Missioni – Le lucerne accese
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Le lucerne accese
P.O. PROPAGAZIONE DELLA FEDE
Via Propaganda I/c – 00 187 Roma
RICHIAMI DI VITA CRISTIANA
Se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove (2 Cor 5, 17)
Dovete deporre l’uomo vecchio con la condotta di prima (nel paganesimo), l’uomo che si corrompe dietro le passioni ingannatrici; dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente e rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera…
Non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, con il quale foste segnati per il giorno della redenzione… Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce…
Cercate ciò che è gradito al Signore, e non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre, ma piuttosto condannatele apertamente (cf Ef 4, 22-24; 4, 30; 5, 1.8-10) (Parola di Dio)
1. Gesù, il Cristo
Ciò che segue è un insieme di richiami generali che o convergono verso un vivo centro o s’irradiano da esso.
Una dedizione missionaria deve fondarsi necessariamente sulla vita cristiana, vissuta con serietà e fedeltà. Ci si esamini personalmente; si verifichi ogni giorno se il procedere della nostra esistenza corrisponde alle esigenze del Vangelo; questo è necessario per dare una pienezza di significato all’impegno missionario. Non ci si dona alle Missioni, non si aiutano gli uomini ad incontrarsi con Cristo per ottenere la salvezza, se trascuriamo per noi stessi questa «salvezza eterna», non possedendola, non rafforzandola e non diffondendola ogni giorno. Il richiamo più commovente ed urgente resta invariabilmente questo:
Conosci, ama, segui Gesù, il Cristo, il Figlio del Dio vivente (cf Mt 16,13-28)……..
– Devi professare verso Gesù la fede nella sua umanità e nella sua divinità: in questa contemplazione, adorazione e abbandono a Gesù nasce l’intimità di vita con Lui, la gioia che non è umana (= della carne e del sangue), e la missione, che niente arresterà (= le forze degli inferi non prevarranno).
– Devi, inoltre, professare la tua fede in Gesù – continuamente andando – davanti al mondo, alle genti, ad ogni creatura, perché non puoi nascondere la luce «sotto un vaso o sotto un letto» (cf Lc 8,16), perché «chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo» (cf Mc 16,15-16).
Questa missione ti prende tutta la vita, non finisce mai e deve arrivare dove le frontiere cessano e l’universalità diventa «unità».
La nostra fede è una Persona, il nostro amore è una Persona, la nostra speranza è una Persona, la nostra salvezza è una Persona.
E’ Gesù di Nazareth, che è vivo e sta in mezzo a noi, è in noi, che siamo la sua comunità, il suo Corpo mistico, la sua Chiesa.
La sua Chiesa non è esauribile alla nostra indagine, tuttavia questo «vivente mistero» della pienezza di Cristo «in noi» e di noi «in Cristo» va esplorata incessantemente solo con la fede, l’obbedienza e l’amore. Gesù, inoltre, vive anche in mezzo alla nostra umanità universale, in ogni parte del mondo, perché Egli con la sua incarnazione si «è unito, in una certa misura misteriosa, ad ogni persona della terra» (cf GS 22). Nella Chiesa Gesù vive la pienezza del suo mistero pasquale; nell’umanità, ancora non cristiana, Gesù vive come nel silenzio, nel nascondimento, nell’attesa di Nazareth; perciò è martoriato dall’urgenza, da una fretta che noi non comprendiamo. Quando ci decidiamo a condividere la sua ansia affinché sia conosciuto da tutti? Colui che è il tutto della nostra vita è Gesù. Egli è il nostro amore infinito; è il valore assoluto.
E’ semplicemente la nostra salvezza! E’ l’amore folle.
Ora puoi leggere ciò che segue. E viverlo! E puoi aiutare con entusiasmo e pazienza dolcissima gli altri a vivere di Lui.
Consuma la tua esistenza – ovunque si svolga – nel fuoco dello Spirito Santo per far conoscere ed amare il Cristo e la sua Chiesa. Suscita apostoli numerosi per questa missione.
Con l’aiuto della Madonna, Maria di Nazareth.
2. Grazia santificante
Nel cuore di ogni battezzato bisogna riscoprire un «tesoro nascosto» (Mt 13,44-46): la vita di grazia. E se fosse stato rubato, occorre riportarvelo. Gesù Cristo offre a ciascuno – all’inizio della «nascita cristiana» – la «vita della grazia» che è come una concentrazione della sua redenzione.
Questa «vita divina» – embrionale nel battesimo – se trova la corrispondenza dovuta lungo il salire degli anni, produce in crescendo l’uomo «purificato», l’uomo «divinizzato», fa fiorire la santità nella sua pienezza terrena ed eterna.
Il cristianesimo ha apportato nel mondo una novità «originale ed assoluta»: la novità della «vita divina» deposta, innestata e seminata nel cuore dell’uomo.
Da questa immensa «realtà divina» – che è partecipazione della stessa vita trinitaria (cf 2 Pt 1,4) – deriva la nuova condizione della creatura umana e la sua altissima dignità:
«Tutti voi, infatti, siete figli di Dio, per la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo (= immersi in Cristo), vi siete rivestiti di Cristo.
Non c’è più giudeo o greco (italiano o francesce, europeo o africano…), non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo o donna, poiché voi siete UNO in Cristo» (Gal 3,26-29).
La «vita di grazia» è il più radicale, interiore, totale, rifacimento dell’uomo ad opera dello Spirito Santo.
La grazia ha molti nomi biblici: «uomo nuovo», «vita nuova», «vita eterna», «vita in Cristo», «vita nello Spirito», luce, ecc.
Ancora un significativo riferimento biblico rivolto ai battezzati:
«Un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità» (cf Ef 5,8)…
Ogni formazione cristiana, ogni specie di apostolato, ogni sincera maturazione di fede, l’autenticità dell’essere cristiano deve sempre avere come sorgente, centro e sviluppo la «vita di grazia» che altro non è se non Gesù Cristo, che «vive in noi, si forma e cresce in noi» (Gal 4,19)…
«La vita di grazia», inoltre, è intuita in modo abissale dalla persona che sa di essere tempio spirituale e vivente del Dio Amore. Infatti chi segue ed ama Gesù si trova di fronte ad una vertiginosa rivelazione e donazione che è la comunione del Dio Trinità con la sua creatura: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà, e noi verremo a Lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23).
La «grazia santificante» è davvero il tesoro nascosto di fronte alla quale tutti gli altri beni materiali impallidiscono e svaniscono…
3. Santità
Vi sono molti modi di descriverla e di viverla. Ne indichiamo alcuni:
– la presenza scoperta e corrisposta in me della SS. Trinità;
– la vita di grazia, che diviene il mio assillo;
– l’ansia di amare Dio con tutto ciò che sono, che vivo e mi appartiene;
– una fuga avvertita e voluta dal mio tempo verso l’eternità, per cui sulla terra sento di essere ospite e cerco la mia patria che è il cielo;
– avverto di portare nel mio cuore nel mezzo delle vicende abituali tutto il Paradiso, con la sua gloria eterna e immortale;
– mi sento, pur nella fragile e povera carne umana, «tempio dello Spirito Santo»;
– come Maria di Nazareth, bramo di passare la mia vita nel magnificare il Signore sulle strade del mondo, anche su quelle del Golgota…
– Il Dio vivente, ossia il Padre, Gesù, lo Spirito Santo: ecco la mia fame e la mia sete; la mia gioia e la mia attrazione; la mia ricerca e la mia felicità; il mio tormento, la mia corsa e il mio riposo; la mia intimità e la mia solitudine con un universo popolato di miriadi di esseri che cantano la gloria della Trinità…
– Dio è in me: il Regno di Dio in me è anche il «lievito» possente che va fermentando la storia universale…
– Dio è Amore; in Lui capisco perché esisto. Comprendo pure cosa vale la vita e per che cosa bisogna donarla.
– Amare il prossimo con il Cuore di Cristo, prodigandomi senza risparmio, perché voglio nell’altro veder brillare il volto di Gesù.
– Diffondere la fede: ecco la mia inquietitudine. Davanti a moltitudini di anime che sono nell’errore sento che devo evangelizzare fino a dare il sangue.
– Sento il fascino della povertà, della croce di Gesù; così voglio salvare il mondo e trovare letizia perfetta.
– Sento il peso dei peccati del mondo, il timore che vi siano dei peccatori, miei fratelli, che corrono il pericolo di perdersi; allora prego, riparo per loro, consolo il Cuore di Cristo e offro me stesso e quanto posso per salvarli…
– Tutto mi spiego alla luce di Dio, tutto riferisco al Padre; godo anche nella sofferenza, Lo amo di più anche nella mia croce; la sofferenza diviene un dono di amore a Lui; non saprei vivere senza il sacrificio, perché l’amore per il Padre si nutre del «sì totale» a Lui ogni momento.
Chi mi insegna tutto ciò, chi vive con me e in me, chi mi ama senza fine e mi salva in ogni momento è sempre Gesù.
Gesù è fratello, amico, maestro, sposo (vi sono nella Scrittura oltre cinquanta titoli con cui possiamo chiamarlo); insomma, Gesù è Salvatore, è tutto…
Si è detto abbastanza cosa sia la santità? No, certamente!
Comunque la santità è l’assillo in me per Gesù, il Padre e lo Spirito Santo.
E’ la continua azione di amore su di me da parte di Gesù che, effondendo su di me lo Spirito Santo, mi purifica e mi identifica a sé per glorificare il Padre e salvare il mondo.
E’ sentire e sperimentare su di me l’Amore misericordioso di Dio, il Vivente; è sentirmi spinto ed obbligato ad amarlo con tutte le forze, fino a dare la mia vita per Lui, ma anche per gli altri… per portarli a Lui.
Questo è il Regno di Dio in me e in ogni cuore apostolico!
4. Salvezza delle anime
Il destino (= scopo) dell’esistenza di tutti in qualunque parte del mondo e di ogni condizione e tempo, è fuori del tempo; è eterno.
Ogni esistenza umana sulla terra è fatta per superare il tempo e raggiungere il cielo, che è la visione beatificante del Dio Trinità.
Solo chi raggiunge la vita eterna raggiunge lo scopo per cui è stato creato.
Dio è il fine di tutti. E’ l’unico fine, assolutamente. L’ateismo è una tragedia, una follia, un inferno.
Il peccato è un allontanamento dal Dio vivente e una disintegrazione della persona, con le conseguenze della menzogna più alienante e dell’infelicità più radicale.
La preoccupazione che deve accompagnare ogni tua giornata, ma anche il riposo notturno, la missione che deve divenire a mano a mano lo scopo dell’esistenza, non solo personale, ma da rivelare a tutti, è questa: portare gli altri a Dio, ossia salvarli per l’eternità.
Gesù è venuto sulla terra per salvare tutti, per ricondurci al Padre, per farci intuire e pregustare l’attesa e la festa che ci farà quando andremo da Lui.
Ogni anima – che si chiama apostolica – vive per questo: voglio salvare gli altri, voglio che Dio sia amato da tutti, voglio far innamorare tutti del Dio Vivente, voglio che gli altri sperimentino la dolcezza del perdono divino, la libertà di vivere nel suo amore, la sicurezza dell’esistenza quando questa poggia sulla volontà del Padre, che è così piena di attenzioni per noi…
Quando l’anima è afferrata dall’amore di Dio, sente solo un forte impegno: far amare il Dio vivente da tutti, anche in Giappone… anche nel mio palazzo… anche per la strada… nel lavoro, in ospedale, nel bar…
E’ chiaro, allora, ciò che mi deve caratterizzare: far venire o scoprire il Regno di Dio negli altri. Non si può vivere, quindi, che per questo: Dio sia con la sua festa di Amore infinito nel cuore di tutti! Dovunque nel mondo!
5. Impegni quotidiani
Non basta conoscere le immense verità cristiane e limitarsi a desiderarle… Bisogna fare una programmazione ordinata per attuarle. Non basta dire: è bello!…
Bisogna ad ogni circostanza ricordarle e passare all’azione. La prima ed elementare decisione è questa: devo organizzare la mia giornata e rispettarne gli impegni assunti.
Ecco alcuni impegni da assolversi in tutte le situazioni: – Liturgia delle ore
La preghiera di Cristo e della Chiesa deve divenire il respiro santo e universale, che eleviamo a Dio come lode, adorazione, ringraziamento, richiesta di perdono e invocazione d’ogni specie di aiuto per le esigenze spirituali ed esistenziali.
In Gesù ci rivolgiamo al Padre con la Chiesa per tutta l’umanità. Non v’è dono missionario più grande che facciamo al mondo ogni giorno della Liturgia delle ore, dopo il sacrificio della Messa.
– Meditazione personale
Bisogna che ogni giorno si trovi il tempo per meditare, almeno per mezz’ora. Sarà di mattina presto, sarà alla sera… Ognuno deve trovare il «suo tempo»…
E anche trovare il libro adatto.
La meditazione serve per fissare, assimilare, amare, gustare le «verità» della fede: siamo purtroppo superficiali, emotivi, metereopatici, lunatici, altalenanti… Bisogna invece andare avanti nella vita con le «convinzioni» e le «decisioni» forti, nella verità. Senza la «verità», il risultato è la schiavitù.
Quanta gente vive così: «me la sento, non me la sento; mi piace, non mi piace; fanno tutti così…; oggi sì, domani no; forse… mah!… gli oroscopi, il piacere, il denaro, ecc…».
Bisogna farsi guidare solo dalla verità, che è poi la fede. La fede è compiere la Volontà di Dio in noi e attorno a noi!
Bisogna costruire energicamente la propria persona e la propria vita nel «sì» gioioso e profondo a Dio.
