Riflessioni sul Purgatorio – 9
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«Usque ad novissimum quadrantem!»
Ma forse, dirà qualcuno, supplizi così atroci saranno riservati ai grandi peccatori o a coloro che avendo accumulato quaggiù in terra colpe su colpe, si convertono solo in punto di morte senza far penitenza dei loro falli. Purtroppo non è così: i fatti sopra narrati e quelli che stiamo per raccontare dimostrano proprio il contrario, che saranno cioè puniti anche i falli leggeri, anche le mancanze che crediamo trascurabili e nelle quali cadiamo tanto spesso e tanto volentieri, illudendoci di non doverne pagare poi pena alcuna nell’altra vita.
Si legge nella vita della ven. Agnese di Gesù, religiosa domenicana, che per più di un anno sottopose il suo corpo ad asprissime penitenze, ed innalzò a Dio molte e ferventi preghiere pel defunto padre del suo confessore. Quest’anima le appariva sovente implorando i suffragi di lei, e un giorno avendole toccata una spalla con la mano, ebbe a soffrirci per più di sei ore gli ardori intollerabili del Purgatorio: finalmente il defunto fu liberato dopo tredici mesi da quelle torture. Sopra di che gli autori delle memorie sulla vita della madre Agnese fanno osservare il rigore dei divini giudizi; poichè il defunto avea santamente vissuto nel secolo, era un confessore della fede, essendo stato perseguitato dai protestanti di Nimes, i quali si erano impadroniti de’ suoi beni, l’aveano gettato in prigione e vessata con ogni sorta di angherie; prima di morire aveva sopportato con pazienza esemplare una lunga e dolorosa malattia; eppure nonostante tanti meriti acquistati, nonostante i digiuni, le preghiere, le discipline della caritatevole Agnese, nonostante le numerose Messe celebrate dal figlio suo, ei restò più di un anno in mezzo a quelle torture spaventose.
Ma udite un esempio ancor più meraviglioso. Allorchè questa stessa madre Agnese era priora del suo monastero, una delle religiose per nome suor Angelica, venuta a morte, il dì seguente, a quello in cui era spirata il confessore della comunità ordinò alla superiora che si recasse a pregare sulla tomba di lei. Vi andò ella infatti, e trovandosi là inginocchiata tutta sola e nel cupo della notte, fu assalita da un subitaneo timore, insinuatole forse dal demonio, che voleva distorla da quel caritatevole officio. Abituata però com’era alle sue astuzie, si tenne salda ed offrì a Dio quello spavento in espiazione per la defunta, rappresentandogli come non fosse curiosità ma obbedienza che la induceva ad interessarsi dello stato di quell’anima, e poichè era a lui piaciuto di farla custode in vita di quella povera pecorella, fosse naturale ch’ella trepidasse per lei dopo la morte. Ed ecco venirle innanzi la morta in abito da religiosa, emettendo dal capo come una fiamma ardente, il cui calore bruciava quasi il viso della priora, alla quale suor Angelica con grande umiltà domandò perdono dei dispiaceri causatile durante la vita, ringraziandola dell’affettuosa assistenza che le avea prodigata nell’ultima malattia. La madre Agnese, da parte sua, tutta confusa, domandava perdono alla suora, pretendendo nella sua umiltà di non averle prestato tutte quelle cure, alle quali sarebbe stata tenuta nella sua carica di superiora. Ma suor Angelica seguitava a ringraziarla e ad attestarle la sua riconoscenza, perchè in vita le aveva spesso inculcate quelle parole del Vangelo: «Maledetto colui che compie con negligenza l’opera di Dio». La spronava in pari tempo ad eccitare le suore a servir Dio con sollecitudine e ad amarlo con tutto il cuore, e soggiunse: – Se si potesse arrivare a comprendere quanto son grandi i tormenti del Purgatorio, si starebbe sempre all’erta per cercare di evitarli. -
Tutti sanno quanto grande fosse il fervore delle prime compagne di S. Teresa, di quelle anime elette, che ella si era associate per la riforma del Carmelo. Eppure malgrado la loro santità e le loro eroiche penitenze, quasi tutte dovettero provare le pene del Purgatorio. Ecco quanto racconta a tal proposito la Santa stessa (Vita S. Teresa, scritta da lei stessa, cap. 30).« Una religiosa di questo monastero, gran serva di Dio, essendo morta appena da due giorni e recitandosi per lei in coro l’Ufficio dei defunti, mentre una suora leggeva una lezione ed io ero in piedi per dire il versetto, alla metà della lezione vidi l’anima della suddetta uscire dal fondo della terra e salire al cielo. « Nello stesso monastero moriva, in età di diciotto o venti anni circa, un’altra religiosa vero modello di fervore e di virtù, la cui vita era stata una serie non interrotta di patimenti e di dolori sofferti con ammirabile pazienza. Io non dubitavo che sarebbe libera dalle fiamme del Purgatorio; eppure, mentre circa quattro ore dopo la sua morte recitavo l’Ufficio, vidi parimenti la sua anima uscir dalla terra e salire al cielo ».
