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Piccolo trattato di vita spirituale – II parte

22 Gennaio 2013 | Filed under: Clero, Spiritualità
     

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La purificazione – La purificazione è la prima condizione di ogni perfezione. È elemento negativo, che com­porta perdita, sacrificio, ma non possiamo fare a meno di essa. Si tratta di purificarci non da alcune cose, ma da tutte le cose. Gesù ha espresso questa necessità di purificazione totale dicendo: «Chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà» (Lc 9,24).

Bisogna purificarsi dall’attaccamento ai beni esteriori, ma anche da quelli interiori, dal pro­prio corpo non meno che dalle proprie ricchez­ze. Dai beni materiali, ma anche da quelli spiri­tuali, dalla propria cultura e dalle proprie abili­tà, dai doni di natura, dal proprio carattere, più o meno gradevole, dalla propria intelligenza. Bisogna purificarsi perfino dalla preoccupazio­ne della nostra perfezione morale, nella misura in cui è la nostra perfezione. Bisogna tendere alla perfezione, ma non bisogna tendervi quasi a una forma di autoaffermazione. Non bisogna voler essere santi più di quanto Dio stesso ci comandi di esserlo.

E la purificazione dev’essere totale: non am­mette eccezioni o sconti. Il padre Lallemant – grande maestro di spirito del ‘600 francese – diceva: «Poco importa se ciò che trattiene un passero è una corda o solo un filo di seta. Fin­ché il filo di seta non si spezza, il passero non può volare».


Il peccato come attaccamento alla vita – Purificarsi vuol dire morire un po’ ogni gior­no a se stessi. Ma a noi la morte ripugna. La morte è l’estrema passività dei nostri desideri, è l’abdicazione totale dai nostri progetti. Sta qui la radice di ogni nostro peccato: non vogliamo morire, non vogliamo rinunciare alle realtà di cui è piena la nostra vita. Ogni nostro peccato nasconde questo spasmodico attaccamento alla vita.

Dice la lettera agli Ebrei a proposito del mi­stero dell’Incarnazione: «Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch’egli [il Figlio di Dio] ne è divenuto partecipe per ri­durre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita» (Ebr 2, 14-15).

Purificarsi dal peccato significa, dunque, liberarsi da questo timore angoscioso della mor­te, che è la catena con la quale lo spirito del male ci tiene legati a sé. Morte e peccato sono realtà tra loro congiunte non solo perché la morte è metafora e conseguenza del peccato, ma perché c’è un rapporto reale tra peccato e rifiuto della morte, come estrema spogliazione di tutti gli egoismi naturali dell’uomo.

Una via ardua, in salita La purificazione dal peccato vero e proprio è solo il primo passo di un cammino lungo e fa­ticoso. San Giovanni della Croce descrive con precisione le varie tappe di questo cammino in salita: dall’oscuramento della sensibilità e del­l’immaginazione, alla perdita dell’intelligenza o dello stupore intellettivo, al calare delle tene­bre più profonde. Dio è oltre tutto ciò che l’uo­mo può sentire, immaginare, comprendere, de­siderare con le sue sole forze naturali.

L’uomo spirituale va di crisi in crisi, penetrando pro­gressivamente in un vuoto che lo spaventa. Per­ché si tratta di chiudere progressivamente gli occhi alla luce che lo ha guidato fino a quel momento per penetrare sempre più a fondo nell’oscura notte della fede. Notte avara di emozioni, di consolazioni, di conforto. Si tratta di «passare da una luce che è tenebra a una te­nebra che è luce», come dice san Gregorio Nis­seno.

Ma questa notte oscura che l’uomo spiritua­le deve attraversare ha i suoi tempi e le sue ore: l’ora del buio profondo nel pieno della notte e l’ora che conosce i primi bagliori dell’alba or­mai prossima. Sono i preannunci della luce. Al vuoto totale, all’assenza e al silenzio completo di Dio per i nostri sensi e per la nostra intelli­genza, ecco che succede una presenza nuova, ancora oscura, ma che s’illumina man mano in forza di una fede sempre più sicura e perspi­cace.

L’uomo spirituale avverte un bel giorno, im­provvisamente, che il Signore è vicino e lo chia­ma: «Il Maestro è qui e ti chiama» (Gv 11, 28).

P. Alessandro Scurani S.I.


     

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