Piccolo trattato di vita spirituale
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Una celebre favola di Esopo racconta di una «mosca cocchiera» la quale, issatasi un giorno sul timone di un aratro, incominciò a stimolare a gran voce i buoi perché compissero il loro dovere: «Tira a destra, allunga il passo, muoviti, se non vuoi provare la punta del pungolo…». Vociferò per tutto il giorno, tra la perfetta indifferenza dei due grossi animali. Finché giunta a sera, sudata e sgolata, esclamò soddisfatta: «Abbiamo arato tutto il giorno».
Quanti di noi, nella vita spirituale, sono come la «mosca cocchiera». Ci diamo un sacco di arie, ritenendoci importanti, e ci affatichiamo come se il successo della nostra perfezione dipendesse in massima parte da noi. Sappiamo benissimo che i protagonisti di ogni perfezione spirituale sono due – Dio e noi – ma dimentichiamo troppo spesso che si tratta di due protagonisti non alla pari. Dio è tutto e noi, se siamo qualcosa, lo dobbiamo unicamente a lui. Dio fa la sua parte, che è indispensabile, e ci aiuta anche a fare la nostra piccola parte, per darci la soddisfazione di partecipare alla sua opera.
Eppure qualche volta ci comportiamo come se fossimo noi a fare tutto. Progettiamo, definiamo, ci impegniamo, siamo tentati perfino di dare consigli a Dio e di concludere alla fine della nostra giornata terrena come la «mosca cocchiera», o come i vignaioli della parabola: «Abbiamo lavorato tutto il giorno, sopportando il peso della giornata e il caldo» (Mt 20, 12).
Dio, protagonista, unico In realtà è Dio il vero e unico protagonista della perfezione dell’uomo. Talmente unico che la prima norma per chi tende alla perfezione è di dargli spazio, di tirarsi da parte. Dio occupa progressivamente l’anima dell’uomo nella misura in cui l’uomo fa il vuoto dentro di sé.
La premessa di ogni autentica perfezione è la purificazione interiore. Una purificazione radicale, che esige la perdita di ogni valore che non sia voluto da Dio stesso o per motivo diverso dalla sua volontà. Ogni volta che pretendiamo di sostituire i nostri progetti, le nostre affermazioni, i nostri sogni e desideri al progetto di Dio riguardo a noi, al suo progressivo fare spazio in noi, al suo desiderio della nostra perfezione, confondiamo i suoi disegni, lo ostacoliamo nella sua opera, impediamo il lavoro della sua grazia e rallentiamo il cammino delle tre virtù teologali in noi.
Ogni volta che ci preoccupiamo di noi, anche della nostra salvezza, ogni volta che preferiamo le nostre sicurezze umane al pacifico dettato della sua Parola, il sentiero della speranza si fa più arduo, la fede si oscura, la carità tende a ripiegarsi su se stessa. La purificazione La purificazione è la prima condizione di ogni perfezione. È elemento negativo, che comporta perdita, sacrificio, ma non possiamo fare a meno di essa.
Si tratta di purificarci non da alcune cose, ma da tutte le cose. Gesù ha espresso questa necessità di purificazione totale dicendo: «Chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà» (Lc 9,24).
Bisogna purificarsi dall’attaccamento ai beni esteriori, ma anche da quelli interiori, dal proprio corpo non meno che dalle proprie ricchezze. Dai beni materiali, ma anche da quelli spirituali, dalla propria cultura e dalle proprie abilità, dai doni di natura, dal proprio carattere, più o meno gradevole, dalla propria intelligenza. Bisogna purificarsi perfino dalla preoccupazione della nostra perfezione morale, nella misura in cui è la nostra perfezione. Bisogna tendere alla perfezione, ma non bisogna tendervi quasi a una forma di autoaffermazione. Non bisogna voler essere santi più di quanto Dio stesso ci comandi di esserlo.
E la purificazione dev’essere totale: non ammette eccezioni o sconti. Il padre Lallemant – grande maestro di spirito del ‘600 francese – diceva: «Poco importa se ciò che trattiene un passero è una corda o solo un filo di seta. Finché il filo di seta non si spezza, il passero non può volare».
P. Alessandro Scurani S.I.
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