E valorizzare, fino all’eccesso – cosa che è sacrificio, è umiltà – la propria volontà e la propria intelligenza; i sentimenti non bastano; i sentimenti vanno educati, purificati, e sempre sintonizzati con il «sì» totale della persona al Dio vivente.
– Eucaristia quotidiana
Gesù è sull’altare; come faccio a farne a meno? Come faccio a non andare da Lui, se Lui è il mio Amore? Se Lui è qui, per me, come non tenerGli compagnia?
Andrò anche con la febbre, anche facendo 100 Km a piedi, solo di andata… se credo che Egli è il mio Amore folle. E Gli porterò sempre più splendida la mia bellezza interiore, l’assenso al suo volere, il coraggio dell’adesione alla sua missione da continuare…
E i miei difetti? Lui li scioglie come fa il sole con la neve …
– Rosario quotidiano
Esso non è una vecchia abitudine; né è una preghiera meccanica e noiosa. E’ una preghiera contemplativa. Il cuore si fissa sui «fatti» enormi della vita di Maria, di Gesù, della Chiesa… Ogni giorno questa preghiera, che riempie tanti momenti, è soavissima. E’ anche una comunione con la Donna più bella e più decisiva del mondo…
Quando si prega con il s. Rosario, non si può fare a meno di riflettere, sentire, decidere: a questa scuola si apprende come salvare e trasfigurare se stessi, il mondo…
Solo una giornata vissuta così aiuta a stare sereni. E’ impostata bene!
E si giunge alla sera con il diritto di riposare sotto le ali della protezione divina.
6. Momenti della verità
– Esame di coscienza
Gli esami per lo più provocano tensione e paura. Questo, invece, infonde la pace.
Alla sera esàminati davanti a Gesù:
Come hai amato gli altri: nei pensieri, parole, servizio; nel far piacere se è opportuno, nello scusare, nel condividere, nel rispettare, nel pregare, ecc…
Se sei vissuto personalmente con dignità: hai vigilato sulla castità o sulla verginità nei pensieri, parole, sguardi, discorsi, gesti, azioni, letture, divertimenti, amicizie…
Sulla fede: sta crescendo perché l’alimento, la difendo, l’approfondisco, la domando a Dio, ne ringrazio Lui, la professo, o invece va sbiadendo…
Se sono coerente: l’uso del mio tempo… il dovere del mio stato, la responsabilità verso la società… l’uso del mio o altrui denaro; la vanità; i complessi d’inferiorità, invidie, scoraggiamenti…
Sono pronto – anche oggi – a morire, a vedere Dio, a lasciare la terra?
La volontà di Dio mi dona stabilità, fortezza di carattere… lealtà, creatività…
– Sacramento della penitenza
Questo sacramento della gioia deve divenire pian piano per l’anima un appuntamento settimanale o quindicinale. Non v’è bisogno che la confessione sia lunga, complicata.
Sia invece sincera; batta su difetti reali da correggere; si eserciti sulla fedeltà ad uno sforzo di miglioramento spirituale e professionale; non sia generica, ma concreta; sia un desiderato incontro con Gesù vivo…
Bisogna badare più a Cristo che al confessore; bisogna ritener più importante il mio sforzo rinnovato di quello che può dirmi o meno il confessore, anche se non lo conosco…
Meglio se lui mi conosce e mi tratta adeguatamente, con brevità e saggezza, per correggermi.
Ci vuole fede nella confessione; per questo occorre prepararsi bene e poi fare sempre una «penitenza» forte; un vero sacrificio che mi costa… di mia scelta, oltre la piccola «penitenza» indicata dal confessore…
– Direzione spirituale
Bisogna prima di tutto pregare per il direttore spirituale.
Nella direzione spirituale occorre portarvi tanta fede, perché essa serve per riconoscere la verità di Dio, la volontà di Dio… E’ veramente una relazione di fede…
Bisogna, poi, semplificare la direzione come tempo, semplicità, apertura, sincerità, maturità, libertà; non è un surrogato affettivo, ma è un aiuto per stare e camminare nella volontà di Dio… Né deve creare dipendenza, ma slancio al bene; non è un rifugio, ma una provocazione al più nel cammino verso la santità.
Ci salva nei momenti di crisi…
Nella vita spirituale il direttore attua la mediazione della Chiesa, ossia di Cristo che vive nella Chiesa…
– Ritiro mensile
Questo appuntamento mensile, nel silenzio e nella solitudine della propria anima – anche se si svolge in gruppo – va pure ritenuto necessario.
E’ uno spazio di preghiera, un incontro speciale con il Padre, Gesù, lo Spirito Santo, Maria, la Chiesa, il mondo delle anime, la mia anima (che io posso facilmente trascurare!).
– «Esercizi spirituali»
Gli «esercizi spirituali» riguardano un periodo di tempo prolungato e forte, molto importante per la vita dell’anima e per crescere apostolicamente… Vanno fatti almeno una volta l’anno per un conveniente tempo di solitudine…
Essi esigono di essere vissuti in un silenzio e un isolamento completo, in un «tu a tu» con Dio, in un’esercitazione interiore ogni volta graduale secondo le tre tappe classiche: purificazione, illuminazione, unione con Dio.
7. Luci sulla strada
– La Bibbia
Non bisogna essere sbrigativi con la Parola di Dio, perché così saremmo superficiali.
La Bibbia va considerata il vero Libro, l’unico e il solo necessario nel mondo.
E’ Parola viva di Dio diretta a noi nella quale è contenuta la verità su Dio e anche su di noi.
Per arrivare a farsi una coscienza ed a normalizzare una atmosfera e una esperienza di fede ci vuole tempo – tenacia – purezza – umiltà – preghiera continua; quasi una ostinazione d’amore…
C’è chi si accosta alla Bibbia e vorrebbe in un giorno capire tutto. Quanta ignoranza, manipolazione spesso, quanto poco rispetto si hanno verso questo Libro, che non è un libro, ma è una viva «storia di salvezza» in un incessante divenire che ci coinvolge tutti! Accompagnerà la Chiesa e le generazioni fino alla fine dei tempi. Poi cesserà, perché avremo la «visione»…
No, non è un libro, è un Maestro vivo ivi nascosto: «Scrutate le Scritture… esse mi rendono testimonianza» (Gv 5,39). Ma c’è un’esperienza da fare: la Bibbia si ascolta, si legge, si medita e si vive nella Chiesa, con la Chiesa, per mezzo della Chiesa…
– La Madonna
Se non la amo con tutta la mia persona, come posso essere cristiano?
Bisogna avere Maria di Nazareth sempre davanti agli occhi dell’anima, come una donna viva, reale, concreta, meravigliosamente Donna…
Maria di Nazareth non è lontana, non è un’immagine vaporosa, non è evanescente…
Ella è reale; è in carne ed ossa; è una donna decisa, profondissima, capace, con uno sguardo vivo, uno stile di comportamento naturalissimo e insieme dignitosissimo…
La sua bellezza è un abisso di interiorità…
Con Lei, Dio ha cominciato il cielo nuovo e la terra nuova (Ap 21,1). Maria di Nazareth, però, è anche lo specchio del futuro di questo Regno di Dio, che ora si va compiendo umilmente sulla terra ed alla fine della storia esploderà in vittoria per la gloria della SS. Trinità e per la redenzione dell’umanità.
– La Chiesa
I cristiani, che amano poco la Chiesa, sono poco cristiani.
Molti purtroppo non capiscono la Chiesa. La Chiesa è un mistero di comunione…
Chi si ferma all’apparenza ne vede solo i difetti – per di più quelli degli altri e non i propri! Solo chi è umile, entra nel mistero della Chiesa, la ama, non può farne a meno, la serve, la segue, lavora per la Chiesa, si appassiona ad essa, la difende e vive per la sua gloria…
Amare la Chiesa è amare Gesù, è amare il prossimo, perché lo si vuol vedere «in Cristo e nella sua Chiesa». L’ha fondata Gesù, la sostiene, la vivifica Gesù con lo Spirito Santo.
– Il Papa
Il Papa è il Pastore visibile che fa le veci del Pastore invisibile: Su te, Simone, che un giorno sarai «Cefa», edificherò la «mia» Chiesa (cf Gv 1,42; Mt 16,18)… Simone, pasci le «mie» pecorelle (cf Gv 21,17)…
Il Papa regge la Chiesa, ne fa la sua unità, l’abbraccia nella sua universalità, ne garantisce la sua verità, ne dà l’impulso alla sua missionarietà…
Il Papa va visto e amato con lo sguardo della fede e non con quello del mondo con le sue ideologie e le sue schiavitù rovinose…
8. Stile cristiano
– La dignità della persona
Come devi considerarti e trattarti?
Non sono giuste la trascuratezza, la superficialità, la depressione, la banalità… Nemmeno l’orgoglio, la sensualità, l’esteriorità…
Bada di non attirare l’ira di Dio quando ti fai dominare dalla mania di trattarti come «oggetto da preda», «balocco di lusso», «pezzo da vetrina», «piacere da sfruttare»… o al contrario: una persona che conquista, ha successo, dà la scalata…
In queste persone l’anima non c’è più. E non v’è più bellezza o dignità morale.
Offende gravemente Dio e i fratelli chi ha una cura della propria immagine o del proprio corpo come un’idolatria o una nevrosi. Occorre aver cura della propria persona. Se bisogna riconoscere che è patologica la ricerca affannosa di distinzione, eleganza, ricercatezza esteriore, bisogna però affermare che è doverosa la cura di una buona linea di decoro, di modernità, di stile personale che derivi da una profondità spirituale…
Dio, che abita in te, vuole essere onorato da una tua presenza nella società, fatta di modestia e buon gusto. C’è un modo di vestirsi, di atteggiarsi, di presentarsi che deve anche tacitamente «far splendere» il tesoro vivente, che tu sei per Cristo e che Cristo è per te.
La persona più distinta è quella modesta, riservata, che porta vivida ovunque la luce dell’anima. La bellezza è necessaria; però quella del mondo è falsa ed annoia; quella spirituale – la luce interiore – eleva gli altri e li conforta nel bene.
– La responsabilità professionale
Occorre acquisire con fede, impegno, fiducia, non «il posto», ma «una responsabilità/missione» nella Chiesa e nella società per svolgerla come vocazione, nell’obbedienza e nella lode al Padre, come redenzione con Cristo del mondo, accettandone l’aspetto di fatica, fedeltà, coerenza, servizio disinteressato e alieno da ogni egoismo e vanità, come realizzazione di sé – anche se non solo questo – nel far uscire da sè cose nuove, belle e perfette, eseguite con diligenza, applicazione, tempestività; sempre conservando una capacità di relazione con gli altri rispettosa, schietta, aperta, matura, senza giocare a usare le persone; nel «sì, sì e no, no» (cf Mt 5,37); nell’onore della parola data, nella precisione ed osservanza delle scadenze… come solidarietà, comunione con gli altri, condividendone i pesi e facilitandone l’esistenza, camminando in fraternità verso il cielo.
E’ grave calamità programmare la propria vita secondo la dimensione fatua del denaro, dell’arrivismo, dell’ambizione, della carriera. O del disimpegno infingardo e fannullone (cf Mt 25,30).
Il cristiano sa che lo svolgimento della vita quotidiana e comunitaria attuato negli specifici doveri è missione, luogo di santità, via di miglioramento ascetico, elevazione degli altri…
Bisogna guardare e operare con fede verso questi nobili punti di arrivo durante la dedizione nell’incarico professionale, sociale, politico, apostolico…
Perché non ricordare che la coerenza personale secondo la fede attira persecuzione, odio, emarginazione, martirio?
– La creatività culturale
Bisogna essere persone di cultura, nel senso giusto: è la fatica nella ricerca della verità; è il gusto nella scoperta e nell’assimilazione della verità; è la spontaneità e l’immediatezza nella difesa e diffusione della verità; più ancora, è lo splendore della verità nella propria persona, nella gioia, nel dovere, nel travaglio di comunicarla e manifestarla, nell’operarla e sperare che essa trionfi.
E’ l’espressione della verità nella bellezza e nell’intensità anche delle opere che la persona produce e lascia dietro di sé come un colloquio di cose buone con i posteri oltre che con i contemporanei.
E’ la sapienza che si conquista per possedere sempre di più la verità, per confrontare e valutare tutto alla luce della verità, per illuminare di più la verità… E poi far fiorire creatività, espressività…
E’ la capacità critica nel senso giusto, ossia il discernimento che viene dallo Spirito Santo davanti ai fenomeni storici, culturali, di costume.
E’ l’uso sobrio e sapiente della lingua e del linguaggio… Il bla-bla-bla non è cristiano…
Nel cristiano la «parola» umana, detta o scritta, contemplata e gustata, contiene qualcosa della «potenza» e dello splendore del Verbo…
9. Idoneità al dialogo e alla comunione
Il cristiano deve acquisire una tale sensibilità e maturità da saper creare attorno a sè, con le persone che avvicina, un’atmosfera di umanità, di simpatia, di elevazione.
La sua parola deve essere squisita, appropriata, nativa dal cuore, dalla sua sensibilità spirituale. Prima di parlare, sobriamente e con competenza, bisogna saper ascoltare, saper far esprimere l’altro, tenerne conto, averne il rispetto…
Anche dove o quando non si condivide, bisogna aver la comprensione e la capacità dell’attesa. Saper apprezzare l’altro sempre; gli altri non devono vedersi giudicati secondo il mondo, ma amati e rispettati. Il giudizio sugli altri che Gesù non vuole è quello in cui mancano la verità, l’amore, la misericordia; e più spesso quello in cui manca il veritiero giudizio su di sé, che è l’umiltà.
Pur dissociandosi talvolta o sempre, con un coraggio senza pavidità, quando ciò fosse necessario, bisogna che l’altro sappia sentirsi amato, anche se in sponda opposta. La verità va anche difesa con fermezza, per obbedienza a Dio, per fedeltà ad essa e per amore del prossimo. La verità trova sempre la via giusta quando c’è l’amore. E’ la via di Gesù.
