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Resistenza o guerra civile? Liberazione: il 25 o il 18 aprile?

29 Aprile 2017 | Filed under: Società
     

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Con l’entrata in guerra e le prime sconfitte il fascismo aveva cominciato a perdere il consenso popolare accumulato in tanti anni: il popolo, che aveva accettato, bene o male, l’odioso obbligo della tessera, l’intruppamento della gioventù, la retorica del partito ecc., non sopportò la morte dei propri giovani, mandati a combattere con grande superficialità, senza mezzi e senza preparazione, in Grecia o in Russia, per folli manie di grandezza o per servilismo nei confronti di Hitler.

Gli stessi bombardamenti anglo-americani sulla città italiane sollevarono l’ira popolare verso Mussolini:

era lui, non gli alleati, il vero colpevole di tutto. L’esperienza della RSI aveva poi completato l’opera: le rappresaglie fasciste, i morti esposti a monito nelle piazze, la povertà dilagante acuirono la rabbia e la disperazione; la leva obbligatoria, imposta dal regime, determinò la necessità per molti giovani, di fuggire in montagna, divenendo partigiani (altrimenti, se scoperti renitenti, venivano uccisi dai repubblichini fascisti).

Partigiani è termine assai generico con cui indichiamo in genere le forze, più o meno spontanee, contrapposte ai repubblichini fascisti e ai tedeschi, che avevano occupato l’Italia del centro-nord grazie alla viltà e all’inettitudine del re e di Badoglio. La storiografia marxista, alla fine della guerra, ha fatto della Resistenza un’epopea, una “guerra di popolo”, la I dell’Italia unita: essa sarebbe il segno di una consapevolezza democratica, di un antifascismo eroico, di un immortale senso di libertà sorto dalla “spontaneità popolare” (A.Galante Garrone, 1946).

Si tratta, in realtà, di un mito fondatore che oggi, dopo tanti anni, non regge più: un mito creato ad arte per seppellire il vecchio ed esaltare, comunque, il nuovo, la nuova Italia post-fascista.

La realtà fu ben diversa: il movimento partigiano fu un movimento piuttosto eterogeneo, non sempre spontaneo e non sempre democratico, fatto di eroismi, di lotta per la libertà, ma anche di implacabile e sterile odio ideologico. Esistevano infatti brigate comuniste, col loro fazzoletto rosso al collo, ma anche brigate socialiste, democristiane, liberali, monarchiche, cattoliche, con altri segni distintivi ed altre idee; vi erano semplicemente brigate di antifascisti, senza una propria ottica politica, di renitenti alla leva obbligatoria, che si trovavano a combattere non per propria volontà, ma per sfuggire alla durezza con cui l’RSI li avrebbe puniti.

Tra queste componenti la più forte, la più preparata, la più rigidamente organizzata, quindi la meno spontanea, per nulla democratica, era quella comunista, alle dipendenze del PCI di Togliatti e della Russia bolscevica, che non voleva limitarsi ad una liberazione dell’Italia dai tedeschi e dai fascisti, ma desiderava sostituirla con un regime dittatoriale filo-sovietico, collegato a Stalin, e, per quanto riguarda il Friuli, al comunismo iugoslavo di Tito: i partigiani comunisti arrivarono a combattere non per liberare Trieste, ma per passarla dal controllo tedesco a quello di un altro straniero, il dittatore slavo.

La speranza era quella di porre almeno un avamposto comunista nella nostra penisola, come punto di partenza per nuove vittorie. In questa clima vi fu il celebre episodio della malga Porzus, uno dei tanti punti neri, a lungo volutamente oscurati, della Resistenza: come in molte altre occasioni infatti le brigate comuniste entrarono in conflitto con gli altri partigiani, i cosiddetti “bianchi”, in questo caso la brigata cattolica-monarchica “Osoppo”, di cui facevano parte Francesco De Gregori, zio dell’omonimo cantante, e il fratello dell’intellettuale Pasolini: colpevoli di non voler confluire nel IX corpo sloveno titino e di rivendicare l’italianità dei territori friulani, 17 membri della Osoppo furono catturati con l’inganno dai partigiani comunisti e trucidati.

Con il 25 aprile 1945, dunque, non ci fu solo la sconfitta definitiva dei tedeschi e dei fascisti in Italia, soprattutto ad opera degli Alleati, ma anche, purtroppo, il grande spargimento di sangue italiano ad opera di alcuni gruppi partigiani che cercarono ancora a lungo di regolare i propri conti e magari di prendere il potere con le armi.

Per questo il mito della Resistenza e della Liberazione al 25 aprile è ancora, per alcuni, il sogno non di una Italia libera, ma di una Italia comunista, come la desideravano Togliatti e i suoi. E’ il mito a cui si rifacevano, per esempio, le Br e quei gruppi armati che fecero gli anni di piombo e che si sentirono spesso gli eredi dei partigiani rossi (non certo degli altri, che la storiografia ufficiale ha sempre condannato alla damnatio memoriae!).

La vera festa della Liberazione, nel senso di Liberazione compiuta, definitiva, allora, potrebbe forse essere il 18 aprile: fu alle elezioni del 18 aprile 1948 che l’italia scelse davvero la libertà, archiviando definitivamente il fascismo, ma anche il nuovo pericolo di un’Italia comunista, legata a doppio filo a Mosca (come i paesi dell’est).

Ma il 18 aprile, in Italia, non lo si ricorda, anche perchè fu la vittoria non solo della Dc di allora, ma soprattutto di Pio XII, del medico Luigi Gedda, responsabile dei Comitati Civici, e di uomini come Giovanni Guareschi ed Eugenio Corti, due grandi scrittori che contribuirono enormemente a quella vittoria del 18 aprile, ma che nè la Dc ingrata, nè, tantomeno, il monopolio culturale di sinistra, vollero e mai vorranno sdoganare.

Francesco Agnoli


     

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