Si può vivere senza Dio? Il peccato degli angeli
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Andiamo adesso ad un’altra creatura intelligente nella quale, secondo la rivelazione biblica e la tradizionale teologia cattolica, si è manifestato un peccato iniziale di superbia, di non accettazione di Dio, di voler costruire la vita al di fuori di Lui: gli angeli.
La tradizione e la teologia cattolica hanno sin dall’inizio accettato, seguendo le testimonianze bibliche, l’esistenza di esseri puramente spirituali che sono anch’essi creature di Dio. La Chiesa professa nel Credo la fede nel Dio Creatore delle cose invisibili, con un chiaro riferimento a questi esseri spirituali, nei quali Dio si rispecchia in special modo a motivo della loro spiritualità. Nell’Antico Testamento questi esseri appaiono come figli di Dio (Gb 6; 2, 1; Sal 28, 1), santi (Sal 89, 6.8; Gb 5, 1), figli dell’Altissimo (Sal 89, 6), forti (Sal 78, 25), vigilanti (Dn 4, 10). Il loro insieme costituisce l’esercito del Signore (Gn 5, 14; Sal 149 2; Gios 5, 14), l’accampamento di Dio (Gn 32, 3), l’assemblea di Dio e dei santi (Sal 82, 1; Sal 89, 9).
Ma è anche tradizione ecclesiale che alcuni di essi si sono ribellati contro di Lui e hanno “radicalmente e irrevocabilmente rifiutato Dio e il suo Regno, usurpando i suoi diritti sovrani e tentando di sovvertire l’economia della salvezza e lo stesso ordinamento dell’intero creato”. Essi sono stati creati buoni da Dio, ma sono diventati cattivi per la loro propria volontà. La Scrittura non offre una descrizione del peccato angelico così come lo ha fatto del peccato dei primi uomini, ma la teologia ha formulato diverse ipotesi sulla sua natura.
La natura sessuale del peccato angelico è sostenuta dal Libro dei Vigilanti, secondo il quale gli angeli si sarebbero invaghiti delle figlie degli uomini e, uniti a loro, avrebbero dato origine ai giganti. Questi angeli pervertiti avrebbero introdotto la magia e le arti belliche nel mondo. Alcuni Padri e scrittori ecclesiastici hanno seguito quest’ipotesi (Atenagora, Sant’Ireneo, Sant’Ambrogio, San Clemente di Alessandria, Origene), ma la maggioranza si è inclinata verso la tesi dell’orgoglio o della superbia.
Gli autori che propugnano la tesi dell’orgoglio (Ildelberto di Mans, Pietro di Poitiers, S. Bernardo, Pietro Lombardo, Onorio di Autun, Ruperto di Deutz) ritengono che il primo angelo, Lucifero, avrebbe preteso un tributo di adorazione da parte degli altri e avrebbe cominciato a tiranneggiare su di loro. Un gruppo di angeli accettò e si separò da Dio. In questa sua sete di potere, sostengono questi teologi, Lucifero desiderò e volle essere simile allo stesso Figlio di Dio e trascinò degli altri con sé. Così il peccato angelico scatenò una spirale di disordini concatenati: si partiva dalla presunzione, si continuava con l’ambizione e si finiva con l’invidia e l’odio. La radice del peccato sarebbe quindi stata l’orgoglio: Lucifero avrebbe desiderato di essere di più di ciò che era veramente, e voluto arrivare a ciò cui non poteva ambire (essere come Dio).
Oppure lo avrebbe desiderato con le sole sue forze: in questo modo avrebbe peccato anche per aver voluto anteporre la propria volontà a quella di Dio. Sant’Alberto Magno aggiunge che gli altri angeli cattivi considerarono Lucifero come Dio e vollero per lui e per se stessi l’indipendenza da Dio, del quale non vedevano il bisogno dato che si vedevano indipendenti da Lui.
Un’ultima ipotesi di peccato di orgoglio come il primo e principale degli angeli ribelli è quella che sostiene che la colpa di Lucifero fu il desiderio immoderato dell’unione ipostatica con il Verbo di Dio da parte della natura angelica. Lucifero avrebbe considerato ingiusta l’incarnazione e molto più conveniente l’unione del Figlio di Dio con la natura angelica che è più perfetta. Questa è la tesi di Francisco Suárez.
Arriviamo adesso al peccato angelico come peccato di superbia. Questa teoria è la più accreditata. Il peccato di superbia sarebbe consistito in questo: Satana avrebbe scelto se stesso come Sommo Bene, desiderando di essere come Dio. È la tesi seguita da S. Tommaso: l’angelo peccò volgendo l’elezione del suo libero arbitrio a se stesso come al proprio bene, con una separazione dall’ordine voluto da Dio. Considerò se stesso in un certo senso superiore a Dio: “convertendo se per liberum arbitrium ad proprium bonum, absque ordine ad regulam divinae voluntatis”. Secondo S. Tommaso l’angelo ebbe il desiderio di essere come Dio, ma non in quanto voleva avere una natura come Dio, in quanto questo è impossibile perché nessun essere vuole desiderare un’altra natura di quella che possiede perché questo significa non desiderare il proprio essere, cosa a cui tende ogni essere.