Bisogna amare le persone, anche se non se ne può e non se ne deve mai accettare l’errore o la devianza o la ideologia o il peccato… Talvolta vanno allontanati gli altri proprio per il pericolo di venire coinvolti noi stessi nel loro peccato; chi è così forte da resistere sempre? Resistere al male è amare di più anche gli altri. Resistere al peccato, anche fino al sangue, alla morte, al martirio, è amare nella misura estrema anche chi proponesse o imponesse ciò che offende Dio. Il peccato non si giustifica mai, non è mai permesso. Chi muore per non commetterlo dimostra un amore senza misura per Dio e il prossimo.
Dialogo non è attenuazione, diminuzione o rinnegamento della verità che viene da Dio – fede, morale, santità dei sacramenti, comunione con la Chiesa e fedeltà ad essa. Non è confusione circa la verità.
Amare questa o quella persona è non lasciarla nel suo errore, ma portarla alla verità.
La «verità», di cui si tratta, non è quella mia o tua, ma è quella discendente, che Dio stesso rivela ed offre a noi.
La verità viene a noi per una sola via: l’ascolto di Dio in Gesù, nella sua Chiesa.
Per saper dialogare bisogna, però, prima essere arrivati ad una semplificazione sia della propria vita spirituale – della propria fede! – che della propria esistenza…
Chi ha dubbi, chi manca di certezze, chi non è capace di vedere il nucleo e la periferia dei problemi, chi non sa mettere in ordine ciò che sa e ascolta, chi non sa cogliere il centro delle questioni, chi non si è allenato a questa essenzializzazione nella sua formazione religiosa, esistenziale, psicologica, culturale non è libero interiormente, né domina i problemi che affronta…
Saper dialogare vuol dire sentire il cuore dell’altro che mi sta davanti e averne il più grande rispetto… La verità va sempre difesa; nello stesso tempo è con la verità che io faccio un dono d’amore alla libertà degli altri… Quando annuncio la verità faccio un servizio d’amore agli altri; e se non l’annunciassi, il mio silenzio sarebbe colpevole.
Vuol dire anche avere «contenuti», cioè idee, cioè verità…
Chi è superficiale, chi è leggero, chi non ha ancora raggiunto una maturità affettiva, un equilibrio psico-spirituale e religioso, non è in grado di dialogare, è sempre influenzabile, e insieme tende a far prevalere la sua passione o il suo sentimento.
E’ facile essere creduloni e vendersi, anche se si è convinti di essere intelligenti…
Il dialogo esige molta pazienza, dolcezza…
C’è però un criterio pratico nell’esercizio retto del dialogo, che ci garantisce dall’errore: è la fedeltà umile e sincera alla Chiesa. Se nel dialogo mi mancasse la Chiesa perché ne faccio a meno, è un perdermi nell’errore, che talvolta genera anche scandalo a rovina di altri.
10. Progetto cristiano della vita
Quando si è giovani bisogna domandarsi davanti a Dio: «Cosa farò della mia vita?».
Ecco le tappe che rispondono a questa domanda decisiva: occorre anzitutto la scoperta del disegno divino; segue la preparazione; richiede finalmente una risposta; e poi c’è la vita donata per sempre come prova di fedeltà. E’ necessario fin dalla prima giovinezza individuare/scoprire il proprio progetto di vita. E questo alla luce della volontà di Dio.
«Cosa vuoi da me, Signore»? E’ la domanda che un giovane deve porsi assolutamente.
Il Signore non manca di far conoscere quale debba essere il posto di ciascuno nella vita.
Quando si è trovato il proprio progetto futuro cosa ne deriva?
Ogni vocazione è per la santità, per la gloria di Dio, per salvare gli altri, per costruire qualcosa di bello e di nuovo nella società.
Non bisogna cercare un futuro dove domini l’aspirazione al piacere, al divertimento, al denaro, all’ambizione, alla smania di indipendenza, a tutti i costi… Ciò che un giovane deve cercare non è per avere una libertà in tutti i sensi, non è per sentirsi superiore agli altri, non è secondo tutte le motivazioni del mondo, del materialismo, ecc.
E’ solo per sentirsi nella volontà di Dio.
Infelice quel giovane che non vive la sua età per scoprire e prepararsi a compiere il «disegno di Dio» su di lui!
Ora le strade di Dio tracciate per noi sono molteplici e tutte sono belle, degne e apostoliche.
Le strade della vita futura per un giovane cristiano possono essere queste:
– la contemplazione,
– la missione «ad gentes» totale e definitiva,
– la consacrazione, per sempre, in una comunità religiosa o nel mondo,
– il sacerdozio ministeriale,
– una famiglia santa, unita e feconda,
– una malattia permanente, una grave minorazione,
– una laicità cristiana nelle mille espressioni professionali sempre orientate ad una testimonianza apostolica…
– il raggiungimento del cielo nel fiore dell’età… Bisogna fin dalla prima giovinezza avanzare nella vita, pregando, studiando, lavorando, sacrificandosi, costruendosi non solo un carattere equilibrato, ma anche assolvendo con serietà quei doveri, che preparano alla scelta definitiva…
Essere giovani non vuol dire «divertirsi», ma sacrificarsi per prepararsi un avvenire non solo nel tempo, ma anche nell’eternità; e non soltanto per sè, ma anche per un «grappolo infinito» di anime da salvare, che Dio lega alla mia persona e al mio «sì» permanente a Lui.
Essere giovani vuol dire vivere la castità, il sacrificio, l’apostolato, con la coscienza di prepararsi ai compiti futuri in modo da migliorare un po’ di più il mondo e non lasciare invece i segni del proprio fango.
Il giovane deve resistere al fascino brutale del mondo, agli allettamenti dei piaceri, alle illusioni delle ideologie; egli invece deve e può «aggredire apostolicamente» il mondo vivendo alla scuola del Vangelo.
Qui si capisce quale tragedia incommensurabile sia quella dei giovani che vivono nel peccato! Questo è il «vuoto», l’«inimicizia» nei riguardi di Dio.
La giovinezza è l’età della grazia e non del peccato, perché la grazia è splendore di vita e il peccato è tristezza di morte. La grazia nella giovinezza coincide abitualmente con la castità. Non si farà brillare mai abbastanza la luce della verginità per prepararsi degnamente al proprio futuro.
Ci si allarma della droga e non della morte dell’anima nei giovani! E’ la morte spirituale che porta alla droga. Può sopravvivere così la società? Solo per chi vive una giovinezza pura, fedele ai doveri della preparazione al futuro, in comunione con la Chiesa, dedita all’apostolato, è facile individuare «cosa Dio chieda» per il futuro incremento del suo Regno…
Le indecisioni circa il proprio futuro non fanno bene, così le attese troppo lunghe…
Le vie dell’amore
Ecco Mary, un’impetuosa ragazza che conclude la sua esistenza nel breve arco di 17 anni. Nell’adolescenza perde la fede, abbandona la pratica religiosa, s’allontana dalla Chiesa risucchiata dalla vita mondana.
Ma Gesù veglia su di lei. Nella primavera del 1974 avviene la sua conversione e nel dicembre dello stesso anno si consacra al Signore con i voti: «Oggi ho fatto i voti solenni. Adesso sono tutta di Gesù. Prega perché io sia una buona sposa per Lui», scrive ad un’amica.
E’ possibile legarsi a Gesù in modo così forte e impegnativo a 16 anni? Le vie di Dio sono misteriose e meravigliose. Viene assalita da un terribile male, ma non si ribella, non si agita; riconosce in esso un intervento d’amore del Signore, capisce e si abbandona a ciò che Dio vorrà.
Per amare il Signore bisogna farsi amare da Lui; ed è quello che Mary ha cercato di fare. Potrebbe essere il segreto per quanti si domandano cosa possono fare per amare il buon Dio e cosa fare per Lui. Ma a questa semplicità di dedizione ci si arriva solo quando ci si arrende alla prova, alla sofferenza.
E’ morta «quasi» a diciassette anni, sognando un convento d’Italia, per prepararsi a una missione più grande. Così scriveva difatti a un’amica convertita che l’aveva preceduta in convento: «Sono felice che tu m’abbia scritto e parlato del bellissimo posto dove dovremo stare per diventare spose di Cristo. Io vorrei già esservi, ma Cristo vuole che la mia sofferenza sia ora più utile alle anime che se io stessi bene e fossi a pregare in convento… Lo star qui è la mia maggior sofferenza. Ho bisogno che voi tutte mi aiutate ad essere più forte nella fede… Ho sedici anni e tre quarti. Solo ora vivo, perché per la grazia di Dio ho un cancro…
Pensano che per settembre sarò morta… Prega per me. E’ difficile star qui quando il mio cuore non vede l’ora di lasciare questo terribile paese. Dì a tutte che non posso più attendere, che desidero incontrarvi tutte… ».
Le hanno permesso di far la professione religiosa ad una età eccezionalmente insolita e dopo tre mesi ha celebrato le nozze eterne con lo Sposo divino, il 16 febbraio 1975.
Era nata il 3 aprile 1958. Ella ci conferma nella dolcissima certezza che Gesù chiama ancora e che molte anime si lasciano prendere da questo divino richiamo d’amore.
CARISMA MISSIONARIO
Tutti voi, infatti, siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo.
Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù (Gal 3,26-28).
Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio. E’ questo il vostro culto spirituale.
Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a Lui gradito e perfetto…
Gettiamo via perciò le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce.
Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a gozzoviglie e ubriachezze, non fra impurità e licenze, non in contese e gelosie.
Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo e non seguite la carne nei suoi desideri…
Nessuno di noi, infatti, vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore; se noi moriamo, moriamo per il Signore.
Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore (cf Rom 12,1-2; 13,12-14; 14, 7-8). (Parola di Dio)
1. Donazione quotidiana
Bisogna che ciascuno arrivi a sentire e a vivere questo dovere: nella docilità allo Spirito Santo voglio realizzare la santità quotidiana in mezzo a tutte le occupazioni, situazioni, gioie e prove, in vista di far crescere continuamente la salvezza eterna in tutte le anime della terra, accompagnandole sino alla soglia del cielo.
Il nostro sforzo più convinto e completo deve essere l’impegno quotidiano di santità personale e di dilatazione missionaria della Chiesa in tutti i continenti.
Anche tu senti che per questo compito c’è un appello ogni giorno nuovo dello Spirito Santo: «Salva i tuoi fratelli con il dono della tua vita alla volontà del Padre e in unione a Gesù, procurando di crescere nella santità»…
Il mondo è affidato soprattutto agli operai silenziosi che vivono in grazia e trasfigurano in offerta ciò che fanno allo scopo di salvare le anime e di sostenere l’apostolato della Chiesa in tutti i paesi della terra.
Questo grande compito va vissuto dentro le piccole e abituali azioni di ogni momento.
La grandezza della vita quotidiana – anche per chi è malato, provato, impedito, per chi non può far nulla, per chi è in situazioni difficili – sta nel fatto che Dio è qui con me, è chino su di me, vuole forse solo un piccolo sorriso d’amore per salvare il mondo.
Se aumentassero le anime missionarie che vivono così in ogni comunità, con fede viva, il mondo avrebbe una schiera poderosa di apostoli, il cammino del Vangelo sarebbe facilitato, i peccatori avrebbero un richiamo potente alla conversione, sorgerebbero più vocazioni per tutti i servizi ecclesiali, il bene fronteggerebbe e ridurrebbe il male, la santità fiorirebbe nelle aiuole di tutti i cuori, i non cristiani più facilmente troverebbero come pienezza di gioia la via a Gesù sia singolarmente che come popoli e nazioni…
Non sciupare la tua giornata; il tuo compito ogni giorno è grande, perché, anche se sei nascosto, Dio ti vede e tu con Lui arrivi fino all’ultima persona della terra per donarle la grazia e la misericordia. Con lo Spirito Santo che ti colma il cuore, ogni giorno tu realizzi la tua vocazione missionaria fino agli estremi confini del mondo.
Talvolta sogniamo chimere e perdiamo le perle quotidiane delle umili azioni che davanti a Dio valgono più degli imperi e dei regni fragili del mondo.
2. Vocazione all’eternità
Viene per tutti il momento estremo e drammatico della morte, che è decisivo per ciò che vi è dopo. Fa paura la morte, naturalmente.
Però è inevitabile. Non risparmia nessuno. Per vivere tranquilli, non basta dimenticarla.
Perché, invece, non fare di tanto in tanto un pellegrinaggio al «camposanto»? E vivere in anticipo il distacco, la fine terrena, per apprendere «la sapienza del cuore» (Sal 89)?
Se noi ne parliamo qui non è per temerla, ma per capirne il valore, ed esserne preparati. Non sappiamo l’ora della nostra morte. E’ un mistero troppo grande, che Dio riserva per sé… Dio non è contro di noi per il fatto che non ci rivela l’«ora» della partenza dalla terra. La morte non faceva parte del piano originario di Dio; essa che viene ora come dissoluzione biologica, è frutto del nostro peccato.
Dio, che è l’amore infinito, vuole che la nostra esistenza sia vissuta nella volontà sua, in pieno abbandono a Lui; così pure vuole che la nostra morte sia il momento del più grande amore: «Padre, nelle tue mani rimetto il mio spirito».
Non bisogna temere la morte, ma vederla nella luce di quell’appuntamento della gioia più grande: l’incontro con Gesù e il Padre suo.
In genere, la morte non rientra nei programmi dell’uomo; anzi, essa appare come un incidente, tragico e deprecabile… Perciò non ci pensiamo mai; non la guardiamo mai in faccia.
