"Storia di Una Chiamata" di Rosarita De Martino
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L’uomo la cui malattia
si chiama Gesù
non potrà mai guarire.
Ibn Arabi
Oggi, nell’aprile dell’82, mi sto preparando per vivere una nuova, unica esperienza di fede: il Convegno del Rinnovamento nello Spirito che si terrà a Rimini. A Catania si formerà un treno speciale riservato per tutti i partecipanti della Sicilia. Che bello! Sono già sul treno ed ho con me i fratelli della prima ora: p. Vincenzo, Pippo, Aurelio, Salvo e Corrado.
Come sempre è molto emozionante per me la traversata dello Stretto e al rientro resto sempre affacciata al finestrino del corridoio, ma Corrado premuroso si avvicina: “Rorò” esordisce (è il diminutivo che usa in certi momenti, a me piace molto, perché mi fa sentire giovane come lui che ancora non ha compiuto vent’anni) “Stai attenta, facendo così ti stancherai e non potrai assaporare i sacri momenti del nostro convegno di Rimini, su presto vieni a sederti al mio posto, è vicino all’altro finestrino”.
Sorridendo convinta accetto il suo “velato ordine”.
A Bologna il treno si ferma per la coincidenza e abbiamo quasi tre ore libere a nostra disposizione.
E’ una città medievale, m’ispira molto, sto contemplando le due artistiche torri della “Garisenda” e degli “Asinelli” e Pippo propone: “Dai, lasciamo qua Rosarita, la passiamo a prendere al nostro ritorno”. Tutti ridiamo, quindi si riparte < <Signori in carrozza!>>.
Il treno riprende la sua corsa e noi ci muoviamo per fare una visita di cortesia ai fratelli del vagone accanto. Il nutrito gruppo di Palermo è guidato da p. Mario: è deciso questo monaco con una chierica vigorosa e con i pochi capelli rimasti tenacemente attaccati alla sua testa.
Gli occhi, indagatori e penetranti, pare siano avvezzi a leggere dentro i cuori degli uomini.
A vederlo così, a prima vista, mi dà l’impressione di un uomo “severo”, “deciso”, mi sembra un antico profeta biblico.
Anche lui sembra scrutarmi con interesse, ma si limita a mormorare un formale < <Benvenuta fra noi, Rosarita>>. Mi allontano, lo guardo perplessa e mi dico:< <Questo monaco avrà un ruolo nella mia vita>> e questo pensiero è “strano”.
Il treno continua la sua corsa, noi siamo già ritornati nel nostro scompartimento e mi chiedo: “Dove sono i miei bagagli?”, Corrado si è assunto il compito di sistemarli e trascinarli via insieme al suo leggero borsone……………..
……….. L’autobus all’uscita della stazione ci aspetta per portarci nel nostro albergo. Nella mia stanzetta a due posti viene Antonietta, proveniente da Paternò; la simpatia è istintiva e reciproca. Ora è mattina presto, l’autobus ci viene a prendere per portarci alla sala del convegno.
Ben presto arriviamo in uno slargo immenso riservato ai pullman che portano i pellegrini della Calabria e della Sicilia; non si riesce neppure a vedere l’asfalto perché l’enorme parcheggio è pieno di centinaia di pullman colorati con cartelli con su scritto il nome del luogo di provenienza e il numero di codice del posto assegnato ad ognuno.
< <Ma che nordica organizzazione!>>- mi dico.
Scendiamo ed ora verso di noi arrivano due biondi, nordici ragazzi in divisa: camicia azzurra, pantaloni blu e una vistosa fascia bianca al braccio con la scritta < <Servizio d’ordine>>.
Noi scendiamo e siamo già incolonnati in fila indiana; ad ognuno di noi viene consegnata una colorata busta, subito apro la mia e vi trovo una targhetta autoadesiva da riempire, il codice del nostro pullman, l’indirizzo e il nome dell’albergo, il libretto dei canti ed un grazioso cappellino giallo, che subito indosso per difendermi dal “caldo” sole.
I due biondi atletici ragazzi chiedono chi è il nostro capogruppo e subito Pippo si fa avanti, anche lui riceve il nostro materiale, ma il suo cappellino è rosso perché stavolta ha il ruolo di guida.
Siamo meno di un centinaio contando i fratelli di Paternò, di Siracusa e di Messina, che si sono uniti a noi, perché quelli di Palermo hanno un pullman a parte.
In questa folla immensa temo di … smarrirmi, ma Corrado sollecito afferra la mia mano e mi dice: “Tu sai parlare la nostra lingua, l’italiano? Coraggio allora siamo tutti tranquilli”.
Aspettiamo il nostro turno per poter entrare nel settore a noi assegnato mentre l’altoparlante invita tutti i medici presenti ad avvicinarsi alle ambulanze, che sono già disposte in una lunghissima fila nella corsia laterale.
Ma ecco alla destra, dal lato esterno del mio cordone, un medico riconoscibile dalla fascia della Croce Rossa, si avvicina sempre più, lo guardo e lo riconosco, ma anche lui mi riconosce, si avvicina svelto, alza il cordone, entra, mi abbraccia e, mostrando una sincera meraviglia, dice: “Rosarita, complimenti! Ti trovo proprio in forma, sei diventata anche più giovane di me: come mai?”
Sorrido fra me e con la mano gli indico il posto di p. Vincenzo e poi aggiungo: “Nunzio, stai facendo volontariato? Ma così non potrai vivere la nostra forte esperienza di preghiera”. “Servire i fratelli sofferenti è preghiera!” afferma convinto.
Eh sì – penso – la carità è la chiave speciale del nostro impegno cristiano.
Camminiamo in ordine, ben inquadrati e guardiamo le frecce per terra, che indicano il percorso da fare per raggiungere la nostra postazione numero sette. Vedo che tutto è rigorosamente organizzato, alcuni giovani del servizio d’ordine favoriscono il fluire della folla nei vari settori stabiliti.
Ecco sono arrivata, mi siedo al mio posto numerato e mi guardo in giro, finalmente!
Il salone è un immenso ottagono in cemento armato con sedici colonne portanti. quotidianamente è una delle sedi della fiera campionaria, ora è stato adattato per il nostro Convegno.
Sul grande podio infatti è sistemato già il palco per l’ orchestra che animerà gli incontri e tutti i cantori sono in “divisa”.
Accanto all’orchestra un enorme tavolo rivestito con bianche, merlettate tovaglie, ornato di fiori rossi e di candelabri fa da “altare”. Nei lunghissimi circolari scalini, che sembrano formare un anfiteatro, via via prendono posto due rappresentanti per ogni gruppo presente.
Improvvisamente il chiacchierio iniziale si smorza ed una voce calda e potente così dice: “Benvenuti fratelli, c’è posto per tutti, vi prego rispettate l’ordine, occupate i posti che corrispondono al vostro numero e lo spazio del vostro settore”.
Ora il canto corale, amplificato dai potenti altoparlanti si estende in tutto l’enorme locale: “Io ho una gioia nel cuore, gioia nel cuore e dentro me … Tu hai una gioia nel cuore e dentro te … apri le braccia e loda il tuo Signor!”
E cento, mille, diecimila braccia nere e bianche si innalzano al cielo, ondeggiano, si uniscono al ritmo del canto e … mi sembra di vedere ora solo otto fiori con petali multicolore, che lentamente si aprono e si chiudono, e che hanno come stelo dei verdeggianti bastoni appoggiati nel calmo fiume della preghiera di lode!
Come separata dalla parte materiale di me, felice e libera, canto e anche le mie braccia naturalmente si alzano e si abbassano seguendo il ritmo comunitario.
E divento anche una testimone oculare di < <miracolo>> perché gli uomini, che tre giorni fa sono entrati in questa “fiera campionaria” hanno prodotto profitto, potere, denaro, noi oggi, invece, nello stesso luogo stiamo facendo qualcosa di “sacro”, stiamo producendo preghiera e a vicenda ci regaliamo gioia e speranza estensibile al mondo intero che vive, lavora, soffre fuori da questo posto, e il coro scandisce:
Vieni, Santo Spirito
manda a noi dal cielo un raggio
della Tua luce.
Vieni, Padre dei poveri,
vieni, datore dei doni, vieni, luce dei cuori.
Consolatore perfetto:
ospite dolce dell’anima,
dolcissimo sollievo.
Nella fatica riposo,
nella calura riparo, nel pianto conforto.
O luce beatissima,
invadi nell’intimo il cuore dei tuoi fedeli.
Senza la Tua forza
nulla è nell’uomo, nulla senza colpa.
Lava ciò che è sordido,
bagna ciò che è arido,
sana ciò che sanguina,
piega ciò che è rigido
scalda ciò che è gelido
drizza ciò che è sviato.
Dona ai tuoi fedeli, che solo in Te
confidano, i tuoi santi doni.
Dopo l’invocazione più di duecento sacerdoti salgono sull’altare immenso, degradante in scalinate.
E’ significativa la prima parte della liturgia penitenziale, chi vuole può ricevere il sacramento della confessione parlando con il primo fratello sacerdote che incontra nell’area del proprio settore. Che modo “carismatico” per riconciliarsi con Dio e con i fratelli!
Usavano questo modo anche le prime comunità ?
Mi metto in fila indiana in attesa del mio turno. Una voce calda e chiara proclama:
“Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati. io vi purificherò da tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri idoli. vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei statuti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi. abiterete nella terra che diedi ai vostri padri. voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio” (Ez; 36,25-29)
Mi trovo davanti un fratello sacerdote nero, riccioluto, alto. < <Salvatore>> leggo sulla targhetta bianca che spicca sulla camicia nera come la sua pelle. Mi sento come protetta da un sorriso bianco, bianchissimo, gioioso, luminoso che dal suo vivace volto si spande tutto intorno e arriva dritto al mio cuore e poi sento la nota nenia infantile che dolcemente dice: “Rosarita, benvenuta a questo sacramento della gioia. Lo sai, Gesù ti ama e ti accetta così come sei” e poi mi ..abbraccia ed io affascinata dalla voce e dal suo bianco e limpido sorriso, ricambio il suo abbraccio e inizio a parlare. Alla fine la sua larga mano nera è inondata di bianca luce quando si alza decisa nel gesto sacerdotale del perdono.
Ma tu, Signore, pensavi anche a questi momenti quando lì in Palestina ai tuoi apostoli dicevi: < < Tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto nei cieli?>>.
E provo ancora una strana sensazione liberatoria, perché il suo sorriso stranamente mi fa pensare ad un altro giovane catanese Andrea che, non ancora prete, lì a S. Giuseppe nel 1979 mi regalò il suo.
Entrambi i sorrisi sono qualcosa di fantastico e di rassicurante, ecco hanno in comune l’azzurro verde della … gratuità.
Piano ritorno al mio posto e l’enorme sala è illuminata dalla grazia di questi incontri di Grazia. Fratelli e sorelle abbracciati ad altri fratelli sacerdoti ricevono così il sacramento!
E i tanti vescovi presenti tranquilli distribuiscono anche loro benedizioni e … sorrisi.
Improvvisamente rivedo davanti a me il vecchio altolocato prelato romano che oggi amabilmente mi dice: “Ti trovi bene qua, vero? Ora puoi muovere le braccia come vuoi, “lo stile” stavolta te lo permette, vero?”.
Ma è solo una mia impressione interiore!
Lui è già in Cielo, è certo più libero perché vive pensieri di luce e non è più legato a schemi giuridici –penso sicura.
Osservo la folla festosa, ma silenziosa e compunta, poi guardo le colonne di ferrato cemento.
Anche loro sembrano “stupite” perché appena tre giorni fa hanno udito ben diverse e febbrili trattative commerciali, ora invece guardano attonite gratuite trattative di pace, di perdono, di misericordia
Ah, se ci fosse presente il mio dotto vecchio professore di religione del magistrale di Locri direbbe: “Alt! Il sacramento non è valido. Amministrato così è nullo sia per la materia, sia per la forma! Che tempi! Che Chiesa! La chiesa è caduta in basso, si è fermata a dar peso all’emotività di una folla esaltata!”.
Ma non c’è il mio “dotto” professore del magistrale che io, già ragazzetta, per istinto contrastavo pur non avendo basi teologiche.
Ma così si respira lo Spirito Santo, tutto il mondo è presente come una nuova Pentecoste!
Quanti pensieri frullano dentro di me mentre libera, leggera e felice ritorno al mio posto e sprofondo in preghiera, circondata da un sottofondo musicale. Mi sento sfiorare i capelli da una carezza delicata: è Corrado, lo guardo sorridendo. Anche lui ha gustato “sacri momenti” d’incontro col Signore!
Ma è la terra che è già salita al cielo o è il cielo che è sceso sulla terra?
Questo dubbio mi resterà fino alla fine del Convegno, fino al mio ritorno a Catania.
E’ vero gustare e vivere dei momenti forti di preghiera è una delle esperienze più complete che un uomo possa fare perché è simile all’innamoramento, anzi la preghiera supera l’innamoramento infatti essa,
è un anelito universale perché non si ama solo l’altro oggetto dell’innamoramento, ma si può amare contemporaneamente l’albero che si intravede dalla finestra, il fratello che sta aprendo la tenda pesante di una delle uscite, la sorella sconosciuta che sta aspettando, stanca, un bicchiere d’acqua al posto di ristoro, il bimbo nero che dorme placido fra le braccia della sua giovane “mamma bianca”, il volto ancora giovane e splendente di una esile donna bionda che sorride serena pur essendo inchiodata su una sedia a rotelle, l’autista che esausto aspetta fuori al sole il nostro rientro in albergo!
< <L’Amore scopre in tutto il mistero di Dio in ogni volto umano, ma anche in ogni granello di polvere, in ogni filo d’erba>>. (Anselm – Grun)
Stiamo vivendo la prima serata con la S. Messa che è dedicata ai fidanzati e alle famiglie.
Ora, alla fine della Messa, arrivano da tutti i settori genitori con bimbi neonati o più grandicelli, c’è un cicaleccio delizioso e un mare multicolore di “piccoli” che salgono sull’altare e, stavolta, anche i giovani del servizio d’ordine sono più tolleranti.
E scroscia l’applauso, mi guardo le mani ; sono rosse come il fuoco dell’Etna!
L’indomani mattina partiamo presto dal nostro albergo così arriviamo puntuali alla sala del Convegno.
E’ sempre ricca di emozioni e di ammonimenti vari la nostra mattinata comunitaria perché < > (At. 4,23-30).
Ora questa colonna di cemento armato che sostiene tonnellate di peso e dove io, alzata, mi appoggio, può essere “impregnata” di preghiera, ora “trasuda” preghiera. E non riesco neanche a meravigliarmi per il mormorio che via via sale dai primi posti della destra dove una sorella immobilizzata da anni, costretta sulla sedia a rotelle, improvvisamente si alza, muove i primi passi stentati, si avvicina al microfono e nell’assoluto silenzio di tutta l’assemblea, con voce stonata intona: “Alleluia! Gloria a Dio!”
Gloria! Gloria! – intona il coro.
Sul nostro pullman, nel ritorno all’albergo nessuno parla, qualcuno delicatamente recita il Rosario.
Anche il nostro pranzo, gustoso ed abbondante, viene consumato in silenzio, silenzio di … adorazione.
Nel pomeriggio torniamo nella sala dei Convegni, stasera la S. Messa è dedicata ai sofferenti e alcuni salgono sull’altare per ringraziare il Signore per la disponibilità ‹ dei loro fratelli sani che sono il loro “bastone” e i testimoni dell’Amore di Dio per loro ›.
E’ arrivato l’ultimo giorno del Convegno, stavolta la Messa sarà celebrata di mattina perché in tarda serata dobbiamo ripartire per le nostre “sedi”.
L’altare è tutto ricoperto di fiori gialli e bianchi e la S. Messa è dedicata a tutti i consacrati di ogni ordine e grado, sia quelli che sono inseriti nelle tante istituzioni ufficiali della Chiesa, sia quelli che vivono in modo personale il loro impegno in comunità.
Ricordo che p. Vincenzo a pranzo mi aveva esortato: “Rosarita presentati all’altare domani, io sarò fra i sacerdoti concelebranti. Sali fra i tanti fratelli e sorelle sconosciuti, questa è una ‹ conferma › per la tua vocazione”.
Mentre uomini , donne, ragazzi, suore responsabili delle pastorali e laici saliamo sull’altare, il coro ripete: < >
“Che bello!” mi dico “La mia strana chiamata è visibile in uno spazio di Chiesa e oggi è quello di S. Teresa a Catania”.
E’ l’ultimo giorno di permanenza a Rimini, usciamo, ci incontriamo con altri gruppi di Genova e di Torino e i ragazzi con le chitarre improvvisano un concerto e p. Vincenzo mette fuori il meglio della sua bella voce.
Sul grande piazzale le biciclette a due posti, i tandem, fanno bella mostra di sè, io guardo incuriosita i ragazzi che pedalano insieme ed ecco p. Vincenzo svelto ne affitta uno, si ferma, mi guarda e sorridendo mi invita: < <Svelta, sali su >>. Io lo guardo incerta, poi alla men peggio riesco a salire, sistemandomi sul sellino e lui, generoso, pedala anche per me, infatti io non sono mai andata in bicicletta, neanche da bambina.
Così mi diverto un mondo e Pippo, vedendomi, è più divertito di me, così mi scatta una foto ricordo.
Nel dondolio ritmato del treno, rannicchiata nella mia cuccetta “rivivo” le tante sensazioni provate, ma non riesco a fermarle sulla carta nella profondità del loro valore esistenziale.
Capitolo VII
La morte di mio padre
Inaspettatamente la notte del 26 Novembre dell’82 un tremendo dolore si abbatte sulla mia casa e sulla mia vita: papà sta male.
Mia sorella, subito lucida e razionale, chiama l’ambulanza e insieme alla mamma accompagnano mio padre all’ospedale, mentre io resto sola a casa per fare il necessario collegamento. Sento tutto il peso della situazione, è notte dentro di me, è ancora notte, sposto la tenda, guardo fuori e vedo la luna che impassibile manda la sua luce fredda sulla terra, mentre tutte le famiglie del mio vicinato dormono tranquille, ma non io.
Mi sento inquieta e mi accorgo di essere molto legata a mio padre, la sua presenza mi comunica un senso di sicurezza esistenziale.
Mia sorella, subito lucida e razionale, chiama l’ambulanza e insieme alla mamma accompagnano mio padre all’ospedale, mentre io resto sola a casa per fare il necessario collegamento. Sento tutto il peso della situazione, è notte dentro di me, è ancora notte, sposto la tenda, guardo fuori e vedo la luna che impassibile manda la sua luce fredda sulla terra, mentre tutte le famiglie del mio vicinato dormono tranquille, ma non io.
Mi sento inquieta e mi accorgo di essere molto legata a mio padre, la sua presenza mi comunica un senso di sicurezza esistenziale.
Io gli somiglio molto, sia nel temperamento irruento e passionale, ma fortemente volitivo, sia fisicamente ed ho una buona vena poetica che spesso trasforma la prosa del quotidiano in poesia. Mio padre ha avuto una buona formazione letteraria e i suoi poeti preferiti sono: Foscolo e Alfieri.
Foscolo autore dei “Sepolcri” che mio padre conosce a memoria, e spesso
nei momenti di maggiore necessità,affiora sulle sue labbra, il motto del
del poeta astigiano: “Volli, sempre volli, fortissimamente volli”. (Alfieri)
Mi avvicino alla libreria, prendo la Bibbia , l’appoggio sul tavolinetto accanto al telefono e l’apro; in un foglio interno c’è una piegatura, vi getto un rapido sguardo, ma ecco suona il telefono: è mia sorella: “Papà si è ripreso, ma io e la mamma passiamo qua la nottata, tu cerca di riposare un po’. Fatti coraggio!”. Ma io non riesco affatto a riposarmi, tuttavia cerco di farmi coraggio nell’unico modo che conosco: pregando.
Prendo la Bibbia e leggo così nel foglio spiegazzato: ”Sentendo avvicinarsi il giorno della sua morte, Davide fece queste raccomandazioni al figlio Salomone: io me ne vado per la strada di ogni uomo sulla terra ma tu sii forte e mostrati uomo osserva la legge del Signore tuo Dio procedendo nelle sue vie. (1Re 2,1-2).
Che cosa significa questo messaggio biblico?
Reagisco dandomi una spiegazione razionale: certo, il foglio sporgente dal bordo, perché spiegazzato, ha influenzato la mia mano nell’aprire la Bibbia. Vedo la luce della lampada sempre più fioca, perché le lacrime silenziose scendono dai miei occhi, non cerco neanche di asciugarle, il tempo lentamente passa e vivo tutta l’angoscia del momento anche perché sono sola e la solitudine mi pesa tanto stanotte.
Ma ora non sono più nella mia stanzetta, bensì sono su una grande barca con molta gente sconosciuta attorno a me.
Ma che strani costumi ottocenteschi indossano!
Sto facendo una traversata su un fiume sconfinato. .
Attorno a me la gente è tranquilla, parla, ride e i bambini indossano vestitini alla marinara.
Attorno a me la gente è tranquilla, parla, ride e i bambini indossano vestitini alla marinara.
Ma che faccio io sulla barca vestita in abiti moderni? Ma un secondo dubbio mi assale, perché la gente attorno a me finge di non vedermi mentre io li vedo e li sento parlottare?
E poi io sono giovane con i lisci capelli al vento, ora in lontananza vedo un gruppo di uomini in divisa militare e al centro ne intravedo uno e resto subito colpita dal suo modo familiare di tenere il cappello in mano, mostrando i suoi ondulati neri, folti capelli.
Cerco di avvicinarmi in mezzo alla folla anonima, ora lo vedo anche se
si trova ancora in lontananza.
Ecco che sta indossando il cappello d’ordinanza sulla sua attillata, splendida divisa militare già adornata di stellette. Ma questo giovane uomo con la virile, volitiva mascella quadrata ha qualcosa di familiare, corro più svelta verso di lui e lo chiamo sicura a voce alta: “Papà, papà”. Ma improvvisamente non lo vedo più, dove si è nascosto?
Tuttavia continuo ad avvertire dentro di me la sua cara presenza e il barcone continua la sua corsa sul fiume e io continuo a cercare, ma la “visione” sparisce.
I remi della barca toccano qualcosa di duro, forse un masso?
E sento un forte rumore, sussulto, mi sveglio, sono a casa mia sulla sedia sdraio e ai miei piedi, a terra, vedo il grosso libro della Bibbia e la lampada ancora accesa. Ecco ho sognato, ho solo sognato!
Guardo fuori, è giorno, c’è il sole, mi scuoto, mi alzo, vado in cucina per bere e sento girare la chiave nella toppa: è mia sorella. Le corro incontro, è avvilita, mi abbraccia e dice: “La situazione è un po’ migliorata, la mamma è voluta restare con papà.”
All’ospedale c’è una disorganizzazione terribile: papà è rimasto tutta la notte in astanteria. In cardiologia non c’è posto. Dove lo metteranno?
La malattia di mio padre è particolare, perché è caratterizzata da improvvisi, lunghi miglioramenti e da altrettanto improvvise e rapide ricadute, dovute al suo cuore che ha molto lavorato, ha amato noi e, in modo del tutto speciale mia madre, alla quale tuttora lo lega un amore profondo, tenero e appassionato.
Nei mesi passati all’ospedale pian piano, altre alla presenza continua di mia madre e di mia sorella, mio padre si è abituato alla presenza di alcuni miei fratelli della comunità di S. Teresa: Alfredo, Angelo, Gianfranco, che si alternano al suo capezzale, portando conforto anche agli altri malati.
In un freddo pomeriggio di Gennaio dell’ 83 riesco a vivere da sola (mia madre e mia sorella sono rimaste a casa) un momento speciale con mio padre che trovo in gran forma.
La malattia di mio padre è particolare, perché è caratterizzata da improvvisi, lunghi miglioramenti e da altrettanto improvvise e rapide ricadute, dovute al suo cuore che ha molto lavorato, ha amato noi e, in modo del tutto speciale mia madre, alla quale tuttora lo lega un amore profondo, tenero e appassionato.
Nei mesi passati all’ospedale pian piano, altre alla presenza continua di mia madre e di mia sorella, mio padre si è abituato alla presenza di alcuni miei fratelli della comunità di S. Teresa: Alfredo, Angelo, Gianfranco, che si alternano al suo capezzale, portando conforto anche agli altri malati.
In un freddo pomeriggio di Gennaio dell’ 83 riesco a vivere da sola (mia madre e mia sorella sono rimaste a casa) un momento speciale con mio padre che trovo in gran forma.
“Rosarita” – esordisce – “tu sola sai che sto per lasciarvi” – sussulto, non se ne accorge e continua – “tu sai anche che ti voglio bene, sono orgoglioso di te, perché tu hai un buon lavoro che ti piace, so che i bambini a scuola ti vogliono bene, gli amici che frequentano la comunità di S. Teresa (sono riuscita a trasmettere anche a lui il concetto di comunità) sono bravi ragazzi, impegnati nella chiesa come te. Lo so e lo capisco, non hai voluto sposarti perché tu non sei disponibile per la vita matrimoniale.
Tu hai rifiutato quella “magnifica possibilità” che io, tu e la mamma conosciamo bene. Lo sai, tua madre per questo tuo “ostinato, strano rifiuto” ha molto sofferto e purtroppo continua a soffrire perché lei guarda al nostro matrimonio che è così ben riuscito. Tu continua a fare bene il tuo “dovere”.
Dopo le ultime parole che riguardano “il mio dovere” mio padre mi sembra stanco, tace ed io, in silenzio sacro, metto la mia mano nella sua lievemente, ma la nostra intesa è “totale”; lui, infatti, capisce il messaggio e stringe (con la forza di sempre) la mia mano che è molto simile alla sua ed io, stavolta, miracolosamente, riesco a trattenere dentro il mio cuore amare lacrime e vane parole . E in questo momento straziante, che sento prelude ad un addio definitivo, riascolto dentro di me l’esortazione di Davide al figlio Salomone: “tu sii forte e mostrati uomo e osserva la legge del Signore”.
Ma stavolta (contrariamente al mio solito) riesco a non fare traboccare fuori tutta la mia “ angoscia” e mi permetto perfino di scherzare con mio padre e di fare tanti bei progetti per il suo ritorno a casa!
Rasserenata penso anche alla grazia che il Signore ha dato a mio padre di potermi parlare in piena lucidità mentale e alla grazia che ha dato a me di potere conservare tuttora nel mio cuore il suo messaggio d’amore per me, sua figlia!
Dopo le ultime parole che riguardano “il mio dovere” mio padre mi sembra stanco, tace ed io, in silenzio sacro, metto la mia mano nella sua lievemente, ma la nostra intesa è “totale”; lui, infatti, capisce il messaggio e stringe (con la forza di sempre) la mia mano che è molto simile alla sua ed io, stavolta, miracolosamente, riesco a trattenere dentro il mio cuore amare lacrime e vane parole . E in questo momento straziante, che sento prelude ad un addio definitivo, riascolto dentro di me l’esortazione di Davide al figlio Salomone: “tu sii forte e mostrati uomo e osserva la legge del Signore”.
Ma stavolta (contrariamente al mio solito) riesco a non fare traboccare fuori tutta la mia “ angoscia” e mi permetto perfino di scherzare con mio padre e di fare tanti bei progetti per il suo ritorno a casa!
Rasserenata penso anche alla grazia che il Signore ha dato a mio padre di potermi parlare in piena lucidità mentale e alla grazia che ha dato a me di potere conservare tuttora nel mio cuore il suo messaggio d’amore per me, sua figlia!
All’alba del 14 Febbraio una sensazione angosciosa e inspiegabile mi assale, mi vesto in fretta, corro all’impazzata all’ospedale, arrivo trafelata, appena in tempo per vederlo morire …
E inaspettatamente dentro di me ritrovo una forza “strana”, non mia (viene dall’alto?) che mi permette di svolgere con lucidità le varie incombenze: riesco a portare mio padre a casa, avverto amici e parenti, organizzo i funerali nella bella chiesa di S. Luigi, vicino casa mia.
Sostengo, conforto, rimprovero mia sorella e mia madre, accasciate dall’improvviso, inatteso dolore. La chiesa è gremita all’inverosimile di amici e parenti: ci sono proprio tutti, i colleghi di mia sorella dell’ istituto magistrale di Paternò con il preside in prima linea mentre vicino a me c’è solo qualche collega della mia scuola, ma è presente tutta la mia numerosa e calorosa comunità di S. Teresa, con padre Vincenzo in testa.
Io sono fredda e lucida e nei primi momenti vivo l’esperienza dolorosa con fortezza d’animo, con una sorta di autocontrollo speciale, ma anche strano per la mia natura emotiva ed istintiva!
Alla fine della Messa tutti i presenti applaudono a lungo nel saluto finale.
E’ un momento solenne, sacro. In abiti neri, seguendo la bara, mi vedo “orfana” e mi lascio quasi trascinare da Alfredo, mio fratello in Cristo!
Il viale è pieno di gente sconosciuta e tutti gli uomini fanno il saluto militare alla bandiera, che è simbolo della Patria che mio padre ha servito per circa 50 anni, sempre fedelmente e mi sento fiera di lui e di me che sono sua figlia! Queste sensazioni mitigano lo strazio del distacco.
Guardando la bandiera risento la voce calda del mio professore d’italiano, che con partecipazione leggeva gli scritti inediti di G. Mazzini: “Chi può negare Dio davanti alla morte di una persona cara è grandemente colpevole o grandemente infelice”.
E’ un momento solenne, sacro. In abiti neri, seguendo la bara, mi vedo “orfana” e mi lascio quasi trascinare da Alfredo, mio fratello in Cristo!
Il viale è pieno di gente sconosciuta e tutti gli uomini fanno il saluto militare alla bandiera, che è simbolo della Patria che mio padre ha servito per circa 50 anni, sempre fedelmente e mi sento fiera di lui e di me che sono sua figlia! Queste sensazioni mitigano lo strazio del distacco.
Guardando la bandiera risento la voce calda del mio professore d’italiano, che con partecipazione leggeva gli scritti inediti di G. Mazzini: “Chi può negare Dio davanti alla morte di una persona cara è grandemente colpevole o grandemente infelice”.
“O Signore proprio ora dal profondo del mio cuore ti invoco, dammi forza, fa’ che io non sia né “infelice” né “colpevole” per avere dimenticato la Tua presenza anche in questo momento della mia vita. Amen”
Una mattina, sul finire del mese di Aprile dell’83 (dopo tre mesi dalla scomparsa di mio padre) con il cuore nero, con la faccia smunta e pallida, con il passo trascinato, ricoperta dalla camicetta nera con le lunghe maniche nere, mi preparo a salire la seconda rampa di scale per andare da sola nella “mia” cappella a S. Teresa.
Stavolta ho veramente bisogno di riflettere per ricostruire me stessa, perché, dopo la forza interiore e la decisione mostrata nei primi momenti di emergenza, sono crollata e mi sono lasciata, in buon ritardo sulla norma, travolgere dall’angoscia.
Sto scoprendo, con un senso di sgomento, che non ho normali reazioni emotive istintive e primarie, bensì sono soggetta a periodi di “incubazione di dolore” che poi esplode fuori dopo lunghi tempi.
Qualcuno dei miei fratelli mi ha messo questo dubbio che, in certi momenti, non riesco a capire. Oggi, nel divino silenzio della cappella, analizzerò insieme al Signore questo problema.
Mi trovo quasi sulla soglia del lungo corridoio, sto per avvicinarmi ma ecco che di fronte a me trovo padre Mario, il monaco che ho intravisto a Rimini nel convegno del Rinnovamento nello Spirito e che da poco è venuto a Catania.
Per una reazione istintiva io cerco subito di tornare indietro, voglio evitare l’incontro diretto con lui, ma purtroppo mi ha già visto e allora a fatica mormoro: “Buongiorno padre Mario”. Si ferma, mi scruta dentro con i suoi acuti occhi indagatori e poi sorridendo mormora: “La tua non è una faccia da buongiorno” e così dicendo si avvicina ancora, allunga il braccio e mi tira un sonoro ceffone. Lo guardo allibita, poi, fragile come sono in quel momento, scoppio in un pianto dirotto e mi giro verso le scale per tornare a casa, ma non riesco neanche a fare il primo passo perché p. Mario appoggia il suo braccio forte sul mio e con espressione commossa, che non gli conoscevo, mi fa: “Rosarita, su piangi, ti fa bene, fermati, non scappare, vieni in cappella con me stamattina. Il Signore ci ha fatto incontrare perché vuole dirti qualcosa”.
Dubbiosa mi lascio trascinare in cappella, ritrovo il mio cuscino di juta, ora lui si siede sul panchetto accanto a me e mormora dolcemente: “Figlia (sussulto!) lo capisci che tu non sei sola, “orfana”, come ancora credi, tu hai il Signore con te, ti prego, ora lascia riposare in pace tuo padre, che ti vuole rivedere “serena” e “attiva” come ti ha lasciata quaggiù”.
Le lacrime che avevo inghiottito ritornano copiose a scendere sul mio viso sparuto e scivolano come perle sul mio nero vestito, apro la borsa e cerco i fazzolettini, ma p. Mario, sollecito mi precede, tira fuori dalla tasca della sua tonaca il suo ripiegato, bianco fazzolettone e con la sua manona, piano e delicatamente, mi asciuga il viso, mi accarezza lieve i capelli, poi sempre piano inizia a parlarmi di pace, di pazienza, di amore e, alla fine, prende la Bibbia e trova il salmo adatto per me e sorridendo lievemente mi esorta a ripetere insieme a lui: < > (Salmo 114)
Da quel momento riprendo quota ed inizio con lui un cammino di fede, certo breve come tempo, ma intenso come qualità.
