Tridio Pasquale – Venerdì Santo
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Il Venerdì Santo
Celebriamo la morte redentrice di Cristo sulla croce. Il fatto che oggi non vi sia l’eucaristia ha una ragione teologica: la Cena del Signore è memoriale della risurrezione di Gesù dai morti, mentre oggi la Chiesa si sofferma nella meditazione sulla fine tragica e sofferente del suo Signore. La liturgia è molto austera, ma non giunge a quei sentimenti di cordoglio disperato quasi non vi fosse la certezza del superamento vittorioso della morte. Letture bibliche e inni contengono parole prò/etiche e vibrazioni di speranza.
Anche se sappiamo che ormai il Cristo è nella gloria, il fatto di celebrare la sua morte avviene con serietà, sia perché essa è avvenuta in un momento storico preciso, che ha segnato il massimo della iniquità e insieme il vertice dell’amore, sia perché quella vicenda si ripete nella vita di ciascuno di noi. Ma come una morte può essere oggetto di celebrazione? Se essa fosse solo la fine biologica, magari inflitta violentemente e subita passivamente per ingiusta condanna, sarebbe una «cosa». Si celebra solo un evento che ha una persona protagonista cosciente, libera, responsabile, e nel quale si manifesta la potenza misericordiosa di Dio e si rivela il suo progetto salvifico.
I vangeli sinottici collegano la morte di Gesù con le scelte da lui fatte nel deserto — significativamente riproposte alla Chiesa all’inizio del cammino quaresimale — e che si riassumono nella sua fedeltà alla volontà del Padre. Divenute gesti e parole, queste scelte sfidano il mondo dell’egoismo e della presunzione, del dominio e della sopraffazione; questo mondo si sente minacciato da questo uomo che afferma un Dio totalmente diverso da quello costruito per conservare i privilegi costituiti, e reagisce nel modo che gli è congeniale: reprime e uccide, perché non può corrompere e asservire.
Gesù muore condannato come bestemmiatore e sovversivo: lui, l’uomo in cui non è peccato, il predicatore della fraternità e della pace. Egli lo sa, e accetta, anche, se potrebbe evitarlo. Solo questa è la vita delta vera obbe-dienza a Dio e dell’autentico servizio all’uomo, che smaschera tutte le mistificazioni che sfigurano il volto divino nell’uomo e avvelenano i rapporti sociali. A noi sembra assurdo, ma in questa morte di Cristo si compie già la vittoria di Dio. In Giovanni la gloria di Dio splende sul volto del crocifisso.
In lui acquista senso ogni sforzo umano di fedeltà al bene e all’amore, ogni lotta contro l’egoismo e l’ingiustizia, ogni sofferenza e morte accettate perché l’altro viva; ma anche riceve riconoscimento e valore ogni sacrificio nascosto, ogni dolore subito con bontà, ogni pianto che sembra non avere consolazione, ogni morte…
Gesù è morto così perché in un mondo di peccato il giusto non poteva avere altra fine; ma nella sua morte il peccato è stato vinto e dalla croce viene la speranza di una umanità riconciliata e giusta. Finché il peccato resta, per questo ideale vi saranno altre morti come la sua.
d. Luigi della Torre
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