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Un’umanità da ricucire

8 Settembre 2015 | Filed under: Teologia
     

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UMANITA DA RIC L

La corporeità, il piacere e la sessualità sono da sempre temi affascinanti quanto enigmatici e indecifrabili: un paradosso tra materialità e immaterialità, continuità e cambiamento, individualità e socialità, autonomia e relazionalità, controllo e ribellione.

 Neppure le religioni, tutte, hanno potuto sottrarsi al fascino di questi temi, cercando nel corso della loro lunga storia di gestire le ambiguità del corporeo attraverso svariati riti, concetti e norme. In particolare, che la spiritualità occidentale sia stata largamente costruita a partire dalla negazione del piacere lo ha denunciato, fra gli altri, lo scrittore latinoamericano Octavio Paz, quando ha osservato che affermare la bontà del piacere è scandaloso in Occidente.

 A conferma, basterebbe prendere, plasticamente, gli ex voto, pieni d’immagini di ferite e lacerazioni, della spiritualità cattolica, ma anche un certo ascetismo esasperato e la disciplina del lavoro di una certa spiritualità protestante. Deformazioni collegate, più che a una mentalità autenticamente evangelica, a questioni di carattere filosofico, come vedremo.

 Per ragioni di spazio, mi limito qui a riflettere sul tema del piacere sessuale (non l’unico certamente, ma quello su cui, di fatto, più si discute), ringraziando l’amico padre Luca Zottoli, teologo morale, per gli abbondanti e stimolanti spunti fornitimi. È singolare quanto è avvenuto nella teologia e nella spiritualità della Chiesa cattolica al riguardo: come se il Vaticano II fosse tornato non tanto alle fonti ma alla fonte, al disegno stesso di Dio creatore e redentore di ogni cosa, pertanto anche della dimensione della sessualità.

 Il Primo Testamento, infatti, si era aperto con una novità assoluta dal punto di vista culturale, la messa in atto di un processo di secolarizzazione della sessualità. In un mondo in cui le culture circostanti erano portate a sacralizzare la sessualità, letta come elemento di contatto e di manipolazione del sacro, il duplice racconto della creazione (Gen 1,26-28; 2,18-24) porta già in sé in nucel’armonizzazione dell’aspetto procreativo e unitivo della sessualità.

 YHWH non è sessuato, non si accoppia come un dio pagano e non ha una compagna, essendo l’unico Signore. La sessualità emerge subito per la sua caratteristica umana e umanizzante, che conferisce al dimorfismo di uomo e donna la dignità di una creatura immagine e somiglianza di Dio, in cui relazione e fecondità sono grandezze coestensive.

 La considerazione della bontà di ogni realtà creata si cristallizza definitivamente nel mistero dell’incarnazione redentrice grazie alla quale Dio, facendosi carne, conferisce alla dimensione della corporeità il valore straordinario di un tempio non destinato a perire ma a risorgere con Cristo, asceso in cielo e presente nell’eucaristia con il suo vero corpo (Gv 2,13-22).

 È, pertanto, difficile immaginare una teologia che valorizzi in modo così forte la dimensione della corporeità e quindi tutto ciò che la riguarda, come la dimensione della sessualità e del piacere a essa connesso: con conseguenze non di poco conto, dato che la teologia cattolica attribuisce anche al semplice matrimonio naturale una valenza in qualche modo sacramentale.

 Date le premesse, è logico chiedersi come mai la Chiesa cattolica abbia spesso intrattenuto un rapporto conflittuale con la dimensione della sessualità. La storia ce la mostra, infatti, costantemente alle prese con un processo di risacralizzazione della sessualità. Il Vaticano II ha avuto il pregio di rimettere al centro dell’attenzione il mistero dell’incarnazione del Verbo, e in tal modo è diventato più naturale e persino ovvio riscoprire la valenza salvifica e umanizzante della sessualità.

 Occorre dunque fare un passo indietro, per isolare quei cortocircuiti teologici che hanno condotto la vita spirituale a entrare in una sorta di competizione con la vita corporale, come se si trattasse di due contendenti impegnati in una lotta senza quartiere. Partendo dall’Editto di tolleranza con il quale Costantino permise a ogni cittadino romano di celebrare il proprio culto (313): da allora, concretamente, il cristianesimo da religione perseguitata divenne prima tollerata e poi consacrata a religione di stato.

 Un passaggio che ha comportato la fine del martirio come confessione della fede, favorendo nella Chiesa la nascita di una nuova forma di vita ascetica: la verginità intesa come martirio bianco. Senza sottovalutare l’influenza che la filosofia greca ha avuto nel formarsi della teologia: nello specifico, la dottrina neoplatonica che considerava con sospetto ciò che era inferiore (il corpo inteso come carcere) rispetto a ciò che era superiore (l’anima intesa come forza che doveva liberarsi dalle pulsioni della carne).

 In tale contesto anche lo stoicismo si trovò a giocare un ruolo decisivo, fornendo alla vita cristiana gli strumenti concettuali che permisero di vivere l’ascesi come vera e propria lotta contro la carne e i suoi piaceri. In ultima istanza, le tendenze encratiche hanno irrobustito la predisposizione gnostica a considerare in modo dualistico il rapporto tra anima e corpo, filosofia di vita tuttavia estranea alla mentalità biblico-semitica che era, invece, profondamente unitaria.

 Finalmente, il Vaticano II ha ricomposto tali tendenze dualistiche a partire dal disegno di Dio che trascende ogni cultura: portando alla sua logica conseguenza l’intuizione che ciò che è autenticamente umano è autenticamente cristiano e viceversa. Per i cristiani, direi, è oggi doveroso smascherare il retroterra dei pregiudizi di cui siamo stati portatori insani, analizzando le rimozioni e leggendo i segni dei tempi senza pessimismo (così poco cristiano e poco evangelico!).

 Per concludere, una suggestione. Nella Lettera a un giovane cattolico (1961), lo scrittore tedesco Heinrich Böll prendeva spunto dalCantico dei cantici per sollecitare una teologia della tenerezza, ritenuta assente nel cristianesimo odierno: «Ciò che fino a oggi è mancato ai messaggeri del cristianesimo di ogni provenienza è la tenerezza: tenerezza verbale, erotica, sì, persino teologica», faceva dire al giovane.

 Ma Böll gli rispondeva: «Non è vero che i messaggeri del cristianesimo non abbiano mai avuto tenerezza: il Cantico è stato pure letto nella Chiesa e, accanto a Benedetto, a Francesco, a Giovanni della Croce, ci sono state Scolastica, Chiara, Agnese, Teresa». Fortunatamente.

Brunetto Salvarani – Mess.Cappuccino


     

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