Provo una sensazione speciale, ecco ho un nuovo padre, non è il mio della carne, ma il mio dello Spirito.
Il nostro dialogo è intenso, è fatto di momenti di preghiera comune, di verifica, di ascolto comune e di silenziosa adorazione eucaristica, secondo lo stile del Rinnovamento nello Spirito.
Inizia a S. Teresa una nuova realtà: si preparano gli incontri vocazionali per i “novizi” che guardano al carisma carmelitano e immancabilmente ci vado anch’io, in fondo sono ancora in ricerca < <perché la mia speciale vocazione può alimentare e sostenere quella dei ragazzi>> suggerisce p.Mario. < <Giusto>> penso < <proprio giusto!>>.
E tanti ragazzi vivono questa profonda esperienza: Santo, Renato, Gianfranco, Angelo.
E ogni volta che vado a Monte Carmelo il mio pergolato sembra rinverdire! Ora mi trovo ancora nella mia cappella, sono seduta ancora sul mio cuscino di juta e p. Mario è seduto sul suo panchetto: stiamo vivendo un ultimo momento di preghiera comune prima del suo ritorno a Palermo.
Ma ora il mio essere è più radicato nel Signore e il distacco dal mio padre spirituale è meno amaro, ci sentiremo spesso e potremo rivederci in qualche momento comune, così spera il mio cuore di “figlia”.
Nei primi di Agosto dell’84 mi trovo, per la prima volta nella mia vita, all’aeroporto in partenza per Lourdes con il mio padre spirituale, P. Mario. Che bellezza! Che grazia!
Tanta attesa ed ora eccomi sull’aereo in volo verso Lourdes.
Ti vedo Signore, contemplo il cielo, opera della tua mano, la terra, baciata dal mare, diventa sempre più lontana, piccola, evanescente sfuma nello spazio infinito. Ogni nube è diversa e il vento dà loro la forma che vuole!
E tu? Pensa, o Signore, non sei riuscito ancora a darmi la forma che vuoi,
perché io ho resistito e ancora Ti resisto stupidamente! Perdonami Signore!
Le nubi passano, variano, brillano, ma quanti nuvoloni grigi sono passati nella mia vita, o Signore, e lo ricordo con una preghiera-poesia che prendo in prestito dalla mia amica Concita.
Calda neve
… Chi ha teso la mano di noi due,
Tu per farmi salire,
oppure io per farmi innalzare?
Dove sei Signore a lungo atteso?!
Sei opaco in me, tutto tace.
Il silenzio si libra sui miei passi
e come canto senza suono, Tu sei in me.
Eppure mi circondi, sei presente.
Ti ho scelto? O sei Tu che mi hai preteso?
Non lo so ancora,
sei entrato nella mia vita e l’hai stravolta,
senza darmi la possibilità di capire
ed ora aspetto …
Aspetto che la neve smetta di cadere.
Concita Sambataro
Mi scuoto, sento su di me il Tuo alito di vita, queste nubi sembrano fiocchi di neve candida e calda. Ti lodo per il cielo, per il mare azzurro, per i monti innevati, ti lodo per tutte le creature animate e inanimate.
Ti lodo mentre l’aereo vola e il mio cuore, ora immerso nel Tuo, non teme alcun male!
Intravedo ora una striscia scura giù: è la dolce terra di Francia!
La penna non sta dietro ai tanti eterei pensieri e non sta dietro al grazie che ti sussurro così, faccia a faccia: Tu sei nello splendore variopinto del creato, io, in questi atomi di materia che costituiscono il mio essere su cui hai alitato il Tuo soffio di vita e mi sento una piccolissima parte del Tuo universo! Mille anni per Te sono come un giorno solo e un giorno solo come mille anni.
Ecco Ti abbraccio, o Amore Santo, rispondi, Ti prego, ai nuovi problemi che mi porto dentro. “Sei entrato nella mia vita e l’hai stravolta” è vero, quale angoscia mi stringe il cuore dalla quale Tu non puoi liberarmi?
Piccola e indifesa mi affido a Te. Liberami dal male oscuro e nascosto che vive nel mio cuore, da quello insidioso che c’è nel mio corpo, dai ricordi inutili del passato, che spesso diventano vuoti bagagli di nostalgia, liberami dai perché che turbano il mio presente, anche nella vita della chiesa. Tu che guidi l’universo puoi farlo, o potente, o Amore Santo!
Ecco non posso più scrivere, l’aereo comincia a ondeggiare, quanto verde splendente, quanta speranza, quanta luce!
Dopo l’arrivo e la prima sistemazione in albergo, tutti in gruppo con le targhette appuntate sui nostri vestiti estivi, andiamo a piedi verso il Santuario, che già in lontananza appare: immenso, luccicante di lucette a spillo, lontane e intermittenti.
Le stradine sono caratteristiche, mi sembra di essere a Taormina, i negozietti che espongono oggetti vari sono ben forniti, ma p. Mario, solerte, ci invita a non fermarci per poter partecipare alla processione Eucaristica.
Ecco siamo arrivati, cerchiamo di immetterci in questa immensa folla proveniente da tutto il mondo conosciuto.
Ma ora, dentro questa “fiumara umana” noto giovani corpi macilenti, mutilati, offesi, di fratelli e sorelle di tutte le età, perfino bambini inchiodati, con strani invisibili “bulloni della gioia” alle terribili sedie a rotelle.
Questo immenso fiume di dolore ha una caratteristica sconvolgente per me: è un dolore pudico, silenzioso, accettato con infinita pazienza, persino con gioia, oserei dire!
Mi sento sconvolta da tanto eroismo e piano mi avvicino a p. Mario e lo guardo interrogativamente, comprende, mi prende per mano e mormora: “Rosarita, il segreto della gioia è accettare la volontà del Signore, poi bisogna “dimenticarsi” e camminare. Ho voluto che tu venissi a Lourdes con me per dare una svolta alla tua fede, anzi al tuo modo ci credere”.
Ora cammino in fila, sono più calma e, strano, sono io che ricevo sorrisi e timidi cenni di saluto da qualcuno che può muovere solo le dita.
L’immensa fiumara a stento comincia a muoversi negli immensi spazi sacri di Lourdes, perché abbiamo lasciato alle spalle la città turistica colma di alberghi, ristoranti e negozi.
Ave Maria, piena di grazia” ripete il primo gruppo della lunga fila, e in lontananza il gruppo finale fa eco recitando la “Santa Maria”.
E la Madre di Dio unisce, in un unico coro devoto, questo mare di pellegrini, pochi, e di sofferenti, quasi tutti.
L’indomani mattina sento prepotente il bisogno di “isolarmi”: sono troppe, varie e profonde le sensazioni che mi invadono, dentro ho bisogno di luce, di pace, di gioia, di dialogo.
Ho con me la targhetta con il nome del nostro albergo e con gli orari di rientro stabiliti.
Calco sulla testa il mio colorato cappellino, sistemo bene lo zainetto, metto gli occhiali da sole e piano svicolo dal mio gruppo; qualcuno mi chiama, ma p. Mario suggerisce: “Lasciate stare Rosarita, ha bisogno di ritrovarsi, perché si era smarrita”.
Ora svelta mi immergo in questa folla “dolorante”, cammino, mi fermo, prego, sento come un lieve gorgoglio d’acqua, ecco è il fiume che, irruento, libero, scorre verso il suo mare. < <O Signore fa che la mia vita scorra libera, limpida, feconda di bene e fa che fluisca sempre verso di Te, sicuro porto dell’anima mia! Ecco il mio arido cuore Ti ascolta, ora il mio spirito riposa in Te, anche il mio stanco corpo, al calore benefico della Tua presenza, si sente rifiorire!>>.
E sono davanti alla grotta, rispetto il religioso silenzio e mi fermo per un po’ anch’io in preghiera. Fra alcuni minuti ci sarà la Messa nella Basilica di S. Pio X, mi avvio.
L’interrogativo che mi pongo è profondo, un’intera umanità sofferente e dolorante si aggira in questo luogo sacro e il vero stupendo miracolo è la serenità stampata sul volto dei fratelli sofferenti, l’accettazione di situazioni assurde con “naturalezza e speranza”.
Qui c’è la pace, quella che “il mondo irride, ma che rapir non può” (Inni Sacri; A. Manzoni).
Ora alla lettura del Vangelo con gli occhi dello spirito vedo e sento Pietro implorare < <Signore comanda che io venga a te sulle acque>>.
E lo vedo sicuro scendere dalla barca e camminare per un attimo tranquillo sulle acque, ma il vento sibila e Pietro ha paura e anche io ne ho ancora tanta.
Ma lui ha l’umiltà di chiedere il soccorso. < <salvami>> implora e anche io Te lo ripeto: < >.
Capitolo VIII
Lourdes
< <Fammi vivere, o Signore, fammi “rivivere” alla luce del tuo Amore>>.
Così pregavo tornando da Lourdes e quella “speciale” sensazione di pace mi è rimasta dentro per tanto tempo ancora, fino ad oggi, Ottobre del 1984, mentre sono ritornata a scuola con i miei “piccoli”.
Un bel giorno Clara afferma convinta: “Maestra, quest’anno sei più bella quando preghi con noi!”
Ridendo dico: “Clara, non lo vedi? Io sono sempre bella!”. “No” risponde caparbia “Sei bella solo quando preghi, poi no!”.
Mi chiedo dubbiosa, allora la preghiera ha il potere di rendere belli?! La bellezza interiore si riflette anche sui nostri volti? Così pare se i piccoli ne percepiscono qualche segno!…
Ora i bambini stanno osservando il grande colorato cartellone murale della linea del tempo dell’epoca romana.
Fiorella come sempre si premura di indicare ad Agatella i personaggi e le figure.
Poi, interpretando con facilità il linguaggio stentato della compagna, riferisce che i vestiti dei bimbi romani non sono come i nostri, quelli sono più belli!
Osservo ora Agatella: ha gli occhioni chiari e i ricci folti capelli a stento trattenuti da due lunghe trecce bionde e dal colorato cerchietto.
E’ bella , molto bella! Peccato che il suo linguaggio sia ancora stentato!
Rifletto e penso che Agatella ora ha sia il mio sostegno, sia quello dei compagni, perché tutti insieme facciamo un’ideale “cordata”. I ragazzi superdotati hanno tempo e spazio per approfondire il sapere, i bambini normodotati procedono sicuri, sotto la mia guida, attenta alle varie possibilità didattiche. Ma già l’eco lontano di qualche rivista scolastica di ispirazione “rivoluzionaria” arriva fin dentro la mia scuola!
I millantatori profeti del progressismo promettono che è finito il tempo “dell’oscurantismo scolastico” e ben presto sparirà la figura del “maestro unico”, bollato con il marchio infame di “tuttologo”.
Finalmente ci saranno i saperi specializzati, evviva ci saranno maestri specializzati, ma specializzati in che cosa?
Certamente nella metodica stesura di tabelle, schemi, per arrivare ai saperi specializzati e così avremo l’alunno perfetto, l’alunno ideale, dicono!!
Rido dentro di me e guardo i miei alunni che già sono “ideali”, “speciali” e in più sono veri e reali!
Che fortuna per loro, che fortuna! Hanno ancora la possibilità di essere affidati ad un “maestro unico” che diventa non un vuoto “tuttologo”, bensì una figura di sicuro riferimento!
Certo, l’insegnante deve amare il suo lavoro e i suoi alunni, deve essere “Maestro” secondo l’affermazione categorica del nostro filosofo idealista Lombardo Radice.
Guardo i componenti del gruppo-classe, e li accetto nella loro diversità fisica, intellettiva, emotiva, ma uguali nelle possibilità offerte loro dalla scuola, tramite la mia mediazione psicologica, didattica, umana.
Gli alunni ora sono riuniti a piccoli gruppi e stanno colorando i diversi fogli che formeranno il cartellone murale, lasciando lo spazio libero per inserire brevi poesie spontanee inventate da loro per il prossimo Natale.
Anche Agatella ha fatto un sua poesia dialettale : “Bambineddu nicu e beddu…”e i compagni approvano entusiasti.
Si sente bussare lieve alla porta, è la bidella: “Maestra per favore scenda giù un momento, un giovane insiste nel volerla vedere”.
“Bimbetti, mi raccomando” dico dubbiosa.
“Maestra non preoccuparti, staremo buoni come se ci fossi tu, e poi io aiuterò Agatella” sottolinea Fiorella.
“Che collaborazione, che magnifica intesa tra loro e me, sembriamo proprio una comunità” penso fiera di loro e di me.
Scendo le scale, mi ritrovo nell’atrio e vedo un bel giovane, ha i capelli biondo scuro riccioluti, vivaci occhi castano chiaro con pagliuzze verdi, ma conserva ancora la sua tipica espressione birichina in viso. Mi guarda e mi dice: “Maestra, chi sono?”
“Francesco R.” rispondo subito e lui meravigliato, ma contento di essere stato riconosciuto dice: “Qualche volta sono passato davanti alla scuola, ma oggi proprio non ho resistito alla voglia di vederla e di abbracciarla”.
Sorrido di cuore: “Anche se nel tempo ho avuto moltissimi alunni voi siete tutti miei “figli” lo sai, nel mio cuore conservo uno spazio speciale per ognuno di voi anche se ormai siete diventati tanti!”.
“La trovo bene” mi dice “proprio bene, sembra che il tempo per lei non sia passato, io ho compiuto diciotto anni e già lavoro, ma mi dica ricorda ancora le mie monellerie?”
“Ricordo solo il tuo primo giorno di scuola e il tuo modo ostinato di stare abbracciato al tuo zainetto, senza volerlo aprire. La tua mamma tentava di convincerti, ma tu, ostinato e imbronciato resistevi, anzi, lo stringevi con più forza ed io ti guardavo in silenzio e ti sorridevo e tu, alla fine del tuo lungo silenzio, hai alzato gli occhioni e mi hai sorriso; così abbiamo fatto amicizia e mi pare che si sia mantenuta oltre la scuola, perché oggi tu sei qua. Ti ringrazio perché oggi sei venuto a rivedermi e ti faccio gli auguri per il lavoro e per la vita!”
E così dicendo mi sollevo un po’ sulla punta dei piedi per abbracciarlo forte.
Rientro in classe, i miei nuovi alunni sono intenti a disegnare in silenzio, qualcuno alza gli occhi e mi guarda.
Orazio e Fiorella (due gemelli) si avvicinano al mio tavolo e piano mi chiedono: “ Che cosa ti è successo? Stai piangendo?”
“No” dico “ sono solo commossa, perché è venuto a trovarmi Francesco R., che ora già lavora”.
“Anche noi, io e mio fratello Orazio, vedrai, verremo a trovarti e ti porteremo le nostre pagelle” sottolinea Fiorella.
E’ qualcosa di magnifico, di unico, il rapporto che io ho “creato” con tutti i miei alunni, rapporto fatto di comprensione, di affetto e di stima reciproca, scambio culturale ed esperienziale e, come ben diceva il presidente del concorso magistrale, ho saputo portare a scuola la carica del mio entusiasmo, coinvolgendo piccoli e … grandi.
Ho intrecciato con i genitori dei miei alunni un “costruttivo dialogo” e infatti ho tempo da “regalare” anche a loro che, all’uscita mi aspettano e spesso mi confidano le loro problematiche, perché mi stimano e mi considerano una loro “amica”.
“Maestra, (che bello per me sentire questo appellativo!) lei lo sa, abbiamo già due figli grandicelli, ora ne aspetto improvvisamente un terzo e vorrei …”.
Non ascolto, la interrompo subito, non voglio ascoltare la parola orrenda e mi affretto a consolarla: “Sua figlia Anna è intelligente e bella, coraggio regali al nascituro la possibilità di vivere, vedrà il Signore l’aiuterà! Del resto, siamo già ai primi di Dicembre, in clima di attesa del Natale, così il prossimo anno potremo dire che in via Lazio è nato un bimbo, anzi è venuto al mondo un nuovo Gesù, perché ogni bimbo che nasce è una speranza per il mondo!”.
E così dicendo provo una sensazione nuova di pace e abbraccio forte la signora Maria, che ricambia commossa.
Che strano, penso, si chiama veramente così!
Un brivido mi percorre la schiena! Non parlo invece e continuo a sorridere e i bimbi già sciamano nell’ampio cortile della scuola.
Ma già, è ampia anche la mia aula, adornata con lunghe e robuste tende che la mamma di Corrado, sarta rifinita, ha cucito e il papà di Sebi, munito di fil di ferro, trapano e metro, ha sistemato nelle due larghe finestre.
Non basta, la nostra aula è la più ricca di tutta la scuola, perché il papà di Orazio (falegname provetto) ha ristrutturato (nel suo giorno libero) la vecchia sgangherata cattedra, arricchendola di due cassetti nuovi.
Anche l’armadio, che in prima aveva una sola mensola, adesso ne ha di nuove, così i bambini sono più contenti di lasciare a scuola i loro quadernoni colorati.
Tutti i genitori, fin dalla seconda classe, hanno fatto a gara per migliorare l’aspetto dell’aula e sulla cattedra ci sono ogni giorno dei centrini colorati e sulla mia sedia spoglia ora troneggia un cuscino.
Siamo ancora “una famiglia”, una grossa famiglia, pare, e stiamo proprio bene insieme, perché tuttora vivono nella società i valori sani dell’amicizia, o meglio della solidarietà e l’insegnante gode di stima e di fiducia massima.
E arriva la prima festa di Natale, quella scolastica, vissuta con largo anticipo sulla liturgia.
I ragazzi sfilano davanti ad una specie di capanna vuota dove c’è solo la stella; gli angeli, i pastori e Giuseppe sono gli stessi bambini, che indossano i costumi preparati dalle loro mamme, mentre i tre papà presenti usano la telecamera e scattano tantissime foto.
“Alleluia, Alleluia, è nato il sovrano Bambino, la notte che già fu sì buia risplende di un astro divino” così l’angelo (che è Bruno) declama e Maria (Amalia) furtivamente esce da sotto il manto azzurro il piccolo Gesù (il suo bambolotto!) ma la commozione è sincera e non manca la mia fra le altre.
Ora sul tavolo troneggia il vaso con le rosse stelle di Natale “Così noi saremo lì presenti a casa tua, perché tu hai soltanto la mamma e sei sola!” dicono i bambini inteneriti dalla mia presunta solitudine.
Ma io penso che andrò alla Messa di mezzanotte a S. Teresa e già ne pregusto la dolcezza con la preghiera regalatami da Concita:
E nasci ancora
Vorrei lodarti Signore
nei giorni di festa,
cantare il tuo nome,
fra gli uomini senza sorriso,
ogni giorno scrutarti, vegliarti,
adorarti.
O Dio che nasci ancora,
e il mondo tace,
custodisci per sempre in me
un amore grande e semplice,
che possa non stancarsi nel cammino,
ma accrescersi e portare nuovi frutti,
e concedimi, se vuoi,
Signore della vita,
di scorgere il Tuo viso nei miei fratelli
e di servirti ed amarti sempre come nel primo giorno
in cui ci siamo detti
“Sì”
(Concita Sambataro)
In questo clima natalizio che già mi avvolge e mi inebria, ripenso per un attimo al mio primo Natale di bambina, lassù nel mio paesello montano, a Canolo, e quello fu il mio primo “sì”, no il “nostro” sì Signore…
Con questi pensieri scendo le scale della scuola e vado verso la mia macchina posteggiata nel cortile.
Apro lo sportello e, oltre al vaso di stelle di Natale, che le mamme avevano già sistemato, vi trovo una bella tovaglia e curiosa, la tiro un poco, cade un colorato cartoncino “Sorpresa! Sorpresa! La tovaglia è un regalino di noi mamme, perché anche noi come i nostri figlia le vogliamo bene”…
Stavolta mi sorprendo e mi commuovo davvero!
Sono seduta nella mia stanzetta, sto cercando dei libri, quando il suono del telefono mi fa trasalire. “Ciao, sono Gina, ricorda, domani devi venire, abbiamo fatto l’ultima prova per i nostri mantelli bianchi, che tutti noi della fraternità indosseremo la notte di Natale. Ti aspettiamo, ciao, statti bene!”
“E che?!”- dico- “Tutti mi aspettano? Anche io aspetto con fresca, infantile impazienza la nascita del Bambinello Gesù!”.
Finalmente arriva la Notte Santa e felice mi ritrovo nella bella, monumentale, antica chiesa di Santa Teresa; sono, no, siamo tutti noi quindici riuniti nel salone. I mantelli bianchi, appesi in ordine, con il nome scritto, sono pronti. Io mi accingo a prendere il mio, ci riesco infatti, ma non so chiudere il gancio perché le mani mi tremano e Gina, premurosa, interviene e sistema ogni cosa.
Ora siamo tutti pronti e usciamo dal salone in fila indiana per andare a sederci nel coro.
Meno male che fra i fratelli io sono messa al centro, perché da sola non so dove sarei andata a finire!
Padre Vincenzo ci aspetta nel coro e ci accoglie uno per uno: “Benvenuta Rosarita. Auguri!”. Io ricambio e finalmente mi siedo accanto ai fratelli.
Dentro di me sbocciano pensieri di pace e contemplo il bianco dei mantelli che sono un simbolo visibile della fraternità alimentata dalla preghiera carmelitana di “timbro” contemplativo.
Ora le note festose del Gloria inondano la grande chiesa e si diffondono nell’aria.
La gioia dell’attesa mi inonda e così mi ritorna al cuore un Natale lontano, in Calabria, un Natale speciale della mia infanzia che ha dato il via a tutta la mia storia, alla mia stessa chiamata.
Ecco il Bambinello che appare lassù sull’altare, ma io bambina non riesco a vederlo, attorno a me la ressa è grande, cerco di alzarmi sulla punta dei piedini, ma non sono la sola ad avere tale idea, perché Erminia, Annamaria e Noretta, le mie compagne di quinta classe, cercano di fare la stessa cosa, nella piccola grande chiesa di Canolo, lì in Calabria, che profuma di … campagna ed io avida ne respiro la fragranza in questa stupenda Notte Santa.
Mi ritrovo rossa, sia per il caldo, sia per la gioia; ho appoggiato sulla sedia l’elegante cappottino e guardo e riguardo nel taschino ricamato del mio vestitino rosso per cercare il mio biglietto “G 68” che credo vincerà e lo trovo trionfante.
Mia madre è seduta al suo posto, calma e bella nella sua imponenza, sembra una matrona romana con la sua folta e ancora bionda treccia che, sulla sua testa forma una corona rilucente.
Indossa, con eleganza, la sua pelliccia d’Astrakan e sul davanti si intravede la verde camicetta di seta che incornicia ed esalta il suo naturale colorito roseo; sull’ovale delicato del viso spiccano due vivaci occhi di un azzurro chiaro e dai lobi scendono e brillano orecchini d’oro di fine fattura.
Sorridente, ma silenziosa, seduta accanto a lei c’è mia sorella Rinuccia, che indossa un bellissimo cappottino rosa con colorati e originali bottoncini a forma di ciliegia.
Ha riccioluti capelli d’oro, ben pettinati, e due occhioni di un chiaro colore azzurro come il mare, no, come quelli di mia madre a cui tanto somiglia, sia a livello di fisico, sia a livello intellettivo. Misteriosa, ma reale è la speciale intesa che esiste già tra loro due.
Continuo a sentire un odore dolce, che sa d’infanzia, che sa di vita!
E’ proprio l’odore del latte, perché, proprio accanto a me, le belle, giovani contadine offrono ai loro poppanti il turgido seno e i piccoli avidi succhiano la bianca, dolce bevanda.
Li guardo e li vedo così strettamente fasciati con lunghissime fasce di cotone (per crescere con le gambe dritte, dicevano!),e per l’occasione festiva sfoggiano delle bianche cuffiette di fine seta, ornate con bordi e nastrini rossi per tenere lontano il “malocchio”.
Alla sinistra dell’altare le tante “zie”, prima madri di innumerevoli figli, ora nonne di floridi nipoti, indossano gli antichi costumi della Locride (di greca memoria) che sottolineano i sani valori della civiltà contadina che ha come unica ricchezza “il frutto del ventre: i figli”.
Le donne anziane indossano, su ampie colorate gonne i verdoni “Ippuni”, che sono camicette cucite e ricamate con lunghe strette piegoline verticali rialzate, che stringendosi poi nella vita sottolineano i loro seni prosperosi.
Ora la voce del “nostro” arciprete ripete: “Chi di voi piccoli o grandi ha il numero “G 68” si faccia avanti, il Bambinello stasera vuole andare a casa sua!”.
Subito mi alzo di scatto, per la fretta butto a terra sedia e cappottino, ma Nunziella, la mia catechista, sorride, mi rassicura ed io corro verso l’altare sventolando il biglietto vincente e gridando, col mio tono alto di voce: “Ho vinto, ho vinto, ho il biglietto, evviva, evviva, Gesù vuole stare con me!”.
Stella e Maria (le mie amiche grandi) cercano di trattenere un poco questa mia corsa, ma non ci riescono, perché “ho ali al cuore e ai piedi”.
Arrivo trafelata e l’arciprete, che ben mi conosce, mi dice: “Rosarita quest’anno il Bambino Gesù è voluto venire con te, a casa tua, cerca di fargli buona compagnia e così crescerete insieme!”.
Non capisco proprio: “Oh bella! come può crescere una statuetta di cera?!” .
Ora poso le mie labbra di bimba sul visino di cera che stranamente si riscalda, e quasi si colora, non dico niente, ammiro la bella camiciola di seta, che la mia catechista Nunziella, rubando le ore al sonno, ha pazientemente ricamato.
Fragoroso e scrosciante è l’applauso, Teresa ripete: “Sì, quest’anno il Bambino Gesù è andato a stare con la figlia grande del Maresciallo!”.
Già, il maresciallo, mio padre, ora lo cerco con lo sguardo indagatore e lo trovo: è lì con la sua nera bella uniforme, che sottolinea ed esalta la sua bruna virile bellezza.
Ci somigliamo tanto, specie nel temperamento astratto e poetico e nella fede negli ideali.
Vedendomi correre trafelata verso l’altare, mi avvolge con il suo caldo sguardo protettivo, perché fra me e lui esiste una “corrispondenza d’amorosi sensi” di foscoliana memoria e anch’io lo rassicuro usando il nostro speciale linguaggio degli occhi, perché so che non posso abbracciarlo quando è in servizio.
Ora non respiro più l’odore benefico della campagna, bensì quello acuto dell’incenso, mentre una calda voce intona: “Tu scendi dalle stelle o Re del cielo e vieni in una grotta al freddo e al gelo. O Bambino mio divino io ti vedo qui a tremar…”
“Ma perché tremi?” mi chiedo dubbiosa “hai freddo o Bambinello? Aspetta un momento ti ricopro subito”.
Sono già al mio posto. e cerco il mio cappottino di bimba, guardo e mi accorgo che è scivolato sulla spalliera.
Ora ne tiro svelta un lembo che mi sembra più chiaro, quasi bianco e meravigliata sento una fresca voce femminile: “Rosarita mi dici perché tiri il mio mantello? Forse sei scomoda?”
Così mi parla Francesca, la mia sorella di cammino di Santa Teresa, la guardo stupita e mi ritrovo con tutti i fratelli della fraternità, non sono più una bambina bensì una donna che ha saputo conservare nel tempo la freschezza dell’infanzia ormai lontanissima, nello spazio e nel tempo, ma attuale nel cuore che sa mantenere la sua “giovinezza”.
Aurelio mi fa cenno di mettermi in fila, perché ci avviamo per ricevere la comunione.
Eucaristia = Corpo reale di Cristo
Comunità = Corpo reale di Cristo
Così dicevamo ai nostri campi di lavoro a Vizzini.
Capitolo IX
Verso Firenze
Nell’84 continua con serenità e sicurezza il mio impegno di maestra, e la scuola riempie ancora buona parte della mia giornata e della mia vita.
Eppure già comincia ad affacciarsi all’orizzonte del mio spirito un certo disagio interiore dapprima lieve, incerto ancora, ma sempre più continuo e pungente.
Mi fermo, mi guardo dentro e vedo che dal lontano ’80 la comunità di S. Teresa si è molto ampliata ed è diventata un gruppo di famiglie con una tematica e una problematica profonda ma lontana, lontana dal mio personale iter spirituale.
Ecco mi manca uno specchio con cui confrontarmi mi mancano i ritiri spirituali di Monte Carmelo animati da p. Mario (che ho rivisto per breve tempo nel viaggio di Lourdes)e ha dato una svolta alla mia visione dell’accettazione del dolore: i sofferenti, infatti, erano inchiodati alle terribili sedie a rotelle con i bulloni della “Gioia”.
Ma ora p. Mario è lontano, mi manca la sua presenza amica, paterna e rassicurante.
E oggi nel caldo giugno del ’85 la scuola è finita e con essa l’impegno continuo e totalizzante dell’insegnante.
Ora uno squillo insistente mi distrae dai miei pensieri, ma chi suona alla porta?
Ma no, è solo il telefono che continua a squillare ed io, con voluta lentezza, mi alzo e subito la fresca voce di Maria C. annuncia: «Come stai? la sai già la buona notizia? Tutti noi abbiamo bisogno di un confronto comunitario, di una pausa di respiro e così abbiamo deciso di andare in Toscana nella casa di accoglienza dei padri Carmelitani a Campiglione. Sto scrivendo l’elenco dei partecipanti e so che verrai, tanto nel mese di agosto, sei in ferie! Dimenticavo di dirti che verrà anche Renato, il nostro futuro sacerdote!
Insieme a p. Vincenzo ti aspettiamo sabato per il nostro incontro settimanale per definire il programma estivo. Ciao ti abbraccio.>>I.
Poso il ricevitore del telefono e ripenso a Renato, ma certo, è il giovane ragazzo dai riccioluti capelli neri, dagli occhi vividi e dalle mani di artista, ha modellato infatti un Cristo di fine fattura da un informe blocco di creta.
Questa inattesa notizia solleva il mio spirito e guardo interessata il mio voluminoso diario che andrà in valigia insieme al tris di penne colorate.
E Agosto arriva caldo di sole, ma fresco di nuovi progetti, di nuove speranze, il cuore vola e il treno sbuffa nella stazione di Catania oh! pof, pof che bello!
Il treno è scattante come la vita!
E il cuore canta e Antonella ride divertita perché non riesce ad entrare nella sua cuccetta con il suo enorme pancione, mentre il marito Aurelio la guarda preoccupato e Gianni avanza un sospetto « Come mai? Sono due gemelli? »
Ora il treno è già arrivato a Messina, ma è ancora buio e non riuscirò a intravedere i monti del mio paesello situato in terra calabra , che io con amaro dolore, ho lasciato nel 1962 per venire a Catania.
Rientro, delusa mi sdraio, la manovra è finita, il rullio cessa e diventa un gradito dondolio e pian piano gli occhi si chiudono e comincia il sogno.
Improvvisamente non è più sera, è giorno, anzi è uno splendido giorno di primavera e nel sole, Lisa, in grembiule nero e collettino di fine merletto, canta con intonata voce: «Ah Lazzarella comme sì a me mi piaci sempre cchiù…ti sta sempre più stritta a camicetta a fiori blu…».
La guardo in silenzio sacro, ma la sorpresa non è finita, anzi! Dietro di lei con la sua tipica espressione sognante, con la cartella di cuoio zeppa di libri e d’appunti, con il nero grembiule, il collettino bianco e in più un colorato cinturino verde, avanza una ragazza che ha spalmata sul volto la crema della gioia.
Mi vedo e mi riconosco; sono io: sono felice, sono nell’Istituto magistrale di Locri, non ho ancora 18 anni!
Sono partita, come ogni giorno, dal mio paesello, alle sei del mattino e con me ci sono: Noretta, Erminia, Emilio e Vanni.
Ora piano Lisa, brunetta e simpatica, mi si accosta e salendo le scale, continua a dedicarmi sottovoce il mio canto preferito: «Nel blu dipinto di blu, felice di stare lassù con te».
Siamo già arrivate nella nostra spaziosa aula, la III C che dà sul giardinetto. Alzo la mano per salutare Rosetta alla quale sono ideologicamente molto legata e quando facciamo le nostre ripetizioni o gare di italiano e filosofia lei si gira di botto e le sue deliziose trecce, legate con nastri di seta colorata, le danno un’aria sognante proprio da bambina. Pasqualina detta da noi “Lina” ha già aperto il suo quadernone,di matematica (vi si può notare la sua grafia, piccola e metodica), ricco di schemi e formule matematiche, materia in cui lei eccelle!
Nell’angolo vicino alla grande finestra che dà sul giardinetto, c’è seduta Marianna e i lunghi boccoli neri lucenti formano come una corona sul suo collo di cigno e poi si appoggiano sul suo seno turgido e prosperoso insieme.
Ma non riesco a guardare e salutare le altre ragazze perché il bidello annuncia: « Sta entrando il professore di italiano ». Tutte noi, in un unico scatto, ci alziamo in silenzio e lui sorridente ci fa segno di sederci e poi con alta competenza inizia a leggere i Sepolcri. Ascolto.
«… e l’arca di Colui che nuovo OLIMPO, alzò in Roma a’ Celesti, e di chi vide sotto l’etereo padiglione rotarsi più mondi e il Sole irradiarli immoto…».
E spazio beata nel mondo della poesia a me congeniale, ma ecco che ad un tratto vicino al professore ora volteggiano ( usciti da dove?!) due strani personaggi e attenta guardo. Il primo è quasi vecchio ma possente ancora e infatti sostiene con vigorose braccia, una grandissima costruzione quasi cilindrica, finemente lavorata e con un improvviso tuffo al cuore la riconosco: è la cupola di San Pietro e insieme riconosco lui, il grande scultore: Michelangelo.
