Un cimitero per ricordare che la vita ha valore
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Il Comune di Roma ha deciso di dare sepoltura ai bambini non nati, a quei bambini cioè che vengono uccisi nel grembo materno. Sono esseri umani come gli altri, hanno tutte le potenzialità per crescere.
Non sono per nulla diversi da quelli che i genitori seguono con trepidazione durante la gravidanza. L’unica differenza è che questi bambini non sono desiderati, sono percepiti come un ostacolo, come un peso. Di qui la decisione di interrompere il loro viaggio della vita. La cosa avviene in modo brutale, diciamolo pure, l’aborto è un intervento chimico o chirurgico che annienta la piccola creatura. Ciò che resta di questi bambini viene poi avvolto in un pacchetto di cellophane e smaltito come rifiuto speciale. I bambini scompaiono nel nulla. Come se non fossero mai esistiti. I resti vengono bruciati.
C’è un accanimento che fa pensare al tentativo di cancellare ogni traccia. Come altri regimi hanno fatto in tempi non troppo lontani. La decisione municipale di istituire un cimitero per i bambini non nati, non cambia la sorte di questi bambini è un piccolo un segno di civiltà. In fondo la sepoltura è stata sempre percepita come un gesto di umanità, anche nei confronti del nemico. Quel cimitero ricorda che quei bambini appartengono alla famiglia umana. Li abbiamo rifiutati, in nome della libertà, far finta che non siano mai esistiti. Anche se nessuna anagrafe registra il loro nome.
L’iniziativa ha trovato subito una decisa opposizione in alcuni settori culturali e politici. Radicali in testa, i quali lamentano che la disposizione municipale tratta i “feti come fossero esseri umani”. Ma subito dopo aggiungono: “È una inaccettabile violenza nei confronti delle donne: che, quando sono costrette ad interrompere la gravidanza già vivono una situazione traumatica e di solitudine, senza che ci sia alcuna necessità di ulteriori colpevolizzazioni”. Ma se non sono esseri umani per quale motivo l’aborto rappresenta una scelta traumatica?
Il cimitero per i bambini non nati è solo un piccolo passo. Tanti altri dovrebbero essere fatti per costruire una civiltà della vita. Iniziamo a spezzare il silenzio che circonda l’aborto: in Italia, ogni giorno, stando agli ultimi dati, 450 bambini vengono eliminati. E parliamo solo degli aborti legali. Cosa facciamo per impedire questa strage? Cosa possiamo fare per aiutare una mamma a custodire la vita che porta in grembo? Perché mai, tra i tanti canali di volontariato, quello che si dedica alla vita nascente è l’unico a non ricevere alcuna forma di aiuto da parte della struttura pubblica?
Queste domande, dobbiamo riconoscerlo, non appartengono ancora al dibattito pubblico, la difesa della vita nascente è presentata ancora come una crociata ideologica e non come un gesto di amore nei confronti di quelli che Madre Teresa chiamava “i più poveri dei poveri”. A volte anche negli ambienti ecclesiali s’insinua l’idea che l’aborto è una scelta inevitabile.
Non mi pare che nei programmi della Caritas Italiana – che da quarant’anni rappresenta un’icona della lotta ad ogni forma di povertà – ci sia un paragrafo dedicato ai bambini non ancora nati o specifiche iniziative di sostegno a questa forma di volontariato. Se queste domande iniziano a fermentare nella coscienza individuale e collettiva, se alimentano una riflessione e una comune assunzione di responsabilità, solo allora possiamo sperare di attuare una politica sociale che fa dell’accoglienza della vita il suo principio cardine. Nessuno potrà togliere questa speranza.
Silvio Longobardi
comunicazione@puntofamiglia.net
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