Dalla vita della beata Stefanina Quinzana togliamo un esempio, che avvalora quanto stiamo asserendo. Una religiosa domenicana, chiamata Suor Paola, era morta a Mantova dopo una lunga vita menata nell’esercizio delle più eroiche virtù. Il cadavere di lei, portato in chiesa, era stato posto in mezzo al coro, e mentre, secondo il rito ecclesiastico, ne veniva fatta l’assoluzione, la beata Stefanina Quinzana, che era legata da stretta amicizia alla defunta, inginocchiatasi presso la bara, si pose a raccomandare a Dio con tutto il fervore dell’anima la compianta amica. Quand’ecco questa all’improvviso lasciar cadere il crocifisso che teneva fra le mani, tendere la sinistra, ed afferrando con questa la mano destra della beata, stringerla con tanta forza, da non poterla più svincolare. Per più di un’ora quelle due mani restarono così serrate, durante il qual tempo Suor Stefanina sentiva in fondo al suo cuore una voce inarticolata, che diceva: – Soccorretemi, sorella mia, soccorretemi negli spaventosi supplizi che mi tormentano. Oh! se sapeste la rabbia dei nostri nemici invisibili nell’ora della morte, e la severità del Giudice che esige il nostro amore, che esamina le nostre più indifferenti operazioni, e l’espiazione da farsi prima di giungere alla ricampensa! Se sapeste come bisogna esser puri per ottenere la corona immortale! Pregate molto per me, sorella mia; ponetevi mediatrice fra la giustizia di Dio e i falli di me meschina; pregate, pregate e fate penitenza per me che non posso più aiutarmi. – Tutta la comunità rimase stupita a quel fatto, quantunque nessuno intendesse i lamenti della defunta; finalmente intervenne il superiore che in virtù di santa obbedienza comandò a suor Paola di lasciare Stefanina. Ubbidì subito la defunta, e la sua mano ripiombò inanimata sul feretro. – La storia della Beata riferisce che ella fu fedele alla preghiera dell’amica, e si diè ad ogni sorta di penitenze e di opere soddisfattorie, finchè una nuova rivelazione le fece conoscere che suor Paola era stata finalmente liberata da quei tormenti ed ammessa alla gloria eterna.
Vorremmo che le anime pie restassero colpite da questi esempi e ne approfittassero per emendarsi, considerando che quelle piccole imperfezioni, quei difetti di ogni giorno, di cui si accusano sì spesso al santo tribunale della penitenza, senz’averne però quasi mai una sufficiente contrizione, trovano nell’altra vita una rigorosa espiazione. Il fatto seguente valga ad affermare quanto andiamo dicendo.
