Riflessioni sul Purgatorio – 11
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Pene particolari
Adesso entriamo ancora più addentro nelle particolarità di tante sofferenze, e non contenti di questo, per dir così, panorama generale delle pene del Purgatorio, audíamo nelle rivelazioni dei Santi le pene speciali inflitte dalla gìustizia di Dio a quei falli, che la maestà sua ha più particolarmente in orrore.
Fra codeste mancanze Iddio punisce molto severamente la vanità. Citeremo qui due esempi che vorremmo facessero rinsavire tanta frivola gioventù che consuma il tempo in acconciarsi ed abbellirsi per piacere in questa vita, accumulandosi tormenti inauditi per l’altra. Il primo è tratto dalle rivelazioni di santa Brigida (lib. VI, capo 52), la quale, in una delle estasi che le discoprirono il Purgatorio, osservò fra le altre una fanciulla di alto lignaggio, che le fece conoscere quanto penasse in espiazione dei suoi peccati di vanità.
Quel capo, che con tanta cura aveva coltivato, era divorato all’interno e all’esterno da fiamme cocentissime; quelle spalle e quelle braccia, che tante volte aveva amato di portar denudate, erano strette da catena di ferro rovente; i piedi si agili nella danza erano avvinghiati e morsi da vipere, che li insozzavano colla loro bava immonda; tutte le membra, che in vita, era solita di sopracaricare di monili, di gioie, di perle, di fiori; erano torturate da spaventevoli pene. E andava gridando: – Madre mia, madre mia, quanto sei colpevole verso di me!
La tua soverchia indulgenza, peggiore dll’odio più atroce che tu avessi potuto portarmi, mi ha fatto precipitare ìn queste orribili pene! Tu mi conducevi alle feste, ai balli, agli spettacoli, a tutte le riunioni mondane che sono la rovina dell’anima e per le quali ora soffro miseramente, e quantunque talvolta mi consigliassi preghiere ed atti di virtù, questi si trovaron sempre superati e quasi perduti per i sollazzi e le compiacenze che io mi prendeva nella vita.
Nondimeno rendo grazie infinite al mio Dio perchè non permise la mia eterna dannazione. Prima di morire, presa da pentimento, mi confessai, e quantunque lo facessi in considerazione delle pene che mi potevano essere riservate nel l’altro mondo, e quindi la mia confessione non fosse valida, nel momento però d’entrare in agonia mi ricordai della dolorosa passione del Salvatore, e potei così formare un atto di vera contrizione, promettendo, se ne avessi avuto tempo, di riparare colla penitenza alle mie colpe. – Lo storico soggiunge che la Santa avendo raccontato l’apparizione ad una cugina della defunta, l’impressione da questa riportata fu tale, che rinunziato alle vane lusinghe del secolo, si rinchiuse in un monastero di austerissima penitenza, dove santamente visse e morì.
Il secondo esempio è tratto dalla vita della beata Maria Villani, scritta dal padre Maschi (lib. II, capo 5). – Mentre un giorno questa serva di Dio pregava per le anime del Purgatorio, fu condotta in ispirito nel luogo delle lor pene, e fra tutte quelle infelici sofferenti ne vide una tormentata più delle altre da orribili fiamme che da cima a pie’ ravvolgendola, la consumavano continuamente. Interrogata dalla Serva di Dio sul perchè di tanto soffrire, e se avesse mai un momento di tregua fra quelle sofferenze, rispose: - Già da molto tempo mi trovo qui a scontare severamente, le mie vanità passate e il lusso scandaloso in cui vissi, ma fino ad ora non ottenni mai il benché minimo sollievo, avendo il Signore permesso nella sua giustizia che io fossi completamente dimenticata dai miei parenti, dai miei figlie dai miei amici, perché quando ero in vita, tutta dedita alle vanità del mondo, alle feste e ai piaceri, assai di rado pensavo a Dio e ai doveri del mio stato. Così ora Iddio permette che sia dimenticata da tutti. – E ciò detto disparve.
L’altro grave peccato che Iddio odia e punisce orribilmente è lo scandalo. « Maledetto colui per cui viene lo scandalo» disse il Maestro. « Se il tuo occhio ti scandalizza cavatelo e gettalo via da te; è meglio entrare nella vita eterna con un solo occhio, o con un sol piede, che andare all’Inferno con ambedue ».
Un pittore di fama e buon cristiano; essendosi lasciato trascinare per qualche tempo dal cattivo esempio, aveva dipinto dei quadri sconci. Se ne era poi pentito e si era dato esclusivamente alla pittura sacra. L’ultimo suo lavoro fu un bellissimo dipinto in un Convento di Carmelitani Scalzi; terminato il quale, essendo stato colto da mortale, malattia, chiese in grazia al priore di essere sepolto nella chiesa del convento, lasciando alla comunità il prezzo assai alto della sua opera col patto che dai religiosi fossero celebrate altrettante Messe in suo suffragio.
Era morto da pochi giorni nel bacio del Signore, quando un frate rimasto in coro dopo mattutino, se lo vide comparire tutto piangente e dibattendosi fra le fiamme. Sbalordito a tal vista, gli domandò se fosse veramente egli il buon pittore morto, poco prima, e perché lo vedesse ridotto in sì misero stato. – Allorchè resi l’anima a Dio, rispose il defunto, mi trovai al suo divin tribunale circondato da molte persone, le quali deponevano a mio svantaggio, perchè eccitate in vita a malvagi pensieri ad impuri desideri da un quadro osceno da me dipinto, erano state condannate al Purgatorio; ma quel che più mi atterrì si fu il vederne uscire altre dall’Inferno, gridando, che poiché io ero stato causa della loro eterna rovina, era giusto che subissi lo stesso loro castigo.
