Riflessioni sul Purgatorio – 1
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Sorella Morte
Eccoci al letto di un cristiano morente: la Chiesa gli ha già impartito l’ultima benedizione; per l’ultima volta ha sentito riposar sul suo cuore il Cuore santissimo di Gesù nel Sacramento dell’amore. Quel Dio che si era fatto amico di lui – e di quale amicizia! – fin da quando con la prima Comunione era disceso nel suo petto, sapendolo infermo ha lasciato il suo tabernacolo pervenire a visitarlo, e fra le mani del suo ministro ha percorso, inosservato le vie della città, ovvero, seguito da pochi fedeli, gli aspri sentieri della campagna; ha fatto il suo ingresso in quella stanza funerea, trasformata per un momento in santuario, si è posato su quelle labbra che il soffio della morte agghiaccerà fra brevi istanti, ed in un mistico ed intenso colloquio con la sua anima gli ha lasciato intravedere i misteri della vita avvenire e gli splendori della eternità beata. Indi l’estrema Unzione, come ad atleta che debba prepararsi alla pugna.
Intorno a quel letto i parenti mormorano a bassa voce parole e preghiere e se ne allontanano solo per dare sfogo alle lacrime. L’orecchio del morente è già stato ripercosso dal formidabile appello: – Parti adunque, o anima cristiana!… – Ed ecco all’improvviso un movimento convulso scorrere per quel corpo irrigidito, ed un singhìozzo soffocato por fine al rantolo dell’agonia: esso ha esalato l’estremo sospiro morto.
Si sollevano allora da ogni parte i gemiti e i lamenti della famiglia, che si appressa a colui che or non è altro che un cadavere; gli vengono chiusi quegli occhi che non si apriranno mai più fino al giorno dell’universale giudizio; gli vengono conserte le mani in attitudine di preghiera, e molte volte, per nascondere ai viventi l’orrore della morte, vien posto un velo su quel volto sfigurato; quindi gli amici e i vicini si allontanano tessendo l’elogio del defunto. Finalmente tutto piomba nel silenzio.
Questo è l’aspetto esteriore del gran dramma della morte, che per quanto ci possa sgomentare, non è davvero il più importante. Noi abbiamo considerato il defunto disteso sul letto funebre con le mani congiunte, col Crocifisso sul petto, nell’attitudine così ben descritta da Lamartine, in quei suoi mirabili versi.
Dai sacri ceri ormai l’ultima fiamma guizzava, e il prete mormorava il canto sì dolce della morte, a lamentevole nenia simile, che la donna mormora al pargolo assopito. Di speranze la sua fronte le tracce serba ancora, e sul suo volto di beltà soave un raggio spira; il labile dolore la sua grazia v’impresse, e la severa sua maestate vi scolpì la morte.
Can. Luigi Coccolo
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