Ma non distinguo bene la foggia dei suoi vestiti perché è ricoperto da una fine, impalpabile polvere di marmo.
Il secondo personaggio non è meno strano del primo, infatti indossa una casacca nera e ha un’ enorme colletto inamidato.
Ha un viso crucciato, tiene in mano un bastone di ferro! Ma no guardo meglio è un cannocchiale e sento che mormora fra i denti “Eppur si muove!” Purtroppo la chiesa non ha saputo riconoscere la grande teoria della terra che gira intorno al sole e così Galileo è ancora deluso e io con lui!
Ma Mirella, con i bianchi occhiali che le danno un’aria di professoressa, non si è accorta di niente e tranquilla prende appunti, qui seduta accanto a me. Sto zitta per ora e la bella, calda voce del professore Ferraro mi conquista e lo guardo estasiata .
E’ alto,indossa una giacca grigio chiara, che fa intravedere una fine camicia, ha il viso adorno di una corona di barba ben curata,è risplendente di bellezza e gli occhi castani conquistano la simpatia e l’attenzione di noi studentesse mentre nel silenzio generale comincia a declamare i Sepolcri di Ugo Foscolo.
< <Te beata gridai, per le felici auree pregne di vita e pe’ lavacri che da’ suoi gioghi a te versa Appennino e tu per prima Firenze, udivi il Carme, che allegrò l’ira al Ghibellin fuggiasco >>.
Dalla finestra spalancata della classe arriva a me il richiamo acuto della campagna, unito all’odore tipico della giovinezza.
Il sole è tiepido qui fuori , la brezza scompiglia i miei lisci capelli e d’incanto scende verso di me, un uccello colorato e si ferma ai miei piedi.
Sicura e lieta lo guardo e aumenta dentro di me il bisogno di volare, ma certo per lungo tempo sono stata un’aquila e mi credevo un pollo!.
D’istinto slancio le mani verso l’uccello che sembra capire il mio desiderio e mi viene incontro, ecco non ha paura di me e neppure io provo paura; allungo le mani e riesco ad accarezzare con tenerezza una parte delle sue infinite ali. « Come sono morbide, sembra di toccare un cuscino di seta! ». Con sicurezza aspetto che si posi qui accanto a me e con nuova, improvvisa disinvoltura lo cavalco e volo in alto e Firenze appare nello splendore dei suoi palazzi, delle sue piazze!
Dalla piazza di San Lorenzo arriva in alto fino a me, il brusio, no il vocio, del mercato e nelle lunghe ceste fanno mostra di sé le tenere verdure, i frutti carnosi, doni della fertile campagna fiorentina!
Dalla parte opposta in ordinata fila, i numerosi turisti stanno per rendere omaggio alle cappelle dei ‘Medici ove si possono ammirare ancora opere famose e dove anche Michelangelo lasciò l’orma del suo genio.
E il mio viaggio continua ed ora l’uccello, in volo radente, si avvicina sempre di più a Ponte Vecchio, infine plana verso terra e io tranquilla salto giù leggera, felice, serena.
Ora l’uccello apre e chiude i grandi occhi più volte in segno di saluto ed io ricambio con i miei occhi ora più grandi e luminosi per la gioia. Sento uno sciabordio, un rumore d’acqua pare e il fiume placido scorre: « Ma è l’Arno!» ripeto incantata a me stessa.
D’un lampo il sole tramonta, ed ecco lo guardo attonita c’è buio mi pare, ma no le stelle, in manto d’argento, appaiono chiare e sbarazzine brillano e sembrano vicine vicine.
La luna manda riflessi dorati e il paesaggio tutto sembra irreale, proprio come quello di un sogno! dico fra me.
Ora percepisco sempre più un rumore, ma no, è un fischio lungo e acuto che turba il silenzio solenne del paesaggio serale.
D’istinto mi proteggo, porto le mani alle orecchie ed ecco mi ritrovo sul treno e qualcuno dice: « Abbiamo da un po’ superato Napoli».
Il sole filtra attraverso il finestrino, mi stiracchio, sorrido fra me perché è rinata la speranza; mi ritrovo fra i fratelli del Rinnovamento di S. Teresa.
Nel treno c’è un fervore di vita, si scambiano i saluti e tutta la carrozza è in festa: siamo tanti proprio tanti e non mancano i bambini delle nuove giovani famiglie.
Maria, già alzata, mi augura il buongiorno e premurosa, con due thèrmos in mano, chiede: « Caffè o Tè? » e aprendo il suo borsone ne tira fuori tovagliolini e bicchieri colorati.
Inizio a sorseggiare il mio tè e Renato si avvicina lesto, e mi porge in silenzio il pacco con i miei biscotti preferiti perché li ha portati da Catania proprio per me – mi dice.
E corre, corre il nostro treno, divora e supera ponti, paesi, campagne, entra nelle buie gallerie e ben presto ne sbuca fuori vittorioso, contento pare.
Si avvicina ora la campagna del Lazio che appare in tutta la sua magnificenza di verde, di frutteti, di greggi opulenti.
Laggiù, la città eterna, Roma si intravede e d’incanto con la memoria del cuore mi ritrovo in mezzo ad una folla festosa e canterina, ma certo, tutti noi fratelli del Rinnovamento nello Spirito, oggi siamo convenuti qui in piazza S. Pietro per il nostro raduno nazionale del maggio dell’80.
Saremo ricevuti dal Papa nella sala Nervi, siamo già incolonnati e stiamo per entrare p. Vincenzo con il, cappellino rosso apre la nostra fila, Pippo ci guida con gli occhi attenti, io mi trovo vicino a Renato che indossa il saio carmelitano e mi tiene per mano in segno di fraternità.
Dietro di noi seguono: Gianni, Maria, Nello, Giovanna, Aurelio, Francesca, Nando e Nino, Rosamaria e Giovanni.
Eccoci siamo dentro, ma che fatica per arrivarci! Prendiamo posto nelle sedie numerate, ma siamo capitati male, ci troviamo alla fine della sala e il Papa passerà soltanto nelle prime file dove ci sono i sofferenti – dicono!
Ma io, come sempre, fervida di idee e nel pieno vigore fisico e mentale escogito un mio sistema speciale per vedere il papa.
Faccio un lieve segno a Pippo che cerca di fermarmi, ma invano, perché mettendo « ali al cuore e ali al piede » svicolo nel corridoio laterale e arrivo proprio sotto la prima fila.
Mi fermo emozionata e delusa perché ci sono le transenne, alte per giunta.
Sbircio con interesse il volontario del servizio d’ordine e noto che è biondo, di nordica natura e d’istinto dico: « Su fratello aiutami a saltate oltre le transenne, ho bisogno di vedere il Papa da vicino, fammi sedere accanto ai sofferenti in questa fila riservata ». Ma non gli dò il tempo di riflettere, mi alzo sulle punte dei piedi e con forza mi appoggio alle sue atletiche spalle e infine con un felice acrobatico salto in lungo, mi ritrovo nel gruppo dei sofferenti sconosciuti. Noto che alcuni sono già seduti sulle sedie a rotelle altri stanno per farlo assistiti dai loro accompagnatori.
Un anziano sacerdote, sostenuto dal suo bastone, ha assistito in silenzio alla scena e non ha criticato il mio ardire, anzi, con giovani occhi limpidi e voce imperiosa mi ordina: «Svelta mettiti su questa sedia dietro di me attenta sta per arrivare qui la guardia svizzera, non ti fare scoprire!»
Evviva faccio appena in tempo perché il cuore ora mi martella forte. Ho paura, ho paura che qualcuno mi mandi via dal posto a fatica conquistato
La guardia svizzera avanza in un turbinio di giallo e di rosso, avanza, ma sospetta qualcosa? O forse ha visto la scena? Ma no, passa oltre ignara!
Ora assumo un’aria smarrita, giro la mano, la metto con il palmo in su e ritiro le dita, sembra storta e malandata e forse è diventata proprio così!
Ora dal lieve mormorio capisco che il Papa sta per passare, eccolo! Bianco vestito, giovane! Ha per ciascuno di noi un sorriso e una carezza. Si avvicina, si ferma dubbioso, mi guarda stupito, forse ha capito qualcosa? E poi, e poi mi guarda ancora e tuttavia mi regala una carezza! poi passa oltre. Subito il mio essere è come percorso da una sensazione bella, bella assai!
In rapidi cerchi di gioia penso al Tevere e al fiume, che abbraccia il mare, affido tutte le mie certezze di fede!
Ma dove sono ora? E perché sento che i miei piedi hanno un appoggio instabile? Ma che cosa è questo rullio continuo? Incerta cerco Renato, ma è qui, affacciato all’altro finestrino del treno e in silenzio mi avvicino e gli stringo forte la mano perché devo trasmettere “l’elettricità” emotiva che mi è ancora rimasta dopo la carezza del Papa, del nostro papa Giovanni Paolo secondo .
Si gira, mi guarda sorridendo, ricambia forte la stretta e, meraviglia dice: «Lo so avvicinandoti a Roma stai ancora pensando alla carezza del Papa? Ma è passato tanto tempo dal nostro convegno dell’80!».
Stavolta la gioia e la sorpresa mi provocano un nodo alla gola e pacatamente alle mie labbra affiora la lode: «Alleluia al Signore» dico, e Renato in spontanea preghiera ripete piano «Amen !»
E il treno corre, fatica ancora, lascia la costa, si dirige verso l’interno e in tutta la nostra carrozza il mormorio aumenta perché si devono prendere i bagagli per scendere a Firenze che in lontananza si intravede. Guardo preoccupata la mia gonfia valigia e par mi dica:« Così, così strapiena come farai a trascinarmi?»
Gianni, dopo aver sceso la sua e quella della moglie Maria, mi dice premuroso:« Tranquilla Rosarita, la tiro giù io! »
« Meno male che ha le ruote» penso fra me.
Ma ecco che Renato si offre di trascinare la mia valigia e il suo leggero bagaglio. Nei due vagoni precedenti i bambini parlano eccitati e ognuno trasporta il suo giocattolo preferito.
Scendiamo tutti dal treno, ogni famiglia controlla i bagagli, ma fra tutte la più rigonfia è la mia valigia e la guardo perplessa!
Ora padre Vincenzo fa la conta: « Bene siamo tutti presenti, mi raccomando date un occhio ai bambini, a Firenze prenderemo l’autobus per Campiglione passando per piazzale della Signoria.>>
Ora tutti insieme come, piccolo gregge, ci incamminiamo. Ai miei occhi estatici appare la Cattedrale impreziosita da marmi bianchi, rossi e verdi, splendido esempio dell’architettura gotica fiorentina. In alto spicca il Campanile di Giotto di lato il Battistero con la porta del Paradiso.
E poi e poi,c’è la cupola del Brunelleschi che io conoscevo solo dai libri di scuola. Mi fermo e contemplo in silenzio sacro. Brunelleschi, amico dell’astronomo Toscanelli, dopo i suoi profondi studi matematici e le osservazioni attente agli antichi edifici specialmente al Pantheon di Roma, eresse la prima cupola senza le usuali impalcature.
Ma la mia contemplazione è rotta dall’arrivo eccitato di Nello che, da esperto muratore, mi chiede allibito: « Rosarita, ma Brunelleschi come ha fatto a portare lassù in alto nella cupola tutti quei mattoni rossi?» E non ottenendo alcuna risposta da me continua: « Ma è un genio, è bravo assai, assai!»
Urge camminare pare, ma Nello si gira ancora una volta indietro e lo sento mormorare: « Ma come ha fatto? Certo era il capo dei muratori! ». e poi guarda veramente ammirato la bravura manuale dell’artista che ha lasciato a noi e al mondo un’opera eterna e duratura.
Ora ci scambiamo con Renato uno sguardo complice e corriamo entrambi giovani, verso il piazzale della Signoria che si intravede in vicina-lontananza!
Domina la piazza il trecentesco Palazzo Vecchio dall’ardita torre merlata. Sulla destra si trova il Palazzo degli Uffizi e la loggia della Signoria, altro notevole esempio dell’architettura gotica fiorentina. Ma fra tutte le statue che impreziosiscono la piazza vedo, nella pura maestosità del marmo bianco e nella stupenda nudità, il Davide di Michelangelo , che mostra la forza morale e fisica del guerriero vincente. L’occhio riesce a incamerare tanto splendore e provo una “goduria” che ha il sapore metafisico dell’eternità. Ma non sono la sola “a gustare”, il piacere estetico incrocio lo sguardo eloquente di Renato, ma nessuna inutile parola turba l’istante eterno di grazia che stiamo vivendo attraverso l’arte.
Sono ora sull’autobus, stiamo andando a Campiglione e la campagna toscana appare ricca e verdeggiante. Troverò ancora una volta una risposta ai miei perché nuovi e vecchi?
Arriviamo, e la casa, simile a un robusto merlato castello medievale, ci accoglie immersa fra alti, amici alberi.
Avrò del tempo per interrogarmi, per confrontarmi con i fratelli, per pregare, penso. Tutti ci avviamo verso il grande salone antico che già è aperto così entriamo in frotta. Renato depone la mia grande valigia e subito io, fingendo di cercare qualcosa, mi allontano, ho intravisto infatti una finestra e guardo fuori.
Quanti alberi, ma come è rassicurante il profumo del bosco che arriva fin qui!
Socchiudo gli occhi inebriata e davanti alla memoria del cuore sfilano altri alberi: quelli secolari di Gambarie del ’68, ora ecco i filari di pere di Vizzini dei campi di lavoro! già i campi di lavoro del ’70!
Ma chi parla? Chi ride con giovane voce nota? È un esile ragazza e sembra che canti! Ma come osa? Tutti dicono che è stonata, ma sembra invece intonata alla sua persona la certezza di vivere in una comunità di fede.
Eccola la Rosarita di allora serena dialoga con il folto giovane gruppo di fratelli lungo i filari e p. Antonio è la loro guida. Comunità parola sempre cara innervata in tutto il mio essere! Tuttora ricerco tale “dono” riflesso sbiadito della Prima comunità la Trinità .
Adorazione in Terra toscana
…. Gesù, piccolo grande amore, sì eccomi sono qui nella tua piccola chiesetta con la finestra antica spalancata su questo splendido cielo toscano, su questa natura feconda e verdeggiante. Sono sola con te; voglio essere sola non c’è nessuno accanto a me nonostante l’intera comunità, di S. Teresa.
Si mi sto fermando, sono qui accanto a te che stai velato e presente nella piccola Ostia bianca, voglio ancora cercarti, ritrovarti, scoprirti.
Rivelati a me nello splendore della Tua luce, nell’orma che tu Dio Padre hai dato al creato, nella grande piccolezza del Tuo mistero Eucaristico.
Ora parla o Diletto, in questo divino e armonioso silenzio, il mio arido e inquieto cuore Ti ascolta.
Saprò riconoscere la Tua voce fra le “tante voci” che si inseguono nella mia mente e nel mio cuore assetato di pace e d’amore.
Ma chi risponde a questo mio grido profondo e muto? « Dolce sentire come nel mio cuore ora umilmente sta nascendo amore… » Ma chi canta così dolcemente, chi prega così profondamente? Ma sì dalla vicina cappella giunge al mio cuore il canto dei ragazzi di Pisa, guidati dai Gesuiti.
È un eco lontano della loro Messa? Ma no, della mia Messa di Vizzini..
Si, un altro cielo io intravedo, un’altra natura: è il campo di lavoro del 1972, ecco sento realmente la voce di Aurora , capelli al vento, eccola!
Canta, prega, contempla, eccola è lì, splendida di giovinezza e di fede la vedo « ridere e felice!»
Ed io all’apparire della vecchiaia ( segni nel cuore o nel corpo?) posso ritornare alla mia gioventù « nascere ancora, rinascere come Nicodemo? »
Per me ancora possibile? Te lo chiedo su questo tramonto di giornata, in quest’ora di deserto: in questo momento di rinnovata e angosciante solitudine. Vedi? Sono stanca dentro: ho attraversato strade lunghe, sentieri stretti, strade vuote, strade vuote di Te, strade troppo affollate e mi sono perduta nell’anonimato, io soffrivo, ma nessuno mi ha potuto sostenere, nessuno!
Anche la voce pacata di p. Mario è diminuita, non posso sentirla più è ritornato nella sua comunità di Palermo. Non ho neppure un padre! Mi è rimasto solo un lumicino: il faro interiore della mia coscienza che mi esorta, mi condanna, mi porta “fuori di me”. Forse anche Tu parli ancora, ma sono sorda, non Ti sento più. Fermati! Fermati!
Ma rispondi perché non Ti sei fermato ad aspettarmi sulla Tua e sulla mia strada? Perché? Perché?
Perché vai così di fretta e mi precedi correndo? Corri, corri troppo Gesù, fermati un attimo, fermati, per farmi respirare, ti chiedo solo una pausa di respiro.
Dammi una grazia, un dono Tuo, dopo si lunga sofferenza: fammi rinascere in acqua e Spirito. Lo puoi sono sempre una tua figlia, lo ricordi? Fammi respirare un attimo in Te. Ecco danni tremendi sono avvenuti pian piano dentro di me, oggi sono stanca, vuota, arida, angosciata.
Sanami dentro, purifica il mio cuore, inebriami del tuo amore.
Al mio ritorno a Catania fammi trovare una casa di preghiera. Aspetto! Ciao mio Gesù!
Eccoci abbiamo lasciato Campiglione, siamo già a Firenze, ma è quasi buio e posso dare alla città bella solo un rapido sguardo perché il treno per il ritorno ci aspetta, impaziente, pare. Saliamo e p. Vincenzo attento e premuroso, controlla tutti, poi con responsabilità paterna, si ferma vagone per vagone, regala carezze ai bambini e ringrazia tutti per la collaborazione ricevuta, lui- dice.
Ma in verità tutti noi abbiamo molto collaborato a rinforzare solo la sua pazienza!
Ora p. Vincenzo arriva vicino a me, mi guarda intensamente, mi sorride, ma non dice niente e io non rispondo alla sua muta interrogazione, fingo di non capire e lui va via, prosegue il suo giro augurando un buon viaggio a tutti!
E mi ritrovo già sdraiata nella cuccetta sopra quella di Renato, guardo la luna e attraverso il finestrino socchiuso, la vedo apparire, poi nascondersi fra le nuvole, riapparire di nuovo e penso che i poeti seicenteschi hanno offeso in modo plateale la luna definendola « la gran frittata » mentre a scuola, il mio professore di musica, rifacendosi alla Norma di Bellini la chiamava « la Casta Diva ».
Già, il mio professore di musica, lo rivedo di botto: è bassino, di età indefinibile, con pesanti occhiali di tartaruga con i folti capelli già abbastanza brizzolati e ora lo vedo e lo ascolto, mentre, suonando il violino, intona con calda voce, una canzone di sua invenzione: « Chimera nei sogni miei mi appari tu, bella ti vedo ancor come in quel dì sempre nei sogni miei con te vivrò è stato un sogno che non scorderò…»
E tutte noi ragazze diciottenni voliamo leggere sull’ali della musica!
L’incanto si rompe presto perché suona la campana della scuola e tutte, usciamo in ordinata fila e sui grembiuli neri e i collettini bianchi merlettati, le cartelle colorate fanno un piacevole contrasto.
Ricerco con lo sguardo Noretta, Erminia, Emilio, Annamaria li chiamo e insieme ci avviamo verso via G. Mazzini per prendere il nostro autobus che ci riporterà paziente ai nostri monti, baciati dalla fiumara! E tutto canta di gioia dentro di me!
E l’auto corre come il mio cuore, abbiamo già lasciato la marina e sta per apparire in lontananza la fertile campagna calabrese ed ecco già si intravede “la fiumara” con i suoi ciottoli a forma di confetti.
Poso lo sguardo sull’acqua che, anche da lontano , appare limpidissima ed ecco vedo una bimba di circa nove anni che indossa un lindo vestitino guarnito da due enormi tasche.
Ma che fa? – mi chiedo –perplessa.
Ecco saltella sicura da un lato all’altro su delle pietre levigate e scivolose, verdeggianti di erba, ma non ha paura, non cade, anzi!
La guardo con più attenzione e mi sembra proprio di conoscerla e d’altronde, accanto a lei, con le belle, giovani gambe tuffate interamente dentro “la fiumara”, Teresa, la domestica della caserma, sbatte vigorosamente le ruvide lenzuola dopo averle strofinate con il nostro casalingo sapone ricco di grassi, soda, erbe selvatiche, antica ricetta delle donne della Locride!
Ma ancora più meraviglia desta in me la bimba: è accaldata dalla gioia perché, guardando l’acqua poco profonda, ha trovato un pesciolino guizzante. Ma non lo prende si accontenta di raccogliere e mettere in tasca, ancora bagnati, i bei sassolini colorati con striature d’oro e ogni volta che ne prende uno lancia piccoli gridolini di gioia! E immerge sempre più i bei piedini nell’acqua frizzante e fredda del fiume. Provo un brivido, pur essendo sull’auto e premurosa la chiamo « Rosarita, Rosarituccia » ma non mi vede, neppure mi sente immersa nel trasparente fiume dell’infanzia. E Teresa (ancora molto giovane ) la guarda complice ma non la rimprovera e poi a mia madre dirà solo: « A Signurì, ha fattu a brava ». Ma a un certo punto una brusca frenata mi scuote e un confuso scalpiccio arriva a me, il papà di Erminia il nostro autista dice: « Su presto scendete tutti, devo cambiare una ruota! » scendiamo in ordine e Noretta passandomi accanto mormora:
« Troveremo la pasta scotta a casa! »
Già la mia casa, la mia casa sui monti!
Mio padre, ancora nel suo ufficio di maresciallo, si affaccia sul lungo balcone per vedere l’autobus che sbuffando in salita, sta per arrivare.
Mia madre ha già steso sul lungo tavolo la tovaglia fiorata e accaldata sta per scodellare il mio piatto preferito: gli spaghetti alla Norma.
Mia sorella Rinuccia sembra sfogliare un libro, ma i suoi azzurri occhi si rispecchiano in quelli limpidi di mia madre!
Capitolo X
La prima Messa di P. Andrea
Dalla lunga balconata la luce del sole si rifrange nella mia stanza e mi abbaglia.
Giro lo sguardo,in vicina lontananza l’Etna brilla di splendore nella sua “eterna bellezza”.
Il mio lungo tavolo è pieno di ritagli, di libri, di colori, di foglietti bianchi, del barattolo di colla:ecco sembra proprio una bottega di falegname solo che la mia stanza è piena di trucioli di carta, in questa serena mattinata settembrina dell’ 85.
La confusione è normale, sto preparando le schede per i miei alunni perché fra alcuni giorni ci rivedremo.
Che bello! Che bello-mi dico- e ho ancora, dentro di me le loro argentine voci che chiamano “maestra ,maestra, Rosarita!”. Prendo , o meglio tiro fuori dal mucchio alcuni foglietti bianchi, apro il cassetto per cercare il pennarello ed ecco, una busta rigonfia fa capolino ed io incuriosita, la prendo in mano e ne controllo il contenuto:sono le letterine che i bambini mi hanno scritto lo
scorso giugno “Sei bellissima. Sembri una principessa quando sale le scale”. “Ti voglio un mare di bene”. “La maestra Rosarita rende dolce la mia vita”. Sorrido fra me, certo a presto miei cari alunni ! A presto! Ma mentre cerco di riordinare i bigliettini il telefono squilla con suono insistente.
Mi alzo facendo volare a terra alcuni foglietti e sollevo la cornetta, riconosco subito la voce di Margherita “Ciao, come stai? Che cosa stai facendo? Lavori per la scuola vero?” Ascolta, ieri ho saputo che domenica 22 settembre, padre Andrea celebrerà la sua prima Messa..
Io passerò a prenderti! Ti prego fatti trovare pronta! Sono certa che verrai. Ciao!
“Oh questa è bella”, dico fra me, “lei è certa ma io no e poi chi è P. Andrea ? Ma certo! Ora ricordo. E’ il giovane, splendido ragazzo che ho conosciuto a S. Giuseppe mentre riordinavo i libri della biblioteca nel lontano ‘79!”
Conservo ancora nel cuore il colore dei suoi occhi di cielo e il suo sorriso luminoso e comunicativo.
Ora ho deciso, ci andrò ne sono convinta! Comincio a riordinare il tavolo della mia stanzetta e i ritagli di carta sparsi ovunque, presto diventano palline che io,con accurata flemma, tiro nel cestino: ecco ho fatto goal!
Penso al tempo che è passato ricco di imprevisti e a quello che verrà con un pizzico di curiosità, e sul mio volto aleggia uno strano sorriso.
Mi sveglio presto stamattina ricomincia la scuola e la lunga cartella è già pronta: le schede sono già numerate.
Oggi i ragazzi mi aspettano ed io non vedo l’ora di riabbracciarli uno per uno! Saranno più alti!
Sono arrivati ormai in terza classe. Scendo in fretta le scale, la macchina è pronta,salgo, guido con la solita prudenza , ma il cuore vola!
Parcheggio nell’ampio cortile ,ho appena il tempo di spegnere il motore e i ragazzi, più mattinieri di me,sono già arrivati, tutti insieme corrono venendomi incontro, dai vari punti del cortile,mi ritrovo come stretta in un magico cerchio, quello unico della nostra “amicizia” mentre laggiù, vicino la scala, alcune colleghe guardano la scena con aria di disapprovazione e forse di invidia perchè il loro sguardo è cupo e la loro critica arriva fino a me “ma guarda un po’, così Rosarita offusca la nostra “professionalità”.
Ora suona la campana dell’ entrata, subito si ricompone la fila, saliamo le scale in assoluto silenzio e Nello apre la porta della classe.
I cartelloni, già sistemati,con qualche giorno di anticipo,attirano la simpatia dei ragazzi. Sebastiano, Rossella, Serenella, Amalia, Anna, Sebi, Salvo, Giuseppe, Francesco, Carmelo, Rosi, Mariella, Antonio, Rosanna, Giusi, Angela, Maria, Gianfranco, Gianluca, Antonella, Alessandro guardano ammirati.
Francesca e Patrizia tirano le tende colorate e così si vede dall’alto l’ampio cortile .
Ora iniziamo la giornata scolastica e Antonella intona: “Acqua siamo noi, dall’antica sorgente veniamo,fiumi siamo noi se i torrenti si danno la mano.” Ora inizia la prova con schede che Rossella distribuisce ai compagni e osservo con soddisfazione, che le penne scivolano sulle risposte esatte.
Evviva la scuola dove si lavora con gioia, dove si apprende con interesse!
Esiste, esiste ancora oggi e io sono orgogliosa di farne parte.
Ed ecco è finalmente arrivata la fatidica domenica del 22 settembre dell’85 ed io, già pronta per uscire, mi guardo allo specchio,sto proprio bene sono elegante, sicura di me mi affretto a scendere le scale perchè Margherita ha già suonato al citofono e mi aspetta in macchina.
Ci salutiamo, Margherita guida sicura nel traffico cittadino già intenso!
Molta strada ci aspetta perché stiamo per andare verso il mare .
Siamo arrivate e il panorama mi incanta, il mare azzurro laggiù ride nell’ estate settembrina.
Scendo dalla macchina e, proprio vicino, dondolano lievi due barche ormeggiate a riva.
Con l’attenzione del cuore intravedo due personaggi ma le loro figure appaiono come sfocate eteree quasi eppure, con un tuffo al cuore,mi sembra di sentire una voce nota proprio la sua quella del Maestro.
In rapita contemplazione ascolto, i personaggi sono Gesù e Pietro e per ben tre volte si ripete l’eterna domanda “Simone di Giovanni mi vuoi bene più di costoro?”e dopo le tre risposte affermative di Pietro ecco il comando”Pasci le mie pecorelle”.
Margherita si gira mi vede ferma si avvicina e dice: “Ma è veramente la prima volta che vedi il mare della nostra città ? Via, non ti lasciare incantare, svelta seguimi, fra poco comincerà la messa.” In assorto silenzio la guardo e cammino dietro di lei e arriviamo fin sotto i gradini della chiesa antica. Conservo, ancora nel cuore l’azzurro del mare e lo ritrovo nella volta della chiesa antica e in fondo, dietro il bianco candore dell’altare troneggia la statua della Madonna .
Un meraviglioso canto dà inizio alla processione dei sacerdoti che si avviano verso l’altare,entrando dalla porta centrale.
Con l’attenzione del cuore ricerco padre Antonio ma il tempo insolente ha lasciato su di lui qualche segno:i folti, lisci capelli sono ora brizzolati e sul viso volitivo si nota qualche ruga. Eppure in mezzo alla folla il suo sguardo profondo incrocia il mio,ecco ci siamo ritrovati nella pace di Ksto dopo sì lungo distacco, dopo sette anni di lontananza. Il sacerdote che chiude la fila è padre Andrea e tutta la sua persona sprigiona gioia:il giovane volto è illuminato dal sorriso. Arrivati all’altare padre Antonio lo presenta e, con fine intuito dice: “Grazie al sacerdozio, questo giovane può diventare padre di suo padre e di sua madre”. Scroscia l’applauso e le mie mani si arrossano e di slancio penso Non può essere padre anche per me?”
Certo umanamente parlando mi può essere solo figlio !
L’idea improvvisa comincia a farsi strada dentro di me! Vivo la messa con una particolare partecipazione e mi sento piena di speranza ,so di ritrovare le mie radici, tra la folla, infatti, intravedo alcuni fratelli dei tempi delle pere ma non mi muovo dal mio posto, attendo in silenzio.
Ora un raggio di sole perforando la lunga vetrata, mi porta via con sé, ma certo sono giovane, il vento lieve della pineta di Gambarie mi accarezza e estatica contemplo la strana cattedrale che ha per volta il cielo e per colonne i pini secolari nel giorno della mia chiamata 25 aprile del ‘68!
Arriva fino a me la calda,chiara voce di padre Antonio “Siamo venuti qua da mille posti diversi perché Gesù vuole dialogare con ciascuno di noi, vuole colmare il vuoto dei nostri cuori che sono assetati d’amore perché il Signore vuole farsi conoscere da noi quale egli è: Dio-Amore, Dio-comunità.”
Le parole di vita penetrano in ogni fibra del mio essere che sfiora le vette della pura contemplazione.
Ma la frescura dei pini è diminuita, l’aria è calda, il cielo libero è scomparso resta solo un bagliore di bianco e le colonne della cattedrale stavolta sono di marmo e mi ritrovo nella chiesa ma la voce che arriva a me è diversa,è quella di padre Andrea che dice: “Canto il mio grazie perchè tutto ciò che ho,tutto ciò che vivo ,tutto ciò che sento,lo vedo unicamente come un dono, un dono fatto nell’amore perchè nella Trinità trovo la mia autentica fonte Mi sento avvolto dalla paternità del Padre, dalla fraternità del Figlio, dalla sponsalità dello Spirito.” .
E anche io mi sento ricca di pace ,certo i due messaggi sono diversi sia per il tempo, sia per il luogo, ma hanno in comune il linguaggio dell’ amore quello del vangelo. L’amore di Dio arriva a noi attraverso la comunità. Essa è per me lo spazio unico dell’appartenenza a Xsto,al di sopra di formule giuridiche è il luogo privilegiato dello Spirito è l’unica testimonianza possibile per gli uomini di oggi! Ed io mi sento già “innervata” nella comunità ricercata e oggi “ritrovata”. L’Amore-dono, l’Amore-servizio, è ancora la molla interiore che mi dà vita, nonostante le delusioni ritrovo,ancora una volta, la mia stella cometa che mi guida per le vie del mondo e della chiesa.
Il talento che Dio mi ha dato è quello di sapere scoprire la sua Presenza nel vissuto quotidiano,nell’incontro coi fratelli e proprio ora, mentre la folla si mette in fila, per salutare il novello sacerdote, Paola dolcemente si gira mi riconosce e mi regala una perla di sorriso.
Ora una calda voce di cronista cosi prega:
“Le tue mani sono ormai il seno materno in cui viene generata l’ Eucaristia.
Da oggi le tue mani sono le mani del Padre:
-si aprono per accogliere e accarezzare,
-si chiudono per custodire e proteggere
-si alzano per benedire e perdonare,-
-si posano sulle nostre mani
-per incoraggiare e confortare.
-le tue mani sono le mani del Figlio:
-stringono le nostre mani,
-stringono le nostre ansie e i nostri dolori,
-stringono le nostre aspirazioni e le nostre gioie,
-stringono il Dio fatto pane per noi;
-le tue mani lo alzeranno e lo daranno a tutti.
-le tue mani sono le mani dello Spirito:
-sono le sorgenti della grazia divina,
-sono il ristoro per i pellegrini,
-la frescura per gli inariditi
-il vigore per gli impauriti,
-la speranza per gli sfiduciati,
-le tue mani sono le sorgenti che dissetano.
-Offriamo le tue mani sull’altare,
-perché nel Dio Uno e Trino benedicano questo pane e questo vino
-e lo distribuiscano a tutti
-e Dio sia tutto in tutti.
-apri le tue mani sull’altare
-e innalza al cielo la tua e la nostra storia,
-perché sei sacerdote per sempre
-a gloria del Dio uno e trino:Padre,Figlio e Spirito Santo.
Ora io, buon ultima mi avvicino per baciare le mani consacrate di padre Andrea e così mi ritrovo di fronte a lui che mi riconosce e premuroso mi dice: ”Grazie ,Rosarita, per la tua presenza”. Lo guardo interrogativa e il suo sorriso mi illumina l’anima.
Mi meraviglio tanto,ricorda ancora il mio nome dal lontano ‘79?
