Riflettere sui valori in gioco nell’Anzianità.
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L’anzianità è l’età in cui si cresce ancora godendo di quel patrimonio spirituale che riempie la vita, le dà luce e gioia, e la rende sempre degna di essere amata.
Alcuni giorni addietro mi sono ritrovato a pranzo con alcune amiche, ormai dai capelli bianchi, che al termine hanno improvvisato un karaoke di canzoni anni ’60, tipico dei ragazzi che fummo un tempo, in piena disinvoltura. E mentre si cantava riflettevo sul tempo che passa dicendo tra me e me che passa solo esteriormente, ma non per l’“io” di ognuno di noi, a cui sembra che in verità il tempo non trascorra. Questo ci impedisce di prendere coscienza di quella stagione della nostra vita che è l’invecchiamento, come invece abbiamo fatto con l’adolescenza, il divenire giovani e l’età matura.
Infatti, dagli studi convergenti su tale tema risulta che la presa di coscienza dell’invecchiamento è resa difficile da diversi fattori. Tra tanti, che esso è la somma di tutti quei cambiamenti che avvengono, in modo lento e graduale, in un organismo dal momento del concepimento alla morte. Un altro è dovuto alla cultura contemporanea che nasconde la vecchiaia; nel profondo di noi stessi continuiamo a vivere con l’illusione che resteremo sempre uguali. A chi osserva i modi di vivere delle persone anziane non sfuggono certi atteggiamenti giovanilistici che indicano il disperato tentativo di fermare le lancette del tempo, alla ricerca di una giovinezza impossibile.
Ne consegue che il primo impegno di chi intende offrire un aiuto efficace all’anziano consiste nell’accompagnarlo verso un’accettazione serena della condizione di vita a cui lo consegna il trascorrere del tempo. Quindi è importante riflettere sui valori in gioco e offrire un sostegno sempre più adeguato e qualificato (sotto il profilo antropologico, filosofico-teologico, etico, culturale, educativo e socio-sanitario) a quell’uno di noi che resta uguale nella sostanza, dal concepimento al termine naturale della sua vita.
Il problema dell’anzianità è questione di cuore più che di calendario. Senza quasi accorgersene, un giorno ci si ritrova a considerare la nostra vita con occhio diverso dal solito, gli anni che passano, le cose fatte, i pensieri e la cultura acquisiti. Ci si accorge di essere già da parecchio in quell’età che non avevamo mai preso in considerazione e a cui non avremmo mai pensato di appartenere: l’anzianità. Poi scopriamo che forse ci è toccata una fortuna.
Purtroppo la cultura contemporanea cura le varie fasce d’età tutte allo stesso modo esaudendone i bisogni. Ma gli anziani hanno bisogno di relazionalità, di ascolto, di prossimità con qualcuno con cui parlare di sé, con cui poter esprimere la propria visione del mondo, ciò che si pensa di una società profondamente cambiata negli anni, di ciò che della vita, di sé stessi e degli altri si è capito.
La nostra società da’ della longevità un’immagine fuorviante, che ricalca il modello dell’adulto nel pieno delle sue forze, mentre rimane in ombra cosa significhi diventare vecchi, cosa implichi il decadimento fisico che insegna a limitare ogni sforzo, ogni movimento, a vivere ogni giorno senza l’orizzonte del futuro, a rivivere con la massima intensità la memoria, il proprio passato che, quando diviene l’unica dimensione, quasi si materializza.
La scelta di papa Ratzinger di rinunciare al mandato petrino può perciò essere letta anche come la consapevolezza di una fase della vita che offre l’opportunità di un diverso approccio, più intimo, ma non per questo meno incisivo. Per questo, nel suo ultimo Angelus in Piazza San Pietro, ha parlato di un Dio che lo chiama sul monte a pregare per la Chiesa.
Diversa è stata la decisione di papa Wojtyla che aveva iniziato il suo pontificato con un documento che, alla luce di Cristo Redentore – Redemptor hominis (1979) – esaltava la grandezza dell’uomo. Al termine, ha voluto vivere la sua vita, sentendo avvicinarsi il “tramonto”, lui, maestro di umanità, non volendo nascondere la croce, accettando il rischio dell’isolamento, dell’incomprensione, per manifestare che ogni umanità si radica in quella del Cristo e che il Cristo è vicino ad ogni uomo.
Due servitori di Dio, due uomini legati da profonda stima e amicizia, ma con il medesimo impeto nel trasmettere il dono più prezioso, quello della fede. Due scelte, di fronte alla vecchiaia e alla malattia, personali, uniche. Due scelte che svelano le luci su un intero pontificato, anzi su un’intera vita. Da entrambi abbiamo molto da imparare.
Giovanni Basile
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