Cornelia Lampognana fu una santa matrona che visse a Milano, ad imitazione di Santa Francesca Romana, nella professione perfetta dei tre stati di vergine, di sposa e di vedova. Essendo strettamente in santa amicizia con una religiosa del terz’Ordine di san Domenico, un giorno in cui s’intrattenevano delle cose dell’altra vita, si promisero scambievolmente che se così fosse piaciuto a Dio, la prima di loro che morisse, apparirebbe all’altra. Dopo cinque anni Cornelia passò da questa vita, e in capo a tre giorni si presentò alla sua compagna, mentre era in cella inginocchiata ai piedi del crocifisso. Stupita a tal vista, la religiosa esclamò: – O Cornelia, Cornelia mia, come sono felice di rivederti! Dove ti trovi tu dunque? Certo sarai già nel seno di Dio, che servisti in questa vita con tanto zelo ed amore! – Ahimè! Ancora no, rispose l’altra. Vedi come sono diversi i giudizi di Dio da quelli degli uomini! Io sono in luogo di pena e vi dovrò restare ancora per qualche tempo in espiazione dei falli della mia vita, che avrebbe potuto essere più fedele e più fervente. – Prendendo poi per mano la sua amica, soggiunse: – Vieni con me, e ti farò vedere cose meravigliose. – E postosi in cammino, arrivarono in un vasto campo tutto ripieno di bellissime viti, sulle cui foglie erano impressi dei caratteri. – Leggi – disse Cornelia alÍ’amica. Si chinò allora la suora e con grandissima sorpresa avendo letto su quelle foglie i propri difetti ed imperfezioni quotidiane, domandò attonita che cosa volesse ciò significare. Nulla di strano, sorella mia – rispose la defunta non hai forse letto spesse volte quelle parole pronunziate da nostro Signore nell’ultima cena: «Io sono la vite e voi i tralci»? Ogni nostra azione buona o cattiva è una foglia di questa mistica vigna; per entrare in cielo è necessario che le foglie del male siano distrutte e consumate dal fuoco: ma, consolati, sorella mia, poichè guardando ben da vicino, vedrai che poco ti resta a distruggere, avendo tu fedelmente perseverato nelle tue promesse verginali, e servito con zelo il tuo buon maestro. Sono è vero ancor numerose le tue mancanze, ma non tanto quanto le mie che percorsi sulla terra stati sì differenti e te ne voglio far convinta. – E avanzandosi di pochi passi si trovarono di nuovo in una località ripiena di viti serpeggianti e intrecciantesi da tutte le parti, in maniera che le foglie ricoprivano il suolo; ed appressandosi ansiosamente la suora per vedere che cosa fosse scritto su queste: – Fermati, le disse l’amica: il mio divin Salvatore non permette che tu conosca fin d’ora le offese che io gli feci, e vuol risparmiarmi tanta vergogna. Leggi soltanto quel che troverai scritto sulle foglie che vedi vicine a te. – Allora ella posando lo sguardo su quelle che le erano più dappresso, vide registrate tutte le mancanze commesse dalla defunta nel luogo santo, le irriverenze, le distrazioni, i discorsi inutili fatti in chiesa. – O mio Gesù, gridò allora la religiosa, che s’avrà da fare per rimediare a tanti falli? Come mai dopo le tue confessioni e comunioni sì frequenti, dopo le indulgenze da te guadagnate ti resta ancor tanto da espiare? – Giusto è quanto dici, o sorella, ma sappi che per la mia tiepidezza e per l’abitudine presavi, io non trassi tutto quel frutto che avrei dovuto dalle mie comunioni e confessioni, e quanto alle indulgenze avendone guadagnate pochissime, tre o quattro al più, a motivo delle mie abituali distrazioni e della mancanza di fervore, bisogna che faccia ora quella penitenza che non feci quando pur mi sarebbe riuscito si facile. –
Ragionerebbe quindi da insensato colui che dicesse di non pregare per un defunto, perchè visse e morì da santo. Quante anime deploreranno amaramente in Purgatorio questi giudizi troppo favorevoli sulla loro sorte di oltretomba. Noi abbiamo visto che S. Agostino aveva tutt’altra idea del rigore dei divini giudizi, dal momento che dopo venti anni pregava tutti i giorni e scongiurava i suoi lettori pel riposo dell’anima della sua santa madre Monica. A proposito dell’eccessiva facilità di giudicar santi alcuni defunti, riportiamo un esempio tratto dalla Cronaca dei Frati Minori. (Parte II, libro IV, cap. 7).
