Sulla Liturgia
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«Il Maestro delle celebrazioni deve favorire lo splendore della bellezza in tutta la liturgia: negli spazi, negli ambienti, ma soprattutto in quel “tempio vivente di Dio” che sono le persone.
La bellezza nella liturgia riguarda, inoltre, i sensi: la vista, l’udito, l’olfatto, il tatto. Ha quindi bisogno della musica, del canto, della luce, dei fiori, dei colori e della coreografia; ha bisogno degli elementi del creato, come il vino, l’acqua, il pane, il sale, il fuoco, la cenere, ecc. Di conseguenza, è necessaria una particolare attenzione alla qualità dei segni: si pensi al segno dell’assemblea appena accennato e al segno della parola di Dio, al luogo della celebrazione e alle suppellettili.
Il Maestro deve, dunque, essere esperto in liturgia e preoccuparsi “che siano osservate le varie leggi delle celebrazioni” (CE 34). Ma l’esecuzione rituale delle rubriche può non essere sufficiente perché le leggi siano osservate “secondo il loro vero spirito” (CE 34). Nel preparare e dirigere la celebrazione il Maestro deve in qualche modo fare anche opera di mistagogo, deve saper introdurre nel mistero. Ciò significa che egli per primo deve aver conosciuto e penetrato il mistero che la liturgia celebra.»
(Piero Marini, Il Caeremoniale e il Maestro delle celebrazioni)
«… la pianeta o casula è ornata di ricami, che compongono in genere sul davanti una larga croce che passando sulle spalle percorre tutta la parte posteriore. Così si ricorda che la messa è il santo sacrificio di Cristo nel quale il sacerdote aiuta a portare la croce; questo è il giogo da portare, di cui parla la preghiera tradizionale mentre la si indossa, che tuttavia è soave e leggero secondo le parole di Gesù. Come si fa a ritenerla opzionale e a rifiutarla quando fa caldo?!?! Sembra di udire le parole di Cristo: “Non avete potuto… nemmeno un’ora!”.»
(Nicola Bux, Come andare a Messa e non perdere la fede)
«Nell’incedere all’altare, il sacerdote deve essere umile, non ostentato, senza indulgere nello sguardo a destra e a manca, quasi a cercare l’applauso. Invece, deve guardare a Gesù Cristo crocifisso e presente nel tabernacolo: a Lui si fa l’inchino e la genuflessione; poi alle immagini sacre esposte nell’abside dietro o ai lati dell’altare, la Vergine, il santo titolare, gli altri santi. Sono lì per essere contemplate o solo per decorare? È in sintesi la presenza divina.
Segue il bacio riverente dell’altare ed eventualmente l’incensazione; il secondo atto è il segno di croce e il saluto sobrio ai fedeli; il terzo è l’atto penitenziale, da compiere profondamente e con gli occhi bassi, mentre i fedeli potrebbero inginocchiarsi – perché no? – come nella forma straordinaria, imitando il pubblicano gradito al Signore.
Il sacerdote celebrante non alzerà la voce e manterrà un tono chiaro per l’omelia ma sommesso e supplice per le preghiere, solenne se in canto. Si preparerà inchinato “in spirito di umiltà e con animo contrito” alla preghiera eucaristica o anafora: è la supplica per definizione e va recitata in modo che la voce corrisponda al genere del testo (cf. OGMR 38); il celebrante potrebbe pronunziare con tono più alto le parole iniziali dei singoli paragrafi, e recitare il resto in tono sommesso per permettere ai fedeli di seguire e raccogliersi nell’intimo del cuore. Toccherà i santi doni con stupore, e purificherà i vasi sacri con calma e attenzione, secondo il richiamo di tanti padri e santi. Si inchinerà sul pane e sul calice nel pronunziare le parole di Cristo consacrante e nell’invocazione allo Spirito Santo (epiclesi). Li eleverà separatamente fissando in essi lo sguardo in adorazione e poi abbassandolo in meditazione. Si inginocchierà due volte in adorazione solenne. Continuerà con raccoglimento e tono orante l’anafora fino alla dossologia, elevando i santi doni in offerta al Padre. Il Padre nostro lo reciterà con le mani alzate e non tenendo per mano altri, perché ciò è proprio del rito della pace; il sacerdote non lascerà il Sacramento sull’altare per dare la pace fuori del presbiterio, invece frazionerà l’Ostia in modo solenne e visibile, quindi genufletterà davanti all’Eucaristia e pregherà in silenzio chiedendo ancora di essere liberato da ogni indegnità per non mangiare e bere la propria condanna e di essere custodito per la vita eterna dal santo Corpo e prezioso Sangue di Cristo; poi presenterà ai fedeli l’Ostia per la comunione, supplicando “Domine non sum dignus”, e inchinato si comunicherà per primo.
Così sarà di esempio ai fedeli.»
Mons. P. Marini (Ufficio Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice)
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