Testimoni di Geova – Lezione 132
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Geenna e lago di fuoco
Seconda serie di errori
1 – L’errore:
I tdG sono del parere che i morti non possono soffrire. Dopo la morte infatti “non sono consci di nulla” (cf. Qoélet 9, 5). Inoltre nel giorno della morte “periscono i pensieri dell’uomo” (cf. Salmo 146, 4).
La verità:
Nell’uno e nell’altro testo sfruttato dai tdG non si parla assolutamente dell’inferno, se cioè l’uomo dopo la morte possa o non possa soffrire. Il pensiero sia di Qoélet sia del Salmista è che dopo la morte l’uomo in genere e in specie l’uomo potente o prepotente non possono fare nulla di ciò che avviene in questa vita.
2 – L’errore:
La Bibbia dice che anche i buoni vanno all’inferno. Come prova i tdG citano il caso di Giobbe (14, 13) e quello di Gesù (Atti 2, 25-27).
La verità:
Nell’uno e nell’altro testo non si tratta dell’inferno propriamente detto o Geenna, anche se qualche versione rende Giobbe 14, 13 e Atti 2, 25-27 con la parola inferno. Sia in Giobbe che in Atti si parla di Sceol o Ade, che non è la Geenna. Il significato è che Giobbe, nella sua sofferenza, vorrebbe essere lontano, nascosto nello Sceol, per non essere colpito dal dolore, “finché non passi la tua (= di Dio) ira” (Garofalo). Il testo di Atti 2, 25-27 l’abbiamo già spiegato (cf. p. 38).
3 – L’errore:
I geovisti si domandano perché c’è confusione su ciò che la Bibbia dice riguardo all’inferno. La colpa sarebbe dei traduttori della falsa religione, che hanno usati i termini delle lingue originali senza coerenza.
La verità:
Consigliamo le persone oneste, che cercano la verità sinceramente, di esaminare i singoli termini (Sceol, Ades, Geenna, Inferi, Inferno ecc.) usati dai traduttori e accertarsi se essi corrispondono o mene ai termini originali, al concetto cioè che i termini originali vogliono esprimere. Da questa analisi onesta e oggettiva troverà che solo i tdG nella lore unica traduzione della Bibbia e nell’uso che fanne di quei termini, hanno creato e creano volutamente confusione per inoculare astutamente i loro errori.
4 – L’errore:
A parere dei geovisti, non vi è punizione eterna perché la Bibbia parla solo e sempre di stroncamento, cioè distruzione assoluta dell’uomo dopo la morte. Come prova, citano Matteo 25, 26; 2 Tessalonicesi 1, 9; Giuda 7.
La verità:
a) In Matteo 25, 46 il testo greco ha kòlasis, che significa fondamentalmente diramatura, potatura, come quando sono tagliati i rami di un albero; e significa anche correzione, castigo, pena. Non è perciò questione di stroncare o distruggere in senso assoluto, ma di privare qualcuno di qualcosa. L’albero potato è privato dei rami, ma non è distrutto. Continua a vivere. Su questa base linguistica, nessun traduttore rende kòlasis con la parola stroncamento, ma con supplizio (Garofalo, CEI), punizione (Luzzi; Interconfessionale), eccetto naturalmente i tdG e i loro degni associati (p. e. l’Emphatic Diaglott).
b) Parimenti in 2 Tessalonicesi 1, 9 il termine originale greco è òlethros, imparentato con òllumi (= rovinare). Perciò il significato basilare di òlethros è rovina e vuol dire che coloro i quali si sono rifiutati di obbedire al Vangelo, saranno puniti con una rovina eterna .
c) In Giuda 7 si legge che “Sodoma e Gomorra e le città vicine (… ). stanno là come esempio, subendo il castigo di un fuoco eterno” (Garofalo).
Il senso è che quelle città rase al suolo per sempre assieme ai loro abitanti erano un monito perenne e un esempio della punizione che Dio poteva infliggere ai peccatori del tempo in cui Giuda scriveva. Identico significato in Luca 17, 29.
Non possiamo, comunque, escludere che Giuda, autore ispirato, poteva avere in mente qualche altro castigo al di là del fatto storico e della morte perché poco prima (verso 6) aveva illustrato il suo pensiero con un altro esempio, quello degli angeli che non hanno mantenuto la loro dignità e perciò furono messi sotto custodia nel regno delle tenebre, avvinti in catene eterne.
5 – L’errore:
Per i malvagi non esisterebbe una punizione eterna perché “il salario che il peccato paga è la morte” (Romani 6, 23), e anche perché “colui che è morto è stato assolto dal suo peccato” (Romani 6, 7).
La verità:
a) La morte di cui parla Paolo (Rom. 6, 23), non è la distruzione o stroncamento eterno. E’ la morte spirituale, la inimicizia con Dio, la rovina dell’uomo che pecca, in contrapposizione alla vita nuova o prima resurrezione, che è data all’uomo che ubbidisce al Vangelo (cfr. Apocalisse 20, 5). Questa morte spirituale ha come conseguenza la esclusione dal Regno di Dio.
b) Parimenti in Romani 6, 7 l’apostolo non parla di morte fisica, ossia della fine della vita terrena. Il suo pensiero è che col battesimo “siamo diventati un essere solo con Cristo nella somiglianza della sua morte” (Romani 6, 5). In altre parole, il battesimo ci fa morire al peccato, ci affranca o ci assolve dai peccati commessi fino ad allora. Ma la vita fisica continua con la possibilità di peccare ancora. Tant’è vero che san Paolo poco dopo esorta i battezzati a non peccare più: “Il peccato, dunque, non regni più nel vostro corpo mortale” (Romani 6, 12).
Se fosse vera la spiegazione dei tdG, ne seguirebbe che al punto di morte il giusto si troverebbe nelle stesse condizioni del peccatore; il discepolo fedele di Gesù Cristo, al punto di morte, non avrebbe nessun vantaggio riguardo al criminale, perché la morte libera, assolve dal peccato. La spiegazione geovista è aberrante!
Padre Nicola Tornese s.j.
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