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Piccolo trattato di vita spirituale – IV

2 Giugno 2013 | Filed under: Spiritualità
     

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La trasformazione dei sentimenti e dei desideri

Si tratta di scoprire che esistono altri valori, diversi da quelli che sono oggetto del nostro desiderio naturale, e di imparare ad apprezzar­li, fino a preferirli a tutto. Modello di questa trasformazione dei sentimenti è la donna sama­ritana che Gesù incontra al pozzo di Giacobbe.

Dalle parole di Gesù scopre improvvisamente un mondo di valori che le era sconosciuto e che esercita su di lei un’attrattiva straordinaria, capace di annullare le altre attrattive, che fino a quel momento avevano guidato la sua vita. Una trasformazione radicale conosce anche la pec­catrice di Magdala e forse la donna sorpresa in adulterio, toccata dalla profonda bontà di Ge­sù. Per non parlare di tutti i discepoli e aposto­li, strappati dall’esempio mirabile di Cristo dal­le loro considerazioni mondane, dalle loro va­nità.

Il dinamismo del nostro desiderio naturale è descritto in breve da san Giovanni, quando ci esorta a combattere contro le tre concupiscen­ze del mondo: «Concupiscentia carnis, concu­piscentia oculorum et superbia vitae», concupi­scenza della carne, concupiscenza degli occhi e superbia della vita (1 Gv 2, 16). Possiamo vede­re adombrate in queste tre concupiscenze le tre attrattive fondamentali della vita di ogni uomo: il bisogno degli affetti familiari; l’attrattiva per le ricchezze e le comodità; l’istinto della pro­pria autoaffermazione e del potere all’interno del gruppo sociale.

La trasformazione dell’esigenza affettiva av­viene quando l’uomo si convince che è Dio l’oggetto primo di ogni suo vero affetto. Tutti gli altri affetti sono da sé soli insufficienti a sod­disfarlo. Perciò l’amore di Dio dev’essere mes­so al di sopra di ogni altro amore. Questa con­vinzione porta non solo ad affermare la priorità dell’amore per il Signore, ma in qualche modo anche la sua esclusività.

Non c’è nessun altro amore che possa entrare in competizione con l’amore di Dio. Tanto che alcuni decidono di scegliere Dio come oggetto unico del loro amo­re, rinunciando spontaneamente agli affetti fa­miliari, come fece Gesù stesso. Altri, pur sce­gliendo la vita coniugale e familiare, affermano il valore dell’amore naturale in quanto è figura e via per andare a Dio.

L’amore per l’uomo non è un valore sul quale ci si possa attardare: è forma viale e mediatrice per passare oltre. L’amore umano diventa segno sacramentale, ef­ficace di un amore più alto. Non per nulla san Giovanni presenta l’amore reciproco come il luogo privilegiato in cui trovare Dio, il segno certo che il suo amore è in noi (1 Gv 4, 7). L’amore del seguace di Cristo o è carità o è so­lo impropriamente amore.

Anche il desiderio delle ricchezze è una del­le molle più efficaci dell’agire umano. Lottare contro questa concupiscenza vuol dire modera­re il desiderio insaziabile di possedere. Ciò di­venta più facile per l’uomo che ha posto in Dio la sua unica ricchezza. È Dio la vera e sola sicu­rezza dell’uomo, ma Dio non vuole entrare in concorrenza con le altre false sicurezze. Predilí­ge il povero, che non ha altro valore a cui affi­darsi.

Gesù stesso ha scelto costantemente la via della povertà e della spogliazione, proce­dendo serenamente secondo le indicazioni del Padre, senza essere debitore a nessuno di qual­che privilegio o senza sentirsi creditore nei confronti di qualcuno per la sua maggiore ric­chezza o capacità.

Perché la ricchezza economica è quasi sem­pre legata all’importanza sociale: essere qualcu­no, avere potere, autorità. È qui che s’innesta la terza concupiscenza: la superbia della vita. Af­fermarsi, far carriera è un’altra delle grandi at­trattive dell’uomo. Comandare agli altri, supe­rarli in autorità e potere. Gesù ha scelto la via dell’umiltà e del servizio perché più palese fos­se che la sola, grande autorità è quella del Pa­dre, il quale non ha preferenze per nessuno, an­zi predilige i poveri, gli umili.

In loro trova mi­nore resistenza al suo volere supremo, in loro più docile è la sottomissione ai suoi incom­prensibili disegni. L’uomo abituato a comanda­re, a decidere, a calcolare rinuncia infatti diffi­cilmente a discutere con Dio, a pretendere di capire, a contrattare il proprio assenso.

P. Alessandro Scurani S.I.

     

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