Mi trattengo sulle scale armeggiando dentro la borsa ma non mi serve niente, è solo un ingenuo modo per fermarmi un attimo per gettare un ultimo sguardo alle barche!
Eccole ci sono ancora, ma non vedo né Gesù , né Pietro ma nella lieve brezza marina capto una voce misteriosa , quella che io ho già percepito
a Gambarie nel ‘68 e che ora ritorna più chiara dentro di me: ”Amatevi l’ un l’altro come io vi ho amato da questo vi riconosceranno come miei”.
In una splendida mattinata di ottobre riparto, stavolta da sola, verso la chiesa.
Guardo il mare ancora tremolante di azzurro, rivedo l’insenatura naturale,le barche ora sono tre ma non sento nessuna voce.
Salgo le scale, entro e rivedo i due colori di Santa Maria della Scala: l’azzurro e il bianco ecco la messa sta per iniziare,il celebrante è padre Andrea e lo vedo salire verso l’altare.
“Nel nome del Padre, del Figlio,e dello Spirito santo” dice e il mio cuore ha un sussulto di santa “gioia”, sto riprendendo quota perché rivive dentro di me la “lama di luce di Gambarie” insieme alla pace gustata ad Assisi nella “Porziuncola”
Alla fine della messa mi avvicino e chiedo: “Posso parlarti padre Andrea?”
Sorridendo mi indica la stanza dei colloqui ed entra per primo.
Da quel momento inizia la sua direzione spirituale e già, dal primo momento, lo sento:”padre, fratello, amico” e come tale lo avrò accanto nei momenti di stanchezza, di dubbio, di paura, che illuminandosi di fede,rendono gioiosa la mia vita e quella di coloro che mi stanno accanto.
Ora, con trepido stupore mi accorgo, che sto rifacendo dei passi per un mio ritorno alle origini, ai tempi delle pere .
Un nuovo verbo appare nella mia vita : “ricominciare” e lo coniugo con l’entusiasmo tipico che mi caratterizza e un nuovo luogo appare: il convento di Savoca dove si respira un’aria salubre, quella francescana che mi è proprio congeniale e mi ricorda Assisi.
Il paese sorge su una roccia ( quella della fede? ) e nelle strette viuzze si sparge intorno alla casa l’odore del pane appena sfornato.
Ma oggi, il pane acquista un sapore nuovo un sapore di famiglia, di fraternità, eccola infatti noi tutti ci ritroviamo nella lunga tavolata preparata nella grande terrazza del convento .
In sordina p. Antonio pizzica la chitarra che parla così ”oh come è bello potersi incontrare e insieme cantare/ come una famiglia potersi riunire e insieme gioire/.
Sopra di noi il cielo manda una pioggia di stelle, che mitigano la calura dell’ Agosto dell’ 86.
E il mio cuore canta in pace la sua gioia ritrovata nel francescano convento di Savoca in una rinnovata giovinezza dello spirito gusto attimi di eternità.
Credere significa
imparare a leggere gli avvenimenti
della propria vita come espressione
del passaggio di Dio.
P. Talec
E il mio cuore canta, il mio cuore eleva il suo grazie al Signore perché per vie imprevedibili, mi ha ridato la comunità, luogo privilegiato dello Spirito impregnata dal comando eterno:
“Amatevi l’un l ‘altro come io vi ho amato”.
La comunità cercata, ricercata e ora ritrovata è, ancora una volta uno spazio di vita e mi ridà la carica spirituale che si riflette anche nel campo del lavoro rendendo il mio insegnamento sempre più armonico e attento nel coniugare i valori e la prassi.
Arriva settembre dell’ 86 e la mia stanza ridiventa un campo di lavoro dove io mi districo tra ritagli di fotocopie, colla, colori, forbici che subito perdo e poi di botto ritrovo sepolti in un arcobaleno di carte; ecco ho finito, tiro giù dal tavolo il lungo cartellone colorato, e lo guardo compiaciuta e il mio pensiero va ai ragazzi che,arrivati in quinta classe, completeranno il ciclo elementare ma certo conserveranno nel cuore le nostre conquiste e la nostra amicizia .
Come ogni anno, in largo anticipo, oggi primo giorno di scuola ,dopo aver parcheggiato la macchina, d’ incanto mi ritrovo circondata, protetta, avvolta dai caldi abbracci profumati dei ragazzi che mi chiamano, mi sorridono , mi fanno festa e sono felici di rivedermi e io con loro . Evviva !
Sono ancora maestra unica e posso spaziare nel loro cuore per arricchirlo di valori , di sentimenti , di speranze insegnando < <come l’uom s’eterna>> perchè anche il nostro sommo poeta rientra nel loro bagaglio culturale e formativo .
La mia vita è ricca di impegni comunitari e la strada a volte è ancora in salita ma io ho la guida serena e liberante del mio nuovo padre spirituale : Andrea.
Oggi, nel caldo giugno dell’ 87 i ragazzi mi lasciano perché hanno finito la quinta e dovranno affrontare la scuola media ma il mio pensiero li seguirà ancora e certo verranno a trovarmi come hanno già fatto le due generazioni precedenti.
Il mio lavoro mi gratifica e il mio cammino comunitario mi fa assaporare la mia prima chiamata: quella di Gambarie del ‘68 che ora riacquista nuovo vigore e si attualizza nel presente.
Ma il momento di grazia non è ancora finito perché sto già preparando il passaporto per andare in Terra Santa con la mia comunità ritrovata.
E questo viaggio fa nascere dentro di me una serena pace e una “lama di luce” attraversa tutto il mio essere.
Certo vedrò ,con i miei occhi mortali la terra di Gesù, placherò la mia < <arsura>> al pozzo di Sicar e affiderò alla carta emozioni che avranno il sapore dell’ eternità ma ecco che la gioia prende < <carnosità>> e la lode si sprigiona da tutto il mio essere e posso regalarla a chi incontro sul mio cammino.
Oggi, nel caldo Luglio dell’ 87, mi sento come avvolta in un lieve velo di luce e non soffro per la temperatura esterna anzi mi sento circondata da uno zefiro soave che tanto mi ricorda quello di Gambarie del ‘68 mentre tutti, accanto a me, si lamentano per la calura. Ma certo io sono una persona speciale e ho delle reazioni speciali.
Vivo come in un sogno il tempo che mi separa dal viaggio.
E per la seconda volta, dopo il viaggio a Lourdes, mi ritrovo all’ aeroporto di Catania, pronta per l’imbarco.
Al checkin la mia gonfia valigia gira sul nastro scorrevole e la vedo sparire verso l’interno.
Indosso il mio completo da viaggio, ricco di tasche e di zip rilucenti.
Oggi, 23 luglio 87, mi accingo a salire sull’ aereo insieme a tutti i miei fratelli di ieri e quelli nuovi da poco conosciuti.
Arrivata dentro l’ abitacolo, cerco il mio posto numerato e lo trovo: eccolo è il 28\A ..e ritrovo ancora il sorriso luminoso di padre Andrea che è seduto accanto a me!
Seguiamo insieme le istruzioni dell’ hostess e via stiamo per decollare alla volta di Roma, prima tappa verso la Terra Santa.
Rullando l’aereo si stacca da terra sale e io con lui!
Dalla cabina di pilotaggio una voce metallica ci avverte che stiamo per arrivare a Messina e passeremo dalla Calabria, già la Calabria :la terra della mia adolescenza e della mia giovinezza e con un tuffo al cuore rivedo Canolo con:< <I due monti che si abbracciano \ il fiume che li bacia il mare in lontananza / è un tremulo sussurro!>>
Mi rivedo sul vecchio autobus che da Canolo, paesello montano, mi porta a Siderno Marina dove si trova la mia scuola media < <Alessandro Manzoni>>.
E attraverso l’oblò dell’ aereo vedo fra le nuvole la tenera ragazzetta di ieri che si destreggia a portare i suoi libri, legati con la cinghietta blu!
Ma la visione sparisce in un attimo e un’altra Rosarita prende forma e sostanza reale: ora indosso, con eleganza, il mio nero grembiule di studentessa e sono a Locri nel mio istituto magistrale < <G. Mazzini>>.
Porto con disinvoltura una elegante cartella di cuoio che ha in sé il peso della cultura, che è aumentata di molto pare!
Ora che sono librata nel cielo di Dio posso meglio contemplare la terra calabra e superando i limiti dello spazio e del tempo, mi rivedo dietro la finestra della mia casa di Canolo. Sono splendente di giovinezza e di fede e attendo l’ arrivo della processione del Corpus Domini. La bandiera che mio padre ha innalzato sul portone della caserma, sventolando accanto a me dà una sensazione di orgoglio, rappresenta la Patria che mio padre onora nel suo lavoro di maresciallo dei carabinieri. Lassù nel balcone mia madre ha esposto le nostre più belle coperte di damasco fiorato.
E comincio a sentire un mormorio e già dalle lunghe scalinate di fronte cominciano a scendere saltellanti rubicondi bambini e ora dalla curva della via Roma appare la processione a cui partecipa tutto il paese di Canolo in uno slancio di fede popolare e genuina!
E alle mie orecchie arriva un canto che ha la cadenza di un inno militare:< <Christus vincit, Christus regnat Christus imperat >>.
L’arciprete tiene tra le mani l’Ostensorio e quattro catechisti sostengono il baldacchino di broccato.
I bambini che hanno fatto da poco la prima Comunione ora sono diventati angioletti e infatti indossano enormi ali di cartone foderate di carta velina bianca e celeste.
Mia sorella Rinuccia ha un’aria compunta e, messa proprio al posto d’onore, sfila tenendo in mano il cestino pieno di petali di rose e le sue lievi ali sono un incanto a vedersi. L‘arciprete, appena arrivato sotto la mia finestra, dà il segnale di fermata e poi alza al cielo l’Ostia Santa per la benedizione a me e alla caserma tutta.
E la “timpa” risplende di improvvisa luce e il mio cuore innamorato e felice Ti canta il suo grazie . In un tripudio di fede e di giovinezza raggiungo le vette della pura contemplazione e la bandiera sventola accanto a me , ma chi mi chiama con voce nota? Perché sento sempre più chiaro e sempre più insistente pronunciare il mio nome?< <Rosarita che fai? Al tuo solito sogni ad occhi aperti ? Guarda stiamo per atterrare a Fiumicino>>. La calda voce di padre Andrea mi riporta alla realtà mentre il sole romano ride nel suo tramonto d’oro e così l’aereo rullando infine plana , si ferma, e tutti scendiamo in ordinata fila.!
Laggiù in lontananza la fitta siepe di alberi illuminati dal sole del tramonto per un attimo mi riportano a Vizzini tra le pere,ma no la visione scompare, sono tutti qua nei miei occhi e nel mio cuore i fratelli d’allora e i nuovi.
Mi beo della Tua tangibile presenza, o Signore,amato e amante,sono visibili e amorevoli i segni del Tuo amore e non li capisco pienamente,tuttavia riesco ad assaporarli! Enza si avvicina,mi stringe la mano e mi invita ad affrettare il passo infatti ci stiamo preparando per il secondo imbarco alla volta di Amman.
Superato il check-in entro nell’abitacolo,stringendo tra le mani il mio biglietto numerato, 18/C e stavolta accanto a me ritrovo Enza.
Padre Andrea, in fila davanti a me,si gira e mi rassicura con uno sguardo sorridente perché il viaggio stavolta sarà proprio lungo e io sono eccitata come una bambina! Piano mi siedo,allaccio la cintura e getto un rapido sguardo al sole romano che sembra un cerchio di fuoco, no,ora sembra invece un’ Ostia bianca che si allarga, si allarga e splende luminosa nel Tuo cielo! Ed io mi sento già immersa in questa realtà!
E volo e d’altronde il mio posto è vicino alle ali dell’aereo e penso alla canzone “Tutti i figli di Dio hanno le ali ”. Con più sicurezza ora posso volare verso di Te.
Un velluto di azzurro già trema sotto di me luccicando di giallo e intravedo in lontananza la vela di una barca e sembra quella dell’ anima mia che corre fiduciosa verso di Te! Così sospesa fra il tuo cielo e il tuo mare ti accolgo e ora riposa un poco nell’anima mia, o Gesù, e possa io “riposare” nel tuo cuore di padre e di fratello!
Un silenzio divino mi avvolge e < <naufragar mi è dolce in questo mare>>.
Ma la pace è violata da un vocio che aumenta sempre più e mi raggiunge ormai.
A fatica scendo dal mio empireo e la fredda voce metallica proveniente dalla cabina, ci ordina di allacciare bene le cinture: stiamo per atterrare ad Amman, che buio intorno! Scendiamo dalla scaletta, ora il modernissimo aeroporto luccica di luci ma ritrovo una città occidentalizzata e subito ne ricevo conferma: l’autobus ci sta portando al nostro albergo e osservo che le strade sono larghissime, affiancate da grattacieli. L’albergo spendente di luci, con soffici tappeti, mi fa sentire solo una turista spaesata e non una pellegrina. Non riesco ad gustare la ricca cena e neppure la moderna stanzetta che accoglie me e Margherita e l’ aria condizionata non rinfresca la mia arsura anzi aumenta il mio disagio. D’istinto apro la valigia e consulto il programma del viaggio: la Samaria ci attende, anzi tu, Signore, mi attendi al pozzo di Sicar ,aspettami , non prendere altri appuntamenti, devo parlarti io!
E certo subito Ti parlo con una mia poesia dal titolo :
“Sete”
Lunga, faticosa,assolata,
tanta la strada
della tua Terra Santa.
Novella samaritana
imploro l’acqua
per la mia arsura.
Scendiamo insieme
in ordinata fila
Entriamo nel santuario,
ecco in un silenzio sacro
il pozzo appare:antico
riposante, santo.
Appoggio la mano
sulla sua bordura
E già ne respiro la frescura.
Sfioro altri mani trepidanti,
ognuno ha la propria arsura
gioia mi inonda e sale
in rapidi cerchi rilucenti
agli occhi arriva
si trasforma in pianto.
Ora il secchio cigolando sale,
l’acqua trasborda fresca
e nel cerchio rilucente
il mio volto appare:
insieme altri volti, appaiono
fluttuano, scompaiono
si uniscono,
come per un mosaico bizantino
l’acqua si increspa
e un Volto appare
risplendente, lo riconosco :
è il Tuo mio Signore,
sazia bevo la Tua acqua viva.
Tanta strada, tanta “arsura” e finalmente l’auto si ferma sotto il cocente sole della Palestina per il più atteso appuntamento del mio pellegrinare .
Scendiamo e insieme ci incamminiamo verso la chiesetta dove è incastonato il pozzo, già il pozzo, dove tu Gesù hai atteso la donna e alla quale tu Ti presenti bisognoso, stanco assetato e le chiedi da bere, Tu Creatore e Tu Dio!
Stupenda metodologia è la tua, vedo che conosci bene la sensibilità dell’animo femminile e ti mostri attento e premuroso con la samaritana, solleciti la sua attenzione e il suo interesse e il vostro è un dialogo di alta teologia che termina con la sua conversione ma io Gesù attendo ancora la mia!
Chinandomi, dietro Aurora, scendo le strette e piccole scale, eccolo il pozzo! Lo posso toccare e trepida appoggio lievemente la mano sulla levigata bordura di marmo e contemplo.
La lunga corda gira, gira e il secchio sale, si solleva ,eccolo appare e guardo l’acqua, avida ne respiro la frescura! Le mie mani tremanti si uniscono pronte a ricevere l’acqua che Pina versa nel cavo delle mani.
Con viva commozione “assaporo” questa ristoratrice acqua di vita eterna e in uno slancio di fede rinnovo gli impegni battesimali!
Una sensazione di letizia, di pace, di purificazione, arriva intatta in tutto il mio essere e intono il mio Magnificat e mi sembra di recitarlo per la prima volta!
La gioia che mi riempie dentro vuole esplodere in tutta la sua forza vitale .
Ma a chi posso comunicarla?
E come posso fare?
Quale linguaggio usare?
Ho trovato la via,gli occhi sono lo specchio dell’ anima e hanno un loro misterioso linguaggio che altri occhi, innamorati di Dio, possono captare.
Alzo i miei occhi brillanti e cerco e trovo padre Antonio e i nostri sguardi si incrociano.
Per un attimo ho l’impressione di sentire me stessa gridare con tono implorante : “dammi da bere” ma no, nessun suono esce dalle mie labbra, è solo il mio essere che grida, impazzito d’ amore, grida il suo piccolo grazie al mio Dio Uno e Trino.
Ora ho acquistato la forza per risalire le scale, per proseguire il viaggio della vita, sicura che lungo il cammino avrò sempre una robusta corda , un profondo pozzo, una lucida brocca e così potrò saziare la mia rinnovata sete e grazie ancora per questa “meravigliosa certezza” che oggi posseggo!
E’ maestosa questa basilica, è un inno alla maternità . La grandiosa cupola in robusto cemento armato dimostra di essere una sicura roccaforte contro gli assalti del maligno.< < Una donna ti schiaccerà il capo>> Una donna, la Donna, la Vergine la madre di Dio.
Il mistero dell’Annunciazione racchiude il < <Si> di Maria a Dio e ancora il < <Sì>> di Dio a Maria e la basilica, in una perfetta simbiosi, tra arte e fede, rende visibile tale mistero.
La cupola a forma di grandioso dodecagono cattura la luce del cielo,. che poi, filtrando da tale altezza, fa vedere le tante lettere< <M>> che, moltiplicandosi all’infinito, diventano un’ osannante schiera di angeli che portano l’annuncio di speranza dal cielo alla terra.
Armoniosamente ci accostiamo attorno all’altare per chiudere il cerchio formato dai sacerdoti celebranti.
Davanti a noi si trova la grotta! In tutto questo candore spicca sui bianchi paramenti di padre Antonio la scritta “Fiat” in celestiale azzurro colore. Piccola parola, grande significato!
In questo luogo sacro comprendo perché tu, Signore, mi hai fatto venire qui, il battesimo di purificazione, vissuto al pozzo di Sicar, rende possibile la mia nuova nascita e la mia conversione.
Splendente di verde, di vita, di luce, di gloria, la montagna appare e l’autista del taxi guida con rapida determinazione ma ecco siamo arrivati in cima e siamo in sette (numero simbolico?), si scende e i miei occhi estatici contemplano il santuario adorno di antiche pietre illuminate da fulgore di verde.
Mi chino reverente e silenziosa perché di qui passò la storia della chiesa e dei popoli.
Silenziosa entro nella stupenda basilica e ammiro la scena della trasfigurazione raffigurata nella calotta dell’abside centrale e nel fondo riluce di bellezza e di arte il mosaico mi giro di botto perchè riconosco la voce profonda e implorante di Pietro che canta la sua felicità estatica < <Signore facciamo tre tende: una per te, una per Mosè, una per Elia>>.
Approfitto della sua richiesta e formulo la mia < <facciamo solo due tende: una per me e una per te! Così posso riempirmi di luce.>>
Comprendo infine che anche in Terra Santa oso pensare solo a me e risento dentro il tuo velato rimprovero: “L’amore che ti ho dato portalo nel mondo”
Ho capito: il Tabor è per tutti noi una tappa di luce.
Il Tabor è ancora impregnato di luce, regala luce, è luce per le tenebre della mente e del cuore.
Ma tu Signore ti sei veramente trasfigurato oppure sei rimasto il Gesù di sempre e i tuoi discepoli, finalmente trasformati, ti hanno visto splendente perché hanno saputo trasformare il loro cuore di pietra in un cuore di carne, quindi capace di ascolto e di accoglienza, di amore e di contemplazione?
Ora scendiamo in silenzio verso la cripta della Trasfigurazione per partecipare alla messa e sarà una speciale cena di luce!
Nella vetrata troneggiano due pavoni simbolo dell’ immortalità.
La cripta è adorna di mosaici in splendido colore bianco che spiccano eterei e maestosi dallo sfondo azzurro cobalto. I mosaici raffigurano: la Natività , l‘Eucaristia, la Morte , la Risurrezione. La volta, in sfolgorante azzurro, è rilucente di piccole stelle d’oro che via , via formano un’unica stella che, miracolo dell’ arte, allargandosi forma una croce rilucente.
Tutte le figure emanano luce, esprimono gioia, speranza, e la luce si estende, penetra dentro per comunicare letizia .
“Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” e i sacerdoti salgono l’altare indossando rilucenti paramenti verdi. Essi stessi sono come avvolti di luce , testimoni visibili di speranza . Ora il mio essere , perduto nel tuo cuore, Ti ascolta o Gesù proprio qui dove ti sei fatto bambino, carne, uomo, nella Terra Santa dove hai istituito l’Eucaristia, e il sacerdozio. ,e provo un senso di pace nel risentire dentro di me la voce nota del mio padre spirituale che ripete piano : “Io ti assolvo dai tuoi peccati nel Nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo e vai in pace con il tuo Dio uno e Trino”.
E ora permetti, o Signore, che io renda eterni questi momenti di grazia in rapide pennellate visive, la parola scritta insieme con Te forse conserverà nel tempo la freschezza di questi momenti. Amen.
E il pellegrinaggio continua. Stiamo andando verso il monte e dentro di me ascolto la sua voce nota : “Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia” e in vicina lontananza, abbracciata da palmizi e circondata da inebriante verde, la Basilica appare. Ha una pianta circolare alleggerita da archi continui che lasciano intravedere il lago di Tiberiade. La natura è già fresca di tremula luce azzurrina e si vede perché è tutta beata!
Un gruppo italiano celebra la messa in uno spazio verde all’ aperto e all’ armonia delle voci fa eco quella dei cantori del cielo: gli uccelli.
In tutto il suo differenziato splendore ovunque risplende il tuo volto di Padre Creatore.
“Laudato sii o mi Signore” intona il mio cuore insieme a Francesco.
Tutto era buono quando uscì dalle tue mani ma l’uomo ha peccato .Il peccato ha rotto l’armonia ma tu Dio Padre Creatore ci hai mandato Tuo Figlio Gesù e tutto può risplendere di nuova luce e di nuova speranza. Gesù ci ha redento, ci ha amato, ci ama, ci ha donato se stesso nell’ Eucaristia mistero d’amore che si rinnova attraverso il sacerdozio.
Beati voi perché siete figli di Dio, beati voi perché siete fratelli di Cristo!
Ma chi lo ripete in tono ritmato? E’ solo la piccola falciatrice che la vecchia giovane suora usa per sistemare un pezzo di prato. Ora di fronte a me si offre la siepe che “non preclude lo sguardo” ma risplende in una festa di fiori concavi rosso-corallo con tre piccoli bianchi cerchietti, ripetono la Trinità ?
In ordinata fila ora saliamo sul battello per andare a Cafarnao per visitare la casa di Pietro oggi basilica.
Ora il tuo lago si apre in rapide onde spumose e in concentrici cerchi azzurri ricolmi di spuma biancheggiante!
Risento chiara la tua voce nota “Vi farò pescatori di uomini!”E i discepoli Ti seguirono subito fiduciosi.,non io.
E ho perso del tempo prezioso per captare fra le tante la tua Voce ma proprio in questo momento sento l’ accorata richiesta di Pietro:”Signore fa che io venga a te sulle acque” e Tu Signore lo prendi in parola hai fiducia nella sua fede ma non lo sai che la sua è una fede irruenta, istintiva, ma debole nella prova, proprio come la mia!?
Pietro sta per annegare, salvalo, Ti invoca, Tu lo senti? Mi senti?
Salvami dal mare insidioso del dubbio, che ancora vive dentro di me, ricostruiscimi quale creatura di speranza!
Del resto nessun mare in tempesta può farmi più paura, nella mia barca ci sono i fratelli! Ed io sono salita sicura, mani fraterne mi hanno accolto, cuore paterno mi ha sostenuto e pur essendo una pessima nuotatrice,ora posso stare sicura perché quando sarò vuota di gioia, colma di egoismo, una sicura barca mi accoglierà.
Ora il battello scivola lieve sul lago e si delinea chiara l’altra sponda. Padre Antonio, messo in prua, sembra il coraggioso capitano della nave che sicuramente arriverà in porto. Grazie o Signore perché mi fai inebriare di gioia ma rendimi ancora capace di donare gioia.
Lo so ancora stento nel coniugare il verbo donare ma poi che cosa posso donare se io non posseggo niente? Tutto Tu mi hai donato ma la mia vocazione è un bene troppo prezioso custodito in un vaso d’argilla pensaci Tu a rinverdire il tenero arboscello dell’ anima mia!
Ora ti lascio o mio lago, stasera al tramonto ,vivremo senza la presenza di turisti una speciale veglia di preghiera Ti ringrazio perché hai preparato per noi e per me questo colloquio che ha il sapore dell’ eternità!
Ciao o Gesù!
Sì siamo noi soli stasera con Te, è un incontro intimo e confidenziale, è un incontro “riservato”, nessun turista può interrompere la nostra adorazione e il nostro tacito colloquio-amoroso. è speciale questo momento qui sul tuo … lago.
Siamo seduti su due panche lunghe, situate una di fronte all’altra e dondola dolcemente il battello in questo viaggio intersecato da liturgiche preghiere e da taciti inebrianti silenzi amorosi. La brezza soffia leggera, le onde si aprono spumose alla luce rilucente della luna.
Ma sono tutte sull’acqua le stelle del tuo cielo? Ma no è solo un’ impressione di luce, la Luce della Tua chiara Presenza.
Si ode ora il lieve sciabordio delle onde e Aurora, i bei capelli al vento, intona:”Ti ringrazio o mio Signore per le cose che sono nel mondo….” Il canto pian piano tace, ci stiamo fermando al centro del lago con i motori spenti, e un divino silenzio mi circonda, mi avvolge complice perchè questa è una “sosta d’amore” nel cuore di Cristo!
Mille sensazioni mi pulsano dentro, appoggio la mano sul cuore e tutta l‘armonia del Creato mi placa .
Ora siamo soli, o mio Amore Santo, soli a parlarci, soli nella più armonica e serena contemplazione. Alzo gli occhi al tuo cielo e come brillano felici le tue stelle! Abbasso lo sguardo sul tuo mare. Come freme di vita!
Posso offrirti ora una preghiera che sento mia anche se fa parte dei frammenti inediti di Alessandro Manzoni? “ Sei mio \ vivo di Te, gran Dio \ confuso a Te con il mio,\ offro il Tuo stesso amore.”
Ti è piaciuta questa preghiera?
Ed ora te la offro insieme a questo fascio rilucente fatto di piccoli fiori di luce che brillano davanti ai miei occhi estatici.
Siamo arrivati al cuore del nostro essere comunità siamo già fermi e attoniti, a contemplare il luogo santo dove il maestro celebrò la pasqua con i suoi discepoli.
Inizia il silenzio e comincia il tempo benedetto del colloquio personale e ciascuno sceglie il luogo e lo spazio più idoneo al proprio contemplare.
Abbiamo già visitato,quali turisti, la basilica della Dormizione splendida di arte e di fede. Si sente un lieve mormorio e un rapido strusciare di scarpe. Chi resta? Chi va?
I miei piedi sono come incollati al suolo e tutto il mio essere è già in adorazione. Qualcuno rimane dentro e si sistema nelle due scalette di fondo, mi scuoto, mi allontano e trovo un angolino ecco qua la mia pietra e inizio a parlarti,o mio Signore. E via via sento che il colloquio acquista il tono della confidenza e dell’ intimità. Ora invoco Te Santo Spirito fammi assaporare l’unicità di questi doni, ogni tappa di questo pellegrinaggio ha avuto un suo scopo, così il pozzo della samaritana è stato per me il momento della purificazione, il Tabor è stato il momento della luce e la mia fede ha preso quota.
Il sì di Maria, nella basilica dell’Annunciazione mi ha fatto riflettere sui miei tanti no.
A Betania, la casa di Marta e Maria mi è sembrata familiare, si respirava ancora aria di fraternità di amicizia e intravedevo la splendida unione tra contemplazione e azione, a me così congeniale!
E ti ho visto quale maestro e amico premuroso di Marta e Maria accogliendo entrambe nella diversità del loro ministero.
Ti ammiro perché Tu, o Maestro, sai essere così tenero, cosi trascinatore, così poliedrico nei tuoi rapporti umani. Ma ora ti adoro in dolce silenzio, ti contemplo con cuore libero, innamorato, felice ed io creatura, so di contemplare il mio Creatore!
Il cenacolo è l’appuntamento per eccellenza, il primo segno visibile del tuo amore per l’uomo. Il Cenacolo è il luogo dove Ti sei fatto pane per i tuoi discepoli e continui attraverso il sacerdozio, a farti pane per noi!
Il sacerdozio, nuovo perenne dono del tuo Amore! Ti fai pane attraverso la vita offerta e donata di un piccolo uomo che elevi fino a te e attraverso lui continui la tua incarnazione nello spazio e nel tempo.
Ed ora, ritorno nella splendida basilica della “Dormizione” per salutare tua madre poi si celebrerà la Messa .
Questo luogo è adorno di grazia, è rilucente di fede, è adorno di tante piccole cappelle circolari impreziosite di tessere dorate. Su ogni gradino delle tante cappelle è in contemplazione una mia sorella o un mio fratello e un brivido di commozione mi avvolge nel vedere il volto di Paola, quanta serenità esprime! Non mi fermo, anche io cerco il mio angolo di luce e lo trovo guardando l’ icona del Risorto! E’ parlante questo volto santo, è familiare con la sua gloria e la sua tenera autorità! Un abbraccio a te Maria, un abbraccio a te Gesù e tutti noi ci incamminiamo in tacito silenzio ma gli occhi di tutti parlano, pregano, sorridono ma non è finita una giornata cosi ;ci attende la Messa : la Cena pasquale. Busso, sono già davanti al portone dei frati francescani, fresca acqua ci disseta, piccola grande chiesa ci accoglie. I sacerdoti si preparano, sono tutti presenti oggi! Finalmente è presente anche padre Andrea!
I libretti sono pronti mi accingo ad aprire il mio con mano tremante perché il momento è solenne, infatti proprio durante la messa ci sarà la rinnovazione delle promesse e le consacrate della prima ora salgono in ordine sull’ altare ponendosi alla destra dei sacerdoti concelebranti e formano un semicerchio che resta aperto. Ma quale stupenda ispirazione vibra nel cuore e nella voce di padre Antonio? “Venite, venite anche voi sull’ altare, oggi siamo tutti invitati, anche se voi siete nel periodo iniziale e delicato dell’ orientamento”. Tremante di emozione, mentre il mio cuore freme di gioia, salgo sull’ altare e tutte insieme siamo sei, ci disponiamo alla sinistra dei sacerdoti e formiamo una splendida corona, un cerchio di fede, certo anche noi siamo state chiamate da Te, Gesù, e questo gesto sacerdotale è un dono che hai preparato per me nel nostro colloquio al Cenacolo mentre io in tacita,esultante preghiera,Ti vedevo spezzare il pane ai tuoi.
Grazie per il ministero sacerdotale che sgombra l’anima mia dai pesi inutili, grazie perché fra le mura del cenacolo ho sentito quale Maestro attento e premuroso grazie perché ho udito le tue parole che, quale acqua preziosa, mi hanno dissetato al pozzo di Sicar, grazie per Betania, casa dell’ amicizia, grazie perché tutte le mie paure si sono placate al contatto del Tuo Amore, grazie perché hai istituito la chiesa e perché io ne sono figlia!
Sento di essere invitata da Te, Dio Uno e Trino e la sintonia con i fratelli è piena e assoluta e si manifesta in rilucenti perle di lacrime ma oggi sono “lacrime di gioia”!
Ma un altro dono mi attende in questa storica giornata di grazia !
Tutti noi riceveremo una crocetta di legno e padre Antonio ,inzuppato di santa gioia,passa in mezzo a noi, si ferma un attimo davanti a ciascuno di noi benedicente e sorridente e il suo trasparente sguardo di fede ti canta la sua felicità estatica perché Tu, Signore, gli hai concesso di convocare i suoi fratelli sacerdoti e le sue figlie spirituali nella Santa Gerusalemme .Ora Marcello, sorridendo commosso, ci invita ad uscire .
Mi attardo un attimo e rivolgo un abbraccio cosmico a questi luoghi sacri lentamente e volutamente mi distacco dal gruppo, sono tante le sensazioni che tumultuano nel mio cuore, vorrei condividere ma non ricerco nessuno stavolta : attendo, ma ecco una mano paziente sfiora la mia: delle rilucenti pagliuzze di gioia e di luce brillano ancora nei suoi occhi, ecco gli occhi di Enza cercano i miei ma non parla, sorride e insieme facciamo un lungo tratto di strada nella santa Gerusalemme .
Saliamo insieme sul taxi e siamo ancora in sette e in più ho ritrovato l’ottavo sacramento : il sorriso.
E comincia il viaggio di ritorno a Catania e lo vivo in un’atmosfera irreale, mi concentro a guardare dall’ oblò dell’ aereo il tuo cielo ma è fuori di me oppure è dentro di me?
Ecco laggiù, baciata dal tramonto, Roma appare; io del resto con la memoria del cuore ne riconosco ogni particolare e i miei occhi estasiati di luce si fermano per un attimo eterno sulla cappella Sistina e contemplo in sacro silenzio la Creazione secondo Michelangelo. E così canto con la mia poesia .
“Impresso nella tela eterna \ contemplo il particolare \ \delle due mani che si cercano \ si sfiorano ,infine si toccano \. L’una è immensa luce creatrice,\ l’altra , piccola opaca carne,\ ma già vibrante di vita,\ ecco tu ,uomo altero, ti sollevi \ E Dio compiaciuto \ti accarezza di eterno riso.”
