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Testimoni di speranza – Philipp

8 Agosto 2014 | Filed under: Dipendenze
     

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Philipp8

Veramente grandi sono le opere dei Signore! Mi ri­cordo quando ho letto il primo “Risurrezione” e mi sono detto: «Non ci credo! Io mi sento un ca­davere e questi qua mi sorridono dalle pagine e raccontano come Gesù ha cambiato la loro vita!». Come li invidiavo! Ed eccomi qui oggi, Philipp dall’Austria, figlio felice della Comunità Cenacolo in cammino verso la luce. Da bambino ero abbastanza viva­ce e gioioso, almeno finché non ho iniziato a capire che c’era qual­cosa che non andava nella mia famiglia.

 Ero molto legato a mio fratello maggiore e a mia sorel­la, ma anche loro non potevano spiegarmi perché i nostri genitori litigavano sempre. Facevamo an­che delle cose belle insieme, però sapevo sempre che dopo la gioia e l’unità seguivano, prima o poi, la rabbia, il gridarsi contro e le ac­cuse. Mio fratello non ce la faceva più e se n’è andato e poco dopo ho dovuto lasciare casa anch’io, con mia mamma e mia sorella.

Avevo cinque anni quando i miei genitori hanno divorziato, e direi che lì sono iniziate le ferite che mi avrebbero portato poi alla droga. Ho cominciato a non essere più vero con gli al­tri, ho fatto fin­ta di niente per non far pesare la mia sofferen­za a mia mam­ma che tribo­lava già abba­stanza. A scuola e con gli amici dicevo tante bugie per ma­scherare quello che vivevo ve­ramente perché mi vergogna­vo. Quando mia madre si è sposata di nuo­vo, non sono riuscito ad ac­cettare il mio patrigno come nuovo papà.

Ru­bavo i suoi soldi per comprare giocattoli e dolci per i miei amici. Tutti loro avevano delle storie si­mili alla mia e questo ci ha forse uniti. Fumavo a undici anni e all’età di quattordici bevevo quo­tidianamente e, così, è arrivato il giorno in cui non ho più detto di “no” alla droga ed ho fumato il mio primo spinello. Negli anni se­guenti ho fatto tutte le esperienze di male che potevo.

Lo facevano tutti e desideravo talmente tanto scappare dalla mia tristezza, che preferivo muovermi in quel mon­do finto di “party” e avventura, dove ci illudevamo di essere tutti una famiglia senza problemi, una famiglia in realtà di disperati. So­no andato alla scuola alberghiera, per cui giravo l’Europa lavoran­do nei ristoranti e bar, circondato dall’alcool e dalla droga, guada­gnando tanti soldi e spendendone ancora di più.

Però un bel giorno mi sono risvegliato dal sonno del male, e mi sono ritrovato schiavo, in carenza, senza poter più fare a meno della droga per vivere. La mia “finta famiglia” era finita, se n’erano andati tutti, uno per uno. I debiti mi schiacciavano ed ero schiavo dell’eroina. Avevo perso la ragazza, il lavoro, la mac­china e tutte le cose materiali che mi facevano sentire “re del mio impero”.

Sono rimasto solo. Se­guirono anni di terapie, cure, psi­chiatri, psicologi, cadute e ricadu­te. Dovevo smettere, però dentro di me non volevo perché la droga era l’unica cosa che sembrava da­re sicurezza e consolazione al mio mondo interiore vuoto, distrutto e abbandonato.

Desideravo così fortemente vincere questa soli­tudine interiore che sceglievo di morire piuttosto che continuare a soffrire una vita senza senso, sen­za speranza. Dopo essere stato arrestato e portato in psichiatria, un giorno mia mamma mi ha visi­tato per parlarmi della Comunità. Non avevo più niente da perdere, così sono andato ad incontrare i ragazzi di Madre Elvira.

Dopo il primo colloquio mi sono messo a piangere: ero quasi morto, non sapevo più cosa fare e nel mo­mento più disperato della mia vita ho conosciuto qualcuno che mi ascoltava, mi capiva, mi sorrideva e mi diceva: «Non ti preoccupare, ce la farai anche tu!».

L’inizio del mio cammino non è stato facile per niente. Né per me e ancora di meno per i miei “an­geli custodi”, i ragazzi che si sono presi cura di me, e che ho fatto tribolare tanto con il mio orgoglio ed i miei atteggiamenti sbagliati. Nonostante tutte le mie povertà mi volevano bene, mi insegnava­no a vivere, e anche a pregare.

Nel rapporto con Dio ho capito che non dovevo più far vede­re agli altri ciò che non ero. Non era importante chi credevo di es­sere o ciò che gli altri pensavano di me, ma chi ero davvero. Quel Dio che mi ha creato, mi conosce­va e mi amava sin dall’inizio, così come ero. Nella semplicità della quotidiana ho capito che ba­sta poco per essere felice.

Mi dava consolazione sapere che non ero più solo ad affrontare le difficoltà della vita, ma che altri faticava­no e lottavano ogni giorno come me, per lasciarsi aiutare e cam­minare. Ho riscoperto il dono del lavoro fatto bene, il cucinare un buon piatto da mangiare assieme alla mia nuova famiglia, una par­tita di calcio giocata nell’amicizia.

Ho ritrovato quelle gioie vissute da bambino. Ho realizzato che i valori importanti della vita non si possono comprare con i soldi, che nel sacrificarsi per il bene, nel donare un sorriso, un abbrac­cio, nel dare amicizia sincera a un fratello in difficoltà trovo più gioia che in qualunque cosa ma­teriale: più ne dai di amore, più ti ritorna in gioia. Che bella storia!

Nell’amicizia con Gesù ho trova­to tutto quello che mi aspettavo sempre da un amico. Lui c’è, mi ama e non mi abbandonerà mai, e questo mi da una pace mai vis­suta. Oggi sono un ragazzo felice perché tramite il Cenacolo la mia vita è ricominciata nel bene, ho la speranza nel cuore e credo for­temente che Dio ha un progetto fantastico anche per me.

Philipp

Comunità Cenacolo


     

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Fa' che la nostra vita,
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specialmente nelle loro difficoltà.
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come il suo e possa aiutarci
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come Dio perdona le nostre.
Aiutaci, o Padre buono,
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