Una compassione che fa la differenza
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II Vangelo ci mette in guardia: se ami Dio devi cercare di amare il tuo prossimo con il cuore di Dio. È il senso della Parabola del Buon Samaritano. Tutti e tre i protagonisti “vedono”, ritorna sempre il verbo “lo vide”, tutti e tre si rendono conto di come stanno le cose. Ma non basta sapere. Il Samaritano, che dal punto di vista della razza era un irregolare, ne ebbe compassione, si commosse, fu toccato fino alle viscere, nel profondo dell’anima.
La differenza sta qui, si sente coinvolto, anzi si potrebbe tradurre “sconvolto”, e quello che immediatamente segue è: si fece vicino, si fece prossimo. Il sacerdote e il levita non fanno quel passo, non si sentono coinvolti, né tanto meno sconvolti. Non penso fossero “mostri di cattiveria”, semplicemente hanno avuto paura, la cosa migliore era arrivare in città, forse non sapevano dache parte cominciare a dare aiuto.
C’è un sacco di gente che vede, e vede anche bene, fa diagnosi accurate, precise. Però non si muove, non si “commuove”. Questo è il verbo che fa la differenza. Ed è un verbo che il Vangelo usa spesso riferito a Gesù. Nell’episodio del figlio della vedova di Nain, dei lebbrosi, dei ciechi che pregano con insistenza, dice: «Gesù, mosso a compassione». Così, nei confronti della gente, della folla, «sento compassione di questa gente perché non hanno da mangiare».
Ne sentì compassione perché erano come pecore senza pastore: sta lì la differenza, il resto viene di conseguenza. Farsi vicino, farsi prossimo, fasciare le ferite, farsene carico. C’è l’aspetto di solidarietà sociale, d’impegno civile, ma c’è soprattutto il Signore Gesù, il suo esempio, il dono del suo Spirito d’amore. Davvero bisogna crederci. “Beata colei che ha creduto”.
+ Giuseppe Guerrini
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