Maria Valtorta

Santa Famiglia

Il Tempio in giorni di festa. Folla che entra ed esce dalle porte di cinta, che traversa cortili, atri e portici, che scompare in questa o quella costruzione sita nei diversi ripiani su cui è disseminato l’ag­glomerato del Tempio.

Entra anche, cantando sommessamente dei salmi, la comitiva della famiglia di Gesù. Tutti gli uomini prima, poi le donne. A loro si sono uniti anche altri, forse di Nazareth, forse amici di Gerusa­lemme. Non so.

Giuseppe si separa, dopo aver con tutti adorato l’Altissimo dal punto in cui, si capisce, gli uomini potevano farlo (le donne si sono fermate un ripiano più basso) e col Figlio riattraversa, retroceden­do, dei cortili, poi piega da una parte ed entra in una vasta stanza che ha l’aspetto di una sinagoga. Non so come mai. C’erano anche nel Tempio le sinagoghe? Parla con un levita e questo scompare dietro una tenda a righe per tornare poi con dei sacerdoti anziani, credo siano sacerdoti, certo sono maestri nella conoscenza della Legge e destinati perciò ad esaminare i fedeli.

Giuseppe presenta Gesù. Prima si sono ambedue profondamente inchinati ai dieci dottori, che si sono seduti dignitosamente su dei bassi sgabelli di legno. «Ecco», dice. «Questo è mio figlio. Da tre lune e dodici giorni è entrato nel tempo che la Legge destina per esser maggiorenni. Ma io voglio che lo sia secondo i precetti d’Israele. Vi prego osservare che per la sua complessione Egli mostra di es­sere uscito dalla puerizia e dall’età minore. E vi prego esaminarlo benignamente e giustamente per giudicare che quanto qui io, suo padre, asserisco è verità.

Io l’ho preparato per quest’ora e per que­sta sua dignità di figlio della Legge. Egli sa i precetti, le tradizioni, le decisioni, le consuetudini delle fimbrie e delle filatterie, sa recitare le preghiere e le benedizioni quotidiane. Può quindi, conoscendo la Legge in se stessa e nei suoi tre rami dell’Halascia, Midrasc e Aggada, condursi da uomo. Perciò io desidero esser liberato dalla responsabilità delle sue azioni e dei suoi peccati. D’ora in poi Egli sia soggetto ai precetti e sconti di suo le pene per i mancamenti verso di essi. Esaminatelo».

«Lo faremo. Vieni avanti, fanciullo. Il tuo nome?».

«Gesù di Giuseppe, di Nazareth».

«Nazareno… Sai dunque leggere?».

«Sì, rabbi. So leggere le parole scritte e quelle che sono chiuse nelle parole stesse».

«Come vorresti dire?».

«Voglio dire che comprendo anche il significato dell’allegoria o del simbolo che si cela sotto l’ap­parenza, così come la perla non appare ma è nella conchiglia brutta e serrata».

«Risposta non comune e molto saggia. Raramente si ode ciò su labbra adulte; in un bambino, poi, e nazareno per giunta!…».

L’attenzione dei dieci si è fatta sveglia. I loro occhi non perdono un istante di vista il bel fanciullo biondo che li guarda sicuro, senza spavalderia, ma senza paura.

«Tu fai onore al tuo maestro, che, per certo, era assai dotto».

«La Sapienza di Dio era raccolta nel suo cuore giusto».

«Ma udite! Te felice, padre di tal figlio!».

Giuseppe, che è in fondo alla sala, sorride e si inchina.

Danno a Gesù tre rotoli diversi, dicendo: «Leggi quello serrato da nastro d’oro».

Gesù apre il rotolo e legge. È il Decalogo. Ma, dopo le prime parole, un giudice gli leva il rotolo dicendo: «Prosegui a memoria».

Gesù lo dice così sicuro che pare che legga. Ogni volta che nomina il Signore si inchina profondamente.

«Chi ti ha insegnato ciò? Perché lo fai?».

«Perché santo è quel Nome e va pronunciato con segno interno ed esterno di rispetto. Al re, che è re per breve tempo, si inchinano i sudditi, e polvere egli è. Al Re dei re, all’altissimo Signore d’Israe­le, presente anche se non visibile che allo spirito, non si dovrà inchinare ogni creatura, che da Lui dipende con sudditanza eterna?».

«Bravo! Uomo, noi ti consigliamo di fare istruire il figlio tuo da Hillel o Gamaliele. È nazareno… ma le sue risposte fanno sperare da Esso un nuovo grande dottore».

«Il figlio è maggiorenne. Farà secondo il suo volere. Io, se sarà volere onesto, non lo contraste­rò».

«Fanciullo, ascolta. Hai detto: “Ricordati di santificare le feste. Ma non solo per te, ma per tuo figlio e figlia e servo e serva, ma persino per il giumento è detto di non fare, il sabato, lavoro”. Or dimmi, se una gallina depone un uovo in sabato od una pecora figlia, sarà lecito usare quel frutto del suo ventre, oppure sarà considerato obbrobrio?».