E infine atterriamo all’ aeroporto di Fiumicino, passiamo la dogana e via,ci imbarchiamo per Catania,ancora una volta dall’ alto dei cieli rivedo la “Timpa”, la chiesa profumata di giovinezza e di campagna e risento il lieve gorgoglio del fiume, intravedo le pietruzze colorate che io bimba infilavo nelle tasche lassù a Canolo in Calabria! Ma così presto spicca laggiù la terra calabra?
No, è solo il mio pensiero che viaggia alla velocità della luce! E,come in un documentario visivo, rivedo le tappe più significative del mio cammino spirituale.
Ma ora una voce metallica annuncia “Allacciate le cinture, stiamo atterrando a Catania”. E il mio pensiero vola verso Savoca che ha reso possibile questo mio ritorno alle mie lontane origini di cammino catanese e ha dato il la a questo pellegrinaggio .
E infatti, ora, dalla finestra spalancata sul verdeggiante paesaggio collinare del convento di Savoca, arriva al mio orecchio lo scampanellare del gregge, che si unisce al suono delle campane che intonano l’ Ave Maria.
I grilli e le cicale ripetono l’inno nel loro linguaggio ritmato , apro il mio diario e rileggo con commozione: “Maria mostrati a me non più modello ma madre e concedimi di essere piccola, povera, paziente, per diventare ancora una degna discepola del tuo Gesù” e ora nella stupenda cappella della Dormizione mi sento come abbracciata da Te, Madre Santa, e finalmente sento circolare l’abbraccio in tutto il mio essere reso speranzoso dalla certezza di essere fra la mia gente .
Do uno sguardo d’ insieme alla basilica ogni nazione del mondo ha raffigurato Maria secondo le proprie tradizioni e la propria arte !
E’ dolce, tenera la Madonna del Giappone, è danzante, nera, la Madonna africana, tante espressioni di fede e di arte ma un unico amore! Usciamo e ci avviamo verso il chiostro che già si intravede spazioso, antico, verdeggiante sotto il caldo sole di Nazareth .
Silenzio divino e musica silenziosa mi circondano e il mio cuore è “sereno e svezzato come un bimbo in braccio a sua madre.”
E finalmente settembre arriva e io già respiro aria di scuola; a giugno ho salutato i miei alunni di quinta classe ed ora aspetto di ricominciare il ciclo con i deliziosi bimbetti di prima classe.
Inizierò il nuovo ciclo scolastico con una forte carica esistenziale ,così i bambini potranno godere delle nuove fresche energie del mio spirito rinnovato dall’esperienza della Terra Santa che sarà per sempre ricchezza di luce per la mia vita………………………………………………………………..
Oggi, 12 settembre, la mia stanza acquista l’ aspetto di un laboratorio pieno di cartoncini, di colori ,di pennelli, di forbicine, la parola chiave è stata già scritta in grossi caratteri cubitali “benvenuti “ ma non ho finito, ora tiro fuori dal mio cassetto l’ elenco che ho già ritirato dalla segreteria e ne controllo i nomi che ricopio con cura nei cerchietti che diventeranno la corolla dei fiori.
E il primo giorno arriva fresco di speranze; parcheggio nel grande cortile della scuola e vedo una folla variopinta di mamme e di bambini che via, via aumenta.
Noto con piacere che i bambini sono numerosi perché si sono formate tre prime e ogni classe avrà la propria insegnante. – Che alta possibilità di comunicazione educativa che ancora posso vivere – penso dentro di me.
Svelta mi appoggio all’ albero e con la mia calda, tonante voce prendo l’elenco e inizio a chiamare: Gianfranco, Antonella, Rubinia, Oriana , Ilenia, Marilena, Mario, Antonio, Agata, Alessandra ,Vincenzo, Giovanni, Salvo, Orazio, Fiorella, Enzo,Laura, Grazia.
E subito ad ogni nome dò un volto
E così d’istinto ne percepisco le potenzialità educative che sembrano tante.
Tutti insieme saliamo le scale in un allegro brusio e tutto è già pronto per l’accoglienza!
Sul tavolo, coperto da un vistoso tappeto verde, troneggia l’enorme fascio di fiori cartacei.
Sollecita invito i bambini a prendere posto liberamente e quasi tutti si conoscono perchè provengono dalla stessa scuola materna .
E mi propongo di giocare bene questa carta vincente inserendomi con tatto in questo gruppo già affiatato .
Anche le mamme si sistemano nei banchetti, ora invito tutti a fare silenzio prendo fra le mani alcuni fiori e passo nella prima fila di banchi e dò ad ogni bimbo una carezza e un fiore, alla fine della consegna ritorno al tavolo e prendo con fatica, l’ultimo fiore molto grande: nella corolla c’è scritto il mio nome.
Poi agile, salgo su un banchetto e incollo l’enorme fiore, nel grande cartellone murale.
Ora ogni bambino, aiutato dalla propria mamma, incolla, intorno al mio, il proprio fiore, che diventa un petalo.
La parete della scuola sembra un quadro d’autore !
Certo la botanica non è rispettata ma già profonda è la sincera empatia nata fra noi!
Il vero male della vita cristiana
è l’insignificanza.
Alessandro Pro
Oggi, nel mese di maggio dell’88 mi trovo a godere la frescura pomeridiana della mia stanza e guardo, in vicina lontananza l’Etna, avvolta nel suo candido velo di sposa.
Sto provando ad assaporare la pace che mi vive dentro, e analizzo tale sentimento, ma certo è una gioia strana e nuova quella che mi pulsa dentro e scaturisce dal primo impatto che ho avuto con i meravigliosi bambini della prima “ C.”
Certo, ogni generazione di alunni ha segnato una tappa del mio percorso di maestra, ma ora noto che l’impegno scolastico è stato per me altamente gratificante, perché la mia vita personale si è arricchita di una speciale intesa intellettiva ed emotiva.
Vivo infatti un rapporto nuovo, fresco stimolante, i bambini mi coinvolgono nei loro problemi quotidiani e gusto la gioia nuova della maternità spirituale a me congeniale.
Sono affiatati fra loro perché provengono, quasi tutti, da una stessa sezione di scuola materna e posseggono un limpido sentimento religioso che si esprime nelle preghiere spontanee, improntate a una fede sicura, serena, francescana, direi.
Intuisco che questa speciale intesa nata tra me e loro durerà oltre la scuola. Inoltre è profondo, esteso a tutte le materie l’apprendimento culturale.
Alzo gli occhi verso il balcone e ora l’Etna è ricoperta da nuvolette rosa-dorate, ma il rosa non è il colore della felicità?
E, meraviglia nuova, anche io ho bisogno di gridare al mondo la mia felicità, ora ho due comunità: quella del mio cammino spirituale e quella scolastica di cui io sono la prima animatrice secondo l’ ispirazione che mi ha dato Francesco nel mio primo indimenticabile incontro con Lui ad Assisi.
E corre il tempo colmo di impegni, di doni, di grazie e proprio oggi, ultima domenica di giugno dell’ 89, mi concedo un momento di sosta nella pace della mia casa di preghiera di Catania fermo sulla carta pensieri e propositi .
Ecco, finalmente ho capito che la speranza si concretizza nel quotidiano, nel feriale, perché “il progetto” è radicato nel mio cuore dopo sì lunga sofferenza interiore superata e addolcita dalla presenza amica del mio padre-fratello Andrea eppure non è stato un incontro speciale quello di ieri, ha mantenuto i toni smorzati e sofferti del quotidiano, è stato un confronto “fraterno” ma forse proprio per questa semplicità mi ha fatto bene dentro. Il breve gesto dell’ assoluzione mi ha dato pace .
E’ vero, sono reali le difficoltà da superare, sono diversi i gesti da capire e da compatire, raggiungere la vetta cioè l’incontro con Dio e i fratelli richiede delle scalate di sesto grado ma ho la certezza è che il Signore si è impegnato con me perché il mio dovrà essere un “matrimonio” d’ amore e non di interesse .
lo so che non mi devo aspettare niente, devo solo dare tutto, tocca a me accogliere gli altri e amarli perché l’ amore esclude ogni timore.
Nell’ istituto c’ è un ritmo vertiginoso di vita e di impegni e non c’ è spazio per le sfumature, le delicatezze personali.
Ecco vorrei diventare una persona capace di amare senza misura e senza aspettarmi il contraccambio.
Ci riuscirò?
Non lo so, ma mi è nata dentro la voglia di provare per godere tutte le realtà sostanziali che fanno dell’ istituto una realtà di chiesa, un impegno di consacrazione totale.
Aiutami tu, Signore, a superare le paure e le stanchezze per vivere in pienezza questa irripetibile giovinezza dello Spirito. Amen.
Siamo arrivati a ”Villa Rosa”, incastonata fra i monti calabri, circondata da boschi secolari , e il luogo promette intense giornate di…pace.
Le suore ci accolgono e ci invitano a visitare i locali: ecco da lontano si può vedere l’ampia cappella circolare protetta dai sempre verdi, scendiamo delle lunghe scale e troviamo pronto l’ampio salone che lascia intravedere una lunga fila di sedie ma ecco ho già trovato il ”mio posto” è di fronte alla tela raffigurante degli alberi che si perdono lungo un sentiero e sotto la didascalia commenta : “Taci e contempla” .
Ma non era necessaria la spiegazione scritta perché il pittore l’avrà dipinto in spirito di preghiera e anch’ io,in ginocchio col cuore, inizio a gettare sulla carta, in rapide pennellate visive, le mie emozioni in questo luogo di grazia, in questo tempo storico di grazia.
Continuiamo la nostra visita prima di sistemarci negli alloggi.
Io capito, (per caso?) nell’ appartamento dedicato a santa Teresa e risuona ancora ,dentro di me la preghiera che recitavo nella chiesa dei padri carmelitani: “Niente ti turbi, niente ti sgomenti, solo Dio basta” sorrido fra me e continuo la visita.
Ritorniamo verso l’ ingresso e, mentre rivolgo uno sguardo di preghiera al grande pannello che raffigura l’Annunciazione del beato Angelico, intravedo socchiuso un cancello di ferro battuto che protegge un verdeggiante giardino e lascia pregustare sereni incontri con Te mio Signore!
Acquavona 19 luglio ‘89
… Sono tre le colonnine su cui poggia il tuo altare nella cappella silente che mi accoglie e che in parte mi ricorda la basilica dell’ Annunciazione di Nazaret.
All’ esterno sono nove le cuspidi che raggruppano e chiudono la svettante cupola.
Tu, Gesù Crocifisso, stai in alto, dietro spicca una rossa vetrata ,certo è il colore del tuo sangue sparso per noi ma sì il tuo dolore ha reso possibile e visibile nel tempo il tuo gesto d’amore. Quel Corpo che ci hai offerto e donato sul Calvario ora lo offri a noi nel silenzio divino di una piccola Ostia nuovo ripetuto miracolo d’amore!
E’ un triangolo equilatero il tabernacolo che Tu in croce indichi e custodisci.
I tre lati vogliono indicare la presenza delle tre divine Persone.
Lo sai, vero, Signore, io non conoscevo il tema degli esercizi spirituali, grazie per la tematica che mi hai proposto, lo sai, mi piace chiamarti con il nome di “padre”.
Spingo il cancelletto in ferro battuto che immette nel giardino ricco di alberi e impreziosito da un curato prato all’ inglese.
Gli scalini, esterni alla casa, portano in tanti rettangoli di marmo che costituiscono il suolo calpestabile e intorno hanno una verdeggiante bordura di verde tenero fra cui sorride qualche tremula margherita bianca attorno alla quale sfrecciano piccoli insetti colorati.
“Padre nostro che sei ….sulla terra “ mormora l’anima mia incantata fra tanta bellezza, sei grande o Padre Creatore, Tu, nella varietà di questo giardino, fai brillare e risplendere la Tua gloria. Variopinti gerani e delicate campanelline scarlatto- violetto, fanno bella mostra si sé uscendo fuori dalle giare di argilla : ora una farfalla rossa mi si avvicina:è messaggera di letizia e di libertà. Meraviglia! Ora il mio cuore è libero, o mio Signore, libero da pretese, da paure, da interrogativi.
L’ampia e fitta siepe che “non preclude lo sguardo”anzi impreziosisce di lucente verde smeraldo l’ampio perimetro del giardino e forma come una cintura protettiva intorno, intorno .
E’ questa la teologia della bellezza di cui poco fa parlava padre Antonio?
E’ questa la spiritualità ecologica che tanto mi rasserena e tanto mi è congeniale?
Silenzio divino, solitudine sonora, musica silenziosa si alternano nei caldi spazi dell’ anima ..
Ora, voce di uomini, dal ciglio della strada, arrivano fin qua ma non turbano la vita delle piccole creature che vivono in questo prato e del resto non turbano e non rompono il silenzio di tutto il mio essere .
E dentro di me risuona un canto : “Andiamo a costruire la città” per renderla più vivibile , più a misura d’ uomo, arduo compito ci attende ,lo so!
Riesco ad ascoltare la voce silente della natura che mi guarda con i suoi mille occhi verdi e mi chiede amore e rispetto.
Certo le piante hanno “l’anima sensitiva” e forse per questo si può parlare con loro.
Francesco parlava con gli uccelli, Antonio con i pesci ed io?
Beh ,parlo con gli alberi!
E poi non è vero che solo ai santi e ai poeti è concesso di capire il muto linguaggio delle cose.
Perdona, Gesù, se tanto osa il mio cuore ma anche io ne percepisco il messaggio pur non appartenendo né ai santi né ai poeti , Tu, con la tua misericordia di Padre riempi i vuoti dell’ anima mia e tutto il mio essere in pace Ti adora.
Riconciliami con me stessa, con gli altri.
Ora i miei occhi, sgombri da nebbie di peccato, si elevano rasserenati e puri verso il Tuo-mio Cielo che, nello splendore della mattinata estiva, sfoggia un azzurro, smagliante colore con ricami di sfumate, vaganti, spumose, nuvole bianche.
Un poeta diceva che le nuvole sono “la polvere dei tuoi passi”.
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Con passo svelto mi avvio verso il giardino perché so che nella solitudine Tu parlerai al mio cuore e io, resa attenta dal Tuo Amore, saprò ascoltarti.
Mi siedo al mio posto preferito:ho davanti agli occhi una bordura di verde,esaltata da colorati gerani, ai piedi del pino brillano dalie gialle .
Uno scintillio mi cattura: è lo splendore del pino argentato che sembra voglia abbracciarmi con i suoi colori: verde, azzurro, argento.
Ma sì, sei rilucente di gioia , o mio albero, e alla tua presenza rifletto e prego e ti ringrazio perchè mi offri, in semplicità questa tua fragranza insieme a questo palpito di vita!
Io curiosa, vi fermo lo sguardo e leggo commossa “Ti mostrerò il mio amore e la mia tenerezza”.
Dio Creatore, da poco ho scoperto il tuo volto di Padre, il ruolo sponsale di Te o Spirito Santo , da poco fratello Gesù, ho imparato ad amarti, ma ora ho dentro un pizzico di paura e ti spiego il perché.
Nel mio faticoso cammino ho capito che il carisma dell’ istituto, dove mi hai richiamato, richiede che io permetta a Te Gesù, di continuare a prolungare nella storia, la tua consacrazione in me.
Piccola cosa ti sembra questa richiesta? Lo so ci vuole più maturità .Ecco Ti sei preso questo fardello e tocca a te portarlo con me e fammi da Cireneo tocca a Te .
Ma allora che cosa mi fai dire? La Croce tocca a me portarla e devo ancora chiederti in prestito i chiodi della tua, mi servono per “inchiodare il mio io” secondo la francescana intuizione del mio giovane padre spirituale Andrea.
“In tua volontate è nostra pace” cantava Piccarda nel cielo dantesco ma io non capisco a pieno la Tua volontà e quando la capisco, filtrata dalla direzione spirituale, mi fa paura.
Ma perché nel giardino davanti al mio sguardo s’ impone questo piccolo faggio rosso?
E che cosa ci fa in un giardino tutto pieno di grandi maestosi sempreverdi?
Lentamente mi alzo, mi avvicino al piccolo faggio (piccolo rispetto agli altri alberi, non in sé) e vedo che al centro ha un grosso ramo che mostra la recente potatura.
Tendo la mano verso l’alto per accarezzare questa ferita di gloria annunciatrice e di frutti e rami rigogliosi. E mi viene in mente la provocazione del capitolo 15 di Giovanni. .: “Io sono la vite e il padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo pota perché porti più frutto”.
Vedi, Gesù, anche io ho urgente bisogno di potare qualche ramo sterile nell’ albero della mia vita. Guarda c’ è il ramo secco della mia incapacità di partorirti al mondo, c’è il ramo sterile della mia incapacità a conservare la gioia, perché gli altri vi attingono con indiscrezione e nelle mie mani resta solo una foglia secca, aiutami, vedi il mio tralcio muore, aiutami a non staccarmi da Te, mia Vite.
Perdonami,Signore, perché ho atteso che fossero gli altri a fare il primo passo verso di me.
Ho capito che tocca a me donare letizia anche quando per gli avvenimenti umani che mi coinvolgono nel quotidiano ,la mia gioia scarseggia tanto !
Mi sento più libera e più leggera ora, proprio ora che ho assunto questo peso!
Ma vedi? Parlando con Te, anche la mia chiara logica vacilla .
Aspetta, voglio farti un regalo: ti offro le mie infedeltà piccole e grandi, la mia incapacità a ritrovarti nei piccoli, nei sofferenti. Ti piace il mio “dono”? Sento dei passi leggeri nel giardino sei Tu?
Ma no, è solo Margherita che scorre il rosario, mi giro discreta e con passo lieve raggiungo l’altra uscita, mi fermo un attimo presso un rilucente albero con foglie verdi merlettate di bianco ma cerco perplessa le bacche .
Ma dove sono le bacche bianche e rosse? Dove sono le augurali bacche natalizie?
Io perplessa le cerco tra le foglie ma non le trovo, ma già, siamo ancora in estate, l’ albero non ha dato i suoi frutti, non è arrivata la sua stagione .
Oggi, o Signore, l ‘albero della mia vita che frutti può offrirTi ?
Ecco, non vorrei deluderti ancora ma guarda nel mio piccolo albero una piccola bacca quasi rossa già ondeggia al vento dello Spirito : è la gioia, ti può servire o Signore?
“Padre nostro che sei con noi Ti canto dentro e ritorno tra i fratelli.”
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La settimana di esercizi spirituali vissuta ad Acquavona, ai confini della mia terra calabra, mi ha dato una profonda carica spirituale che ha investito, di nuova luce, il mio insegnamento che è una seconda vocazione.
“Il sorriso è il nostro modo di farci il segno della Croce.
E’ la prova che, nonostante la scomparsa di qualsiasi motivo di speranza che si fonda sui fatti, non abbiamo cessato di sperare”.
Havey Cox
Proprio oggi 4 ottobre dell’ ’89, festa di S. Francesco, vado a San Cristoforo un quartiere storico di Catania perché padre Andrea vi è stato nominato parroco.
Ecco lo scenario: nella piazza troneggia l’altare preparato per la concelebrazione ma la stranezza è costituita da un cielo ostile, oscurato da una pioggia nera di pulviscolo vulcanico e la gente si difende come può aprendo gli ombrelli colorati. Il vescovo esprime qualche timore per la montagna che tuona ma un rumore ben più assordante vince: stridio di motorette, di macchine, calore di vita, di voci.
Ma ecco, arriva fino a me, confusa tra la folla sconosciuta, la voce di p. Andrea, prima lenta e impaurita per la carica emotiva poi forte, certa e chiara e copre il rumore circostante offrendo speranza al suo popolo e anche a me “Laudato sii ,o mi Signore” canto con Francesco.
Oggi dodici Ottobre dell’ ’89 mi ritrovo nella nuova parrocchia per vivere la mia Messa e, strano, mi risuonano dentro le fraterne parole di padre Andrea per il suo gregge.
Io sento già l’appartenenza a questa realtà e, nuovo miracolo, dopo sì lungo silenzio e distacco ritrovo p. Andrea, ancora padre e fratello e con questi sentimenti mi preparo ad accogliere, insieme a Cinzia, i bambini del catechismo di San Cristoforo e inizio un nuovo gioioso cammino di fede fra la gente istintiva, forte generosa della nuova parrocchia .
E ora attendo con gioia il momento solenne dell’ ingresso ufficiale nell’ istituto cercato, ricercato, ritrovato e oggi, 27 dicembre dell’89, profuma di pace, di serenità, di letizia la nostra cappella francescana e dalla finestrella spalancata osservo i verdi rami del pino secolare .
Alla fine della Messa solenne., mi sento avvolgere dalle note finali del mio canto preferito “Dolce sentire” e al mio anulare riluce la fedina di oro bianco,segno visibile del mio nuovo impegno, apro la mia borsa e trovo un foglietto azzurro con questa preghiera che subito faccio mia:
“La lucerna dell’amore”
Ti ringrazio , Signore / perché quando questa lucerna dell’ amore/diventa troppo pesante/ da portare con le mie mani/Tu la prendi tra le tue mani forti / perché, Signore Tu sai,/ quanto preziosa essa sia per me/ e quanto io mi preoccupi affinché essa non cessi di ardere. Amen ripeto dentro di me.
Ma quale mano amica mi ha fatto questo dono ?
Qualcuno mi sfiora: è Paola che premurosa si è fermata ad aspettarmi, non parla, mi sorride complice e mi dà il benvenuto con un caloroso abbraccio, la seguo in silenzio ed entriamo per ultime nel salone addobbato a festa, sul tavolo spiccano fiori campestri raccolti dal giardino.
Ecco padre Andrea si alza, ci viene incontro dicendo : “Aspettavamo solo voi ma dove siete rimaste? E ora posso farti gli auguri Rosarita?
Sorride, si avvicina e mi abbraccia e mi dà il benvenuto nell’ istituto a cui anche lui appartiene, riesco a gustare la cenetta in un clima di fraternità.
Vivo il mio impegno di consacrazione nella parrocchia fra la mia gente.
Il venti luglio del ‘90 con i catechisti vado ad Agnone per trovare una famiglia della comunità composta da Maria, da Giovanni, da Gilda, da Anna tutti membri impegnati nella parrocchia.
Arrivata nel viale splendido di oleandri colorati, scendo dalla macchina con Cettina e Giuseppe e mi sento un poco imbarazzata ma è solo la sensazione di un attimo: l’accoglienza è festosa e calorosa.
Che meraviglia! Si respira aria di famiglia! Aria di fraternità!
Ci prepariamo e andiamo tutti a mare, siamo un folto gruppo di amici .
L’insenatura di Agnone è un quadro d’ autore, laggiù il verde della costa si unisce all’ azzurro del mare e del cielo ricamato di nuvolette bianche, certo questo paesaggio è un dono che Tu Signore hai fatto a noi uomini.
Quanti ombrelloni colorati! Quanta vita!
Laggiù il mare manda riflessi d’ argento!
E ora a tavola si gustano le specialità di Maria: le lasagne cucinate nel forno di pietra, il pane di casa, i peperoni arrostiti, le polpettine arrostite in foglie di limone e non manca il dolce casalingo e come sono vigili Maria e Giovanni e quali attenzioni mi usano !
E come sa vivere in semplicità le pure gioie dell’ amicizia padre Andrea seduto accanto a me!
Ma non è finita una giornata così, è sera abbiamo consumato la cena e padre Andrea propone: “Andiamo sulla spiaggia per salutare la luna?” Prendiamo le nostre stuoie e andiamo verso il mare, è cosi vicino alla casa!
Stendiamo le stuoie e ci mettiamo comodi, la luna di lassù sembra sorriderci e vanitosa si specchia sul mare. Come è bello godere del giallo chiarore della luna!
Pensiamo all’ infanzia, ai giochi di allora, io e Giovanni ricordiamo il gioco con il castello delle noccioline che si tiravano nella fossetta, Maria ricorda i giochi dentro i cerchi e le tenere pupe di pezza spesso fatte in modo artigianale. Cettina canticchia un’antica nenia. Ma com’ è delicato e ancora tenero il seme della fede che hai messo nei nostri cuori !
Fa, o Signore, che questo seme cresca e diventi un albero grande dove possano posarsi gli uccelli del cielo!
E l’albero già ondeggia al vento dello Spirito!
Ma no, che dico?
E’ solo la brezza del mare che mi accarezza il viso: Grazie, o Signore , per questa pace lieve, lo so, è bello che i fratelli stiano insieme , e noi lo siamo. Giovanni dà l’avvio per il ritorno a casa, io mi trattengo un attimo, devo salutare la luna che brilla di luce non sua .
E come la luna riceve e dona la luce del sole, possa io ricevere la Tua luce e donarla a tutti quelli che Tu poni sul mio cammino. Amen.
Acquavona 26 Luglio 90
Nell’ accogliente salone ora risuona calda e chiara la voce di padre Antonio che commenta il miracolo della moltiplicazione dei pani, la voce cadenzata mi segue ma io, guardando il cielo, sfolgorante di luce e la grande distesa di alberi, (se ne vede solo la cima), mi allontano con la mente e con il cuore e mi ritrovo in Palestina Ti guardo estasiata mentre l’immensa folla variopinta freme, si muove, si interroga, si rasserena, si siede, a piccoli gruppi.
Ora Tu, lievemente divertito, solleciti i tuoi discepoli a dar da mangiare alla folla e il fragrante pane corre di mano in mano e placa sia la fame del corpo, sia quella più profonda dello spirito.
E io mi confondo in mezzo alla folla anonima in cerca del pane di vita.
Ti tendo la mia mano perchè mi urge un pezzetto di questo “pane speciale” ma non so regolarmi circa la quantità necessaria e sufficiente a placare la mia fame.
Molta roba inutile si è accumulata a casa mia vecchi problemi sono venuti a galla, forse e senza forse, è stato il cataclisma totale della mia nuova situazione famigliare venutosi a creare con il distacco per il matrimonio
di mia sorella partita per il nord e io sono rimasta sola con la mamma.
Pensavo di avere tante risorse dentro di me e invece …ho solo vecchie e nuove paure ma gli esercizi spirituali vorrebbero essere “una boccata di ossigeno per lo spirito una sorsata di acqua pura”.
Ma ascolta a me non basta un sorso sarebbe appena sufficiente a inumidire le mie labbra screpolate dal sole ma non placherebbe l’arsura di tutto il mio essere non sazierebbe il cuore che “ ha le sue ragioni che la ragione non comprende.” (Pascal)
Tristi pensieri, negative sensazioni “tumultuano” dentro di me e io ho invece ho tanto bisogno di una verifica, di un dialogo paterno e liberante!
Ho sete di condivisione, di fraternità dammi Tu questa rara acqua speciale!
Ma io continuo a parlare e Tu non riesci a …raggiungermi.
Troppo rapidi, improvvisi sono i cambiamenti avvenuti attorno a me e dentro di me a questi esercizi mancano diverse persone a me care: padre Andrea non è con noi è a Genova accanto la madre sofferente.
Fausto sta pregando altrove per il suo sacerdozio.
Margherita, all’ ultimo momento non è venuta ed io sento tutte queste mancanze.
Andrea, sacerdote e padre sa regalarmi, anche nel rispetto del silenzio, un rassicurante sorriso e Fausto riesce a farmi percepire la fraternità.
Margherita mi dà uno strano senso di sicurezza. Sono queste le mancanze di persone e amici ma c’è ancora un’altra mancanza.
Manca, ma che cosa manca ancora?
Ma certo manca la possibilità reale di un confronto con i sacerdoti e i responsabili (che, strano a dirsi) non sono disponibili perchè fanno gli esercizi spirituali insieme a noi!
Ancora manca qualcosa di bello e di rasserenante non abbiamo più l’uso del giardino attiguo, non posso più godere della frescura del grande pino argentato perchè questo anno vi abitano i proprietari della villa.
Ultima mancanza credo.
Ma ritrovo qualcosa di nuovo Villa Rosa è più ricca di verde e di colori,di muretti rustici ascendenti e discendenti, di prati all’ inglese.
Oggi un nuovo rifugio mi accoglie, ora il mio corpo stanco si appoggia al grande muro laterale esterno della chiesa e il mio sguardo spazia sulla terra, ai miei piedi si estendono mattonelle intrecciate di colore granato che formano dei lunghi disegni geometrici
Dalla mia sinistra si snoda, davanti al mio sguardo, la visione delle due casette dagli aguzzi tetti rossi seguita dalla visione del lunghissimo corridoio ricoperto di vetrate e lo sguardo si estende, a perdita d’occhio, in una macchia di verde, ora la brezza lieve di un piacevole venticello “lo zefiro soave” scompiglia i miei capelli e pian piano, porta via con sé la pesantezza del mio cuore.
Un passero solitario canta in modo ritmato ma ecco non è più solo ben presto altri amici suoi intonano un vero concerto e non rompono il silenzio del bosco semmai lo rendono sacro.
Gli alti larici mostrano le cortecce picchiettate di bianco-verde-grigio e chiudono, a una certa lontananza, il lunghissimo caseggiato in modo circolare (anche nella natura ritorna la Trinità ?) Certo il cerchio indica la perfezione.
Ti invoco, vieni Signore Gesù! E ancora ripeto vieni !
Signore manda il tuo Spirito manda su di me un raggio della tua luce!
Sana ciò che sanguina, bagna ciò che è arido, lava ciò che è sordido, vieni maranathà!
Ora il vento sfoglia la mia Bibbia e leggo : “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho destinato a portare frutto”
Perché Tu hai scelto me?
Ma guarda nessun frutto ti ho dato e tu ancora mi cerchi, mi ricerchi e ti ammiro per il tuo coraggio Signore, ma io non mi fido di me è scarsa la mia capacità di sperare e a proposito l’hai sentita l’ultima stamattina ?
“Voi dovete essere speranza per gli altri ovunque vi troviate” così parlava padre Antonio stamattina
Ma io quale speranza sono stata per gli altri? Boh !
Mi alzo e guardo uno scorcio di prato.
Eccomi l’ultimo giorno di esercizi spirituali è arrivato, fra un’ ora sarà celebrata la messa e tutti noi che apparteniamo all’ istituto, rinnoveremo le promesse; il momento è solenne e il cuore attende in pace con una gioia contenta e pacata.
Davanti la casetta di Santa Teresa un robusto sedile di marmo mi sostiene e un piccolo alberello mi dona la sua ombra.
La mia penna corre veloce cercando di fermare sulla carta impressioni, sensazioni, propositi, speranze, certezze.
Ma oggi sono io a ripeterti la domanda che già ti ho fatto in questi lunghi silenzi, fra queste vette verdeggianti. E Tu ,Signore, Ti fidi del mio si?
Certo nella Messa reciterò, insieme agli altri, la formula ufficiale e già sento tutto il peso e la responsabilità che comporta specie ora che devo affrontare da sola la famiglia, la scuola, la comunità.
Ora, in un anticipo d’amore, ti ripeto piano il mio sì mentre i miei piedi affondano nella morbida erbetta del prato, mentre una coccinella mette in mostra la sua colorata e allegra corazza a puntini, una farfalla rossa si posa avida su una rosa gialla e una passerotta–madre cinguetta stridula dietro le mie spalle, mi giro svelta e la vedo mi mostra orgogliosa l’insetto che ha in bocca da portare ai piccoli.
Di lato alla mia destra, tra due rupi, spicca un bianco Crocifisso e lo guardo in muta preghiera e dico “Signore la mia piccola offerta è per sempre incastonata nella chiesa che io amo!”
Ritorno al mio sedile e ai lati del viale circolare ammiccano le ortensie nel loro sfumato colore rosa corallo.
Di fronte a me, nell’ altro piccolo prato ondeggia, al vento dello Spirito, un piccolo faggio rosso dalle foglie di un cupo colore granato al quale, fa da contrasto, il bianco cespuglio delle margherite che ridono con i loro gialli bottoncini. Più in fondo si vedono i piccoli cipressi verde scuro e sulla lontana-vicina bordura di cemento, in grandi ciotole rotonde, fanno bella mostra di sé rosse e carnose begonie, grazie finalmente Ti canto per avermi chiamato in questo luogo di bellezza, di pace e di grazia!
Un dono Ti chiedo oggi concedimi di saperTi ritrovare e contemplare in tutto ciò che è piccolo, umile (creature, animali, e cose).
Liberami dalla tentazione dell’ autosufficienza, liberami dall’ orgoglio, dalle paure vecchie e nuove, dal silenzio colpevole , rendimi pura accoglienza del Tuo Amore e poi offerta libera e gioiosa, fammi attenta ai tanti bisogni degli altri, solo così lascerò finalmente i “miei bisogni”.
La passerotta è ritornata e dal tetto sembra mostrarmi di nuovo orgogliosa l’insetto che tiene in bocca ma non si decide ad entrare nel nido, ha bisogno della mia attenzione, mi giro e le dico : “Su i piccoli aspettano tu sei una madre premurosa!”
Sai Gesù ? la passerotta sembra aver captato il mio invito e spicca il volo sicuro verso il nido, anche il mio sì voli nel cielo della grazia e sia deciso e decisivo so che mi attendono le tue mani di padre, di fratello, di sposo. Amen.
Ma guarda un po’ Signore quanti testimoni ho avuto presenti in questa francescana fresca, giovane rinnovazione delle mie promesse.
Tu o Signore, che provvedi agli uccelli del cielo, ai gigli del campo,provvedi anche a me tua creatura: ma il sole è già più alto e altri passi silenziosi precedono i miei, ecco ora sono arrivata spingo la porta di casa tua ed entro in chiesa, subito cerco un posto isolato perchè, attraverso la vetrata, voglio ancora guardarti nel volto rilucente di Padre-Creatore.
Ecco il sole pian piano diventa una rilucente palla di fuoco, e sembra incendiare il cielo di luce. Il fuoco del tuo amore possa riscaldare tutto il mio essere assetato di ricevere e di dare amore. Ascoltami “Tu che muovi il sole e le altre stelle.”
