Morire a se stessi per vivere in Cristo
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Piccola premessa: tutto quello che ho scritto è ciò che ho sperimentato durante il mio cammino di conversione iniziato a Medjugorje nel 2010 sotto la guida di Don Gaetano, filtrato attraverso la lente del Vangelo: ho cercato di dare un senso agli eventi della mia vita in questo modo, l’unico modo che ho ritenuto idoneo, possibile, trasfigurando la mia vita per intravedere Dio dietro ciò che mi accadeva
Quando parlo dei miei genitori desidererei che una cosa fosse chiara: sono stati dei genitori splendidi, mi hanno dato tutto ciò di cui ho avuto bisogno, hanno sempre creduto in me, mi hanno dato tanto amore e lodo Dio per avermeli donati, così come sono, perché mi permettono di avvicinarmi a Cristo. Capita, durante la mia testimonianza, che io ne sottolinei lati non proprio positivi: sono stata costretta a farlo per focalizzare l’attenzione sul modo con il quale Dio si manifesta nella vita di ognuno per trarne il buono che c’è, anche e soprattutto nei momenti bui del nostro peregrinare sulla terra.
Dopo la loro separazione sono diventati più fragili e hanno iniziato a chiedere amore e sostegno, aiuto, alle loro figlie per avere la forza di superare i loro limiti. Ho sentito di essere chiamata in prima persona a fare questo e a ricambiare tutto l’amore che mi hanno dato, andandogli incontro anche quando non è così facile. Li amo e loro amano me.
Sono passati due anni dall’ultima volta che i miei piedi toccarono quella terra santa, quell’angolo di Paradiso che il Signore ci ha donato. Quell’ultima volta a Medjugorje fu importantissima per me, perché capii davvero come Dio era intervenuto nella mia vita, senza che io me ne accorgessi, dandole un senso, trasfigurandola; capii che in cielo c’è un Padre che mi ama per quello che sono, che mi dona il suo Amore così che io possa donarlo agli altri a mia volta; capii di essere Figlia di Dio.
Tornata a casa cavalcai per altri due anni circa le ultime propaggini degli effetti benefici di Medjugorje, fino a che cominciò di nuovo ad insinuarsi in me la rabbia. In particolare, avevo scontri continui con mio padre e mia madre, relativi ad alcuni loro comportamenti che io ritenevo oggettivamente sbagliati e che loro invece continuavano a giustificare.
A mia madre imputavo la mancanza di quella forza tipica delle madri nel prendere delle decisioni. A mio padre la tendenza a voler svincolarsi dalle sue responsabilità e ad essere a volte troppo egoista e irrispettoso nei confronti delle persone che gli sono vicine … Sono andata giù con parole durissime! In generale, a casa si respirava un certo nervosismo, dovuto, tra le altre cose, al fatto che stavo passando dalla sfera dell’accettazione e quindi dell’Amore a quella dell’orgoglio, del giudizio, del possesso degli altri e dei loro comportamenti, del voler avere il controllo su tutto.
Capita, a volte, di ritrovarsi genitori dei propri genitori, per i più svariati motivi. I miei genitori, inconsapevolmente (e in primis il Signore) mi stavano chiedendo questo, ma per me si trattava di una cosa assolutamente inaccettabile; mi sentivo ancora troppo figlia loro e probabilmente troppo poco Figlia di Dio per calarmi in quel ruolo. Pregavo, ma per chiedere la conversione altrui e non mi accorgevo che invece ero io ad avere bisogno di tornare all’origine, a quello che mi era stato insegnato a Medjugorje; puntavo il dito contro la pagliuzza che era nell’occhio del mio fratello, ma non riuscivo a vedere la trave che era nel mio; pregavo, ma non ottenevo risposta, la mia preghiera sembrava sterile, era come un boomerang: non avevo ancora trovato la chiave giusta per aprire la porta che sbarrava il mio cammino e che mi impediva di proseguire.
Il Signore ovviamente mi ascoltava, ma non mi dava quello che chiedevo perché aveva qualcosa di meglio da darmi per farmi crescere. Io, intanto, avevo smesso di fare qualunque cosa semplicemente per amore dell’altro e di Dio; stavo rifiutando questa piccola, piccolissima Croce (anche se per me molto impegnativa) che
Gesù mi stava donando e con essa anche la Grazia per poterla sopportare. Perché quando il Signore ci dona la croce ci dà sempre anche la Grazia necessaria per sostenerla, basta avere fiducia in Lui.
Ho sentito dire, una volta, che ci sono tre approcci di fronte alla prova: il primo è di chi cerca le forze in se stesso e si accorge presto, di fronte a situazioni delicate, di non avere queste forze e quindi diventa arrogante, si arrabbia con il mondo e alla fine si arrabbia con Dio; il secondo è di chi si lascia schiacciare dalla situazione e va subito in depressione; il terzo approccio è di chi vede la sofferenza come Dio che ti invita a ballare e tu, solo per fede, inizi a ballare, poi ti accorgi che sì, la sofferenza c’è, però c’è pure tanta gioia, tanta pace. Credo che in quella fase il mio approccio fosse un ibrido dei primi due!