«So che molti rabbi, ultimo il vivente Sciammai, dicono che l’uovo deposto in sabato è contrario al precetto. Ma Io penso che altro è l’uomo e altro è l’animale o chi compie atto animale come è il par­torire. Se io obbligo il giumento a lavorare, io compio anche il suo peccato, perché Io mi impongo con la sferza a farlo lavorare. Ma se una gallina depone l’uovo maturatosi nella sua ovaia, o una pecora genera il figlio in sabato perché ormai maturo al nascere, no, che tale opera non è peccato, né peccato è, agli occhi di Dio, l’uovo e l’agnello in sabato deposti».

«Perché mai, se tutto ed ogni lavoro in sabato è peccato?».

«Perché il concepire e generare corrisponde al volere del Creatore ed è regolato da leggi da Lui da­te ad ogni creato. Or la gallina non fa che ubbidire a quella legge che dice che, dopo tante ore di for­mazione, l’uovo è completo e va deposto, e la pecora pure non fa che ubbidire a quelle leggi messe da Colui che tutto fece, il quale stabilì che due volte l’anno, quando ride primavera sui prati in fiore, e quando si spoglia il bosco delle sue fronde e gelo stringe il petto dell’uomo, le pecore andassero ai loro connubi per dar poi, all’opposto tempo, latte, carne e formaggi sostanziosi, nei mesi di più aspra fatica per le messi, o di più sofferente squallore per i geli.

Se dunque una pecora, giunto il suo tem­po, depone il suo nato, oh! questo ben può esser sacro anche all’altare, perché è frutto di ubbidienza al Creatore».

«Io non lo esaminerei oltre. La sua sapienza supera le adulte e stupisce».

«No. Si è detto capace di comprendere anche i simboli. Udiamolo».

«Prima dica un salmo, le benedizioni e le preghiere».

«Anche i precetti».

«Sì. Dì i midrasciot».

Gesù dice sicuro una litania di «non fare questo… non fare quello…». Se noi dovessimo avere an­cora tutte queste limitazioni, ribelli come siamo, le assicuro che non si salverebbe più nessuno…

«Basta. Apri il rotolo dal nastro verde».

Gesù apre e fa per leggere.

«Più avanti, più ancora».

Gesù ubbidisce.

«Basta. Leggi e spiega, se ti pare che ci sia simbolo».

«Nella Parola santa raramente manca. Siamo noi che non lo sappiamo vedere e applicare. Leggo: 4° libro dei Re, capo 22°, versetto 10: “Safan, scriba, continuando a riferire al re, disse: ‘Il sommo sacerdote Elcia m’ha dato un libro’. Avendolo Safan letto alla presenza del re, il re, udite le parole della Legge del Signore, si stracciò le vesti e poi diede…”».

«Vai oltre i nomi».

«“…quest’ordine: ‘Andate a consultare il Signore per me, per il popolo, per tutto Giuda, riguardo alle parole di questo libro che si è trovato, perché la grande ira di Dio s’è accesa contro di noi perché i padri nostri non ascoltarono le parole di questo libro, in modo da seguirne le prescrizioni’…”».

«Basta. Il fatto avviene molti secoli lontano da noi. Quale simbolo trovi in un fatto di cronaca an­tica?».

«Trovo che non vi è tempo per ciò che è eterno. E eterno è Dio e l’anima nostra, eterni i rapporti fra Dio e l’anima. Perciò, ciò che aveva provocato il castigo allora è la stessa cosa che provoca i ca­stighi ora, e uguali sono gli effetti della colpa».

«Cioè?».

«Israele più non sa la Sapienza, la quale viene da Dio. È a Lui, e non ai poveri uomini, che occor­re chiedere luce, e luce non si ha se non si ha giustizia e fedeltà a Dio. Perciò si pecca, e Dio, nella sua ira, punisce».

«Noi non sappiamo più? Ma che dici, fanciullo? E i 613 precetti?».

«I precetti sono, ma son parole. Li sappiamo ma non li mettiamo in pratica. Perciò non sappiamo. Il simbolo è questo: ogni uomo, in ogni tempo, ha bisogno di consultare il Signore per conoscerne il volere e ad esso attenersi per non attirarne l’ira».

«Il fanciullo è perfetto. Neppure il tranello della domanda insidiosa ha turbato la sua risposta. Sia condotto nella vera sinagoga».

Passano in una stanza più vasta e pomposa. Qui, per prima cosa, gli raccorciano i capelli. I riccio­loni vengono raccolti da Giuseppe. Poi gli stringono la veste rossa con una lunga cintura girata a più giri intorno alla vita, gli legano delle striscioline alla fronte, al braccio e al mantello. Le fissano con delle specie di borchie. Poi cantano salmi e Giuseppe loda con una lunga preghiera il Signore e invo­ca sul Figlio ogni bene.

La cerimonia ha termine. Gesù esce con Giuseppe. Tornano da dove erano venuti, si riuniscono ai parenti maschi, comperano e offrono un agnello; poi, con la vittima sgozzata, raggiungono le donne.

Maria bacia il suo Gesù. Pare sia degli anni che non Lo vede. Lo guarda, fatto più uomo nella veste e nei capelli, Lo carezza…

Escono e tutto finisce.


     

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