Essa, invece, ci richiama nella realtà della fede ad un destino di grandezza: siamo fatti per l’eternità. Siamo fatti per la visione di Dio, che ci colmerà di felicità senza fine.
Anche il cristiano sperimenta la sua debolezza e il suo timore di fronte ad un evento così oscuro, che scuote e sconfigge la povera natura.
Tuttavia, il cristiano sa pure che la grazia, nascosta in noi, che coltiviamo ogni giorno con l’Eucaristia, la preghiera, la conformità alla volontà di Dio, l’esercizio delle opere buone, la resistenza al peccato, è proprio in questo momento supremo, che esploderà dal nostro involucro – il nostro stanco corpo – e ci farà splendere nella giovinezza dell’eternità.
Sì, noi dobbiamo programmare la morte, secondo le parole di Gesù: «State sempre preparati; vigilate sempre e vivete nell’attesa del vostro Signore, che torna»…
«Vado e tornerò da voi, perché anche voi sappiate che dove sono io, sarete anche voi (cf Gv 14,1-3).
Per noi e per tutti gli uomini, lo scopo dell’esistenza è solo al di là della morte: la «vita eterna».
Per questo preghiamo pure: Padre nostro, liberaci dal male, dal maligno, dal peccato, dalla dannazione eterna…
La vocazione all’eternità di ogni uomo e donna del mondo obbliga ciascun cristiano a non risparmiarsi per il prossimo, sull’esempio di Gesù, che è venuto per salvare tutti e sacrificarsi perché «nemmeno uno dei più piccoli vada perduto».
3. «Ad gentes»
«La Chiesa, inviata per mandato divino alle genti (=ad gentes) per essere sacramento universale di salvezza, rispondendo alle esigenze più profonde della sua cattolicità e all’ordine specifico del suo Fondatore (cf Mc 16,15), si sforza di portare l’annuncio del Vangelo a tutti gli uomini…» (cf AG la).
«La Chiesa… avverte in maniera più urgente la propria vocazione di salvare e rinnovare ogni creatura… in Cristo» (id).
«La Chiesa… comprende perfettamente che le resta ancora da svolgere un’opera missionaria ingente. (…) Miliardi di uomini infatti – e il loro numero cresce di giorno in giorno – uniti in grandi e determinati raggruppamenti da vincoli culturali stabili, da tradizioni religiose antiche o da salde relazioni sociali, o non hanno ancora o hanno appena ascoltato il messaggio evangelico (cf id 10 a)»…
Così dobbiamo considerare e vivere la nostra appartenenza vitale con la santa Chiesa: essa con noi deve andare a tutti, sa di dover andare, ha fretta di giungere a tutti, ai non cristiani…
«Ad gentes»: ecco l’orizzonte, il fine, la tensione ideale, il fuoco intimo ed insieme agitante che deve caratterizzare anche noi, nella comunione con la Chiesa. «Sono venuto a portare il fuoco sulla terra»…
Il «fuoco» che arde nel Cuore di Cristo – l’Amore infinito ed incontenibile – arde anche dentro di noi, fino a non permetterci più riposo.
Bisogna andare a tutti gli uomini per incendiare tutti con la tenerezza del fuoco dell’Amore di Dio; bisogna veramente condurre tutti gli uomini all’Amore di Dio.
Bisogna far conoscere e comunicare l’Amore di Dio, la sua vita infinita, bisogna immettere – battezzare – tutti gli uomini nel bruciante focolare dell’Amore divino, che è la beatitudine eterna nella comunione trinitaria.
«Ad gentes» vuol esprimere il nostro dovere di andare a coloro che non sanno, non fanno parte della Chiesa, non hanno a disposizione i mezzi della salvezza, che Gesù ha lasciato alla sua Chiesa e in questa e per questa a tutti gli uomini.
«Ad gentes» è urgenza, passione, stile, problema, sacrificio, martirio, responsabilità, donazione personale e comunitaria… Ogni attesa è ingiustificabile…
Il compito missionario resta ancora immenso, al di là di ogni proporzione!
Ma se anche esistesse un solo uomo da raggiungere, anche in questo caso il buon Pastore dimentica tutti gli altri per prodigarsi per questo solo.
Si discute troppo sul problema missionario; non sono le parole che servono.
Solo chi ama, ha fretta; è inquieto, cerca le opere, dà la vita; inquieta anche gli altri ad andare…
Il nostro «carisma» è dono e presenza dello Spirito Santo che avviva un incendio nel nostro cuore e vorremmo che la sua presenza straripasse nel cuore di ogni persona.
Di fronte alla vastità delle moltitudini umane da evangelizzare per la prima volta, lo Spirito Santo fa soffrire d’amore, non fa avere indugi, fa donare…
Il «carisma» non è un generico sentimento di solidarietà verso le Missioni. Ne è prova il fatto che la stessa persona nella quale questo «carisma» s’incarna è «totalmente conquistata» dall’Amore infinito. Ella soffre la fretta di farsi prossimo ad ogni cristiano per annunciargli: Dio ti ama! Gesù è morto per te! per salvarti! Io vengo da te, mandato da Lui!
4. Missione universale
«Andate in tutto il mondo»! Questo è il comando di Gesù Gli orizzonti dell’invio sono sconfinati come quelli dell’umanità e della sua storia.
Se nella Chiesa bisogna star bene in ogni posto e lavorare per il Regno dove la Provvidenza ci pone, bisogna tuttavia non fermarsi mai con il cuore e con le opere in nessun angolo del mondo.
Bisogna andare a tutti; bisogna arrivare a tutti. Ciò non solo è possibile, ma è obbligante.
– «La Chiesa desidera servire quest’unico fine: che ogni uomo possa ritrovare Cristo, perché Cristo possa con ciascuno percorrere la via della vita…
– Su questa via che conduce da Cristo all’uomo, su questa via sulla quale Cristo si unisce ad ogni uomo, la Chiesa non può essere fermata da nessuno…
– La Chiesa non può abbandonare l’uomo, la cui sorte, cioè la scelta, la chiamata, la nascita, la morte, la salvezza o la perdizione, sono in modo così stretto ed indissolubile unite al Cristo…
– E si tratta proprio di ogni uomo su questo pianeta… – Quest’uomo è la prima strada, che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione» (cf RH 13,14).
La Missione universale è veramente la nostra vocazione permanente, la vocazione di ogni battezzato.
– «La Chiesa non ignora le formidabili dimensioni di tale Missione; conosce le sproporzioni delle statistiche fra ciò che essa è e ciò che è la popolazione della terra; conosce i limiti delle proprie forze; conosce perfino le proprie umane debolezze…
Ma la Chiesa sa d’essere fermento, d’essere seme, d’essere sale e luce del mondo…» (cf ES 53).
La Missione universale pone il cuore sempre alla ricerca di coloro che mancano… Se altri possono godere il frutto delle proprie conquiste, chi ha l’assillo della Missione universale non potrà mai permettersi di compiacersi in ciò che ha raggiunto, perché già sogna, tende e soffre verso ciò che deve essere ancora raggiunto.
L’urgenza della Missione non è solo una doverosa comunione e solidarietà con tutti i cristiani delle giovani chiese e con le loro necessità, ma contiene anche una sofferta constatazione dell’incompiutezza dell’evangelizzazione nel mondo.
L’universalismo, che ci deve caratterizzare, non è altro che sentirsi immersi e sospinti nel «disegno eterno del Padre», che vuole salvi tutti gli uomini di ogni tempo e luogo.
Questo «mistero eterno d’amore» ha il suo «centro» in Cristo.
Nel disegno del Padre, Cristo e l’umanità sono talmente indissolubili che l’uno trova nell’altra la sua pienezza.
Gesù trova la sua pienezza quando tutta l’umanità diviene la sua Chiesa, e l’umanità diventa la sua Chiesa quando si realizza e si compie incorporandosi e salvandosi in Lui.
L’universalismo, che si esprime pastoralmente nella celebre espressione di Benedetto Coste (1822): «Noi non vogliamo aiutare questa o quella missione, ma tutte le Missioni del mondo», in realtà ha radici e orizzonti teologici propri della meditazione di s. Paolo nella prigionia di Roma (61-63 d. C.) quando nella preghiera eleva lo sguardo contemplativo sul mistero della Chiesa, «Corpo di Cristo», dilatato alle dimensioni del nuovo universo, pienezza di Colui che si realizza tutto in tutti (BJ, NT, 359).
Vivere l’universalismo non è un fatto puramente strategico, ma è presenza, esigenza e pienezza dello Spirito Santo nei cuori e nelle comunità; è accoglienza del grido del mondo che attende il Padre.
5. Regno di Dio
Noi dobbiamo spenderci per attuare l’invocazioneprogramma: «Padre, venga il tuo Regno»!
Il Regno di Dio è la stessa azione costante del Padre verso l’umanità per salvarla.
E’ l’Amore infinito, che il Padre ha verso tutte le sue creature, di ogni tempo e luogo, e vuole tutti condurre alla visione del suo volto.
E’ l’azione provvidenziale, misteriosa e a mano a mano svelata ed attuata che la Santa Trinità conduce dentro il cuore e la storia degli uomini.
Non v’è nessuna creatura che sia fuori o priva della benevolenza divina.
La storia e il mondo sono pieni dell’azione divina che tende ad esplicitarsi, a farsi non solo sempre più visibile, ma anche decisiva. Come ciò avviene?
La risposta è: in Cristo Gesù e nella sua Chiesa.
«Il mistero della santa Chiesa si manifesta nella sua stessa fondazione. Il Signore Gesù, infatti, diede inizio ad essa predicando la buona novella, cioè l’avvento del Regno di Dio da secoli promesso nella Scrittura: “Poiché il tempo è compiuto, e vicino è il Regno di Dio” (Mc 1,15; Mt 4,17). Questo Regno si manifesta chiaramente agli uomini nelle parole, nelle opere e nella presenza di Cristo. La Parola del Signore è paragonata appunto al seme che viene seminato nel campo (cfr. Mc 4,1-4): quelli che lo ascoltano con fede e appartengono al piccolo gregge di Cristo (cfr. Lc 12,32) hanno accolto il Regno stesso di Dio; poi il seme per virtù propria germoglia e cresce fino al tempo del raccolto (cfr. Mc 4,26-29).
Anche i miracoli di Gesù provano che il Regno è arrivato sulla terra: «Se con il dito di Dio io scaccio i demoni, allora è già pervenuto tra voi il Regno di Dio» (Lc 11,20; cfr. Mt 12,18).
Ma innanzi tutto il Regno si manifesta nella stessa persona di Cristo, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, il quale è venuto «a servire e a dare la sua vita in riscatto per i molti» (Mc 10,45).
Quando poi Gesù, dopo aver sofferto la morte in croce per gli uomini, risorse, allora apparve quale Signore e messia e sacerdote in eterno (cfr. At 2,36; Eb 5,6; 7,17-21), ed effuse sui suoi discepoli lo Spirito promesso dal Padre (cfr. At 2,33).
La Chiesa, perciò, fornita dei doni del suo Fondatore e osservando fedelmente i suoi precetti di carità, umiltà e abnegazione, riceve la missione di annunziare e instaurare in tutte le genti il Regno di Cristo e di Dio, e di questo Regno costituisce in terra il germe e l’inizio.
Intanto, mentre va lentamente crescendo, anela al Regno perfetto, e con tutte le sue forze spera e brama di unirsi con il suo re nella gloria» (LG n. 5).
Ha risonanza nel nostro animo il grido: «Padre, venga il tuo Regno»?
Coinvolge le nostre azioni, le finalizza ad un fine eterno e universale? Rende la nostra esistenza vivace come fermento di trasfigurante potenza, il fatto che ripetiamo sempre: «Padre, venga il tuo Regno»?
La nostra vita deve essere tutta donata e consumata per l’avvento del Regno di Dio.
Il Regno deve totalmente penetrare in noi dilatandoci agli spazi infiniti, per fare anche di noi un germe e un trionfo della sua efficacia; nello stesso tempo, però, non deve permettere più che venga in noi e da noi sottratto col peccato qualcosa all’impresa senza confini, che è la salvezza del mondo!
Ciò che ferisce e impedisce il Regno di Dio è solamente il peccato dell’uomo e dell’umanità, istigato dal demonio e orchestrato dalle sue insidie e coadiuvato dai suoi satelliti.
6. Inquietitudine apostolica
Il Padre di ogni luce e dono perfetto c’infonda:
– lo zelo intrattenibile per tutta l’umanità, che Lui convoca al suo Regno, mediante Gesù, lo Spirito Santo e la Chiesa;
– la sofferenza d’amore nel costatare che la maggioranza dell’umanità non ha ricevuto ancora l’annuncio del Vangelo (cf AG 10) e non conosce né Gesù, né il Padre, essendo questa conoscenza d’amore l’essenza della vita eterna (cf Gv 17,1);
– la carità misericordiosa del Figlio suo, che è venuto per tutti e si è sacrificato sulla croce con illimitata sofferenza per tutti e vuole attirare tutti a sé (Gv 12,32);
– la pienezza dello Spirito Santo per farci sentire e vivere la responsabilità di tutta l’attività missionaria della Chiesa nella nostra «vita quotidiana», travolgendoci nell’ansia del Regno;
– l’operosità vivissima di donare non solo la nostra vita, ma di far scoprire anche agli altri la gioia di donare la loro nel cooperare con quanti si prodigano totalmente – 470.000 circa sono gli operai dell’evangelizzazione solamente nelle giovani chiese – all’annunzio universale di Gesù.
Noi, insomma, non vogliamo dare qualcosa per le Missioni, ma vogliano donare tutto di noi stessi, per sempre, con tutto ciò che caratterizza e specifica la nostra esistenza.
