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Storia di una vocazione

24 Marzo 2012 | Filed under: Clero, Vocazioni
     

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Don Giovanni Bertocchi (don Giò), nato ad Alzano Lombardo (Bergamasca), va a vivere a Clusone (Bergamo). A 14 anni entra in seminario a Bergamo dove consegue la maturità classica. Nel 200 consegue il baccellierato in teologia e il 3 giugno dello stesso anno viene ordinato sacerdote. Pochi mesi dopo viene destinato alla Parrocchia di Verdello (Bergamo), come direttore dell’oratorio. Il 30 aprile 2004, mentre festeggiava con i suoi ragazzi, cade da un’impalcatura e muore. Lascia un ricordo vivo nel cuore di tutti coloro che lo hanno conosciuto.
II diario spirituale di don Giò, raccolto in alcune agen­de scolastiche e in alcuni quadernetti, abbraccia un periodo di quindici anni: dal tempo del Seminano che si conclude con l’ordinazione sacerdotale il 3 giugno 2000, alla morte nella pa­lestra dell’Oratorio San Giovanni Bosco di Verdello il 30 apri­le 2004. Contiene riflessioni scritte con una grafia minuta, che si trovano insieme ad appunti di scuola, disegni e note musi­cali, impegni da ricordare.
eccomi signore
Discernimento vocazionale – L’ingresso in Seminario segna «l’inizio di una nuova bel­lissima esperienza» animata dalla speranza di «poter prose­guire questo cammino, magari riuscire a diventare sacerdote». Don Giò vive l’esperienza del discernimento vocazionale av­viato in parrocchia con il suo curato, da protagonista, offren­do agli educatori la propria personale e cordiale collaborazio­ne.
«Con lo sguardo al Crocifisso o al Tabernacolo» intrapren­de la fatica e la gioia della ricerca di essere se stesso secondo il sogno di Dio, traguardo che si rivela sempre più in là dei risul­tati raggiunti e lo impegna, sempre di nuovo, con lucidità e ge­nerosità, a un lavoro di scavo, per riportare in superficie la ve­na d’acqua della vocazione, che l’abitudine nasconde, come in un fiume carsico. In occasione di ritiri e di incontri di preghie­ra, la vocazione riemerge, arricchita da esperienze, riflessioni, da una più matura conoscenza di sé e da una crescente capaci­tà di gestire sentimenti ed emozioni. «Spesso — scrive a 15 an­ni — mi ritrovo a pensare che io sono un sogno di Dio.
Io ve­do Dio che sogna la nostra storia…». Non si lascia però illude­re dalle apparenze e da facili adulazioni: «… gli altri mi consi­derano chissà cosa… lo, nei miei poveri panni sporchi, sono da molti visto quasi come in veste bianca… Tanti mi dicono che sono maturo, che attiro la simpatia della gente, che c’è bisogno di me, che posso fare tanto. Ma io mi accorgo poche vol­te di queste mie qualità… E allora: ci sono veramente o è so­lo pia illusione? O, molto peggio, sono io che non le uso, e ho paura di sporcarmi le mani?» (28 ottobre 1990).
La continua ricerca di essere se stesso in autenticità, l’im­pegno a guardarsi con lucidità e a interrogarsi frequentemente, la capacità di saper riconoscere la preziosità, ma anche la fra­gilità della propria umanità, lo rendono progressivamente con­sapevole che solo nell’accettazione di tutta la propria umanità nella sua concretezza affettiva, nei suoi desideri e nelle sue pau­re, si può realizzare la completa dedizione di sé a Dio. Senza co­noscenza e accettazione di sé, con i propri doni e le qualità di natura e cultura, i propri limiti e le proprie ferite, le oscurità e i lampi di luce, non si diviene persone autentiche e non si ma­tura una vera e sicura vocazione.
Questo discernimento comporta dura e faticosa lotta spi­rituale: «Già, sei così… Ed è proprio partendo da qui che de­vi costruire la tua vita: non puoi pretendere di essere nessun altro se non te stesso. E da te stesso puoi, vuoi, devi esigere il meglio. Devi far sì che quella forza che senti dentro esploda, anche se adesso non la senti: tu sai che c’è.
Giò, sei tu che ora non riesci ad ascoltarla, ma il tuo cuo­re sa che c’è, perché altre volte l’ha percepita, ha battuto lì… Risveglia quel Cristo Crocifisso che porti dentro, impresso nel profondo della tua esistenza. Fa’ in modo che tutti guardando­ti possano dire: “Dio mi ama”, possano rendersi conto che an­che uno sputo, un pezzo di fango come te può fare grandi cose quando si affida a Lui!
Giò, non perdere mai la tranquillità, anche quando sarai nell’agonia più profonda» (7 dicembre 1993).
Il lavoro inferiore di don Giò diviene liberante quando in un giorno di profonda inquietudine intuisce dal volo di una rondine di essere dentro l’abbraccio misericordioso di Dio. «Passeggiavo nel cortile del Seminario – raccontò più volte ai ragazzi di Verdello – cercando una risposta alla confusione che sentivo dentro di me: “Sarà davvero questa del Seminario la mia strada? Ho bisogno di conferme…”. D’improvviso qualco­sa passò a volo basso e veloce poco sopra la mia testa: era una rondine che aveva fatto il suo nido proprio sopra la finestra di una delle nostre stanzette. Non l’avevo mai notato prima…
 I rondinini allungavano il collo con il becco aperto e mamma rondine dava loro da mangiare. Per circa un quarto d’ora la rondine continuò ad andare avanti e indietro per portare il ci­bo ai suoi piccoli che l’accoglievano con strilli di gioia: era uno spettacolo rilassante e troppo bello per vederlo da solo e così corsi a chiamare alcuni miei compagni per guardarlo insieme. Rimasi nel cortile con due o tre di loro per una decina di mi­nuti, ma della rondine nessuna traccia e il nido era diventato silenzioso perché i rondinini probabilmente dormivano sazi e tranquilli.
I miei compagni rientrarono a studiare e io rimasi ancora lì fuori incantato da quella visione e stranamente sere­no e felice: avevo capito che il Signore aveva preparato quello spettacolo apposta per me e per nessun altro. Anch’io dovevo preparare qualcosa di speciale per Lui. La mia vita doveva es­sere il mio regalo per Lui». (continua)
dal libro
“Io sono un sogno di Dio”
a cura di Arturo Bellini

     

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