Ora dalla piccola sacrestia escono in fila i sacerdoti per celebrare la Messa. Nel nome del padre, del Figlio, dello Spirito Santo.
Ti saluto o Trinità beata amante e donante. Benedici Padre Andrea e avvolgilo nella tua luce d’amore fa che l’amarezza di questi lunghi giorni non spenga il fresco sorriso che aleggia sempre sul suo viso segno di sollecitudine paterna per le sue-tue pecorelle. Amen .
E la vita in parrocchia riprende e oggi festa di san Francesco, si respira aria di famiglia, di gioia, perché si affaccia all’ orizzonte la comunità.
Per me è splendido avere ricominciato dall’ inizio, mi risento viva .
Ero diventata come una rosa reclinata sullo stelo pronta ad appassire e avevo avidamente bevuto le ultime gocce di acqua per attraversare il mio deserto.
Ora alle mie orecchie giunge un canto: ”Acqua siamo noi ”e volti amici mi sorridono, lo so Tu sei un Dio–Famiglia, un Dio-Comunità.
Grazie per il sacerdozio di p. Andrea così ricco di gioia, così incarnato nella vita di ogni giorno.
Oggi, il mio giovane cuore ti canta il suo grazie per le meraviglie di cui hai riempito questo giorno speciale io cercavo con chi “fare festa” e mi aspettavo di condividere questo momento con la mia comunità ritrovata ma lo stile sobrio dell’ istituto non riteneva opportuno festeggiare il mio compleanno anche altri avrebbero potuto pretendere lo stesso trattamento e il primo insidioso dubbio sulla condivisione fraterna si affaccia fastidioso alla finestra del mio cuore e allora?
Tu Gesù che fai’?
Prepari per me una strana sorpresa chiudendo le porte di una comunità che credevo di avere e aprendo le porte di una famiglia ecclesiale di cui io ignoravo perfino l’esistenza parlo della mia famiglia parrocchiale di San Cristoforo .Lo sai Signore che io ,oltre ad ignorarne l’esistenza ne sottovalutavo l’enorme potenziale umano ed affettivo. Ecco il tuo dono è la nuova famiglia di San Cristoforo .
Ecco sono arrivata davanti la porta della chiesa la messa del pomeriggio sta per iniziare e padre Andrea è già sull’ altare pronto per intonare il canto di ingresso .
Entro in punta di piedi e mi siedo nell’ ultimo banco e mi preparo ad ascoltare il tuo Vangelo.
Il mio cuore sussulta ritrovo la parabola delle vergini savie e di quelle stolte e ascolto in estatica contemplazione:” L’ olio che le vergine savie portano con sé è quello della fede e della preghiera , ora guardate oggi, in mezzo a noi,
c ‘è una vergine savia che ha seguito la voce dolce e familiare del suo sposo Gesù .
Certo la consacrazione è un atto di chiesa è un impegno per sempre .
Oggi, fra noi c’è Rosarita ecco è in mezzo a noi in servizio di amore”
Mi guardo dentro con trepidazione e risento un senso di timore ‘perché mi sento improvvisamente “scoperta”,era così comodo nascondersi nell‘ anonimato ! .
Gente sconosciuta sorride, si interroga,qualcuno sussurra che aveva intuito qualcosa anzi qualcosa di particolare .
Signore perdona la mia miseria e il mio timore dammi il dono dell’umiltà e dell’ ascolto e fai che io possa donarmi a tempo pieno nella tua chiesa che io amo e sappia portare il mio tassello per costruire il grande mosaico fa, fa, che il cuore mi regga per la troppa emozione
Fra poco ti riceverò nell’ anima mia e nel divino silenzio ci scambieremo i nostri reciproci auguri.
Ora da poco è finita la messa e la gente si avvicina per conoscermi e per farmi gli auguri e tutti ci avviciniamo nel salone per consumare la torta.
Maria e Antonella si avvicinano l’una ha in mano una rosa rossa, l’altra un biglietto su cui spiccano un ruscello e un campo inondato di gialli e rossi tulipani.
“Semina la gioia nel giardino di tuo fratello e la vedrai fiorire nel tuo”
Dentro c’è scritto:”guardarti ci riempie di gioia starti accanto ci colma di pace.
Sentirti nostra ci fa essere più famiglia, Rosarita sei per tutti noi un prezioso dono dell’amore di Dio (la tua famiglia di san Cristoforo).
Prendo il biglietto e le mie mani tremano un poco nel riporlo nella busta sorrido ai fratelli ma qualcuno mi invita ad unire le mani per ricevere uno scatolino lo apro dentro c’ è un prezioso rilucente filo d’oro!
Lo guardo meravigliata ma è un attimo subito mani care e premurose me lo legano al collo e scroscia l’applauso comunitario. Grazie o Signore perché mi hai chiamato a servirti in questa parrocchia fra questa gente semplice e calorosa.
E come brilla sul mio cuore questo rilucente filo d’oro e Tu, Amore mio santo,mi permetterai di tenerlo per sempre perchè tu stesso me lo hai donato attraverso la mia nuova comunità.
Comunità, luogo privilegiato dello Spirito,realtà visibile di fede,di speranza di fraternità .Posso dirti grazie o mio Signore?
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Lunedì 13 /11/90
Sono qui nella cappella francescana per l’adorazione eucaristica
Grazie il mio cuore ti canta per le meraviglie di ieri io altrove avevo programmato e desiderato festeggiare il mio compleanno nell’ istituto ma non hai permesso che si realizzasse perché mi stavi preparando in parrocchia una magnifica sorpresa , un bagno di gioia e in un solo giorno mi hai dato fratelli e figli.
Hai riempito di olio di letizia la mia lampada tu stesso hai provveduto a non farmi finire l’olio della fede e della speranza.
Tu hai esaudito la preghiera lontana dei miei sponsali con Te ,ti avevo chiesto di sapermi accostare a tutto ciò che è piccolo, semplice, povero e in parrocchia i piccoli hanno saputo dirmi che Tu mi ami.
Ora brilla sul mio cuore il rilucente filo d’oro che tu mi hai donato,tramite loro, nel giorno del mio compleanno.
L’ufficialità della mia consacrazione mi impregna di responsabilità e di pace… interiore .
Grazie, il mio cuore sereno e innamorato Ti canta., libero da ogni preoccupazione pacificato dalla presenza di una comunità di fede .
Nessuno andò ieri, né va oggi, né andrà domani a Dio
per la stessa strada che percorro io,
per ognuno riserva un nuovo raggio di luce il sole.
Leon Felipe
Il nuovo anno si affaccia all’ orizzonte della storia ricco di promesse e proprio oggi, primo gennaio, del 1992 ,la voce nota di padre Andrea spiega il significato della parola “auguri”
“Dicendo la frase buon anno ci proponiamo di metterci tutta la nostra buona volontà per collaborare alla felice realizzazione dell’ augurio appena fatto con le labbra e noi ci impegniamo nel rendere possibile l’augurio appena formulato.
Sorrido fra me, e penso che sono tantissime le persone alle quali faccio gli auguri,come posso ,essere presente per tutti e per ciascuno?
“Ma ancora abbiamo dimenticato di fare gli auguri a una persona speciale che deve esserci cara: noi stessi!”
Vi invito a mettervi davanti lo specchio e a ripetervi sorridendo “Auguri di pace insieme passeremo un anno sereno perché ci accettiamo.”
Sono seduta, inginocchiata con il cuore, e contemplo questo mistero di amore, questa tua “pazzia “ per noi.
E prendi Corpo tramite le mani di un uomo peccatore come tutti , tramite la voce di un uomo frastornato da mille altre allettanti e suadenti voci.
Grande è il mistero del sacerdozio.
Poco fa padre Andrea ha celebrato con me e per me il sacramento della riconciliazione.
Ripetendo le sole parole capaci di dare speranza: “Io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”
La risonanza è ancora fresca nel mio cuore. “Fermati Rosarita guarda con fiducia la vita segui lo Stupendo Compagno di viaggio che tu hai “
Per me è sempre nuova la riscoperta del Tuo Amore, o Gesù.
Sentirsi conosciuti e amati da Dio è il dono più grande per ciascuno di noi, l’unico problema è quello di poterlo scoprire in tempo, in tempo opportuno per “godere “ tale scoperta e Tu mi hai donato tale divina possibilità-
Ti amo anche io. Ti basta il mio Sì?
Ora l’eco del canto arriva alle mie orecchie:”Quanta sete nel mio cuore
solo in Dio si spegnerà ,se la strada si fa scura spero in Lui mi guiderà“.
Ora divino silenzio mi avvolge complice di serenità .
Affranto, stanco è l’animo mio ho toccato il fondo della solitudine,dell’ angoscia, della paura, dell’egoismo, e pensavo di trovare anche i tuoi”rimbrotti” ma strano ho trovato solo il tuo Amore!
Meraviglia sempre nuova per me!
Tu mi mantieni sempre viva dentro e mi dici (tramite la voce paterna e fraterna) del tuo sacerdote parole di speranza e di gioia.
L’eco risuona fresco di grazia, dentro di me: ”Non è grave cadere:è molto più grave restare a terra e non avere più la voglia di rialzarsi”.
Stai in piedi Rosarita io ti darò la forza necessaria giorno per giorno, non agitarti a vuoto ma abbandonati al mio Amore anche quando non lo capisci perché Io, il Signore, saprò riempire il tuo cuore di pace, prendi dal mio pozzo l’acqua per la tua sete, lo sai la mia acqua è bastata alla samaritana tu usa il secchio della pazienza e offrila generosamente ai tuoi fratelli, alla chiesa tutta più ne darai agli altri più ne avrai tu.
Coraggio, su io Gesù perdono le tue meschinità perché ti amo.”
Le lacrime che bagnano ora il mio viso hanno un sapore nuovo,sono diventate un tuo dono e già nel mio cuore rinasce il sorriso.
Non permettere o Gesù che io mi smarrisca nei cupi sentieri dell’angoscia incontrollabile e incontrollata.
Dammi di vivere ogni giorno in novità di vita e di speranza .
Mi inginocchio ora per ricevere il perdono sacramentale e la pace, insieme ad una gioia pacata, penetrano lentamente in tutto il mio essere,ricreato nuovo dal Tuo Amore .
Staremo ancora insieme nel nostro ritiro comunitario domenica prossima.
Io ho tante cose da dirti ancora e Tu?
15 marzo ‘92
Sei grande Signore perché mi hai rafforzato nella fede nel colloquio di venerdì per offrirmi oggi, domenica mattina, la forza di confrontarmi da sola con il mistero della morte che di colpo mi porta via mia madre che si abbandona fra le mie braccia mentre, in questa splendida giornata marzolina, fuori pulsa già la vita. Sono le ore otto, la mia comunità di San Cristoforo si sta preparando per il ritiro.
Ora lei è la figlia ed io sono la mamma la sostengo con una forza non mia la chiamo dolcemente, prendo la tovaglia, le sollevo piano la testa la guardo allibita e sento tutto il fardello della solitudine amara di figlia unica, perché mia sorella Rina, sposata da due anni, vive a Mestre.
Grido la mia angoscia, socchiudo la porta di ingresso e subito arrivano i miei vicini che sollevano la sedia e delicatamente appoggiano mia madre sul letto, mi sento come sdoppiata, io devo pensare a tutto sono madre e figlia insieme, al telefono chiamo Rosalia, mia amica da sempre, insieme abbiamo condiviso i campi di lavoro del ‘70 e il viaggio ad Assisi, e viene subito, mi abbraccia con forza e lucida, premurosa, consapevole della tragedia già avvenuta, mi dice di avvisare mia sorella Rina per comunicarle la morte di mia madre. Ma la sua decisione mi angoscia perché continuo a sperare che sia solo un malessere risolvibile con una corsa all’ ospedale.
Rassegnata mi accingo a telefonare a mia sorella Rina. D’ istinto lei intuisce qualcosa di triste perchè mi invita a passarle la mamma al telefono e sentendo il mio diniego mi ricopre con un fascio luminoso di affetto.
E passano lente le ore i vicini entrano altri escono e un raggio di sole filtra dal balcone socchiuso, ma no è un piccolo biancore saltellante nello stupore generale dei pochi presenti, appare una colomba candida che si ferma mi guarda con i suoi occhi a spillo e vola via . Mi è sembrata una mia visione ma la saggia signora Maria mia vicina dice :”E’ l’ anima di sua mamma che viene a salutarla “
E ora Signore mi fermo in preghiera e affido mia madre alla Tua misericordia, dai a lei tutte le gioie che non ha saputo più vivere dopo la morte di mio padre ed io Ti chiedo perdono perchè spesso ho sentito il peso delle sue richieste, delle sue”pretese.
La mamma mi voleva solo per sé ma io non ho saputo esserlo mai, forse non potevo perché anche tu Signore mi volevi per Te con un Amore Geloso.
Vivo questo momento come in un sogno fra l’accettazione e la ribellione interiore per la tragedia che ha colpito me e specie Rina che si trova lontano da noi.
Ora sempre più vicino sento un brusio e percepisco delle voci note: sono arrivati i fratelli di san Cristoforo, da poco è finito il ritiro comunitario.
Sollecita mi alzo e abbraccio con lo sguardo tutti quelli che vedo prima della curva della scala. Ecco Giovanni, Maria, Gilda, Annamaria e dietro di loro padre Andrea, Cettina, Giovanna, Grazia, Antonella, Concita.
Con fine intuito sacerdotale, padre Andrea si avvicina per primo mi abbraccia in silenzio, poi prende le mie mani fra le sue e recita il salmo:”Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato ma il Signore mi ha raccolto” mi guarda intensamente, comprendo e ripeto piano con il cuore ancora in tumulto: Amen.
Mi chiamano perché nello studio il telefono squilla insistente alzo la cornetta e sento la voce di mia sorella Rina che sta venendo da Mestre.
Ha preso l’aereo proprio di corsa,- dice.
Fin da piccola la corsa è stata la sua specialità e d’incanto la rivedo bambina.
Ora indossa il suo vestitino rosso a puntini bianchi adorno di collettino merlettato, ha appena tre anni e come affascinata guarda l’uscio spalancato del grande portone di legno intarsiato che qualcuno dei vicini ha dimenticato di chiudere.
D’istinto cerco di fermarla ma Rinuccia già vola libera e felice nella strada io, più grande di lei di ben cinque anni, ho l’incarico di sorvegliarla.
Mia madre con la folta treccia bionda che porta a forma di corona arriva trafelata e mi ordina :”Svelta, corri dietro di lei raggiungila la strada è pericolosa perché certamente Rinuccia è diretta alla stazione dove papà ha l’ufficio di maresciallo “ Il tono eccitato della voce di mia madre ottiene solo l’ effetto di bloccarmi, del resto, io, al contrario di Rinuccia, sono lenta nella corsa ma subito trovo un rapido rimedio, e con la mia voce tonante chiamo a raccolta i nostri compagni di giochi tutti più grandi di noi, capeggiati da Pietro che mi è caro.
Mia sorella Rinuccia corre, corre trafelata e nella corsa non poggia i piedi e tiene le braccia aperte per aumentare la velocità .
Per fortuna i primi quattro ragazzi la raggiungono trafelati, la prendono al volo e io da lontano, al sicuro sul marciapiede, l’aspetto insieme ad Adriana.
Il nostro gruppo si è sparpagliato ma la missione è raggiunta perché io, fin da piccola, ho amici accanto a me, anche se arrivo sempre ultima nella corsa.
Ora sento vicina la voce di Rinuccia che strilla:”Voglio andare da papà lasciatemi” ma i ragazzi la tengono ferma, si dirigono verso di me, sopportano i calci che lei distribuisce in modo equo, mi guardano interdetti mentre mia sorella cerca di svincolarsi adirata.
I ragazzi, capeggiati da Pietro, orgogliosi del salvataggio, la consegnano a mia madre che vedendola sana e salva pensa bene di abbracciarla, e io faccio fatica a distinguere i due volti cari uniti nella gioia e la lunga treccia bionda di mia madre si confonde con i boccoli dorati di mia sorella e il caldo sole della mia prima infanzia mi riscalda il cuore qui a Villa Literno in Campania.
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La visione scompare e mi ritrovo in chiesa per il rito funebre, accanto a me c’è mia sorella Rina con suo marito e dall’ altro lato ci sono tutti i miei meravigliosi alunni della V “C” di cui io vado fiera.
Poco prima della preghiera dei fedeli, Marilena si stacca dal gruppo, si avvicina e mi stringe la mano come solo lei sa fare e mi sussurra piano: “Maestra vai a pregare per tua mamma noi, quali tuoi figli, lo vogliamo.”
Mi alzo e, sostenuta da una forza non mia, raggiungo l’altare : ora chiara e sicura si eleva la mia voce nella chiesa di San Luigi.
Stamattina mia sorella Rina mi aiuta preparare la valigia perché mi ha invitato a passare alcuni giorni nella sua casa di Mestre e poi passerò la mia prima pasqua da orfana a Roma nella casa di accoglienza di Paola cara sorella conosciuta a Catania nei gruppi ecclesiali di felice memoria.
E sono di ritorno sul treno Mestre – Roma e ho una sensazione di paura, in tutta fretta Caterina mi aiuta a salire le valigie e poi scende in fretta resto sola e sono avvolta in un nero vestito che bene esprime la sensazione di vuoto che provo dentro e la nebbia avvolge le care figure di Rina e Salvo e le sottrae al mio sguardo.
E il treno parte le lacrime scendono libere si confondono con la nebbia che continua intensa fino a Padova.
Ma l’arrivo nel mio scompartimento del piccolo e pestifero Piero riesce a distrarmi e rimandare indietro le lacrime che ancora scendono incontrollate sul mio viso smunto.
Ma Tu Signore finalmente intervieni tramite la signora Chiara che comprende la situazione e si premura di parlarmi di suo fratello che lavora in parrocchia e proprio per poco non è diventato prete.
Si parla dei dolci napoletani che ho gustato nella mia infanzia, mi rassereno e il piccolo Piero mi ripete, per la centesima volta, la poesia di Pasqua.
“Dio ha aperto la sua mano con la chiave dell’amore
e così sono state prodotte le creature”
San Tommaso D’ Aquino
Sto per arrivare a Roma e il marito della signora Chiara prende la mia valigia e mi accompagna all’ uscita mentre il treno si ferma e io con lo sguardo cerco Paola, mia sorella di fede sin dal lontano tempo dei campi di lavoro.
Eccola è già fornita di carrello mi fa larghi gesti con il giornale e mi corre incontro. Come sento caldo il suo abbraccio!
Decisa mi guida verso la stazione della metropolitana e si china ad accarezzare un bimbetto in braccio alla madre che è una barbona che lei conosce e la guardo stupita.
Non commento, ma il suo gesto mi commuove.
All’ uscita dalla stazione Paola prende la macchina che guida con decisione nelle caotiche vie romane.
Stiamo camminando veloci, ora la macchina rallenta e, nascosto tra acacie e platani,si intravede un cancello di ferro .
Paola sorride vedendo la mia meraviglia nel trovare uno spazio di verde nel cuore di Roma.
Al centro del salone trovo un rustico camino e subito noto una porticina in legno grezzo con nere borchie di ferro e, lasciata in un angolo la valigia, entro e ritrovo, come per incanto, “l’ atmosfera di allora dei campi di lavoro” infatti ci sono i sacchi di iuta, i panchetti rustici, e attraverso la finestrella aperta si sente chiaro il canto degli uccelli..
Tu Gesù stai nascosto nel tabernacolo e io mi ritrovo a Vizzini: ecco Paola, Alba, Marilena e in fondo padre Antonio, lo chiamo ma la visione scompare.
Ti saluto Gesù e subito sento il tuo benvenuto e mi basta.
Ed ecco dalla lunga scalinata di pietra mi appare il mondo in tutta la sua vitalità.
Ecco una bionda donna con azzurri-verdi occhi ladri, con in testa una tovaglia di spugna,messa a mo’ di turbante per asciugare i biondi lunghi capelli, mostra orgogliosa e sicura l’enorme pancione: è stupenda nella sua sfolgorante maternità. Ora si affretta a farmi festa secondo lo stile che regna in questa fraternità sui generis .
Entro in cucina e vedo due brunissime ragazze palestinesi con bellissimi e scuri occhi che stanno gustando un enorme piatto di fagioli e possono mangiare solo frutta e legumi secondo le rigide regole del corano.
Come vedi o Signore questa è una casa di accoglienza dove l’ecumenismo è di casa.
Le ragazze sorridono schiette mostrando dei denti bianchissimi poi Paola chiama piano: ”Vieni Eden è arrivata Rosarita”
Si intravede una bellissima ragazza di razza nera con crespati capelli tirati all’indietro, sfoggia grandi occhi lucenti, indossa un lungo vestito rosso e giallo e sorride senza parlare e Paola comunica con lei con uno strano linguaggio fatto di colorita mimica, di inchini e di sorrisi lievi, di faticoso lavoro quotidiano intessuto di amore fraterno che riesce a rendere possibile la convivenza, perché lei è sordomuta.
Ora sono seduta a tavola, gusto il pollo cucinato con la salsa e i peperoni assaggio la tenera insalata romana e mi sento a casa.
ROMA 1992
Fraterni e cordiali sono i saluti con i due Giuseppe e con il loro ospite padre Giacomino (giovane prete della Croazia) ricco di gioia.
Paola con aria misteriosa mi fa visitare i locali della parrocchia e così arrivo nella cucina e che vedo?
Ecco trovo un piccolo esercito di uomini e di donne che, in tre grossi fornelli da campo, preparano calde bevande: ettolitri di the, di latte di caffè di cioccolato fumante che travasano, ancora bollente in bidoni di plastica rossa muniti di rubinetto.
Un secondo gruppo di persone sta già travasando da enorme pentole del riso con le lenticchie e infine dei ragazzini imbottiscono i panini con prosciutto e formaggio.
Padre Giuseppe accoglie tutti, abbraccia altri che arrivano alla spicciolata,e rivolto a me chiede. ”Rosarita vuoi venire con noi alla Tiburtina?
Portiamo da mangiare ai barboni. Oggi è il turno della nostra parrocchia che si impegna nella carità.”
Uno sciame tumultuante di pensieri fanno ressa dentro di me.
“Ma guarda in quali guai si va a cacciare costui e par che ci guazzi!” penso con Manzoni.
E ancora rifletto :”Ma non è questo il carisma del nostro istituto tocca ai vincenziani servire i poveri, a noi semmai tocca solo parlare dei poveri: ecco ricordo ci sono i poveri di affetto, i poveri di salute, i poveri di Dio,i poveri di pane, i poveri di giustizia” come vedi Signore sono carente e cito padre Antonio.”
In fondo è più facile è più congeniale anche a me!
Ma, strano sto diventando riflessiva e non rispondo.
Una ragazza sconosciuta mi chiede indifferente :”Hai preso i piatti di carta?”
Rosanna, la ragazza spastica che abita con Paola, mi dice :”mi dai il braccio? Vedi tutti si sono dimenticati di me .”
Stavolta sono io ad appoggiarmi a lei come Dante a Virgilio e timorosa inizio questa esperienza.
Salgo in macchina con Rosanna mentre Paola e Giovanni sistemano nel portabagagli tre bidoni di the .
Si arriva presto ma non vedo nessuno in giro ma i nostri ragazzi stendono sulle panchine le tovaglie di carta e appoggiano i pesantissimi contenitori.
Presto si spande nell’aria l’odore del cibo e piano, dai punti più diversi della stazione, avanza una folla formata da donne, uomini, e provo un brivido nel vederla così colma di miseria, di apatia, ma più terribile ancora è che ci sono giovani, ragazze belle e desiderabili e perfino ragazzi già allo sbando.
Ora tutti fanno ressa per scegliere la bevanda preferita ed io, timorosa, mi affretto a sostenere Rosanna, ma lei, furba, si appoggia alla colonna e mi sussurra “Su coraggio aiuta Paola perché da sola non riesce a dare retta a tutti”
Paola, complice, mi mette in mano un lungo rotolo di bicchieri di carta ma non ho il tempo di riflettere perché subito una giovane, calda voce maschile mi chiede “E’ caldo il the?” “Sì” rispondo con un filo di voce e intravedo una riccia, fluente capigliatura scura, sento il bisogno di guardarlo ma non posso perché mi evita…………
Dietro di lui comincia la lunga fila e meccanicamente riempio bicchieri, bicchieri della bionda bevanda ristoratrice .
Nella banchina accanto altri fratelli della parrocchia distribuiscono sorrisi e panini imbottiti e molto lontano dalla mia postazione si distribuisce il riso con le lenticchie.
Ora dentro di me è sparita la paura mi sento soddisfatta dell’ esperienza del piccolo “servizio” che ho prestato prezioso ai tuoi occhi perché condito di tanto amore.
Alcune barbone baciano e abbracciano Paola che ricambia con semplicità.
Qualcuno tenta di abbracciarmi ma io imbarazzata mi sottraggo, ancora ho tante remore dentro di me !
Sono inginocchiata col cuore e sono seduta all’ ultimo posto in fondo alla chiesa perché ho da dirti qualcosa che mi urge dentro in questo giovedì santo.
Sì, lo so io devo continuare a lottare dentro di me, attorno a me, fuori di me per vivere in pienezza la mia consacrazione, o per meglio dire, per permettere a Te di continuare ad incarnarTi nell’ oggi della storia e oso chiederTi :”Tu Ti fidi di me ?”
Alla fine il tuo Amore riuscirà a guarirmi e a rendermi adulta nella fede?
Ti ascolterò stasera nella messa.
Aspettavo l’invito di padre Giuseppe per condividere la cena pasquale e poi neanche Paola è con me perché è in servizio fra i sofferenti e allora con chi spezzerò il pane dell’amicizia?
Sì lo so ,ancora non sono libera dentro ancora aspetto dei gesti che ora mi sembrano solo ”formali” e trascuro il tuo gesto per me.
Stasera mi offrirai un pane diverso, dal sapore sconosciuto e così cenerò a casa di Zenia e di Giuseppe in una famiglia romana che sa praticare “l’ospitalità” secondo lo stile di “fraternità” che regna qui a San Romano.
Sento già la tua vicinanza, o Inseparabile Amico! che sempre mi offri nuovi amici.
Grazie, o Signore, perché stai faticando per educarmi e per farmi capire valori nuovi.
Da poco ho spezzato il pane dell’amicizia e ho consumato una cena fraterna ora sono ritornata in chiesa ho trovato un angolo tutto per me per parlarTi e per ascoltarti in silenzio orante.
Alzo gli occhi e trovo la tua sorpresa ecco sistemato dietro l’altare contemplo l’enorme pannello che stamattina avevo appena intravisto insieme a una grande quantità di grano.
Così pian piano si è formato come un prato che fa da sfondo a una stupenda Croce intrecciata con fiori scarlatti dal nome sconosciuto ma che fin da bambina ho visto a Pasqua.
Sullo sfondo, in lontananza, si intravede Gerusalemme mentre in basso spicca l’azzurro lago di Tiberiade sulla spiaggia sono visibili, le tue orme o Signore!
Sotto l’ ombra della fresca palma è posata la rete e a terra fra due pietre, il fuoco brilla acceso, ai bordi del prato spiccano le dodici ciotole con dentro il pane.
Ascolta, o Amore Santo, ne dai un pezzettino anche a me?
Ho tanta fame dentro il cuore: ho fame di condivisione, di comunione, e solo Tu puoi saziare questa mia fame spirituale.
Sì, lo so, l’ ho saputo da sempre e così Ti ho cercato e ricercato, in spazi di chiesa.
Ti ho ricercato in una struttura umana, leggi “istituto”, ma proprio perché finalmente ho trovato Te credevo di trovare anche i fratelli di cordata ma non è stato così per me !
Il pozzo di Catania, costruito nell’ enorme giardino della fraternità sacerdotale, è invitante c’è perfino il secchio lucente, la lunga corda, sul fondo mi pare di vedere brillare l’acqua ma sai ? non sono riuscita a saziare la mia lunga sete di fraternità.
Tu lo sai la fraternità non è una mia idea ma è la testimonianza di potere essere insieme speranza per il mondo di oggi come lo furono i primi discepoli per il mondo di ieri.
Scusa Signore come possiamo comunicare al mondo il tuo Amore se non sappiamo amarci fra di noi? Se non sappiamo fare una robusta cordata ? .
Perché qui a Roma la comunione è possibile e viene espressa in gesti semplici di “fraternità” che a Catania sembrano impossibili ?
Ma guarda, Ti pongo una seconda domanda.
Perdonami, insegnami a tacere e godere della tua presenza che rendi visibile e tangibile attraverso gli amici che mi poni accanto nel mio lungo e faticoso cammino di liberazione interiore.
Sradica dal mio cuore tutte le illusioni che ho coltivato e dammi la forza interiore di appoggiarmi solo a Te in un continuo,rinnovato vincolo di offerta e di amore.
Faccio mia la preghiera di Francesco : “O Signore fa che io non cerchi tanto di essere consolato ma di consolare di essere amato ma di amare, di essere compreso ma di comprendere.”
Con francescana semplicità accetto l’invito di cenare in canonica con padre Giuseppe, con Paola, Lina, Rosanna.
Non provo nessun disagio nel condividere la semplice cena pasquale perché tutti sanno rispettare il doloroso momento che attraverso.
Anche padre Giacomino con la sua ricca umanità e la sua fresca risata riesce a comunicare con me e sembra così naturale essere amici anche se membri impegnati dello stesso istituto. Mistero romano! Mistero! Ma a Catania lo stile austero non lo permette.
Sono saporite le pizze condite con l’olio della fraternità!
Che sollievo per il cuore stanco e sfiduciato !
La presenza del piccolo Cristoforo che fra poco riceverà il battesimo, mi rende presente la mia parrocchia di Catania e dà un significato più intenso alla stupenda veglia pasquale.
Tutti si rivolgono in preghiera al piccolo, delizioso bimbo nero e alla sua bella famiglia. Come è grande il tuo Amore o Padre di tutte le genti!
La messa continua e la pace pian piano entra dentro di me alleluia Ti canto e sento di ricevere finalmente i tuoi attesi auguri insieme a quelli della mia famiglia di San Cristoforo che in questo bimbo vedo presente.
Nel mio ritorno a Catania porto con me la bianca perla della fraternità che ho trovato a Roma e rivedo, con gioia rinnovata, la “gente” “di San Cristoforo e gusto, con gioia rinnovata, l’ enorme potenziale umano e affettivo che li distingue.
Ma certo la sorpresa più bella mi viene dalla mia splendida classe: la quinta “C” di cui sono ancora maestra unica mentre si parla già di sezionare maestra e alunni in ordinati moduli con specializzazioni di conoscenze.
Arrivo in cortile tutte le classi sono fuori ma la mia non c’è solo Marilena mi viene incontro, mi guarda, mi rassicura e, stringendomi in un caldo abbraccio, mi chiede “Sei serena? Hai parlato con padre Andrea? Se vuoi io sono qua per te “
La tratto non da alunna ma di amica e rispondo “Grazie sto bene . Sì ho già parlato con padre Andrea che mi ha sostenuto in questo periodo difficile per me ora ritorno più serena al mio lavoro con voi !” e lei continua “ho capito, possiamo salire in classe i bambini ti aspettano .”
E la sua piccola mano stringe forte la mia grande mano e sembriamo madre e figlia e non maestra e alunna .
Qualche collega perplessa si limita a guardare con disapprovazione ma, per amore di pace, non commenta a voce alta “ l’insano”“ gesto.
Arrivo in classe e al mio posto trovo seduta la gentile direttrice che i miei alunni hanno coinvolto per questo mio “rientro”.
Guardo l’aula, i ragazzi hanno tolto i cartelloni scolastici e li hanno sostituito con lettere cubitali di benvenuto e poesie improvvisate scritte da loro.
Ora la direttrice meravigliata commenta “La vogliono proprio bene e vedo che sanno organizzarsi da soli , complimenti maestra Rosarita sono contenta di averla nella nostra scuola ! “
Fiera rispondo: “il merito è dei ragazzi perché, con la possibilità di avere una sola maestra, si crea una forte intesa affettiva e culturale fra l’insegnante e fra gli stessi compagni di “cordata” .
Ogni alunno può impegnarsi al massimo delle sue possibilità in un clima famigliare e culturale sereno privo di “competizione.”
Ma il “ modulo “ distruggerà questo miracolo educativo!” così profetizzo e nel dirlo, una nube offusca la mia serenità perché, come Cassandra, non sarò creduta.
La mia vita riprende serena ho ancora tempo per “ gustare “ questa esperienza educativa che gratifica sia me sia gli alunni sia i genitori per l’entusiasmo che dimostrano i ragazzi nel frequentare la nostra scuola.
Le mie due “ vocazioni “ la scuola e la comunità” si armonizzano e si completano a vicenda. Alleluia!
Nella parrocchia di San Cristoforo la gente sa offrirmi tanta accoglienza perché possiede una fede sincera, genuina capace di gesti fraterni.
Signore, sei imprevedibile e meraviglioso, troppo grande è il tuo amore per me.
Ecco mi hai invitato, tramite padre Andrea, a fare una gita e mi hai offerto un mare di gioia.
Ma andiamo con ordine : partenza da casa mia.
Sono equipaggiata bene, ho portato un borsone enorme e nella paura inconscia di gelare di freddo, mi sono trascinata dietro troppe cose insieme alla mia incertezza a parteciparvi.
Siamo stretti in macchina, penso di essere vestita troppo pesante,ma è solo il calore dell’amicizia che riscalda tutto il mio essere.
In macchina ascoltiamo i canti, godiamo il panorama del mare da una parte,quello della montagna dall’ altra.