Tutto in noi, nella quotidiana fatica di vivere, nei compiti che la Provvidenza ci assegna, qualunque sia la nostra condizione: sani o malati, giovani o anziani, nel matrimonio o nello stato di consacrazione verginale, ecc… – deve diventare offerta e tensione ai non-cristiani, insieme a quanti dedicano la vita all’evangelizzazione di essi. Insomma, noi non vogliamo – come si dice – aiutare le missioni, anche se generosamente; con la grazia dello Spirito Santo vogliamo semplicemente e veramente arrivare a donare la vita per le Missioni. Noi – e ciò si dica di ogni battezzato, che si lasci trasformare dal fuoco della Pentecoste – vogliamo veramente sentirci e realizzarci come missionari, sperimentando nel cuore il travaglio o il martirio d’amore di mille vocazioni, come s. Teresa di Gesù Bambino che afferma: «Non avrei mai immaginato di soffrire tanto… ma ciò me lo spiego col grande desiderio che avevo di salvare le anime».
C’è ancora una verità da affermare e da rilevare in queste «anime universali»: noi sentiamo di appartenere e partecipare profondamente anche alla vita e alle necessità pastorali delle nostre comunità; ed è per noi e per esse che bramiamo ardere e spenderci di passione, di sacrificio ed operosità verso i non cristiani e verso tutti gli apostoli della Missione universale.
Ecco la nostra invocazione costante: il Padre ci doni lo Spirito Santo, fiamma dell’Amore eterno e universale, per renderci docili e disponibili a tutte le urgenze missionarie comportandoci così:
– vivere nella santità ogni giorno, dilatando il Regno di Dio sulla terra;
– offrire la fede, la gioia, l’aiuto a tutti coloro che non conoscono Gesù, non hanno i mezzi della salvezza come noi, non hanno la pienezza della rivelazione, non possono gioire della perfetta comunione con la santa Chiesa;
– destare e coinvolgere tutti i fratelli di fede a fare a gara nel vivere per la Missione universale.
Il Regno di Dio è il nostro fuoco interiore; anche con angoscia, più ancora con entusiasmo, questo Regno di Dio dobbiamo diffonderlo nel mondo per far gioire gradualmente questa umanità – trasfigurandola a mano a mano nella grazia divinizzatrice – della gioia stessa del Magnificat.
7. Afferrati dallo Spirito
La forza per percorrere la «piccola via» qui tracciata sta senza dubbio nel pregare molto, ed anche insieme. Se la preghiera è il respiro dell’Amore in Dio, di cui lo Spirito Santo ce ne comunica il palpito immenso, se la Missione universale è comunicare tale Amore infinito a tutta l’umanità per raccoglierla nella comunione con Dio, proviamo a vivere in un clima di preghiera continua, lasciando che sia lo Spirito ad afferrarci…
Mio Dio, Trinità santa e adorabile, Padre, Figlio e Spirito Santo, rivelati, comunicati a tutte le anime della terra. Io voglio vivere solo per la tua gloria.
Voglio perdermi in te: conoscerti, amarti, conformarmi a te, adorarti e lodarti nel tempo e nell’eternità.
E insieme con me voglio che vi siano anime senza numero a cantare la tua gloria nel tempo e nell’eternità. Padre, Figlio e Spirito Santo, donami le anime che devo donarti; quelle che da sempre hai legato al mio carisma apostolico-missionario.
Voglio darti la maggior gloria non solo nel collaborare con te alla salvezza e alla santificazione del prossimo universale, ma anche, mio Dio, nel suscitare molte anime missionarie.
Che io viva nel tempo con questo martirio d’amore: amarti e farti amare, conoscerti e farti conoscere, lodarti e farti lodare, chiedere per me e per tutti il perdono dei peccati e riparare per me e per gli altri.
Santissima Trinità, nel tempo che mi concedi io arda solo di gloria per Te, mi consumi in un unico grande incendio d’amore e di obbedienza.
Nascondimi nell’umiltà e nella croce; sia nel mio cuore il sigillo della croce.
Non ti chiedo nulla, mio Dio, all’infuori della tua gloria. E siano molte le persone che ti amino e ti facciano amare in tutto il mondo.
Se avessi a chiederti altro, non ascoltarmi, non esaudirmi; non raccogliere la mia voce e il mio grido.
Solo ciò che è per Te, per la gloria tua, per la redenzione del mondo, per la santità delle anime, per la Missione universale bruciante in molte anime, tu devi volere per me e attenderti da me.
Mio Dio, infinito Amore, coprimi della tua tenerezza. Le creature non abbiano attrazione per me, non contino nulla; io non conti nulla per nessuno; tu, però, divorami con la forza del tuo amore e bruciami con il fuoco della tua gloria.
Donami moltissime anime, che vivano per te e per il tuo Regno, ovunque nel mondo.
Ogni giorno e in ogni momento dalla mia anima parta la grazia, che Tu m’infondi e di cui sei la sorgente, per raggiungere, sorreggere e trasfigurare le anime in ogni angolo della terra.
Tu che mi possiedi e hai posto in me la tua dimora, SS.ma Trinità, possiedimi fino alla pienezza e serviti di me, nel modo che non so, ma come meglio possa accadere, che ne venga la tua maggior gloria.
SS.ma Trinità, ti offro tutte le anime della terra: sono state create da te, a tua immagine e somiglianza; le hai create per te, finalizzandole alla tua gloria e alla tua gioia; nessuna manchi al cielo per goderti nella visione beatifica. Padre, le offro tutte, una per una con quel nome che dai a ciascuna e con quell’amore crocifisso che il Verbo eterno ed incarnato ha riversato su ciascuna; ti offro i cuori del mondo, perché nessuno resti chiuso allo Spirito Santo che in tutti vuol far nascere il tuo Regno.
Padre, Figlio e Spirito Santo, la cui Vita è infinita, la cui Gioia è purissima, la cui Misericordia non ha limiti, tutte le anime che incontro, per cui prego, che tu mi affidi, ma anche tutte quelle che ora sono sulla terra e quelle che saranno nei tempi da te stabiliti, godano alla fine l’ebbrezza della tua visione beatifica nel cielo.
SS.ma Trinità, mio Dio, sii benedetto ora e sempre! Questo grido d’entusiasmo per te risuoni in tutti i cuori del mondo.
Senza di te, mio Dio, noi siamo nulla e tutto diventa inconsistenza. Tu ci ami, ci senti ed hai per noi una dilezione infinita; tu ci conosci e ci vuoi uno per uno; tutti siamo amati da te, da sempre. Che per nessuno si dia la possibilità della perdizione; tutti siano salvi e cantino in eterno la tua misericordia.
Aumenta nella Chiesa le anime che siano gli apostoli degli altri; aumenta coloro che si carichino degli altri, preghino, credano, si sacrifichino, s’immolino, operino con le virtù e la santità, con lo zelo e la dedizione più insonne per il bene eterno del prossimo universale.
In questa ora della storia, per la «nuova evangelizzazione» mondiale, suscita nella Chiesa dei grandi santi, nei quali la tua gloria risplenda con più forza e sui quali il tuo amore si prodighi fino all’impossibile.
SS.ma Trinità, anche noi siamo la tua gloria; non farci perdere, fa’ che non ti perdiamo. Fa’ che la nostra vita sia totalmente vissuta e spesa per te, per la tua maggior gloria e moltissime anime si santifichino per essere a loro volta fonte di salvezza per gli altri e cantino con la loro vita l’inno di gloria, in ogni angolo della Chiesa, irradiando il tuo Amore eterno sul mondo intero…
Che cosa è l’amore per la Missione universale se non un fuoco che ci consuma di ansia e di operosità in comunione con la santa Chiesa verso tutta l’umanità?
8. Dove conducono i nostri sogni
Gesù, dona alla tua Chiesa molte anime, che l’amore per il tuo Regno incendi di universale passione!
Siano apostoli semplici, disadorni, senza l’orpello di una cultura che gonfia; siano autentici nello spirito, nelle opere, nella capacità di convogliare l’esistenza di molti altri a lavorare per il Regno, perché solo se la gente lavora per il Regno sperimenta la gioia di vivere e di credere. Siano apostoli nascosti tra la gente quotidiana – mamme, giovani, lavoratori, anziani, fanciulli, papà, professionisti, malati, ecc… – che non esibiscono altri titoli per testimoniare e convincere al Regno se non la loro fede, il loro tormento interiore di dar gloria a Dio e di salvare tutti e tutto.
Siano apostoli divorati dalla fiamma dello Spirito Santo, quello Spirito che fin dal battesimo ha preso dimora in essi e che, pian piano, riesce ad ottenere dagli stessi docilità e corrispondenza.
Siano apostoli convinti, nel profondo della loro coscienza, che il mondo ha veramente bisogno di Dio e dei valori religiosi e spirituali. Non si faranno, perciò, arrestare da apparenti rifiuti che ricevessero da parte di coloro che li conoscono, che vivono e lavorano a fianco di essi, ma resteranno forti nel manifestare la fede e nel promuovere nel mondo il Regno di Dio a bene di tutti, vicini e lontani, anche nell’altra parte dell’emisfero.
Siano apostoli che dimostrino con ogni mezzo che il mondo non si salva, non si edifica, non si rinnova e umanizza con le polemiche, le ideologie, il denaro, i comizi, i mass media, e peggio ancora con le immoralità devastatrici, ma solo con la santità, la croce, la virtù, la sequela di Cristo. Gesù, ovunque la tua volontà mi conduca, incontri anime che avendo spezzate le spire del proprio egoismo o le catene della loro sensualità, siano afferrate dai problemi del prossimo e del mondo intero; e mentre cominciano a chinarsi sulle ferite di chi trovano sulla loro strada, si aprano agli orizzonti della terra per rendersi conto che in ogni continente vi sono fratelli e sorelle da soccorrere e liberare.
Gesù, donaci dei cristiani infiammati per il tuo Regno! Senza tali santi non potrà compiersi la «nuova evangelizzazione», che deve risvegliare le nostre comunità dal letargo e dal disfacimento del materialismo e spingere la missione della Chiesa universale verso nuove frontiere.
Il tuo Cuore attende tutta l’umanità e l’umanità intera brama di trovare un rifugio sicuro e dolce nel tuo Cuore divino.
9. Apostoli per la «nuova evangelizzazione»
Signore Gesù, mandaci lo Spirito del Padre, perché doni alla Chiesa apostoli numerosi per la «nuova evangelizzazione».
Siano apostoli che abbiano lo sguardo aperto all’umanità universale, e che vedano gli eventi della Chiesa e del mondo sempre alla luce dell’eternità.
Ciò che accade nel mondo ha senso se si intuisce e si conosce che tutto serve alla salvezza eterna, alla felicità in Dio, che inizia fin da qui, dalle piccole cose terrene e trabocca più ancora nell’al di là.
Gesù, donaci moltissime anime, che portino nel cuore il «carisma» del tuo Regno, che per sua natura è universale, pulsa e avvolge ogni coscienza, abbraccia ogni situazione di uomo e di donna, in ogni angolo del mondo, e si compie solo se la persona dice di «sì» alla tua grazia.
Gesù, donaci anime, che nella loro quotidiana ansia di vivere, lavorare, decidere, alternando soddisfazioni serene a momenti difficili e di pianto, siano consapevoli di far crescere la salvezza e la Chiesa nel mondo non cristiano. Queste anime apostoliche – piene di santità – possono e devono anticipare, preparare, aprire il varco, le vie, i passaggi ai missionari e agli evangelizzatori, che stanno arrivando o devono arrivare, mediante quelle invisibili prestazioni dell’amore che sono la preghiera, la purezza, il sacrificio, il dono delle proprie risorse, l’amore alla povertà, così pure la contemplazione, l’adorazione nascosta, il martirio del cuore, e una sobrietà voluta in ogni espressione di vita…
Siano apostoli, che sanno – sotto l’istruzione silenziosa dello Spirito Santo e la partecipazione alle scuole di formazione della Missione universale – che nessun popolo si apre al Vangelo se mancano le preparazioni remote e prossime, invisibili e nascoste, sofferte e generose, all’evangelizzazione.
Bisogna che si moltiplichino queste anime apostoliche – situate in ogni ambiente di vita: strada, scuola, università, ospedale, famiglia, posti di lavoro, ecc… – che aderendo alla Missione universale constituiscano per la Chiesa un «esercito di santi», una «schiera e una corrente immensa» di testimoni; essi, perché il Vangelo non manchi in nessuno posto, hanno messo in gioco la loro intera esistenza finalizzandola al Regno di Dio.
Gesù, suscita veramente tali anime apostoliche, nelle quali si faccia evidente il carisma della Missione universale!
Suscita pure molti responsabili dell’animazione, che cerchino e formino una moltitudine di anime – una per una – a donarsi compiutamente alla Missione universale.
La Chiesa e la società ne avranno un gran bene. E tu, mio Signore, tanta gloria!
10. Cenacolo nel cuore
Mio Signore, Gesù Cristo, Figlio del Dio Vivente, fa’ che la mia vita sia tutta consumata per te e per le anime, a gloria del Padre.
Invadimi con lo Spirito Santo perché si realizzi la mia missione nel mondo e nella Chiesa.
Invadi tutte le anime che mi hai date e darai con lo stesso Spirito Santo, perché avvenga un grande incendio di amore e di santità nella Chiesa e nel mondo.
Eccomi tutto consegnato a te, unito a te, identificato a te; siamo una sola cosa e la tua gloria è anche in me. Che questa mia persona, questa mia vita, ogni mia azione e presenza, ogni mia parola o intenzione siano tutte cariche di zelo per le anime, perché lo Spirito Santo mi bruci dentro e mi consumi per l’unico scopo che esiste: la gloria del Padre tuo.