Nel convento dei Frati Minori di Parigi, essendo morto un santo religioso, che per la sua eminente pietà veniva soprannominato l’Angelico, uno de’ suoi confratelli, dottore in teologia e uomo di molte virtù omise di celebrare le tre Messe solite a dirsi dai religìosi alla morte di ciascun confratello, sembrandogli di far quasi ingiuria alla misericordia e giustizia di Dio pregando per la salvezza di un uomo sì santo e che, secondo lui, doveva già trovarsi elevato al più alto grado di gloria. Ma ecco che in capo a pochi giorni, mentr’egli stava passeggiando assorto in meditazione per un viale del giardino, gli apparve il defunto tutto circondato di fiamme, gridando con voce lamentevole: – Caro maestro, ve ne scongiuro, abbiate pietà di me e soccorretemi. – E qual bisogno avete de’ miei poveri aiuti, o anima santa? rispose il religioso. – Ahimè! Ahimè! Io sono ancor trattenuto nel fuoco del Purgatorio, in attesa delle tre Messe che voi avreste dovuto celebrare per me. Se aveste esattamente soddisfatto all’obbligo che le nostre costituzioni c’impongono, a quest’ora sarei già nella celeste Gerusalemme. – E poichè il religioso allegava per iscusa la vita santa ch’egli aveva menato, le preghiere, le penitenze, l’esattezza scrupolosa da lui usata nell’osservanza della regola e tante altre sublimi virtù, il defunto esclamò: – Ahimè! Ahimè! Nessuno crede, nessuno comprende con quanta severità Iddio giudica e punisce le sue creature. L’infinita purezza di lui scopre difetti in tutte le nostre azioni. Se i cieli medesimi non vanno esenti da imperfezioni davanti ai suoi occhi purissimi, come l’uomo, creatura tanto miserabile, potrà comparire davanti a lui? Occorre rendere conto a Dio fino all’ultimo centesimo, usque ad novissimum quadrantem. Se con tutta la scienza che possedete, voi aveste compreso un po’ meglio la santità infinita di Dio, oh! non mi avreste trattato con tanto rigore! – E ciò detto scomparve. Affrettatosi il buon religioso a celebrare le tre Messe domandate, nel terzo giorno gli apparve di nuova quell’anima benedetta per ringraziarlo e per annunziargli che, finite le pene, se ne andava a ricevere la ricompensa delle sue virtù.
Da tutto questo dobbiamo concludere che purtroppo non si pensa abbastanza ai rigori del Purgatorio e alla santità di Colui che non tollera la più lieve macchia nei suoi Santi. Se si meditassero un po’ più spesso queste verità si eviterebbero con maggior cura quei falli leggeri, di cui facciamo si poco conto, e si pregherebbe con più fervore per quelle povere anime martoriate, che mentre viviamo ci sarebbe tanto facile soccorrere.
Creatore? Che è mai, che è mai ciò che io faccio, mentre dovrei fare cento volte di più? – Dopo alcuni anni di così orribili penitenze, la serva di Dio fu chiamata dal celeste Sposo all’altra vita, vivo lasciando tra le sue consorelle il ricordo di sè, delle sue parole e delle sue penitenze.
Ciò che è da osservare in questa storia è che non si tratta di un peccatore che muore in disgrazia di Dio, ma di una fervente religiosa, tutta dedita ai doveri del suo stato, e che per alcune imperfezioni di nessuna gravità secondo il giudizio degli uomini, subì i rigori del giudizio di Dio. Ahimè! se i giusti sono trattati in tal guisa, che cosa accadrà di noi peccatori?
Sono dunque tremendi i giudizi divini! E pensare che ad ogni battito del nostro cuore si rinnova la grande scena: anime ed anime si presentano al trono di Sua Divina Maestà per essere giudicate! Se pensassimo a ciò saremmo presi da immensa compassione, e pregheremmo con fervore per tanti infelici che stanno per comparire davanti al loro Giudice.. Ma purtroppo. non vi pensiamo e continuiamo a vivere come se tanti nostri fratelli non ci chiedessero il soccorso delle nostre preghiere. Un giorno saremo anche noi sul letto della nostra agonia e allora sarà spesa per noi la medesima moneta che noi spendemmo per gli altri, saremo pagati con la medesima indifferenza. Adottiamo la santa abitudine di pregare per gli agonizzanti, affinchè un giorno vi sia chi preghi per noi in quell’ora tremenda nella quale tanto ne avremo bisogno.
Can. Luigi Coccolo
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