Per buona sorte accorsero dal cielo molti Santi a prender le mie difese, dimostrando il divin Giudice come quello fosse stato un lavoro di mia gioventù inesperta, compensato da tanti altri che avevano servito di edificazione a moltissime anime. Fui salvo allora dalla pena eterna, ma condannato bensì a soffrire tra queste fiamme, finchè quella maledetta pittura sia bruciata e non possa più dare scandalo ad alcuno. Vi prego adunque, mio buon Padre, di recarvi dal proprietario del quadro, e dirgli in quale stato io mi trovi per aver ceduto alle sue premure, supplicandolo da parte mia a disfarsi di quella pittura, gettandola immediatamente alle fiamme.
Che se rifiutasse, guai a lui! In prova di quanto dico e in punizione del suo delitto annunziategli poi che fra, poco perderà i suoi due figli, e qualora mancasse di ubbidire agli ordini divini, egli stesso perirà di morte prematura. – Il possessore del quadro, sapute tali cose, tosto lo bruciò; tuttavia in meno di un mese vide morire i due suoi figli, per il quale castigo fu preso da tanto dolore, che passa il resto della sua vita nel far penitenza del fallo commesso coll’ordinare e conservare quella pittura scandalosa. (Vedi: Rossignoli, Meraviglie del Purgatorio, lib. IV, cap. 9).
Altra colpa alla quale Dio riserba severa punizione sono i discorsi vani. Si quis in verbo non offendit, hic perfectus est vir (Iac. 3, z), disse l’apostolo S. Giacomo e ben a ragione, poichè la lingua è fomite di iniquità. Senza parlare delle bestemmie, dei propositi licenziosi, delle maldicenze e calunnie, chi non ha da rimproverarsi tante e poi tante di quelle parole vane e leggere, delle quali il divin Maestro ha detto che ci domanderà conto nel giorno del giudizio? L’esempio che qui sotto riferiamo dovrebbe far riflettere quei faceti, maldicenti per professione, i quali occupano il posto d’onore nelle conversazioni mondane e son sempre pronti a far ridere gli altri a spese del prossimo.
L’abate Durando, priore di un monastero di benedettini, indi Vescovo di Tolosa; era uomo di rara pietà, di singolare mortificazione e pieno di zelo pel suo spirituale avanzamento; però amava troppo lo scherzo e non sapeva frenare abbastanza la lingua. Fin da quando era semplice monaco, il suo abate Ugo lo aveva parecchie volte ammonito, predicendogli che se non si fosse emendato di questo difetto ne avrebbe avuto a soffrire molto in Purgatorio, ma egli non diede troppo ascolto a questo avviso e proseguì anche da vescovo a dire facezie e scherzi in abbondanza.
Dopo morto però si vide quanto fosse giusta la predizione dell’abate Ugo, poichè apparso Durando ad un religioso suo amico lo pregò vivamente d’intercedere per lui, che trovavasi martoriato in Purgatorio da strazi acutissími a cagione dell’intemperanza usata nel parlare a carico altrui. Radunatisi allora tutti quei monaci, si stabilì che l’intera comunità avrebbe osservato per otto giorni un rigoroso silenzio in suffragio di quell’anima penante. Ma ecco in capo a questo tempo comparire di nuovo il defunto e lamentarsi, perchè uno dei monaci essendo venuto meno alla promessa del silenzio, era riuscito sterile per la sua liberazione il frutto di quel suffragio. Si ripeté allora dalla comunità la pia mortificazione, la quale, essendo stata osservata fedelmente da tutti, meritò al defunto vescovo Durando la liberazione dalle pene del Purgatorio.
Quanto al peccato della menzogna, abbiamo già veduto dalla rivelazione di S. Maria Maddalena de’ Pazzi come sia punito in modo singolarmente terribile, poiché Iddio, eterna Verità, ha in orrore la bugìa. In molte apparizioni noi vediamo le povere anime raccomandarci di astenerci dalla menzogna, e dichiarare che all’altro mondo quelle che da taluni si considerano come cose da poco o semplici esagerazioni sono severamente punite.
Raccomandano parimente quelle anime sante di astenersi dal fare i voti alla leggera e quando siano fatti, di osservarli scrupolosamente, poiché la giustizia di Dio è inesorabile. Sul qual proposito voglio qui raccontare il seguente fatto, tratto dalla vita del venerabile Dionigi Cartusiano. –
Questo santo religioso stava assistendo un novizio moribondo, il quale parecchi anni prima avendo fatto voto di recitare per due volte l’intero Salterio e non avendo poi adempiuto mai la sua promessa, si trovava molto perplesso sul letto di morte, paventando la severità dei divini giudizi. Allora Dionigi per incoraggiarlo e consolarlo in quei momenti supremi, gli promise che avrebbe soddisfatto a quell’obbligo in vece sua, ma, così forse permettendo la giustizia di Dio, dopo la morte del novizio il buon Padre dimenticò anch’egli la promessa, mentre intanto quello sventurato era trattenuto fra le fiamme del Purgatorio.
Un giorno finalmente avendogli Iddio concesso di comparire a Dionigi per ricordargli l’impegno preso, il defunto mostrandosigli tutto mesto e addolorato, pronunziò sospirando queste due parole: – Pietà, pietà! – Stupito e desolato allora della sua dimenticanza, il buon Padre voleva spiegare a quell’anima la causa di tanto oblìo, ma il defunto con voce supplichevole gridò: – Ohimè! se voi soffriste la millesima parte de’ miei tormenti non ammettereste scusa di sorta, anche se in apparenza legittima, e in quest’istante medesimo soddisfereste all’obbligo contratto in mio nome dinanzi a Dio. – E così dicendo scomparve. (Continua)
Can. Luigi Coccolo
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