Gesù, fa’ che tutte le anime che sulla terra ho incontrato non solo si salvino e con esse ci si ritrovi in cielo davanti al tuo volto divino, ma che tutte diventino «apostoli» ferventi affinché conducano a te migliaia e migliaia di altre anime, che rendano ancora più bello il tuo cielo.
Che non si perda nessuna delle anime che ho incontrato nella mia esistenza; ma ognuna di esse sia ardentemente infiammata dal tuo Spirito, per contribuire a creare e a dilatare la Chiesa in ogni parte della società e della terra.
Anime, mio Signore Gesù, anime donami senza numero e rivestite di santità, perché tutte glorifichino il Padre, che è nei cieli.
Mio Signore, che altro posso chiederti per farti contento se non quello che tu stesso porti nel tuo Cuore divino e ferito, immenso e vibrante, innamorato infinitamente e poco amato: anime da ogni parte della terra, anime brucianti di amore per te, vivissime di grazia, capaci di grandi cose per te a servizio dei fratelli e delle sorelle della nostra società, ma anche per le attese di tutte le nazioni.
Fa’ scendere su tutti noi lo Spirito Santo; che il Padre prenda Lui l’iniziativa di colmarci dei suoi doni di luce, di forza, di decisione, di creatività, d’intraprendenza, di chiarezza, di entusiasmo, di coraggio, di martirio.
Che il Padre finalmente compia quello che Lui stesso ispira fin dentro il nostro cuore e segni anche le stagioni delle realizzazioni.
Gesù, ottienici dal Padre che una innumerevole, universale schiera di anime, sorga e si consacri al Regno da estendere vicino e lontano; faccia che queste anime l’una sia unita all’altra e tutte insieme come una tessitura di santità e di zelo coprano tutto il mondo.
E’ tempo che la santità ricopra tutta la terra.
E’ tempo che il vecchio Occidente si desti e ritrovi la sua gloria nella fede in te e nella fedeltà alla Chiesa.
E’ tempo che lo Spirito Santo sia creduto e sentito come il vero «animatore» e «santificatore» di ciascuno di noi e guidi ciascuno per le vie che Lui stesso traccia e sulle quali ci accompagna.
Gesù, nelle tue mani e nel tuo Cuore è quanto noi bramiamo e attendiamo. Niente può accadere se tutto fosse solamente frutto delle nostre ansie e agitazioni.
Tutto accade e in maniera decisiva se tu ci doni lo Spirito Santo e il Padre dice: E’ questo il vostro tempo! Perché, io non voglio altro, Padre, che la tua gloria e la gioia del tuo Figlio Gesù.
Fa’ che il tuo Spirito Santo venga su di noi e schiuda i nostri cuori duri e serrati al suo vento e alla sua azione. Fa’ che lo Spirito trionfi su di noi e l’immensa schiera delle anime che Lui visita e riempie, finalmente si desti per l’apostolato urgente dei nostri tempi.
Signore Gesù, abbiamo bisogno di anime grandi, purissime, distaccate da sé, ignare delle lusinghe del mondo, a cui oppongano la libertà di seguire il Cristo.
Abbiamo bisogno di anime senza numero, che sorgano in ogni comunità e in ogni angolo del mondo, perché è tempo di dare nel nome tuo testimonianza visibile, stupenda, concreta, possente, intelligente e creativa a questa società materialistica e straziata dal peccato…
Abbiamo bisogno di santi che facciano fiorire le giovani chiese e salvino l’Occidente nel presente e per l’avvenire e spingano la Chiesa a frontiere nuove e più audaci. Signore Gesù, io ti amo.
La mia preghiera è nel tuo Cuore. Tu portala nel Cuore del Padre!
Fraternità a Indanagar
Sulla riva del Gange si trova la più famosa «città santa» dell’induismo: Varanasi, più comunemente conosciuta sotto il nome di Benares. Da migliaia d’anni i pellegrini vengono qua a cercare la purificazione. Nel 1972 noi abbiamo risposto all’invito di mons. Patrick D’Souza, vescovo di Varanasi, e abbiamo fondato qui una comunità.
La modesta abitazione che ci siamo allestita a Indanagar, a un centinaio di chilometri da Varanasi, non differisce molto da quelle che l’attorniano. L’abbiamo chiamata «Seva Sadam» (la casa del servizio).
E qual è precisamente il servizio che ci proponiamo di prestare? Prima di tutto una presenza: la presenza del Signore dell’universo, in quest’ambiente di predominante induismo. La gente d’Indanagar ama sedersi in gruppo e cantare gli inni delle sue divinità. Molti di questi canti sono stati adattati al cristianesimo; inoltre ne abbiamo composti di nuovi, su melodie musicali bojapuri, con accompagnamento di tamburi e cembali. Quando noi cantiamo degli inni o i vespri nella nostra cappella, la gente del vicinato entra e si unisce a noi; specialmente il sabato sera, al crepuscolo, noi restiamo insieme per ore intere, a lodare il Signore. Hanno imparato che la domenica è il giorno del Signore; e vengono più numerosi. Sembrano molto impressionati dalla solennità della nostra adorazione.
La gente del villaggio è con noi; e noi siamo veramente contente della nostra piccola «fraternità» di Indanagar, dove abbiamo piantato la nostra tenda.
sr Anna – Indanagar – Benares (India)
SPIRITUALITÀ MISSIONARIA
Per mezzo del battesimo… possiamo camminare in una vita nuova.
Sappiamo bene che il nostro «uomo vecchio» è stato crocifisso con Cristo, perché fosse distrutto il corpo del peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato…
Anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù…
Non regni più, dunque, il peccato nel vostro corpo mortale, sì da sottomettervi ai suoi desideri; non offrite le vostre membra-come strumenti d’ingiustizia al peccato, ma offrite voi stessi a Dio come vivi, tornati dai morti (=risuscitati spiritualmente) e le vostre membra come strumenti di giustizia per Dio (Rom 6, n. 13). (Parola di Dio)
1. Presenza trinitaria
La carità missionaria, che lo Spirito Santo ci dona, ci spinge a vivere e ad irradiare, è eminentemente una esperienza di familiarità trinitaria.
– Occorre sostare, far silenzio e adorare, immergendovisi, la realtà dell’infinita vita divina; bisogna risalire e far comunione con quella intimità sovrana e inaccessibile, ove il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo si appartengono e godono di sé nella felicità unica ed eterna.
Nella comunione eterna con la SS. Trinità è il destino, la vocazione di ogni creatura celeste e umana, di ogni tempo e luogo della terra; puoi sopportare che vi siano delle persone che non conoscano Dio come il fine della loro vita?
– Bisogna essere in grado così, prima di tutto, di scorgere, contemplare, lavorare e sacrificarsi per rispettare il mistero del Dio vivente nella creazione: il creato è il tempio della Presenza divina.
Le cose create, quando sono intatte e vengono rispettate, sono segni della presenza divina, sono eco, messaggio della Parola eterna.
– L’uomo soprattutto è immagine, segno, dimora, gloria, velo e mistero della SS. Trinità. Nel creato non v’è nulla di più grande dell’uomo e della donna.
La nostra dignità non ha confini.
Tutte le realtà materiali o viventi, ma inferiori all’uomo, sono a servizio dell’uomo; ugualmente, nessuna delle cose che l’uomo stesso produce, anche i gioielli della tecnica, i frutti della scienza, cultura, arte… vale più dell’uomo; anzi tutte queste opere umane sono niente anche di fronte ad un bambino, ad un malato, ad una persona anziana, ad un handicappato…
Nell’uomo vi è la presenza della SS. Trinità…
Se non sappiamo intravedere la persona umana come l’immagine sacra, prossima, viva e somigliante della SS. Trinità, non abbiamo ancora conosciuto né Dio, né l’uomo.
Se guardi un fratello, una sorella e in loro vedi e adori la presenza di Dio, il tuo battesimo è vivo. Chi non percepisse nel prossimo la dignità, che deriva ad esso dalla presenza di Dio, finisce per arrogarsi pretese di superiorità, e scadere in atteggiamenti anche di disprezzo, devastazione ed abuso.
– Anche nella nostra interiorità bisogna trovare la presenza di Dio.
Bisogna, tuttavia, fare una distinzione e scoprire la meraviglia nuova: se l’impronta, l’immagine, la proprietà del Creatore è in ogni persona, anche nel peccato re, solamente in chi vive in grazia e possiede la redenzione del Cristo, Dio vive interiormente nella familiarità dell’amicizia, nella comunione di una festa.
Lo Spirito, inoltre, misteriosamente può creare il «paradiso della SS. Trinità» anche in un cuore non battezzato, quando questo si fa dolcissimo e docile agli impulsi della coscienza e a quegli aiuti di luce che Dio dispensa anche ai non cristiani per prepararli, orientarli alla Chiesa ed alla ricerca e all’accoglienza dell’annuncio esplicito del Vangelo.
Il Figlio di Dio si è sacrificato proprio perché «questa intimità di gloria» fra la SS. Trinità e la creatura umana fosse conosciuta e offerta a tutti.
Se vivi in grazia, tu sei il tempio santificato dalla potenza divinizzatrice del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. E ne sei la sua gloria vivente. Puoi conoscere una gioia maggiore?
– Nella storia umana, in tutto l’arco dei tempi e delle generazioni, si deve scorgere l’epifania della SS. Trinità; la vicenda umana è da sempre storia di salvezza in cui Dio viene all’uomo per cercarlo, per salvarlo, per rivelarsi gradualmente e preparare i tempi per l’avvento del suo Figlio.
La pienezza dei tempi, il centro della storia, l’eccesso dell’amore del Padre, la rivelazione della vertiginosa dignità umana è segnata e compiuta dall’incarnazione del Figlio di Dio, Uomo-Dio!
Gesù di Nazaret è il senso di ogni vita umana, la pura gioia, l’unica salvezza di ogni uomo e donna. Dalla sua morte e risurrezione è sgorgata e sgorga incessantemente fino alla fine dei tempi l’effusione dello Spirito Santo sul mondo per rinnovarlo e renderlo Chiesa e la Chiesa trasfigurarla nel «Regno dei cieli»; e tale effusione dello Spirito va accadendo e deve accadere anche su ogni persona…
– Bisogna contemplare con lo sguardo innamorato anche la santa Chiesa, quale disegno, opera, presenza colmante e irradiante della SS. Trinità.
– Ancora un’altra commovente presenza trinitaria: Maria è il tempio più puro della gloria trinitaria. Ogni anima in grazia le assomiglia!
2. Intimità eucaristica
Che cos’è l’Eucaristia? E’ Gesù vivente realmente presente nel suo Corpo e nel suo Sangue, ma nascosto nella Chiesa, che ha il compito di esserne l’epifania e la comunicazione al mondo.
Che cosa avviene nel mistero eucaristico?
In questa realtà di fede, nella sua profondità inattingibile, come concentrati ed insieme tesi in un pieno ed attuale divenire, sono contenuti per noi, adesso, nella prossimità ad ogni uomo e ad ogni donna del mondo, tutti gli eventi della salvezza… Salvezza soprannaturale, ma dispiegantesi nella storia umana, che si compie per me, oggi, mi raggiunge oggi, viene offerta a me oggi, ed oggi da me deve passare a tutti…
Quando mi accosto con santità alla s. Eucaristia, quando contemplo e adoro con fede Gesù, realmente vivo e presente nella s. Eucaristia, io, ora, sono salvato con gli altri; ma insieme già vivo con tutti i salvati e devo maggiormente partecipare a salvare tutti. L’Eucaristia è Gesù, la cui azione salvifica si estende al passato più remoto e raggiunge il futuro estremo: Egli così abbraccia tutta la storia della salvezza dall’inizio alla fine e la rende presente qui, ora; ed io sono presente ad essa e ad ogni suo evento. E’ per l’Eucaristia che io non solamente sono contemporaneo al tutto, ma sono anche in dialogo, in partecipazione e in responsabilità verso tutti.
Allora quando Abramo o Mosè o Elia agivano, io ero già dentro la loro collaborazione con Dio per salvare il mondo. Tutto ciò nell’Eucaristia si fa attuale per me. Non è una storia morta, ma è viva tutta. Però anche ai peccati antichi ero presente e li approvavo o forse ne soffrivo. Nella storia dei popoli, nelle umane vicende, va attuandosi un disegno che avrà il suo compimento solo alla fine dei tempi: il Regno del Padre, ossia il trionfo di Dio, tutto in tutti (cf 1 Cor 15,28).
Lavorare per le Missioni vuol dire, collegandosi sempre con il passato, saper guardare al presente ed al futuro: al presente, perché con il nostro impegno ci troviamo inseriti nella storia della salvezza; al futuro, perché lavorando per accrescere il Regno di Dio, vedremo in cielo la bellezza ed il valore della nostra dedizione.
Il Regno di Dio ha nella storia umana dei secoli il suo centro e il suo culmine nella croce di Gesù, con l’offerta obbediente di sé al Padre per me, per tutti.
Nella passione e morte di Gesù, infatti, si rivela l’Amore del Padre, eterno e misericordioso, fino all’eccesso… Si rivela anche l’infinito amore di Gesù verso il Padre e verso di noi.
Nel sacrificio della croce, il Padre e il Figlio ci salvano redimendoci dai nostri peccati…
Quel sangue, quell’Amore, di cui il sangue è segno, misura e prezzo, è la nostra salvezza…
Nella croce, Gesù diviene definitivamente e massimamente – è la nuova ed eterna Alleanza in Lui del Padre con l’umanità – solidale con tutti gli uomini peccatori; con tutti: anche quelli prima della sua venuta storica, quelli di tutti i continenti, delle altre religioni, insomma con tutti quelli che sono e saranno…
Tale «unione», «congiunzione» e «comunione sponsale» del Cristo con noi – oltre che radicalmente nell’incarnazione e operativamente e concretamente durante la sua esistenza – avviene soprattutto nella croce, nell’estrema desolazione e annientamento dell’agonia e della morte. Qui si consuma il suo «sì» più grande al Padre, pronunciato nel Getsemani dove il Figlio beve fino in fondo il calice dell’amarezza, che il Padre converte in calice nuziale.