Don Gaetano, da conoscitore profondo dell’animo umano, da uomo che guardandoti negli occhi, ascoltando la tua voce, riesce a raggiungere il tuo cuore e scoprire cosa ti sta succedendo, aveva capito tutto: che mi ero impigrita, che pregavo di meno, che cedevo facilmente alla tristezza e alla rabbia per le cose che mi capitavano …!
L’ho raggiunto a Civitanova, in un pomeriggio dell’estate appena trascorsa e, in macchina, durante il tragitto che stavamo percorrendo per arrivare al lungo mare, mi ha detto: “Giulia, fatti una domanda: chi sono?” Risposi che non lo sapevo. Stavo dimenticando di essere amata da Dio e di essere in primo luogo Sua Figlia. Cominciò il suo discorso, iniziò da molto lontano. Mi portò tantissimi esempi tratti dai Vangeli. Lo lasciai parlare ascoltandolo attentamente, non dissi una parola per circa un’ ora e alla fine mi chiese: “Hai capito cosa sei chiamata a fare? Devi …” “Morire a me stessa”, risposi.
“In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,20-33).
Mi ritrovo molto nell’immagine del chicco di grano che per dare frutto deve morire. Gesù è morto a se stesso quando è stato crocifisso, alla sua volontà, accettando la volontà del Padre per portare frutto … per Amore. Noi cristiani dobbiamo schiuderci come il chicco di grano per portare al mondo la Luce che abbiamo dentro, che Cristo ci ha donato. Altrimenti che cristiani pretendiamo di essere?
A chiunque piacerebbe costruire (come voleva fare Pietro sul Tabor) una bella capanna in cima al Podbrdo per poter godere di quella pace. Ma siamo chiamati a tornare nel mondo e a testimoniare con i fatti quello che abbiamo visto, a prendere quindi la nostra croce e seguire Gesù. Altrimenti la nostra fede rimane infeconda, il nostro pellegrinaggio a Medjugorje rimane infecondo: il chicco non muore e non porta frutto! Rimane un chicco di grano egoista destinato a restare solo.
Questo è quello che il Signore mi chiedeva, di morire a me stessa, alle mie presunte ragioni, di schiudermi, di sforzarmi di fare la sua volontà e non la mia, nelle cose di ogni giorno e nei confronti delle persone a me vicine che rendevano il tutto più difficile. Mi chiedeva di accettare ed accogliere con docilità le persone che fanno parte delle mia vita, anche quelle più “scomode”, senza chiedermi continuamente il perché delle loro azioni e soprattutto senza giudicarle …
Proprio come avevo fatto qualche anno prima col suo aiuto! Di rendermi conto che queste persone sono un dono e che non mi appartengono, che non devo cercare in nessun modo di possederle e che possono arricchire enormemente la mia vita così come Dio le ha create! Soprattutto mi diceva di non temere perché con Lui accanto nulla è impossibile! Sapete quante volte c’è scritto nella Bibbia non temere? 365, una per ogni giorno. Ogni giorno il Signore ci dice: “Non temere, affidati a Me”.
E forse il punto è proprio questo: dovremmo smettere di voler capire a tutti i costi, di ragionare come siamo soliti fare, di voler trovare soluzioni umane alle cose che ci accadono … E iniziare a trasfigurare la realtà che ci circonda, i fatti che ci accadono con la lente del Vangelo, a non fermarci all’apparenza, ad affidarci, a fidarci di Gesù che non ci lascia mai a bocca asciutta, proprio come fecero i servi alle nozze di Cana: dobbiamo semplicemente riempire le giare d’acqua, poi ci penserà Lui a trasformare l’acqua in vino, a sorprenderci, a meravigliarci!
Non ci chiederà mai di impegnarci in imprese ciclopiche, però ci dice di accettare quello che ci dà perché tutto è dono, anche quello che non ci piace e che niente c’appartiene veramente. Di accettare anche la croce, dunque, che è la via per il Paradiso, per la santità … La croce che, se portata con Lui, non è poi così pesante …
“Venite a Me voi tutti che siete affaticati e oppressi, e Io vi darò riposo. Prendete su di voi il Mio giogo e imparate da Me, perché Io sono mansueto e umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre; poiché il Mio giogo è dolce e il Mio carico è leggero” (Mt 11:28)
Ci insegna che la sofferenza non è una zavorra insopportabile che ci fa schiamazzare a terra e ci fa perdere la gioia di vivere, bensì un’opportunità meravigliosa che ci viene donata. E se sceglieremo di condividerla con Lui porterà molti frutti e ci sembrerà più leggera! Potenzialmente, in ogni istante siamo chiamati a dire il nostro sì a Gesù con amore, soprattutto nella quotidianità delle nostre giornate. Ogni sì che diciamo è un assaggio d’eternità e tutti questi sì uniti insieme alla fine formeranno una sottile ma resistentissima catena che ovunque ci condurrà, possiamo essere sicuri che sarà Cielo.
Giulia
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