Storia dell’aborto – V Parte
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L’Inghilterra
Dopo il mondo comunista è quello anglosassone, inglese e americano – storicamente protestante, liberale e capitalista – ad introdurre l’aborto. La prima è l’Inghilterra, nel 1968.
In questo Paese, il tentativo di controllare e manipolare la vita data dai primi del Novecento. È significativissima, a questo riguardo, l’opera di Aldous Leonard Huxley (1894-1963), figlio di un famosissimo biologo darwiniano, che nel 1932, nel suo romanzo Brave New World («Il Mondo Nuovo»), descrive la società del futuro, quella che egli crede potrà essere la società del futuro.
Si tratta di un’opera che godrà di fama immensa, un testo capitale della letteratura inglese, accanto e simile a 1984 di George Orwell (1903-1950). Ipotizza un mondo i cui abitanti sono rigidamente controllati, manipolati, soggiogati dal potere in ogni aspetto della loro vita. La riproduzione stessa è sottoposta ad un controllo centralizzato, gli ovuli fecondati in vitro vengono conservati artificialmente.
La nascita è quindi anonima (non esiste più la famiglia), e può essere plurigemina, con la capacità di ottenere fino a novantasei gemelli identici da un solo uovo (clonazione). Le conoscenze genetiche permettono di studiare la riproduzione a tavolino e di creare caste di uomini superiori, fisicamente e intellettualmente, e, agendo sulla ossigenazione del cervello durante il processo di sviluppo dell’embrione, di uomini inferiori, pronti ad obbedire ed eseguire i lavori più umili.
Il numero dei cittadini è fisso. L’intensità demografica viene controllata attraverso: la sterilizzazione forzata di un numero consistente di donne; attraverso le cosiddette «cinture maltusiane», contenenti mezzi contraccettivi, un «centro di aborti» la cui attività appare alacre, visto che la castità è considerata una perversione; una sorta di eutanasia e di altri provvedimenti analoghi.
La base ideologica è fornita dall’educazione sessuale nelle scuole, che elimina ogni «tentazione» alla famiglia promuovendo rapporti precoci, occasionali e continui. Sulla tematica del controllo demografico, Huxley ritorna in Brave New World Revisited, del 1958, dimostrando che la distopia, il mondo da incubo descritto nel precedente romanzo, non gli appare come tale in tutti gli aspetti: «Nel mondo nuovo della mia favola era ben risolto il problema del rapporto fra popolazione umana e risorse naturali.
S’era calcolato il numero ideale per la popolazione del mondo e si provvedeva a contenerlo entro quel limite […]. Ma nel mondo vero contemporaneo non si è risolto il problema della popolazione».
Il problema del sovrappopolamento, scrive Huxley, è capitale, la popolazione attuale, due miliardi e ottocentomila persone nel 1958, eccessiva, e non esistono «l’intelligenza e la volontà, che quasi mai ritroviamo nel formicaio di analfabeti che popolano il mondo», per attuare «il controllo delle nascite».
«Forse non è impossibile la gestazione in vitro, come non è impossibile il controllo centralizzato della riproduzione; ma è chiaro che per molti anni a venire la nostra rimarrà una specie vivipara, che si riproduce a casaccio», laddove invece la dittatura del nuovo mondo sarà forse eccessiva, ma efficace. «Il nostro sregolato capriccio non solo tende a sovrappopolare il pianeta, ma anche, sicuramente, a darci una maggioranza di uomini di qualità biologicamente inferiore».
È evidente che Huxley sta dalla parte del grande dittatore; è evidente il suo disprezzo per l’umanità «formicaio di analfabeti», che si riproduce «a casaccio», secondo uno «sregolato capriccio»; che abbisognerebbe quindi di un «ordine», di un controllo dall’alto, dell’intelligenza superiore, imposta con la violenza, con l’inganno, con la tecnologia, di uomini «illuminati» come lui.
Al fondo vi è la teoria darwiniana della selezione naturale che Aldous eredita dal padre e dal fratello, e che lo porta, pur fra molte ambiguità, a chiedersi, in Brave New World Revisited, in un capitolo intitolato «Qualità, quantità, moralità», se i «mezzi buoni» dell’igiene e della medicina, portando alla salvezza di persone che altrimenti potrebbero morire, non raggiungano in fondo un «fine cattivo», un male quale è il sovrappopolamento e «la progressiva contaminazione del fondo genetico a cui dovranno attingere i membri della nostra specie […].
Ogni progresso della medicina – continua – sarà frustrato da un corrispondente aumento del tasso di sopravvivenza degli individui che dalla nascita portano con sé una qualche insufficienza genetica […]. E che dire degli organismi insufficienti per condizioni congenite, che la medicina e i servizi sociali oggi salvano e lasciano proliferare»? Le idee di Aldous diverranno importanti grazie al fratello, Sir Julian Sorell Huxley (1887-1975), che, come primo direttore generale dell’UNESCO, il cervello dell’ONU, porterà all’interno di questo organismo un’avversione alla vita che rimane tutt’oggi 9.
La sua filosofia è ben espressa in un suo opuscolo 10, in cui si fanno proposte estremamente simili a ciò che succede nel romanzo di Aldous. Inoltre, Sir Julian è anche, negli anni Venti del Novecento, uno dei fondatori della Società Eugenetica Britannica. Il 6 settembre 1962, a nome del Comitato per la Legalizzazione della Sterilizzazione Eugenetica, scriveva: «Gli argomenti a favore della sterilizzazione di certe classi di genti anormali o deficienti mi sembrano schiaccianti».
(continua)
Francesco Agnoli
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