Ora tutto ciò che Gesù ha fatto resta attuale, si prolunga giorno per giorno; è vera la permanenza e la continuità della Sua condivisione con ciascuno di noi e con tutta l’umanità nei secoli. E ciò avviene nel sacramento dell’altare.
Nella s. Eucaristia ogni uomo e donna solidarizzano con Gesù in una comunione di vita divina. Liberati dal peccato, dalla propria condizione di condanna e di perdizione, si trovano redenti, liberati dalla morte, capaci di superare la morte con la risurrezione e di godere la comunione di vita eterna con il Padre…
Nell’Eucaristia si apprende e si vive l’atteggiamento dell’obbedienza: chi fa comunione con Gesù e lo adora nel silenzio delle grandi solitudini dei tabernacoli, dice e vive il suo «sì» sponsale a Cristo, insieme con un costante abbandono filiale al Padre.
E’ il «sì» a Cristo della Chiesa, che vive anche in noi; è il «sì» del suo dono totale al servizio del Regno di Dio, della sua missione vissuta come dono a tutti.
L’Eucaristia alimenta la spiritualità del martirio, perché solo la croce è il culmine dell’amore: «Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12, 32).
Nell’Eucaristia c’è il martirio dell’amore, ossia della sete d’amore che può essere saziata solo con il maggior numero di anime portate alla salvezza…
Nulla nella Chiesa è più grande dell’Eucaristia. Però v’è una sola condizione da rispettare: che i cristiani vi si accostino con fede e con purezza totale!
Accostarsi al Cristo presente nell’Eucaristia e riceverlo purtroppo indegnamente con il peccato mortale nell’anima è compiere un nefando sacrilegio, che l’offende smisuratamente devastando insieme la sua santità e la missione della sua Chiesa nel mondo.
3. Potenza dello Spirito Santo
Vivere decisamente per la Missione è frutto della presenza e della spinta interiore dello Spirito Santo. «L’evangelizzazione non sarà mai possibile senza l’azione dello Spirito Santo…
Si può dire che lo Spirito Santo è l’agente principale dell’evangelizzazione: è lui che spinge ad annunziare il Vangelo e che nell’intimo delle coscienze fa accogliere e comprendere la parola della salvezza.
Ma si può anche dire che egli è il termine dell’evangelizzazione: Egli solo suscita la nuova creazione, l’umanità nuova a cui l’evangelizzazione deve mirare» (EN 75).
Con la sua morte d’amore Gesù effonde sul mondo lo Spirito vivificante del quale la sua stessa risurrezione è capolavoro, primizia, segno, sorgente e pienezza. Tale Spirito nella Pentecoste crea e rende visibile nella Chiesa 1’«umanità nuova» e la sua missione. Per questo vivere la Missione universale in ogni tempo e luogo comporta per ciascuno, inserendosi in Cristo e nella Chiesa, di venire colmato dallo Spirito Santo e dai suoi doni e di essere capace di novità spirituali per il mondo; esige insomma di essere l’uomo nuovo, l’«uomo della risurrezione» per rinnovare il mondo.
La spiritualità missionaria comprende la scoperta nella Chiesa e in noi dello Spirito Santo, l’interiore esperienza della sua familiarità e irruenza, la docilità e la partecipazione alla sua missione, comunicata e condivisa sempre con la Chiesa… l’attenzione e la risposta alle attese e al travaglio del mondo, che provengono pure dallo Spirito Santo.
Lo Spirito Santo è la terza Persona divina dall’azione incessante e universale, che spinge e conduce la Chiesa a tutti gli uomini e tutti gli uomini nella Chiesa: tutti devono diventare «uno in Cristo» (Gal 3,28) e per mezzo di Cristo presentarsi al Padre in un solo Spirito (Ef 2,18). La spiritualità missionaria è universale nel senso che lo Spirito Santo non solo fa aprire al tutto, ma fa comprendere e cogliere anche il tutto; egli fa entrare nel tutto della storia della salvezza, nel cuore del disegno di Dio, nel fuoco delle esigenze ed urgenze della Chiesa missionaria, nel gemito del crogiolo del mondo, che vuole essere redento.
In realtà, non basta cogliere e vivere i vari aspetti particolari delle situazioni dell’umanità, delle sue invocazioni alla redenzione; la spiritualità missionaria deve abbracciare tutti i tempi, i luoghi, le condizioni, i problemi dentro cui il Vangelo deve penetrare per esserne fermento; deve contenere tutte le iniziative apostoliche: le vocazioni, le partenze, l’assimilazione culturale ed esistenziale, le attese, i mezzi inadeguati, i limiti di ogni genere, le resistenze, la predicazione diretta, la testimonianza, la pazienza dell’amore e della speranza, il martirio; tutto ciò è la missione perché nasca e si rafforzi la Chiesa, che non solo vuole esistere dove non è, ma deve fare di ogni conquista un nuovo punto di partenza. Insomma anche dove essa va sorgendo deve farsi missionaria in quanto nuovamente irradiante…
La spiritualità missionaria non deve intendersi come un’astrazione, una ideologia, un fatto emotivo, un susseguirsi di sperimentazioni; essa deve invece considerarsi come una sofferta e dilaniante esperienza apostolica che la persona vive in maniera intensamente genuina, suscitata dallo Spirito per una finalità immensa ed eterna…
Se non si concretizza nella persona e nella sua attività, la spiritualità è una «pagina di scuola teologica». Invece bisogna vederla incarnata nelle «persone vive» quale vibrante realtà di un apostolato autentico, innovativo, purissimo e dilagante (s. Francesco Saverio, s. Teresa di Gesù Bambino, s. Giovanni Bosco, ecc…).
La spiritualità esiste solo nelle persone, nelle quali viene realizzata ogni volta una testimonianza radicale. E’ dove lo Spirito Santo fa esplodere la vita teologale nelle anime a Lui docili; le dota dei sette doni, che rendono l’eroismo spontaneo e abituale; le impregna della dolcezza infrangibile delle beatitudini; fa loro assaporare nel compimento dell’apostolato i nove frutti della sua libertà.
Questa è la spiritualità vera: è l’uomo nuovo capace di opere grandi per la Missione nel mare senza confini della storia della salvezza!
Questa spiritualità missionaria è intensamente ecclesiale: lo Spirito Santo dimora nella Chiesa per santificarla continuamente e condurla verso orizzonti sempre più ampi…
«Lo Spirito Santo dimora nella Chiesa e nel cuore dei fedeli come in un tempio; guida la Chiesa verso tutta intera la verità, la unifica nella comunione e nel servizio; la istruisce e dirige con diversi doni… la abbellisce dei suoi frutti. Con la forza del Vangelo la fa ringiovanire, continuamente la rinnova e la conduce alla perfetta unione con il suo Sposo» (cf LG 4). Egli la spinge pure sulle strade degli uomini…
4. Devozione a Maria
Donare la vita per le Missioni è possibile se guardiamo a Maria, la «Madre della nostra fiducia» (Giovanni Paolo II, RH 22).
«Se siamo coscienti di questo compito, allora ci sembra di comprendere meglio che cosa significhi dire che la Chiesa sempre, e particolarmente nei nostri tempi, ha bisogno di una Madre» (id).
«Se in questa difficile e responsabile fase della storia della Chiesa e dell’umanità avvertiamo uno speciale bisogno di rivolgerci a Cristo, che è Signore della sua Chiesa e Signore della storia dell’uomo, in forza del mistero della Redenzione, noi crediamo che nessun altro sappia introdurci come Maria nella dimensione divina e umana di questo mistero.
Nessuno come Maria è stato introdotto in esso da Dio stesso. In questo consiste l’eccezionale carattere della grazia della maternità divina… Di conseguenza, Maria deve trovarsi su tutte le vie della vita quotidiana della Chiesa… (cf id 22)».
Per che cosa ci occorre l’intercessione della Madonna? «Solamente la preghiera può far sì che tutti questi grandi compiti e difficoltà che si susseguono non diventino fonte di crisi, ma occasione e quasi fondamento di conquiste sempre più mature sul cammino del Popolo di Dio verso la Terra Promessa, in questa tappa della storia che ci sta avvicinando alla fine del secondo Millennio…
Terminando… con un caldo e umile invito alla preghiera, desidero che si perseveri in questa preghiera uniti con Maria, Madre di Gesù, così come perseverarono gli apostoli e i discepoli del Signore, dopo l’Ascensione, nel cenacolo di Gerusalemme» (cf id).
Ecco allora il nostro costante rifugio: la Madonna della preghiera, la Madonna della nostra fiducia.
La Missione universale ha bisogno della presenza di Maria, soprattutto perché faccia di ognuno di noi un missionario contemplativo e un contemplativo missionario.
L’anima che si affida alla Madonna giunge veramente a questa statura apostolica, per cui cammina con il cuore perduto in Dio e con i passi instancabili sulle strade di ogni persona, a cui deve far arrivare la notizia e il dono che Dio è Amore!
Il s. Padre Giovanni Paolo II insiste sulla necessità di affidarci a Maria.
«Affidandosi filialmente a Maria, il cristiano, come l’apostolo Giovanni, accoglie “fra le sue cose proprie” la Madre di Cristo e la introduce in tutto lo spazio della propria vita interiore, cioè nel suo “io” umano e cristiano: La prese con sé».
Così egli cerca di entrare nel raggio d’azione di quella «materna carità» con la quale la Madre del Redentore «si prende cura dei fratelli del Figlio suo», «alla cui rigenerazione e formazione ella coopera» secondo la misura del dono, propria di ciascuno per la potenza dello Spirito di Cristo (cfr. RM 45d).
La devozione a Maria ha però un significato particolare anche quando si vuole comprendere la dignità della donna e la sua missione:
«In effetti, la femminilità si trova in una relazione singolare con la Madre del Redentore…
Qui desidero solo rilevare che la figura di Maria di Nazaret proietta luce sulla donna, in quanto tale, per il fatto stesso che Dio, nel sublime evento dell’incarnazione del Figlio, si è affidato al ministero, libero e attivo, di una donna.
Si può, pertanto, affermare che la donna, guardando a Maria, trova in lei il segreto per vivere degnamente la sua femminilità ed attuare la sua vera promozione.
Alla luce di Maria, la Chiesa legge sul volto della donna i riflessi di una bellezza, che è specchio dei più alti sentimenti, dei quali è capace il cuore umano: la totalità oblativa dell’amore; la forza che sa resistere ai più grandi dolori; la fedeltà illimitata e l’operosità infaticabile; la capacità di coniugare l’intuizione penetrante con la parola di sostegno e di incoraggiamento» (RM, 46 b).
5. Affetto ecclesiale
Dobbiamo avere una «sofferenza ed un entusiasmo d’amore» verso la santa Chiesa, la Sposa di Cristo.
Gli altri sono aiutati ad amare la Chiesa in proporzione del nostro entusiasmo per la sua santità, per la sua bellezza, per la sua generosità quando è testimoniata dalla nostra condotta.
– «Il mistero della Chiesa non è semplice oggetto di conoscenza teologica, deve essere un fatto vissuto… una connaturata esperienza» (cf ES 16).
– «Noi dobbiamo saper accendere in noi e negli altri un corroborante “senso della Chiesa”» (cf id 17): un sentimento profondo di «affetto», di «partecipazione», di «comunione», di gratitudine e di servizio…
Dobbiamo aver una convinzione commossa che conoscere di più la santa Chiesa, amarla, mettersi al suo servizio è incontrare proprio Gesù vivo, è entrare nel mistero vivente della santa Trinità, che dimora nella Chiesa, e che per essa, irradia la sua azione santificatrice nel mondo.
E’ solo mediante l’amore più puro, che ci possiamo porre nel cuore della Chiesa (cf Teresa di G. Bambino), possiamo sentirci effettivamente figli della Chiesa (cf Teresa di Gesù) e venir divorati dal suo zelo, che passando in noi ci tormenta con una agitazione santa e inguaribile.
La Chiesa – una, santa, cattolica, apostolica – è la nostra famiglia, la nostra casa, il nostro grembo, il nostro paradiso terrestre, il giardino del «cantico dei cantici»; ed insieme è la famiglia universale; più misteriosamente, è la nostalgia e l’attesa più ansiosa sulla terra di tutti i non cristiani.
Senza la Chiesa, come potrebbe esistere la bellezza nel mondo? Il fuoco dell’amore dove potrebbe essere attinto, se non esistesse questo focolare?
Perché non scoprire che la Chiesa universale ed eterna si specchia anche nella nostra interiorità? Perché non rendersi conto allora che chi si abitua ad amare la propria anima, purificandola incessantemente con la fiamma inesorabile dello Spirito della divina gelosia, si abitua a constatare facilmente che anche la propria anima è Chiesa, è tempio, è una «città d’oro puro»? (Ap 21, 18).
Tutti i cristiani, soprattutto quanti sono impegnati nella Missione universale devono sapere ed essere partecipi della inabitante presenza trinitaria, miracolo stupendo, eppure ordinario in un’anima in grazia! Ma donde ci viene la certezza della nostra «meraviglia interiore», se non dalla Chiesa? Il fine dell’uomo non è quello di glorificare Dio?
Dio non mira a manifestare la sua gloria nel volto e nel cuore dell’uomo redento e santificato?…
Ogni persona vive veramente solo quando in lei è presente la SS. Trinità!
L’anima «in grazia» è un tempio vivente della SS. Trinità, è un altare da cui sale l’adorazione per la sua gloria infinita; così pure è un’immagine umile e radiosa della santa Chiesa; e come la Chiesa, anche l’anima «in grazia» è già nascosta nella comunione trinitaria dell’eternità.