Mi sembra di vivere un sogno , ma è bella la mia Sicilia !
Il mio cuore Ti loda e Ti canta il primo grazie della giornata che si annuncia già “meravigliosa.”
Siamo arrivati al primo rifugio dell’ Etna ,ecco ora si parte per la funivia.
Io non ci sono mai stata nella mia gioventù ho sempre rifiutato di andarci e ora ho paura perché ho la pressione alta; per me è più prudente aspettare al bar e cerco di formulare questo pensiero, ma padre Andrea mi ordina di rischiare vincendo me stessa e, come faccio nel campo spirituale, gli obbedisco convinta.
Ora passa la cabina c’è spazio solo per sei e noi siamo sei!
Si sale, si ride, e Ti vedo Signore nel volto sereno dei miei fratelli, Ti ammiro nella tua creazione stupenda.
Che spuma di bianco mi acceca gli occhi, che sensazione di pace scende nell’ animo mio!
Padre Andrea premuroso mi chiede.” Hai paura?”
Sorrido guardo in lontananza i paesi, in vicinanza le spumose nuvole che mi avvolgono, e d’incanto dondolo fra le nuvole e sento sul viso un soffio leggero.
“Anche se i tuoi peccati fossero come scarlatto io li farò bianchi come la neve!” non ricordo il numero del versetto ma vivo dentro di me il noto sapore della Tua misericordia.
Apro gli occhi sento ridere e parlare attorno a me!
Indosso la doppia giacca, i guanti e scendo dalla cabina.
I miei piedi affondano nella neve alta, alta.
E cerco altre orme le Tue forse?
Ci sono, lo so, lo sento ma ora mi chiamano per fare la foto e si lamentano per il freddo pungente.
Che bella famiglia mi hai dato!
Io do l’ avvio per il rientro e la mia piccola fraternità entra nel bar mentre io resto fuori ancora un attimo e ne approfitto per isolarmi,e placare il mio cuore che Ti canta, ebbro di gioia, la sua felicità. Appoggio la fronte alla doppia finestra, e vedo una lunga rete tesa in alto dai lati partono due anelli, certo avrà una funzione tecnica ma io preferisco cercarvi il significato simbolico a me più congeniale.
Ecco i due grandi anelli che pendono dalla rete sono un appiglio per chi vuole un po’ sollevarsi da terra e io lo voglio, oggi.
Da troppo tempo non posseggo più la capacità di volare libera nel tuo cielo.
Faccio solo dei goffi tentativi ma non riesco a spiccare il volo e mi fermo impaurita.
Ma che stupida sono ho la sensazione di essere io sola a cercarTi ma oggi mi dici il tuo amore gratuito.
E mi conduci sulla montagna, per liberarmi dalla paura, per farmi assaporare la Tua vicinanza nelle semplici gioie dell’ amicizia fraterna, nei gesti sacri della condivisione.
Ho la strana sensazione che Tu goda nel vedermi così serena e perché mi chiami?
Ma no è solo Tanina che mi invita a fare colazione.
Ora gusto il toast croccante e caldo, sorseggio il te, poi insieme ci avviamo verso la stazione della funivia, perché ci attende la discesa e il ritorno a valle. Non termino di formulare questo pensiero perché vicino alla cabina, su un rustico panchetto, brillano delle pietre lucenti che suscitano dentro di me uno strano fascino; ora la indico, la compro e il ragazzo dice che la pietra si chiama azzurrite. Penso alla lettura del sabato santo : “Afflitta, percossa dal turbine, sconsolata,/ecco io pongo sulla malachite le tue pietre/ e sugli zaffiri le tue fondamenta. Farò di rubini la tua merlatura,\ le tue porte saranno di carbonchi,tutta la tua cinta sarà di pietre preziose “(Is. 54,11-12)
Oggi mi regali gli zaffiri dell’ Etna?
L’azzurrite è una pietra speciale: è formata dal nero cupo e poroso della pietra lavica che per uno stupendo processo di trasformazione, viene come ricoperta da cristalli cilindrici di un azzurro intenso (pezzetti di cielo caduti e imprigionati nella terra riarsa e arida? ).
Fa, o Signore, che qualche pezzetto di azzurro cada ora nell’arido terreno dell’ anima mia e vi resti per sempre.
Prendiamo posto nella cabina per godere insieme il tragitto della discesa.
Calco bene gli occhiali e comincio la mia adorazione silenziosa.
Padre Andrea comprende subito la mia esigenza, rispetta il mio silenzio adorante, ora intravedo in lontananza i paesi sfumati dal velo della nebbia e baciati dal sole lontano.
La cabina corre su un soffice tappeto bianco che ricopre la montagna che sprigiona una forza potente e misteriosa e mostra una bellezza superba.
Ora fra il bianco accecante, appare il tipico color nero delle rocce secolari mentre da qualche buca profonda fa capolino il colore rossiccio della lava ricoperta da un trasparente velo di neve
Che spettacolo di grandezza mi offri o Signore!
Rapida cerco di mettere una mano sul cuore perché è come impazzito dalla gioia.
Padre Andrea, seduto accanto a me, sorride, mi guarda e intona con la sua calda melodica voce .”Lui mi ha dato i cieli da guardare,e tanta gioia dentro il cuore, quando un dì con lui sarem nella sua casa abiterem, nella sua casa tutta d’or con tanta gioia dentro il cuor …”
Signore,- Ti grido- perché mi ripeti oggi il canto della mia gioventù , il canto del mio primo indimenticabile incontro–scontro con Te avvenuto proprio qui nel campeggio sull’ Etna?
Perché continui ad amarmi ancora?
Tante sono state le mie infedeltà, tante sono state le mie paure, ma Tu Padre di Misericordia , dimentichi e mi offri la Tua fedeltà.
E ancora nella notte di Pasqua mi hai detto ”anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero non si allontanerebbe da te il mio affetto.”
E lo vedo oggi, lo vedo con i miei occhi mortali, con il mio corpo che possiede ancora un giovane cuore.
Ora alla calda voce di padre Andrea fa eco Agata e, miracolo!, anche io canto, non sono più stonata!
Ma il mio è un canto del cuore perché nessun suono esce dalle mie labbra.
Padre Andrea con la sua attenzione sacerdotale riesce a farmi vivere e a farmi gustare un momento di alta preghiera, di pura e intensa contemplazione.
Ora la gioia si espande dentro di me in lievi cerchi e penetra in tutte le cellule del mio essere scacciando la paura e il dubbio.
Grazie di questa nuova guarigione interiore.
E doveva arrivare di nuovo fin quassù per averla!
Il Tuo Amore, reso visibile attraverso l’amore della mia comunità, mi ha guarito dentro finalmente!
Scendiamo e controllo la tasca del giaccone c’è ancora l’azzurrite e insieme ci avviamo ai monti “Silvestri” ma come soffia il vento: uuuii uhia.
Rifaccio così il cammino di ventitrè anni fa per me è un pellegrinaggio insieme costeggiamo un pezzo di monte, poi padre Andrea ordina la ritirata:
“Su presto torniamo al rifugio ,togliamoci calzettoni e giacconi perché ora andremo a Milo”. Ma io riesco a isolarmi ancora una volta, rallento il passo faccio passare avanti gli altri e mi fermo ai piedi del monte, ecco devo salutare una persona importante che vedo solo io l’ho lasciata ventisei anni fa, la rivedo, con la memoria del cuore, eccola è in posa per la foto porta uno strano capello marrone indossa una colorata maglietta molto leggera è il mese di luglio e il sole picchia forte e il cuore è in festa.
La vedo ridere felice.
Ma certo, è sana, è giovane , è innamorata da poco da troppo poco tempo Ti ha conosciuto quale amico, fratello , sposo forse?
Non lo sa ancora la Rosarita di allora: è ricca di entusiasmo, altre persone la circondano, altri affetti sicuri la sostengono (papà, mamma, Caterina).
Ma altre battaglie l’attendono, momenti di cocenti delusioni, momenti di buio totale, ma non lo sa la Rosarita di allora, lo sa la Rosarita di oggi .
Miracolo nuovo dopo ventisette anni la Rosarita di oggi sa ancora lottare con se stessa, sa ancora sperare, contro ogni speranza,sa ancora amare, sa ancora ringraziare.
Ecco il mio grande grazie perché quando le forze mi stavano venendo meno mi hai messo accanto i fratelli di oggi e il mio piccolo – grande padre fratello Andrea che mi ha accolto nel suo cuore sacerdotale e mi ha fatto camminare spedita verso di Te o mio Signore nonostante la mia zavorra che mi impediva di spiccare il volo .
Saluto il mio “Oreb” e mi sento chiamare. “Dove sei stata’’ ? mi chiede padre Andrea, rapida eludo la domanda, sfilo il primo giaccone e in silenzio mi avvio verso la macchina, giro gli occhi verso il mio Oreb ci riesco a stento perché in macchina siamo stretti.
Abbiamo lasciato la strada arida dell’Etna che tanta impressione mi ha fatto nella salita e mi ha procurato una sensazione di paura inconscia.
Sono sereni i canti in macchina e il mio cuore può vivere in libertà questi momenti preziosi di grazia.
Come è cambiato il paesaggio! Ora siamo nel pieno della giornata e presto una sosta ci attende.
Siamo arrivati al monte Pomiciaro, ma come sono chiare e fresche le tracce dell’ ultima colata lavica la terra è nera fino in profondità e qua e là si vede un tenue colore rosso mattone. Signore ti sento vicino e arriva fino a me la voce di padre Andrea che spiega e illustra la posizione geografica.
Ma che cosa è l’ombra lucente che a tratti si vede ?
Padre Andrea sta spiegando che è il sole che si riflette sul nero accecante e sembra come l’ombra di un grande albero ma sai io penso che è l’ombra del tuo Spirito .
Padre Andrea, passandomi accanto, mi sorride perché ha capito che sto pregando.
La macchina procede sicura e il cuore canta canzoni nuove.
Paterna e fraterna è la compagnia, il mio essere è più sereno anche il paesaggio è più sereno perchè stiamo lasciando la terra nera arida e brulla della pietra lavica e costeggiamo castagneti secolari.
Siamo già arrivati: ecco la casa ospitale ora tutti ci impegniamo a preparare il pranzo.
Decidiamo di uscire il tavolo nella terrazza per godere il panorama stupendo.
Ecco si intravedono in lontananza i monti di Taormina, e proprio da vicino si gode la visione di Giarre .
Ma che sapore speciale hanno i cibi preparati da noi: la pasta con la salsa, il pesce arrostito, i carciofi, l’insalata verde e non manca il dolce agnellino ricoperto di glassa bianca.
Si ride sereni e tanto mi diverto. Più tardi ci sarà la preghiera comunitaria.
Fermiamo la macchina e ci addentriamo nel bosco alla ricerca di una “altura erbosa”
Ma per me è difficile questo cammino fatto di piccole scivolose discese e di ripide salite.
Padre Andrea ha già intravisto un luogo adatto e, da buon pastore, apre la fila.
Ma tante sofferenze hanno lasciato il segno, non sono più agile come una volta quando seguivo e superavo nelle salite un altro pastore lì nella collina di Vizzini nei campi di lavoro del 70 !…….. .
Ma la mia gioia è intatta dentro di me forse ora è più profonda perché purificata dal primo istintivo, giovanile entusiasmo, ora la gioia si è come radicata nelle fibre del mio essere infatti cambiano i luoghi, le persone, i sacerdoti ma Tu sei sempre fedele a Te stesso e mi dai sempre nuove sorelle e fratelli. Grazie ti canta il mio giovane cuore innamorato.
Cettina affettuosa sorveglia i miei passi, padre Andrea di lontano mi guarda e quasi si diverte a vedermi procedere con tanta cautela.
Ecco finalmente prendiamo posto nella piccola erbosa altura e mentre prima abbiamo condiviso il pane dell’amicizia, ora ci prepariamo a condividere il pane della tua Parola.
Mi sistemo serena sotto un grande spoglio albero di ciliegio che mostra per ora solo i lisci, bianchi rami con i primi segni di vita: le gemme.
Il ciliegio fiorirà.
Provo una sensazione di sicurezza e di protezione perché Tu Signore mi hai aspettato sotto alberi speciali, sempre.
Per la mia conversione Tu o, Signore mi hai aspettato nei boschi secolari di Gambarie.
I pini sono le colonne immaginarie del grande tempio consacrato che ha come volta il cielo di Dio, nell’ oggi storico della mia conversione il 25 Aprile del ‘68!
A Vizzini mi attendono i lunghi filari di pere, nei campi di lavoro del ‘70.
Ma poi è arrivato il triste momento del disincanto e Tu mi hai guidato nell’oasi del sorriso dei padri gesuiti e mi hai aspettato sotto un altro albero stavolta di carrubo mentre in lontananza pascolavano placide le mucche e Tu mi hai parlato e sono ritornata alle mie origini nei gruppi ecclesiali guidati da padre Antonio.
E negli esercizi spirituali del ‘90, tenuti da padre Antonio, mi hai aspettato sotto il grande pino argentato di Lamezia.
Ora ritorno nel presente e insieme noi sei, piccola fraternità nascente, recitiamo i vespri del giorno .
“Questo è il giorno fatto dal Signore, rallegriamoci ed esultiamo in esso” recita con voce modulata padre Andrea
Poi legge il vangelo di Matteo.(cap. 28) dove Gesù affida alle donne il compito di annunciare ai discepoli la sua Risurrezione .
E tanto mi commuove questo Tuo gesto, o Signore, giro gli occhi accanto a me brilla di santa gioia il volto di padre Andrea perché si rende conto che si sta incontrando con Te unico Signore della sua vita.
Ora ognuno di noi esprime, a voce alta, la propria riflessione.
La sensazione di benessere pieno passa ancora in tutta la mia persona e il mio cuore, ora in silenzio adorante,Ti guarda nella tua creazione e nei volti dei fratelli.
Ci attende ora la discesa verso il bosco e ci armiamo tutti di bastoni e in coro cantiamo: “Vogliamo prendere il bosco ! Bum , bum “
Il coro termina, ma non la gioia e sicura mi lancio in una corsa liberatoria senza paura sono tornata giovane e le pere di Vizzini occhieggiano dai filari verdeggianti di speranza. Mi curvo fra i filari per cercare le cassette già colme
di pere ma nel movimento il cappello mi cade a terra e mi chino distratta.
Ora viene verso di me un piccolo gruppo di persone che meravigliata riconosco e sento la voce nota di p. Andrea che dice “ma perché ti sei allontanata da noi Rosarita?Ti sei incantata nel bosco o hai parlato con gli alberi? Ti hanno detto che vi ritorneremo ? “
“Due sono i fattori dinamici
dell’educazione: la mente dello scolaro
e l’arte dell’insegnante.
Il compito dell’educazione integrale
è dunque quello di formare
la personalità”
J. Maritain
E maggio arriva ,la vita a scuola diventa più intensa di impegni , di lavori, di gioia. Ognuno dei ragazzi sta preparando la tesina per gli esami di quinta classe ,quasi tutti hanno rifiutato il mio aiuto perché vogliono farmi una “sorpresa”.
E, senza volerlo, mi vengono in mente, le parole di Devaud, pedagogista francese:
“Il nostro trionfo consiste nel vedere che non hanno più bisogno di noi!”
Ma per me significa che dovrò lasciarli e ricomincerò il ciclo e certo, avrò i nuovi bambini di prima classe, ma il pensiero, che finora mi ha consolato ,mi crea un senso di insofferenza perché ci sarà “ il modulo” con schematici orari ,con pesanti “rientri.” .
Finirà la libertà di insegnamento e inizierà la schiavitù delle regole.
Il fine dell’ insegnamento quale sarà? L’acquisizione di specifiche competenze ampliate rispetto ai programmi del ‘55? E la scuola sarà solo altamente informativa e non più formativa ?
Il bambino non deve essere formato secondo il personalismo di Maritain capace di relazionarsi con gli altri ma dovrà acquisire un sapere specializzato, dovrà essere competente nell’uso del computer, dovrà imparare l’ inglese lingua di uso mondiale e di valore universale per la forte valenza economica e politica .
Poesia, arte, creatività diventano parole vuote di significato perché l’uomo vale in quanto produce secondo la ferrea filosofia del pragmatismo il quale dice che la verità, la validità di una teoria è affidata alla sua verifica pratica.
Il pragmatismo è l’ atteggiamento di chi privilegia la pratica e la concretezza rispetto alla teoria e agli schemi astratti e ai principi ideali.
Mi fermo e rifletto: la poesia produce solo speranza ma forse oggi non serve più e la creatività, la fantasia che fine faranno ?
E gli esami arrivano, le colleghe che sono nella commissione della mia quinta classe esprimono la loro ammirazione per l’ approfondimento storico, per le conoscenze scientifiche e matematiche e soprattutto per la maturità culturale, umana, religiosa dei ragazzi perché alcuni, hanno tralasciato le poesie studiate e hanno preferito presentare poesie di loro produzione a tema religioso e sociale.
E, questo nostro successo scolastico è la prova concreta della validità della “maestra unica” che qualche rivista progressista ha già bollato con l’appellativo di “tuttologa”, perché precisavano che nessuna persona può conoscere tutto il sapere ma io ribatto che una maestra, degna di questo nome sacro, può suscitare il sapere considerando i ragazzi “ non vasi da riempire ma focolai da accendere”.
Evviva , io l’ ho fatto, pare.
Il rapporto instaurato con la classe resterà per la vita.
Ora sul mio tavolo brilla un fiore di cartoncino e subito riconosco la fantasia di Rubinia e la sua creatività .
Curiosa lo apro e dentro, sovrapposti a scalare, ci sono 25 petali con i nomi dei ragazzi, e ognuno ha scritto qualcosa, vedo ma non leggo per ora lo farò a casa.
Io regalo a ogni alunno un’ immaginetta personalizzata e cerco di nascondere la commozione .
Marilena mi sussurra “e non sentirti sola perché tu sarai nei nostri cuori, la maestra non si può dimenticare” e neanche gli alunni, penso io.
Mario, come sempre, aspetta per portarmi la borsa fino in cortile.
Poi mi fa una calda raccomandazione : “So che pensi di comprarti la macchina nuova, attenta, non comprare la prima serie perché spesso è difettosa , aspetta un poco, quando la serie sarà sicura te lo farò sapere io, verrò di persona” e continua “non farti imbrogliare!”
E questo il suo modo di ringraziarmi !
Ma già arriva settembre , e con esso il giorno temuto e atteso del collegio dei docenti riunito in seduta plenaria .
Guido con la solita prudenza ma il cuore non vola, mi devo rassegnare ad accettare il pesante cambiamento, il lavoro di insegnante vivificato da straordinario afflato umano sarà un pantano insidioso di carte, , progetti e il bambino sarà stritolato, giudicato dalle nuove prove oggettive definite inoltre minuziosamente dalla programmazione settimanale ma , ma come si fa a programmare l’amore ?-mi chiedo perplessa .
Ecco un’altra parola chiave si fa strada: ”interdisciplinarietà.” cioè collegamento fra il sapere.
Amaramente sorrido perché io, nel mio ruolo di maestra unica ,creavo forse senza saperlo, attimo per attimo, il collegamento fra le materie usando anche la lezione occasionale .
Anzi ricordo l’assenza forzata di Gianluca che rivediamo a scuola dopo una settimana con il viso ancora tumefatto e il polso ingessato in seguito a una brutta caduta dalla bicicletta avvenuta nelle vicinanze del panificio dei genitori.
I compagni, dopo la calorosa accoglienza per il suo rientro, hanno preparato un cartellone con relativo disegno e si è parlato di: educazione civica e stradale, del sistema scheletrico, della solidarietà, del servizio sanitario.
Ora stringo fra le mani due fogli con l’elenco delle due sezioni A e B e ogni foglio contiene, oltre i nomi degli alunni anche i nomi degli insegnanti catalogati per materia.
Pina (italiano- educazione fisica)
Nuccia (matematica-scienze )
Rosarita (storia – geografia – studi sociali – educazione musicale- religione)
E posso ancora insegnare religione perché ho il titolo specifico! Evviva !
Ma questa prima istintiva sensazione lascia il posto a un dubbio che mi assale insidioso e improvviso.
La direttrice infatti, nel collegio dei docenti, precisa che anche l’insegnante di religione dovrà muoversi con prudenza tenendo presente la nuova valenza storica della materia che la religione non è più ” fondamento e coronamento dell’ insegnamento” ma soprattutto dovrà escludere l’aspetto dottrinale che sarà relegato … nelle sacrestie.
Gesù viene considerato alla stregua di un personaggio storico come Cesare o Napoleone (che hanno affrontato le guerre) mentre il Maestro Gesù si è limitato solo a predicare l’amore e la fraternità che proprio oggi sono idee fuori moda !
Già coi programmi dell ‘85 la scuola intendeva educare istruendo e riduceva tutto il percorso della conoscenza alla sola acquisizione di “competenze “ e poco si preoccupava di educare la “ persona “, un essere unico e irrepetibile e cosi decadevano i valori della solidarietà ,della tolleranza reciproca ma io, usando la libertà didattica e il mio fine intuito educativo, sono riuscita a tenere lontano lo spauracchio della “competizione“ nel mio ruolo splendido di “maestra unica” sono stata per le famiglie e gli alunni un sicuro riferimento.
Oggi so che è finito un periodo scolastico speciale, gioioso sia per me sia per i ragazzi ora inizierà un altro modo di vivere la scuola perchè troppe figure si alterneranno con orari diversi, e perfino con valori esistenziali diversi e questa alternanza inneggia al “pluralismo”
E tutti in coro esultano per questo “svecchiamento” che purtroppo colpirà i bambini più deboli affettivamente e culturalmente perché mancheranno di un riferimento costante.
E oggi 14 settembre, arrivo in anticipo e parcheggio nel cortile di quella che per venti anni è stata la mia scuola, mentre oggi, grazie ai moduli, mi ritrovo in una vera “agenzia lavorativa” e infatti, le classi parallele hanno bisogno di più insegnanti !
E’ questa l’unica positività pratica per aumentare la possibilità di lavoro che inizia già a scarseggiare.
Nessuno dei pedagogisti sospetta che presto verranno meno i valori della solidarietà,del rispetto reciproco,, inghiottito dalla bramosia della “carriera” e dalla corsa sfrenata per dividere la magra cifra “dell’incentivazione” .
Nei miei venti anni di maestra unica sono stata sempre incentivata solo dalla stima dei genitori e dalla gioia dei ragazzi.
Salgo le scale ed entro,insieme a Pina, nell’aula 16 e stiamo insieme per due ore (si chiama “compresenza”), oggi sembra superflua ma poi servirà per le future supplenze interne .
I bambini di prima classe sono teneri, spauriti ma stavolta non ho preparato nulla per loro solo il mio cuore ma non può servire anzi dovrò muovermi con prudenza nella gabbia dorata del team che mi allontanerà sempre più dai bambini e mi avvicinerà sempre più a test di inchieste , di verifiche oggettive che invaderanno il mondo scolastico.
Noi insegnanti non dobbiamo lavorare con bulloni o macchinari ma abbiamo dinanzi delle persone che devono essere indirizzate con delicatezza, con pazienza, con amore prima verso i valori e dopo verso conoscenze scolastiche essenziali alla vita.
Passate le due ore entro nell’ altra classe e vedo altri bambini, impauriti, confusi stavolta sono in compresenza con Nuccia e mi sento più tranquilla perché anche lei ha fatto l’esperienza esaltante di maestra unica lavorando nell’ aula accanto alla mia lei, vedendomi triste, mi sorride.
Poi, esortandomi, dice “Rosarita, dobbiamo adattarci al nuovo lavoro sarà pesante per noi e specialmente per i bambini, lo sappiamo noi due, ma dobbiamo mostrare entusiasmo per non farci reputare “conservatori e tradizionalisti “ Amen ” ripeto e poi aggiungo con padre Dante “vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole e più non dimandare .”
Ora bussano alla porta, entra Valeria che, fresca di concorso appena superato, sventola un foglio. “ E’ una nuova circolare ?”chiedo.
“Ma no” risponde convinta dell’ utilità, “è una “griglia” che ogni insegnante dovrà riempire” .
Ora gli alunni saranno sezionati in gruppi: A-B-C secondo il livello intellettivo di ciascuno.
E la griglia, con questo ambizioso progetto, entra di diritto nel nuovo travolgente iter educativo .
E cerco di adattarmi, con sofferenza al nuovo lavoro che, mi allontana dal mio modo di insegnare e mi fa rientrare nel ruolo di impiegata in un mare di circolari e di scartoffie.
Cammino sempre con l ‘agenda dell’ orario che Nuccia, con mentalità matematica, ha saputo fare quadrare e ha regalato anche a me. Arrivo in cortile ma nessuno dei ragazzi mi viene incontro e salgo le scale con un senso di vuoto dentro di me.
Entrati in classe, dopo aver posato le cartelle ai posti che l’insegnante d’italiano ha stabilito, i bambini si alzano in piedi meccanicamente per il saluto e rispondo con un cenno del capo perché penso che cosi sono “professionale ” .
Una bimba, azzurri occhi di cielo, mi guarda interdetta e dice : “con noi hai due ore ” guardo l’elenco e grazie alla piantina topografica, preparata dalla funzione obiettiva, conosco il suo nome Jennifer .
E anche io apro la borsa professionale e tiro fuori le prove d’ingresso che Nuccia, sollecita amica, ha preparato anche per me e per lei.
Ora sono a casa, sto selezionando le schede per formulare la “griglia ” è una sterile fatica mentale per me capace di capire la capacità globale di ogni bambino sin dal primo sguardo amico!
Ma oggi i bambini non si guardano le schede parlano al loro posto!
E continua il lavoro e arriva febbraio del ‘93 e si registra una notevole assenza di insegnanti e comincia a traballare la selezione fatta attraverso la griglia perché le insegnanti nell’ orario della compresenza, sono costrette a fare supplenza nelle altre classi quando le colleghe sono assenti per malattia
Ma non tutto è perduto, i pochi vecchi, tarlati armadi non riescono più a contenere l’enorme cumulo di schede, di cartine topografiche ,di piantine dell’ aula e cosi qualche topo, desideroso di impadronirsi del nuovo “ sapere “ commuovendosi lascia i suoi escrementi sulle “ sudate carte ” .
Qualche insegnante di buon senso suggerisce di rendere la scuola più vivibile rimodernando l ‘arredamento scolastico ma questa è un utopia certo perché il comune, addetto all’arredamento scolastico, è in deficit .
Allora gli animi (specie quelli dei genitori ) si riscaldano e si ottiene una “disinfestazione“ che durerà tre giorni per la gioia dei ragazzi che ancora si affannano a distinguere le domande vere da quelle false .
Ma i ragazzi, da soli hanno capito che, oggettivamente parlando, la scuola è una fatica priva di gratificazioni immediate, anzi !
Così i ragazzi “difficili “ diventano sempre più “difficili “ perché non respirano amore e accoglienza, anche i compagni sono impegnati a formulare schedari, a vivere la competizione e a trattare, con il dovuto disprezzo, il ragazzo più lento che ha bisogno di recupero. E nascono i famigerati gruppi di “livello “ e fra tutti questi “livelli “ io ho perduto il mio “ livello d’amore !!
E arriva settembre del nuovo anno e comincio ad accettare con meno stress il mio lavoro.
Ora ho imparato a memoria le entrate e le uscite delle due classi e, infatti cinque minuti prima del cambio dell’ora mi trovo già pronta, i bambini, orario alle mani,preparano già lo schedario per le nuove discipline.
Nel nostro collegio dei docenti solo in ventisette siamo state maestre uniche e non possiamo parlare per ora, perchè ci hanno già catalogate come “nostalgici di potere”e come “tuttologhe” .
E la direttrice assume il nome di dirigente e come tale è vivamente interessate ai progetti che porteranno,, alla nuova agenda educativa che conserva ancora il nome di scuola, lauti incentivi economici e tutti possiamo parteciparvi in orario extra – scolastico basta solo trovare gli alunni disposti a frequentare le attività proposte e inoltre ci sarà la possibilità di fare carriera.
Ma la carriera non mi interessa proprio, mi sta a cuore solo suscitare l’interesse degli alunni verso il sapere.
E ci provo ,anzi ricomincio a provarci, con la mia solita passione risorta dalle ceneri delle carte.
Nella nostra prima riunione, fatta per classi parallele, ritrovo Francesca, che essendo stata maestra unica, ha vissuto un’esperienza culturale e affettiva molto simile alla mia e così la nostra programmazione settimanale si arricchisce della finalità chiave bisogna privilegiare il rapporto educativo bisogna valorizzare l’alunno al di là della minuziosa stesura cartacea. .
E l’ultimo dubbio mi assale si vuole verificare il livello di “competenze” raggiunto, e forse si può usando un metro quantitativo ma come si potrà mai verificare la stima reciproca, l’intesa metafisica , il rapporto interpersonale che nasce fra il maestro e l’alunno? Non certo con il modulo ne con gli schedari programmati .
Ma una grossa nube si prospetta nel cielo limpido della comunità presto padre Andrea partirà per Roma per conseguire una specializzazione in Sacra Scrittura, e che anche la chiesa pensa di fare “specializzare “ i suoi figli migliori ?!
E poi non serve lui è già “specializzato” nel donare amore e accoglienza alla sua gente generosa di san Cristoforo .
La parola “specializzazione” acquista sempre più un amaro sapore sinonimo di allontanamento, di distacco, di anonimato, di competizione .
Mi chiedo, a che cosa servirà, nella fatica del vivere, conoscere quante volte si trovano i verbi greci nelle pagine della Bibbia oppure quante volte Gesù ha incontrato i farisei nella sua vita terrena ?
Ma non sarebbe più utile capire perché è così difficile vivere da fratelli ?
E stasera mi ritrovo a San Cristoforo per partecipare alla messa di ringraziamento per la partenza di padre Andrea per Roma.
La chiesa è colma di amici, l’altare profuma di fiori, e nel silenzio generale la sua voce risuona chiara, imponente, sicura:“il Signore mi ha mandato fra voi, ora a lui piace mandarmi lontano per approfondire i miei studi vi prego di continuare con gioia il lavoro che insieme abbiamo cominciato la mia preghiera vi seguirà sempre.”
Alla fine della messa tutti si alzano per salutarlo io non ci riesco mi bruciano dentro domande esistenziali che sembrano senza spiegazione razionale.
Certo “ il cuore ha le sue ragioni che la ragione non intende ”( Pascal )
“Dinanzi alla Risurrezione di Gesù
non c’è angoscia che tenga, non c’è male che possa avvilirci,
non c’è nuvola che possa oscurare la luminosa chiarità della Pasqua, non c’è pessimismo della ragione che non venga superato dall’ottimismo della fede”.
Don Tonino Bello
L’incontro con Don Tonino Bello
E guardo e riguardo la terrazza fiorita della mia nuova, bella casa e
canto, il mio grazie al Signore oggi nel maggio del 94.
Dall’ angolo estremo del giardinetto posso contemplare l’ Etna che mi è diventata cara e famigliare,finalmente, sazia di gioia, rientro per continuare il lavoro iniziato ieri .
Sto terminando di ordinare la nuova libreria sono rimasti fuori solo gli scatoloni che contengono i libri a me più cari la “Divina Commedia” ricordo della mia vita spensierata di studentessa a Locri e i Promessi Sposi che io ho avuto fra le mani già quando frequentavo la quinta elementare.
Con commozione rivedo la pagina un po’ strappata dell’ incontro dell’ innominato con il cardinale Federico e rivedo l’artefice di tale scempio mia sorella Rinuccia, toccata nel suo credo politico di allora, ha voluto ricambiarmi il favore perché io gli avevo strappato il suo libro preferito “I sette figli di Papà Cervi “ vendetta fascista contro i partigiani.
Ma quel tempo di lotte politiche è lontano, lontano.
Oggi gli ideali politici si sono molto accorciati e dalla poesia stiamo passando alla prosa .
E improvvisamente una busta fra capolino la guardo interdetta la apro curiosa e vi trovo un piccolo libro dal titolo : “Alla finestra la speranza “.
E nell’aprire la busta sento un improvviso tuffo al cuore, leggo la dedica:
“La speranza ti sia compagna di vita “ don Tonino Bello.
Mi fermo e una busta colorata, più piccola della prima, mi scivola fra le mani , la apro ed ecco una tovaglietta di lino frangiata con su ricamato :”CEB ‘89 .”
E mi rivedo gioiosa scattante follemente innamorata de Te Signore e, nuovo miracolo di fede, dopo anni respiro ancora un noto profumo di pace che è rimasto come imprigionato nella tovaglietta.
La guardo e con la memoria del cuore mi rivedo mentre, in ordinata fila, sto entrando nella chiesa di Santa Maria in Trastevere di Roma insieme alla mia comunità di Catania per la veglia di preghiera che chiude , in splendida bellezza,il nostro convegno dei gruppi ecclesiali nella città eterna di fede, di cultura, di arte.
Io sono inginocchiata sul sacco di iuta proprio accanto alla colonna in silenziosa preghiera ed ecco, un sottofondo musicale accompagna la nostra veglia della pace guidata da un vescovo, da lui in persona, da Tonino Bello.
Ed eccolo entra non ha nulla di vescovile addosso nulla di significativo del suo ruolo ha solo un sorriso radioso, comunicativo, fraterno e proprio nella sala del convegno stamattina me ne ha regalato uno insieme alla dedica del libro.
Arriva fino all’ altare in un turbinio di pace ma il silenzio del momento è rotto da un brusio sempre più forte ed ecco, trattenuto a mala pena dal servizio d’ ordine, un uomo vacillante, di età indefinita che pur conserva i segni di un’antica bellezza, entra ma lascia dietro di sé un puzzo di vino.