Desiderò invece «il suo ultimo fine ciò che poteva con le sue sole forze naturali, appartando il suo desiderio della beatitudine soprannaturale, che è si ottiene per grazia di Dio”. Gli altri demòni peccarono, sempre secondo San Tommaso, in quanto che liberamente vollero essere sottomessi non a Dio ma ad un altro essere come principe e capo, con l’intenzione di poter ottenere il loro fine soprannaturale senza l’aiuto di Dio, con le loro sole forze naturali.
Il peccato di superbia degli angeli ribelli deriva dal fatto che essi vollero essere come Dio, superiori addirittura a Lui, secondo la tradizione quando applica a loro delle parole del profeta Isaia (che nel testo però sono applicate al re di Babilonia): “Salirò in cielo, sulle stelle di Dio innalzerò il trono” (Is 14, 13).
In conclusione, anche se la Sacra Scrittura è molto sobria nel racconto del peccato angelico, la tradizione cristiana, soprattutto con San Tommaso, ha attribuito all’angelo un peccato di superbia, cioè di voler essere come Dio. Giovanni Paolo II, nelle Catechesi sul Credo esplicita che il peccato di Satana consiste “nel rifiuto della verità su Dio, conosciuto alla luce dell’intelligenza e della rivelazione come Bene infinito, Amore e Santità sussistente”.
E aggiungeva: “Il peccato è stato tanto maggiore quanto maggiore era la perfezione spirituale e la perspicacia conoscitiva dell’intelletto angelico, quanto maggiore la sua libertà e la sua vicinanza a Dio. Respingendo la verità conosciuta su Dio con un atto della propria libera volontà, satana diventa “menzognero” cosmico e “padre della menzogna” (Gv 8, 4). Per questo egli vive nella radicale e irreversibile negazione di Dio e cerca di imporre alla creazione, agli altri esseri creati a immagine di Dio, e in particolare agli uomini, la sua tragica “menzogna sul Bene” che è Dio.
Nel Libro della Genesi troviamo una descrizione precisa di tale menzogna e falsificazione della verità su Dio, che satana (sotto forma di serpente) tenta di trasmettere ai primi rappresentanti del genere umano: Dio sarebbe geloso delle sue prerogative e imporrebbe perciò delle limitazioni all’uomo (cf. Gen 3, 5). Satana invita l’uomo a liberarsi dell’imposizione di questo giogo, rendendosi “come Dio’”.
Il peccato di Satana ci dà alcune indicazioni sul peccato di auto-sufficienza, soprattutto dal punto di vista teologico. L’angelo che si ribellò contro Dio pensava di poter prescindere da Dio nel raggiungere il suo fine ultimo e anche nel potersi mantenere incolume dal peccato. L’autosufficienza radicale è quella della creatura che crede di poter vivere senza Dio e raggiungere la sua pienezza senza di Lui. Anzi, lo può considerare come un nemico della propria felicità.
Secondo la tradizione cristiana, il peccato angelico ha avuto un influsso su quello dell’uomo. Anche se l’uomo rimase libero nella sua scelta e ancora dopo il primo peccato la sua libertà non è sparita, resta però il fatto che esiste su di lui un’influenza malefica che lo porta a separarsi da Dio e a considerarlo come l’antagonista della propria felicità. Il demonio sin dal peccato originale esercita un certo influsso sull’uomo e cerca di sedurlo portandolo al male.
Questo influsso è presente anche nel mondo e perciò la Scrittura chiama Satana “principe di questo mondo” (cf. Gv 12, 31; 14, 30; 16, 11), e persino il Dio “di questo mondo” (2 Cor 4, 4). Egli è per tanto il tentatore, dipinto con immagini potenti come “leone” (1 Pt 5, 8), “drago” in diversi passi dell’Apocalisse, “serpente” (Gen 3). La stessa etimologia della parola “diavolo” (dal greco diaballein, causare la distruzione, dividere, calunniare, ingannare) ci parla di questo influsso negativo, che viene espresso con le parole di S. Giovanni nella sua prima lettera: “Tutto il mondo giace sotto il potere del maligno” (1 Gv 5, 19).
Una presenza che, in parole di Giovanni Paolo II, “si acuisce man mano che l’uomo e la società si allontanano da Dio”. C’è un intreccio tra il peccato di Satana e il peccato dell’uomo, che aumentano la forza del peccato nel mondo e rendono più difficile scappare alla sua morsa, senza che questo voglia dire che la libertà umana, con l’aiuto della grazia, non possa svincolarsi dalle insidie del Maligno.
P. Pedro Barrajón L.C
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