“Ma è un barbone “, qualcuno mormora, “è un ubriacone” altri dicono fra i denti, ma l’uomo deciso si lamenta :”Ho fame! “ e avanza verso l’altare dove spiccano le ceste di pane azzimo preparate per fare la veglia di preghiera.
I due ragazzi non sanno più come trattenerlo ed ecco, Tonino Bello che, in silenzio ha assistito alla scena, si alza sollecito scende dall’altare gli va incontro con le braccia spalancate sorridendo sereno e fa cenno ai ragazzi del servizio d’ordine di allontanarsi e lo abbraccia , lo prende per mano e lo guida fino all’altare e amabilmente lo invita :
“Vieni fratello al posto d’onore ti aspettavamo mangia alla nostra mensa della gioia .”
E cosi dicendo gli dona un pane e un sorriso luminoso e l ‘uomo si ritrova accolto e, nuovo miracolo, non è più un lurido barbone è diventato un uomo anzi un fratello in Cristo !
Stringendo il pane profumato di amicizia fra le mani l ‘uomo ridiscende con passo sicuro i gradini dell’ altare e sereno si avvia all’ uscita mi passa quasi vicino e intravedo una ricca chioma arruffata ma i suoi vestiti ora emanano un profumo di gioia .
Lo seguo con lo sguardo si immetterà per le vie di Roma ma forse è Gesù che è venuto a trovarci e tutti noi, escluso don Tonino, non l’abbiamo riconosciuto?
Nella chiesa regna un silenzio perfetto: ”Possiamo continuare la nostra veglia della pace “ annuncia don Tonino.
Ora i responsabili delle varie CEB salgono l’altare per distribuire il pane quotidiano che diventa il pane dell’uguaglianza, il pane dell’allegria, il pane dell’amicizia, il pane della Tua Parola, il pane dell’Agape fraterna, il pane del lavoro, il pane dell’ abitazione per tutti, il pane della serenità e della pace, il pane del perdono.
Paola si sta avvicinando per distribuire la tovaglietta della CEB, io la guardo con reverenza perché fra poco, su questa liturgica tovaglia, Tonino Bello vi poggerà il Corpo di Cristo mentre così prega.
“Se ci sediamo alla mensa con il Padre dobbiamo ascoltare il suo pressante invito a spezzare il pane quotidiano con ogni uomo,ancora più se è povero, disadattato, drogato o di diversa fede religiosa perché tutti siamo figli del Padre Celeste.”
Ma perché la musica da melodiosa diventa stranamente ritmica?
Toc- toc- toc- ma no è solo il mio cuore che, impazzito di gioia, pulsa in modo frenetico perché don Tonino Bello scende dall’ altare per distribuire ai partecipanti il Pane Consacrato .
Ed eccolo si avvicina proprio a me, è piccolo di statura eppure, come Francesco, sa abbracciare il mondo! .
Ora i nostri sguardi si incrociano in uno slancio di fede e di fraternità.
Alzo gli occhi e sul mio petto ansante sussulta la targhetta con il mio nome Rosarita- Catania .
Non so il motivo profondo del suo gesto ma si avvicina, si ferma, mi fissa e sussurra con voce calda e decisa:”Il Signore ti ha colmato di gioia, non essere avara, non tenerla solo per te, regalala al mondo che ne ha tanto bisogno “ e sulle mie mani aperte coperte dal liturgico tovagliolo vi poggia il pane azzimo che è la nostra Comunione .
Silenzio divino mi circonda intatto ma dura poco perchè un assordante vocio infrange la mia quiete un televisore a tutto volume commenta una partita di calcio perché dai balconi vicini arrivano urla di contentezza mi affaccio e vedo sventolare le bandiere rosso azzurre del Catania ecco sono tornata nell’oggi storico e sono tornata alla realtà della mia città .
Ritorno ad uscire, scendo i due gradini e sistemo meglio nella terrazza, il grande vaso fiorito, e in fondo, nel giardinetto, tre rose sorridono in loro bellezza e io canto il mio grazie al Signore in questo mese di maggio del
Novantaquattro.
Dall’ angolo estremo del giardinetto posso contemplare l’ Etna che mi è diventata cara e famigliare e, finalmente, sazia di gioia, rientro per continuare il lavoro iniziato ieri. Sto terminando, infatti, di ordinare la nuova libreria ,è rimasta fuori solo la scatola che contiene i tre volumi della “Divina Commedia”. Apro a caso “L’Inferno” e ritrovo i versi eterni “Per me si va nella città dolente| per me si va nell’ eterno dolore| ,per me si va nella perduta gente!”
E dopo anni ed anni mi immergo nel mondo lontano della scuola e sento viva, reale, la voce del mio professore Lanucara mentre declama i versi di Dante nel silenzio religioso di noi studentesse attente coi nostri setosi grembiuli neri e con gli occhi brillanti di giovinezza. Con delicatezza poso la prima cantica e prendo “il Purgatorio”.
Dante ha già incontrato Beatrice e San Pietro dà la spiegazione sulla fede “fede è sustanza di cose sperate/e argomento delle non parventi/e questa pare a me sua quiditate/” e che, anche Dante mi interroga sulla qualità della mia fede?
Ma la pagina letta e riletta studiata a memoria è l’ inno alla Madonna.
“Vergine madre figlia del tuo figlio,/umile e alta più che creatura/termine fisso di eterno consiglio” e mai preghiera alcuna ha saputo armonizzare fede e vissuto quotidiano in un crescendo di teologia e di lode. e ancora una volta, mi immergo in mare di preghiera!.
“Dio è la luce
del nostro cuore,
il pane nutriente della nostra anima,
la virtù fecondante del nostro spirito,
il seno del nostro pensiero”
S .Agostino
È bella questa giornata di pentecoste perché la passiamo insieme io e Tu mio Amore Santo.
Mi hai chiamato qui ancora una volta e io, nonostante tutto sono venuta per rinnovare l’impegno di servirti attraverso il carisma della mia comunità o meglio del mio istituto.
Ti ritrovo nella francescana cappella di pietra rustica, ti guardo e mi sento guardata da te che troneggi … dalla Croce.
Ti ripeto il mio grazie per la tua presenza nella mia vita ancora nonostante tutto nonostante le mie paure , le mie miserie, le mie infedeltà piccole certo ma sciocche e continue e snervanti per me stessa.
Ricordo che cinque anni fa c’era anche padre Andrea e lo sento ancora accanto a me anche se ora si trova a Roma per studiare, rivedo il suo smagliante sorriso e risento dentro di me la gioia semplice e fraterna di tutti i nostri incontri e ti ringrazio ancora perché l’hai messo sulla mia strada e mi hai fatto capire che la gioia è il primo gustoso frutto di te che sei l’albero della vita !
La gioia testimonia al mondo la Tua presenza nei nostri cuori e oggi ti chiedo perdono se a volte ho nascosto in fondo al mio cuore questo strano talento che Tu mi hai donato e te lo ripeto con una poesia datomi dalla mia amica Concita dal titolo: Tu sei ….. e oggi mi permetto di farla mia.
Tu sei …
“Gesù tu sei la gioia
vieni in me così che io possa
donare la tua gioia a chi
non sorride più.
Gesù Tu sei la luce
illumina il mio cuore
affinché io porti la tua luce
a chi soffre nelle tenebre.
Gesù Tu sei l’Amore
fa che io possa avere almeno
una briciola del tuo amore
per donarlo agli altri
grazie Gesù è bello avere
un amico come Te.”
NATALE ‘95
Grazie ti dico perché si annuncia “meravigliosa” la nostra giornata.
Lo ricordi?
Oggi ricorre il quinto anniversario della mia consacrazione.
L’azzurro intenso del cielo e lo sbocciare festoso e improvviso del turgido fiore giallo-corallo che sembra occhieggiare dal grande vaso del mio balcone fa rifiorire nel mio cuore il fiore azzurro della gioia!
Anche allora cinque anni fa dalla piccola finestra della rustica cappella, filtrava, limpido e caldo, un raggio di sole.
E oggi sono riconoscente per questo “strano segno” che si ripete in una data e in un periodo così insolito dal punto di vista meteorologico .
Scendo giù nel mio giardinetto e guardo il piccolo abete e ai suoi piedi ritrovo la pietra che ho portato con me dal lago Ampollino che si trova in terra calabra.
E per un attimo risento il profumo estivo del lago nel caldo meriggio di luglio dopo la meditazione mattutina nel bosco durante il corso di esercizi spirituali.
Fisso la pietra e, meraviglia nuova, mi viene in mente la frase del Vangelo “Lasciate le reti lo seguirono”.
Rivedo le acque luccicanti del lago calabro ma improvvisamente mi ritrovo lì sul battello in Terra Santa proprio nel lago di Tiberiade.
Ma ora tutti i fratelli attorno a me sono spariti e mi trovo sola dinanzi a uno spettacolo grandioso: l’azzurro tremolante del lago si confonde e si unisce con la volta del cielo e Ti guardo o Padre nel creato e mi guardi e Tu lo sai che ero felice ieri lontano e sono felice oggi mentre m’ inginocchio per prendere e portare via con me la bianca- madreperlacea pietra che ha sostenuto il rustico e improvvisato altare.
E lo vedi che sono felice qui a casa mia mentre guardo il giardinetto e penso all’ incontro di stasera al momento di preghiera da condividere con i fratelli di comunità.
Il sole picchia ancora prima del tramonto ma ecco suonano il campanello e il cuore già mi martella in gola sono due le persone che arrivano ma una di esse è il mio piccolo-grande padre spirituale.
Che bella sorpresa è in anticipo sull’orario e così avrò modo di accostarmi con più tranquillità al sacramento della riconciliazione che riceverò qui a casa mia.
Ci sediamo nella stanzetta dove riluce il sereno crocifisso di Assisi
“Nel nome del Padre, del Figlio,dello Spirito Santo” intona padre Andrea .
Ma oggi io non so più parlare non mi viene fuori la voce e mi sforzo di vincere la forte emozione che mi avvolge e io, che ho sempre tanto da dire, sto in silenzio a lungo.
Padre Andrea mi sorride fraternamente e ricolmo di grazia sa dire parole di fede e di speranza e sa fare scaturire, dalle profondità del mio essere, l’enorme gioia che mi vive dentro. Ora le parole escono chiare pacate dalle mie labbra e per me è liberante o Gesù parlarti attraverso questo sacramento che Tu hai donato a noi attraverso il sacerdozio.
Non ti stanchi della mia poca fede e del mio poco amore Ti basta offrirmi il Tuo !
Di quanto egoismo è ancora impastato il mio essere!
Eppure Tu dimentichi vuoi rinnovarmi vuoi rifarmi creatura di speranza e ora ti ripeto il mio piccolo “si” e lo offro a Te insieme a quello di tua Madre.
Ora la mano di padre Andrea si alza lenta e solenne nel gesto sacro dell’assoluzione.
Io resto a contemplarti nella serena croce di Assisi mentre padre Andrea si allontana discreto.
Resto seduta nella mia stanzetta per ringraziarti e per assaporare la pace strana e dolce del perdono appena ricevuto e ascolto,nel silenzio sonoro che intona il mio cuore,la Tua Voce lieve e imperiosa insieme.
Ma quanto durano questi attimi di pace nuova ?.
Non lo so un bussare lieve alla porta della mia stanza mi riporta alla realtà ecco sono arrivati tutti i fratelli.
Mi alzo sollecita.
E inizia ora la mensa dello spirito e sono a casa mia seduta attorno al grande tavolo dove biancheggia la candida tovaglia di lino,i candelieri accesi diffondono una luce soave.
Questo incontro di preghiera da tempo preparato e atteso vuole essere il mio grazie al Signore che sa arricchire la mia povera vita di amici vecchi e nuovi.
Il mio sguardo si ferma, in particolare, su Marilena e Antonella mie ex alunne che ora frequentano la terza media ma hanno voluto essere presenti in questo momento di grazia per condividere la mia gioia.
Ora padre Andrea mi invita a fare una testimonianza della mia chiamata così particolare perché vissuta nel mondo di oggi con tutte le sue problematiche.
Ora la mia voce, prima incerta e tremula, acquista una modulazione gradevole e sale sicura in un inno di grazie verso di Te.
E corrono davanti agli occhi del cuore le tappe più significative della mia vita con Te: la prima è quella del 25 Aprile ‘68 che ha dato il là al mio attuale cammino di fede.
E infatti ancora rivedo gli alberi secolari che frusciavano al vento dello Spirito, la volta del cielo che chiudeva il tempio consacrato del creato.
E, strano, risento nel cuore la domanda di allora “Rosarita mi ami tu?”
E da allora ho iniziato a conoscerti quale Signore della mia vita!
Rivedo il secondo luogo della mia storia con te.
Ecco Vizzini con i campi sconfinati delle pere, il trattore rumoroso, le nostre Messe celebrate sulle ruvide pietre, i canti, le veglie di preghiere con il falò che bruciava scorie di egoismo e dava un tocco di eternità al nostro impegno ecclesiale.
Ma non mi sono fermata nel cercarti e nel ricercarti ancora ed ecco al mio orizzonte appare la chiesa di Santa Teresa e la preghiera sfiora punte di contemplazione e la fraternità canta gioiosa nel cuore.
Oggi, con il pensiero, mi ritrovo nel santuario mariano illuminato dall’azzurro del mare, dove le barche sono già pronte a prendere il largo ma la mia è ferma ancora perché un’altra data segnerà il mio cammino: il 21-09-85 quando vivo la prima Messa di un novello sacerdote che si offre a Te e ai fratelli in una gioiosa donazione e mi ritrovo in fila per baciare le mani consacrate di padre Andrea che presto diventa la mia nuova guida e cosi inizia anzi continua la meravigliosa storia della mia vocazione che proprio oggi festeggio qui a casa mia e forse in nuovo modo più congeniale al mio essere.
Siamo già a settembre del 1995 e inizia il mio nuovo anno scolastico ricco di fatica e generoso di gratificazioni.
I bambini mi amano io li so ascoltare e loro mi ascoltano.
Padre Andrea continua ad essere il mio padre spirituale e ho la possibilità di confrontarmi con lui, nei suoi brevi rientri a Catania e conservo nel cuore e nella mente le sue parole che hanno lo strano sapore della profezia e che rappresentano una tappa obbligata della mia personale chiamata.
“Tutto ciò che tu vivi sappilo vivere nella pace , nella gioia,nella certezza che il Signore ti ama e ti usa a modo suo.
Oggi ti fa sentire che tu devi vivere questa esperienza di fede, domani ti chiederà un diverso modo di servirlo.
Tu sentiti libera sia nel “luogo” sia nel “modo” sia nel “come” servirlo.
Tu, ad esempio, non hai il carisma dei poveri non saresti capace di donarti a loro a tempo pieno ma valorizza il tuo carisma che è quello di evangelizzare e continua a farlo.
Man mano che cammini il Signore ti indicherà la strada. Niente è definitivo nelle vie del Signore una sola cosa è sempre necessaria amarlo.
Vai in pace Rosarita!”
Così, per motivi scolastici, partecipo ad un convegno catechistico nel seminario di Catania e incontro, no rivedo Carmen, la guardo e noto che conserva intatta la sua sicula bellezza e spero anche la sua splendida voce.
Carmen è stata mia amica fin dai tempi lontani della mia frequenza a San Luigi da dove io sono andata via per la famosa gita di Gambarie (25-04-68) che ha dato il là a tutta la mia ricerca, mentre lei è sempre rimasta in parrocchia e si è inserita, in modo stabile, nel servizio del canto animando le messe festive.
Mi viene incontro sorridendo e mi abbraccia irruenta. Ricambio di cuore.
Padre Andrea é ritornato a Roma e mi trovo senza una guida e senza una comunità.
Riprendiamo il dialogo interrottotto e Carmen, intuendo la mia nuova situazione spirituale, ardita m’invita nella sua in parrocchia e stranamente io accetto la provocazione.
Partecipo alle messe domenicali e m’inebrio nell’ ascoltare Carmen che con la sua unica, calda, curata voce sa fare vibrare l’ anima di preghiera.
E non solo, il parroco m’invita a riprendere l’impegno del catechismo e accetto di cuore.
Ora sono in servizio attivo.
Ma che bella è questa scuola: è la scuola di Gesù! E mi butto a capofitto in questa fatica a me così congeniale!
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Oggi nell’ avvento del 1996 ricevo in dono una strana cartolina che dice così:
“Che ne dici Signore se in questo Natale faccio un bell’ albero dentro il mio cuore e ci attacco, invece dei regali i nomi di tutti i miei amici?
Gli amici lontani e vicini. Gli antichi e i nuovi.
Quelli che vedo tutti i giorni e quelli che vedo di rado.
Quelli che ricordo sempre e quelli che, alle volte restano dimenticati.
Quelli costanti e quelli intermittenti.
Quelle delle ore difficili e quelli delle ore allegre.
Quelli che, senza volerlo ho fatto soffrire, e quelli che conosco profondamente e quelli dei quali solo conosco le apparenze.
Quelli che mi devono poco e quelli ai quali molto devo.
I miei amici semplici e i miei amici importanti.
I nomi di tutti quelli che sono già passati nella mia vita
Un albero con radici molto profonde, perché i loro nomi non escono mai dal mio cuore.
Un albero dai rami molto grandi perché i nuovi nomi venuti da tutto il mondo si uniscono ai già esistenti con un’ ombra molto gradevole perché la nostra amicizia sia un momento di vero riposo durante le lotte della vita.
Amen.
Oggi è un giorno speciale per me perché sono passati dieci anni dal giorno della mia consacrazione nell’ istituto e Tu stesso, o Gesù, hai provveduto con la presenza di Antonella, di Francesca e di padre Andrea a farmelo vivere in un modo speciale!
La macchina corre veloce e sicura verso la prima tappa: il bosco di Milo ed io Ti canto il mio grazie silenzioso e profondo.
Percepisco dentro di me le note della mia vecchia canzone di ieri, di un ieri lontano.”Perché nel cuore ho tanta gioia, perché tutte le cose intorno cantano….
Ma il perché mi è chiaro Tu Gesù nonostante gli anni, nonostante le illusioni e le delusioni sei ancora il Tutto della mia vita.
Giro lo sguardo e alla mia destra vedo il mare che brilla di uno stupendo estivo colore azzurro e mi dà l’idea dell’ infinito e mi riempie di pace.
Ma certo sono giovane, sono ancora giovane, dentro di me è proprio così!
Svelta poso una mano sul cuore tento di fermarlo ma come scoppietta di vita e di gioia! Vivo la gioia della tua Presenza nella mia povera vita !
Un raggio di sole m’insegue, mi ferisce lo sguardo e allora giro gli occhi verso la montagna che già immensa si delinea alla mia vista.
L’immensità mi sembra il tema dominante di questa giornata, l’immensità del creato e l’altra immensità certo più difficile da vedere: la Tua tenerezza di Padre e di Madre.
Ma che strani pensieri mi vengono in mente! Che strani pensieri!
Improvvisamente non sono più in macchina ma sto apparecchiando la lunga tavolata del mio primo campeggio. Melina e Gemma portano i bicchieri io li dispongo nei posti già numerati e dalla vicina cucina arrivano profumi intensi, profumi di casa, di amicizia di condivisione fraterna.
E’ mattina, il caldo sole siculo del luglio del 69, indora la montagna, ed io, già fornita di scarponcini e di un delizioso cappello di paglia, mi preparo per la passeggiata verso i Monti Rossi che ancora conservano il colore tipico della cenere incandescente e ora mi attendono impazienti.
Arrivo, sto per arrivare- così li rassicuro.
Ecco sono miei li ho scalati evviva son agile, sono fiera di me, sono circondata da fratelli e in unico sguardo li abbraccio!
Mi fermo vicino al cratere spento e ti prego, o Dio, non farmi mai mancare il fuoco del tuo Amore!
Ora mi affretto a scendere dalla vetta dei Monti Rossi che ho da poco raggiunto.
Italia, responsabile del nostro gruppo, mi ordina di fermarmi ma non ascolto perché ho visto da lontano un gregge di pecore guidato da un giovane pastore e ansante, colorita in volto, corro perché ho voglia di toccarle da vicino come facevo da bambina a Canolo in Calabria.
Ci riesco infine mi confondo con esse mi diverto tanto e oso farti una domanda impertinente.
Tu Gesù vuoi essere per me il buon Pastore?
Vuoi ? Posso fare parte del tuo gregge?
Come vedi stavolta sono io a farti la prima proposta e vuoi prendermi in braccio nei momenti di stanchezza ?
Vuoi condurmi ai tuoi “verdi pascoli ?”
Che strano ora il caldo non c è più anzi sento un freddo pungente e le voci note dei miei fratelli di oggi mi richiamano alla realtà perché stiamo arrivando a Milo.
Svelta salgo il cappuccio del pesante giaccone e scendo dalla macchina perché ci fermiamo al bar per un breve ristoro.
Che bella sensazione mi dà la cioccolata calda!
Presto risaliamo in macchina si parte per il bosco di Milo!- ordina padre Andrea.
Entriamo dall’ ampio cancello mi chino per raccogliere un bastone da terra e comincio a giocare con “il fogliame” sparso anche sul sentiero.
Cammino, cammino da sola ma ecco mi fermo sento che Tu vuoi parlarmi e Ti ascolto perché riconosco la Tua voce è quella che ho udito a Gambarie, è quella che ho risentito sull’ Etna ai Monti Rossi nel mio primo campeggio estivo, è quella che ho ascoltato a Camemi fra i filari di pere, è quella che ho sentito a Lamezia nel corso degli esercizi spirituali.
E grazie Ti dico per i tanti Tabor che mi hai offerto nel mio solitario, difficoltoso cammino di fede.
Grazie per gli innumerevoli fratelli compagni sempre nuovi per il mio cammino di ”battitore solitario” allergico alle forme giuridiche, alle regole vuote di vita!
Grazie per la mia vocazione così strana e atipica ma proprio per questo solo mia e Tua o Signore.
Grazie per la forza che mi hai dato di continuare a cercarti dopo averti trovato ma grazie di più perché mi hai cercato con fatica e speranza, grazie perché ti sei servito di sacerdoti e di fratelli tanti.
Grazie perché io continuerò a cercarti fino all’ ultimo mio respiro ,grazie perché continuerò a cercarti in gruppi sempre nuovi e diversi in nuovi fratelli di cordata che oggi mentre scrivo mi sono ancora sconosciuti.
Ti affido tutti i fratelli della prima ora che hanno fatto un pezzo di strada con me sopportando la fatica e il caldo, grazie per quelli che oggi ho accanto e grazie ancora per quelli che domani mi darai……..
Mi fermo a contemplare un albero immenso e sento che Tu, o Dio, mi senti e grata tutto il mio essere Ti adora quale Padre, fratello, sposo.
Qualcuno mi chiama ma vedo che non sei Tu mi fermo ascolto, comprendo ecco si riparte e salgo in macchina ancora una volta.
E ancora mi giro per guardare la Rosarita di ieri. “Ma è proprio bella ! -mi dico convinta, ma nessuno la vede, nessuno se ne accorge pare, ma padre Andrea mi fissa attento e poi dice ”Ma stai proprio bene e non senti il freddo?”
Sorrido, lui comprende e ricambia il mio sorriso.
E penso con Pronzato “il sorriso è l’ottavo sacramento”.
La giornata non è finita scendiamo verso il mare verso il mare di Fondachello, che in estate è ricco di turisti, ma oggi è deserto .
Il vento è impetuoso e le onde si formano, poi si infrangono verso la spiaggia ma stavolta non mi isolo sto insieme alla mia piccola comunità mentre la forza del vento ci vuole dividere e forse ci vuole portare via con sè.
Ma no forte è la nostra stretta perché forte è la nostra intesa.
I nostri sguardi s’incrociano e le nostre labbra esultano nella lode mentre i gabbiani volano liberi in un cerchio concentrico e io li seguo in uno slancio di fede, di entusiasmo di intimità con TE ! Alleluia.
Alleluia intona il mio cuore e nessuna osa interrompere il nostro “silenzioso colloquio con te Trinità Beata !.
Oggi è il giovedì santo del duemila sono venuta a trovarti per farti gli auguri e per dirti il mio piccolo-grande grazie per questi trentadue anni di vita con Te, di cammino, di fatiche, di illusioni, di gioia e ancora di speranza, speranza di continuare a vivere alla luce lontana, lontana della “chiamata” del 25 Aprile del ‘68, che oggi, anticipando qualche giorno, festeggio.
Sento l’urgenza di avere un testimone, un testimone oculare di questo mio lontano ma ancora vicino incontro con Te.
Momento storico della mia vita di donna ancora innamorata di Te, mio Signore.
Tuttora la mia-tua chiamata non ha il “crisma”del giuridico, il sigillo del definitivo,perché vivo giorno per giorno nella provvisorietà del cammino e ricevo solo da Te la luce del tuo amore di Padre, di fratello, di sposo.
Nessun convento ha potuto accogliermi, nessun istituto secolare ha potuto “incarnare” la mia chiamata di Gambarie: quella di testimoniare l’ amore al mondo di oggi attraverso la vita d’amore fraterno di una piccola comunità.
Ora giro lo sguardo verso l’altare centrale e ammiro il cesto dei bianchi fiori: le margherite sorridono insieme alle otto bianche e profumatissime rose.
Ma i sacramenti non sono sette ?
Ho capito l ‘ottava rosa è la mia: è il sacramento del sorriso e Tu in questi anni me lo hai ”regalato” attraverso i fratelli.
Corrono davanti ai miei occhi le tappe salienti della mia vita con Te.
È vero tante volte mi hai donato “la comunità” dove poter vivere e testimoniare al mondo di oggi, la possibilità di un amore gratuito quello fraterno appunto!
Sempre ci ho creduto, sempre in questo non ho mai tradito la mia chiamata.
Ma perfino i tempi lontani delle pere che, in un primo momento mi sono sembrati l’incarnazione reale della chiamata di Gambarie, sono sfumati come neve al sole e infatti il sole dell’istituzione ha bruciato il tenero arboscello del carisma.
“Carisma” parola a me congeniale e sacra perché il mio carisma è quello di volere testimoniare al mondo l’amore di Dio incarnato nel seno di una comunità cristiana e non solo in quello di una normale famiglia.
Dopo i campi di lavoro di Vizzini sono approdata a Santa Teresa (dieci anni è durata la comunità, ma ancora una volta, è diventata vuota fredda istituzione).
E sono ripartita ancora e sono ritornata alle mie origine in uno afflato di pace ritrovata mi sono fermata a San Cristoforo e d’incanto mi sono ritrovata fra la mia gente e ho iniziato un nuovo iter spirituale sotto la guida di padre Andrea ricco di fede e gioioso testimone del Tuo amore.
La sua improvvisa partenza per Roma ( per motivi di approfondimento di studi teologici) ha stroncato la fervida vita parrocchiale e poi anche io sono partita e finalmente sono approdata nella mia splendida, accogliente nuova casa che, grazie alla presenza sacerdotale di padre Andrea è divenuta un cenacolo, casa di speranza per i più poveri dei poveri “ i poveri di Dio” che lo hanno incontrato, scoperto, riscoperto attraverso i momenti comuni di preghiera e di dialogo realizzati nei periodi delle vacanze scolastiche.
E così la mia speciale chiamata per due anni (periodo utile per la nuova laurea di padre Andrea) è diventata realtà perché, ancora una volta, avevo “la comunità”
Alzo gli occhi verso la barca e leggo la scritta ”Lasciate le reti lo seguirono”.
Ora che gli anni si assommano in lenta corrosiva successione sento che la frase è rivolta a me.
“Signore non Ti accorgi che non posso più seguirti?”-grido “Sono rimasta impigliata in una rete non tua: è quella sottile, insidiosa del dubbio, della stanchezza, dell’inutilità della mia atipica chiamata, della mia scelta”.
Mi ero assunta il compito di seminare la speranza tra i fratelli e spesso il dubbio mi ha assalito e coinvolto!
Sì ho dubitato della tua fedeltà e della tua continua Presenza nella mia vita ma Tu non hai dubitato di me.
Il libro dei salmi appoggiato male sulle mie ginocchia cade e si apre e curiosa vi leggo ”nella vecchiaia saranno rigogliosi e vegeti e daranno ancora frutti”
Sussulto e alzo gli occhi, rilucenti di bianche perle e proprio accanto alla barca vedo volti giovani e noti sono i fratelli di San Luigi.
Certo mi hai donato un piccolo gruppo tuttora informale con cui ogni domenica ci confrontiamo con la Tua Parola.
Rasserenata da questa presenza ti ripeto il mio Sì e dammi, o Signore, l’incanto e la luce del nostro primo incontro .
Ora che al mio orizzonte si delinea la sera della vita so che “Ciò che conta è amare!” come dice Carlo Carretto.
E fa che io lo sappia fare fino al mio ultimo respiro .
Guardo la barca, le reti stese, i rilucenti ciottoli, il pannello azzurro che con uno speciale gioco di luci acquista la trasparenza del mare.
Ma improvvisamente mi sento come circondata da due azzurri quello del cielo e quello del mare e un venticello amico mi avvolge, un gorgheggio come di uccello mi raggiunge e ora lo sento vicino “… Ma gli uccelli ora entrano in chiesa?– mi chiedo perplessa.
Lo stupore non è finito perché ho l’impressione di vedere volare verso i miei piedi due fogli bianchi di quaderno. “E come mai ?- mi chiedo .
D’istinto inseguo i fogli bianchi che volteggiano lievi e l’inseguo svelta mi affretto a prenderli , ora vittoriosa li stringo tra le mani, ma sono pesanti sono diventati un libro, il mio libro .
Estasiata lo guardo e mi ritrovo nella campagna di Mongibello nel giorno speciale del mio sessantesimo compleanno.
È vero perché cosi dicono i miei documenti ma non ci credo perché la mia mente è limpida ancora.
Il mio cuore è fanciullo ama e sa amare la vita in tutte le sue fatiche, in tutti i suoi dolori, in tutte le sue speranze, in tutte le sue ascese.
Con Arturo Paoli credo che “la persona è religiosa nella misura in cui scopre che esistere vuol dire essere stati chiamati a qualcosa”
Certo la mia è una chiamata su generis ma ancora ricca di risonanze interiori che sento il bisogno di comunicare ai fratelli che incontro sia fisicamente sia idealmente.
Così ricordi, sensazioni, riflessioni, frasi che hanno segnato il mio cammino affiorano insistenti alla mia mente e al volo ne afferro una significativa per me
”La chiesa è il luogo dove si pronuncia una parola disinteressata attraverso la quale la tenerezza di Dio ci fa segno.”(J.Sulivan)
E a me il Signore ha fatto segno tante volte e candidamente lo confesso perché sotto i miei stessi occhi sta nascendo questo libro autobiografico .
Esso è la testimonianza scritta del mio vissuto in questo momento storico sempre più ricco di problematiche sociali ma sempre più povero di Dio.
Questo libro vuole essere esso stesso un segno certo, un piccolo segno, della Sua presenza nella mia storia personale e la stesura scritta si propone di offrire una testimonianza diretta,che tenta di offrire solo” una parola di amicizia ,povera e semplice,che aiuti a vivere” (A.Pronzato)
Sono ancora immersa nella “teologia della bellezza” e infatti “Il bello non è solamente ciò che piace. Oltre ad essere una festa per gli occhi nutre lo spirito e lo illumina” ( Evdokimov)
E così, non ancora sazia, mi giro verso l’Etna che superba di splendore mostra il suo velo bianco di sposa.
Il pozzo, incastonato nel rustico muretto, si pavoneggia mostrando la ricca bordura di fiori campestri.
Sulla foglia merlettata le due coccinelle ancora giocano.
Ora percepisco in lontananza una voce nota che mi chiama ma è lontana tanto mi pare.
La coccinella si sta allontanando e lentamente la seguo con lo sguardo ma dove andrà?, penso perplessa .
Ora uno scalpiccio di scarpe sembra rompere il divino silenzio della campagna di San Giovanni di Dio che si trova fra Giarre e Santa Venerina.
Ma ecco una mano lieve mi sfiora la spalla mi allontano a fatica dai miei pensieri e incrocio lo sguardo interrogativo di padre Andrea che piano mi dice: “Rosarita contempli ancora, ma è tardi svelta andiamo in macchina dobbiamo ritornare a Catania! ”
Commossa, per l’invito nella sua campagna, dove ho gustato “la teologia della bellezza” gli sorrido grata e obbedisco come sempre e lo seguo verso il cancello.
Antonella e Francesca sono già salite in macchina .
Ma come cigola il verde cancello forse mi vuole salutare anche lui ?
Rulla la macchina veloce eppure, sulle bordure campagnole della strada ancora s’ inseguono due farfalle dai mille colori le raggiungo rapida mi unisco a loro e mi rifugio in pensieri di pace.
Ecco il mio libro è nato !
Ora grata l’affido al soffio dello Spirito e so che arriverà lontano… in mano di fratelli sconosciuti…a me Signore ma già noti a Te ,nostro Signore.
In poesia Ti canto il mio: grazie
Grazie
Ti vedo, o Dio, nel fiore del campo.
Risplendi nel suo sguardo amico
che mi circonda,
vincendo brume di paure.
Ora libera corro in spazi di cielo.
Ascolto lo sciabordio delle onde
pulsanti sulla scogliera lavica.
Contemplo l’arcobaleno
filigrana di luce,
mentre tremula una goccia,
iridescenza di mille colori,
si dondola lieve
su una foglia di limone.
Io, goccia di vita,
mi getto nell’oceano…
del tuo Amore!
Rosarita
San Giovanni di Dio (12- 11- 2000)
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