6. Fraternità universale
Non si può possedere «la forza» del Regno di Dio dentro di noi con la «spiritualità trinitaria» senza partecipare della dimensione, tensione, dedizione universale a voler salvare tutti gli uomini.
Bisogna arrivare a tutti gli uomini della terra, di ogni zona geografica, di ogni situazione umana, di ogni condizione.
Bisogna avere qualcosa dei sentimenti del cuore del Padre: «Egli non vuole che si perda neppure uno di questi piccoli»… (cf Mt 18,2 ss).
Bisogna aprirsi agli orizzonti di Gesù: «Andate in tutto il mondo» (Mc 16, 17)…
«Verranno dall’Oriente e dall’Occidente» (Mt 8,11)… «Attirerò tutti a me» (Gv 12,32)…
«Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra» (Mt 28,18).
Bisogna partecipare in qualche modo all’immensità e alla potenza penetrante e rinnovatrice dello Spirito Santo, che «soffia dove vuole» (Gv 3,8)…
Bisogna portare e vivere l’urgenza della Chiesa, inviata a tutte le genti, sentendo nel nostro cuore, nella vita, nelle azioni, nelle relazioni sociali la tremenda responsabilità di collaborare con essa a salvare tutti. L’universalità ha una densità non solo teologica, ecclesiale ed escatologica, ma anche storica, psicologica, culturale, politica, sociale, economica, estetica, ecc… L’universalità è soprattutto missionaria, perché è la Missione che fa tendere ad abbracciare tutta quella umanità, che ancora deve essere evangelizzata e deve edificarsi come Chiesa del Dio vivente! L’universalità è il nostro programma.
L’universalità è dono dall’alto e fedeltà a tale dono; è stile di vita quotidiana, ma anche sorgente di creatività e di slancio.
E’ fraternità senza frontiere; soprattutto è l’orizzonte definitivo del Regno di Dio.
Se tutti i cristiani fossero apostoli, se molte comunità fossero aperte all’universalità, la Pentecoste diverrebbe per essi l’esperienza di vivere in un Cenacolo permanente e irradiante; tutti i popoli si volgerebbero alla Chiesa come alla loro casa di pace; tutta l’umanità si costituirebbe in un’unica famiglia; tutte le strade del mondo diverrebbero gli itinerari della fatica missionaria; soprattutto l’anelito del «Padre nostro», che tutto avvenga «come in cielo così in terra» non sarebbe un obiettivo sempre lontano!
Beato chi vive la verità che Gesù ha proclamato: «Non chiamate nessuno “padre” sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo… e voi siete tutti fratelli!» (Mt 23,9-8).
Ora, cosa esige questa fraternità universale se non che «il più grande tra voi sia vostro servo»? (Mt 23,11). Se vuoi raggiungere tutti, scegli l’umiltà e servi nel silenzio, nella purezza e nel sacrificio il tuo prossimo, ovunque lo incontri, per la gloria del Padre.
Allora non hai più stranieri, avversari, sconosciuti, davanti a te! Come dovrà essere bello il Paradiso, dove ogni creatura umana ed angelica ci sarà amica, aperta, deliziosamente affascinante e rispettosa insieme!
7. Cammino verso l’eternità
La spiritualità missionaria guarda sempre a quel futuro grande, che Dio ha preparato per ciascuno e per l’umanità: la vita eterna. Dobbiamo raggiungere tutti Dio.
Lo scopo della creazione, della rivelazione, della redenzione, della Missione, insomma dell’Amore che il Padre ha per noi, è la comunione degli eletti con l’infinita Vita trinitaria nell’eternità svelata.
Sia incessante allora la nostra meditazione: «L’attività missionaria tende alla sua pienezza escatologica:
– grazie ad essa, infatti, secondo il modo e il tempo che il Padre ha riservato al suo potere (cfr At 1,7), si estende il Popolo di Dio, in vista del quale è stato detto dal profeta: «Allarga lo spazio della tua tenda, distendi i teli dei tuoi padiglioni! Non accorciare!» (Is 54,2);
– grazie ad essa cresce il Corpo mistico fino alla misura dell’età della pienezza di Cristo (cfr Ef 4,13);
– grazie ad essa il Tempio spirituale, in cui si adora Dio in spirito e verità (cfr. Gv 4,23), si amplia e si edifica sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, mentre ne è pietra angolare lo stesso Cristo Gesù (cfr. Ef 2,20) (AG 9 b).
«La Chiesa, alla quale tutti siamo chiamati in Cristo Gesù e nella quale, per mezzo della grazia di Dio, acquistiamo la santità, non avrà il suo compimento se non nella gloria del cielo, quando verrà il tempo della restaurazione di tutte le cose (cf At 3,21) e quando col genere umano anche tutto il mondo, il quale è intimamente congiunto con l’uomo e per mezzo di lui arriva al suo fine, sarà perfettamente restaurato in Cristo (cf Ef 1,10; Col 1,20; 2 Pt 3,10-13)» (LG 48).
Deve risultare sempre presente, per chi lavora per le Missioni, lo scenario aperto dalla rivelazione: «Il periodo dell’attività missionaria si colloca tra la prima e la seconda venuta di Cristo, in cui la Chiesa, qual messe, sarà raccolta dai quattro venti e costituita in Regno di Dio.
Prima appunto della venuta del Signore, il Vangelo deve essere annunziato a tutte le genti (cf Mc 13,10)» (AG 9).
La spiritualità missionaria, perciò, non può tacere l’ultima notizia, non si distrae e non dimentica il ritorno del Signore. Anzi, tutti dobbiamo sentir passare in noi il gemito dell’universo, il sospiro dello Spirito Santo, che piange nelle sue creature e le conduce alla liberazione.
Vivere la missione con lo sguardo perduto nel futuro di gloria è celebrare sulla terra la liturgia del cielo. L’Apocalisse ci introduce e ci fa partecipare ad eventi, che sono simultaneamente del tempo e del cielo.
Anche la Lumen Gentium ci fa contemplare la missione che va verso l’approdo della gloria: «Tutti quanti, infatti, noi che siamo figli di Dio e costituiamo in Cristo una sola famiglia (cfr. Eb 3,6; cfr. per 7 volte nei vv. 1-6: casa), mentre comunichiamo tra di noi nella mutua carità e nell’unica lode della Trinità santissima, rispondiamo all’intima vocazione della Chiesa e, pregustando, partecipiamo alla liturgia della gloria perfetta.
Poiché quando Cristo apparirà e vi sarà la gloriosa risurrezione dei morti, lo splendore di Dio illuminerà la Città celeste e la sua lucerna sarà l’Agnello (cfr. Ap 21,24).
Allora tutta la Chiesa dei santi con somma felicità di amore adorerà Dio e “l’Agnello che è stato ucciso” (Ap 5,12), proclamando a una voce: “A colui che siede sul trono e all’Agnello, benedizione, onore, gloria e dominio per tutti i secoli dei secoli” (Ap 5,13-14)» (LG 51 b).
C’è nella Chiesa, la Sposa di Cristo, un tormento e una fretta che le provengono dallo Spirito, per cui non avanza nella storia confusamente e senza una direzione, bensì corre verso lo Sposo.
La Chiesa riempie e associa a sé l’universo con un anelito incessante: Vieni, Signore Gesù!
Ciascuno di noi, nell’azione apostolica senza frontiere, deve coscientemente ripetere e far suo il grido dell’amore: «Vieni, Signore Gesù»!
E così sperare, pregare, lavorare, donarsi, invocando il ritorno di Colui, che è il primo e l’ultimo, l’alfa e l’omega (cf Ap 22,12).
8. Primato dell’essenziale
La Missione universale obbliga ad una vita cristiana senza alcuna leggerezza.
Si corre il pericolo – da parte dei cristiani e anche dei consacrati – di vivere così distrattamente, che affannati per accumulare cose materiali e bramare piaceri sbagliati, raramente danno importanza alla propria anima, al senso della vita e a come ciascuno si trovi nella verità davanti a Dio.
Chi riflette con la necessaria serietà sul peccato che è la morte dell’anima?
Quando fossimo in peccato mortale siamo un «tralcio secco» nella «vera vite», che è Cristo.
E’ veramente così: se portiamo dentro di noi dei peccati gravi, anche uno solo, noi siamo morti nella nostra anima. Ciò è sopportabile?
E se pure non si agisce così male, ossia con l’urto della gravità contro la legge divina, l’anima può essere ugualmente irretita da molte vanità da non percepire di poter e dover essere la «dimora di Dio».
Insomma, se bisogna collaborare con Dio per salvare tutti nel mondo, perché trascuri te stesso?
Chi non conserva una coscienza limpida nella routine di tutti i giorni, non solo non aiuta per niente gli altri ovunque si trovino, ma ne costituisce un pericolo, un ostacolo, uno scandalo.
Se vuoi far qualcosa per le Missioni, devi cominciare a mettere e a conservare la tua anima «in forma» davanti a Dio, davanti alla Chiesa e al mondo intero. A che servirebbe consumarsi per gli altri, se la coscienza fosse arida o avesse elevato un tempio torbido al proprio «io»? Bisogna vivere, a qualunque prezzo, in grazia di Dio. Il primo interesse per le Missioni obbliga ciascuno a vivere l’esistenza terrena impegnato a procurarsi la personale salvezza eterna. E questa ha il fondamento nella vita di grazia.
Lo sguardo abituale, umile e chiaro sulla propria anima, allena progressivamente a cogliere la vera situazione interiore davanti a Dio.
Solo i puri di cuore vedono anche in loro stessi la santa presenza di Dio.
C’è da dire qualcosa di bello: la pace abita in un’anima pura; dove c’è Dio, la pace non soffre turbamenti né sconvolgimenti. Qualche increspatura sì, ma non di più. Vi possono essere anche ansie e sofferenze grandi, ma la pace permane. I santi soffrono molto più degli altri; però è una sofferenza d’amore, non è l’agitazione, la disperazione o il malessere dell’assurdo.
L’anima «in grazia» porta già in sé la gloria dell’eternità; in essa la gioia si mescola alla luce e alla bellezza, come all’alba il mare si accende di bagliori perché il sole vi s’immerge.
E’ facile vivere nella gioia; come è anche facile incontrare chi si va disperando perché insegue miraggi folli e alienanti, allontanandosi da Dio.
Si naviga sul gran mare della pace interiore solo quando Dio ci è familiare e l’anima è trasformata in una luce d’eternità.
9. Interiorità, specchio della Missione
Solamente se raggiungiamo una piena limpidezza spirituale, dalla chiarità interiore erompono le urgenze della Missione universale; lo Spirito Santo, vasto incendio dell’Amore infinito, ci sprona ad una operosità insonne, tesa a promuovere mille novità ecclesiali. Allora verifichi che la Missione universale ti diviene un dono. Essa serve anche a questo: a non farti sentire generoso per le opere buone che fai, ma a farti apprezzare il valore della tua anima, che custodita nell’umiltà e nel santo rispetto di Dio, diviene più docile a collaborare con Lui. Quando Dio ci consuma, noi siamo un dono maggiore al mondo.
Veramente il disegno di Dio s’incentra su di te; tutto il comportamento di Dio vuole il tuo «sì», per colmarti di gaudio e di novità; Dio ti ama, perciò ti vuole con Lui per sempre, in una comunione d’amore.
Il Padre ti dona il Figlio e lo Spirito: dove li accogli, se non nel profondo della tua interiorità, per cui la tua persona s’illumina di dignità altissima?
Tu sei la sua «immagine»; per questo non puoi tollerare deformazioni e vuoi, devi splendere della sua gloria fin da questa terra.
Ma se la tua anima fosse devastata dal peccato, la divina gloria in te è spenta.
Il peccato, che è un separarsi violento della creatura da Dio, spegne la bellezza e lo splendore interiore; allora sacrificati, ma non far mai accadere questo male per te.
Impedisci che ciò avvenga anche negli altri. E’ dentro di te, che Dio compie meraviglie; ed è nel cuore di ogni persona, che devi contribuire a far fiorire la presenza di Dio.
Le Missioni ti fanno scoprire in ogni uomo il miracolo della sua grandezza: l’interiorità! Ed anche il dono soprannaturale che Dio vuol concedere a tutti: la grazia della redenzione, che è la santificazione dell’uomo e la divina presenza nel cuore puro e rinnovato.
Se scopri il valore e la luce della tua anima, non potrai contenere l’entusiasmo verso Dio, ma anche verso di te. Ed anche l’ansia verso gli altri.
E ciò senza orgoglio. Dio ti diviene familiare, perché ne hai brama e conosci un amore che ti avvince di pace e sogni solo un volto, solo un cuore, solo una bellezza: quella del Dio vivente.
La tua anima grida a Lui tutte le poesie della dolcezza e aspira a tutti gli eroismi dell’amore.
Allora anche il tuo prossimo lo guardi come scruti la tua anima: con la tenerezza di Dio.
Vai al di là d’ogni apparenza: vedi in ognuno dei miliardi di non cristiani la vocazione a possedere «la gloria di Dio», che attende ora il battesimo e domani, oltre il tempo, il cielo per manifestarsi definitivamente.
Ed hai speranza, misericordia, oblatività per tutti. Allora veramente sai donarti a tutti, dai piccoli gesti quotidiani agli impegni storicamente più innovativi e duraturi, senza far mai sollevare il fumo del successo e dell’illusione.
Allora non si verifica l’amarissima denuncia di Gesù: «Voi vi ritenete giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini, è cosa detestabile davanti a Dio» (Lc 16, 15).
Abbi cura, quindi, della tua interiorità, perché è lo specchio della tua dedizione missionaria.
10. Imminenza della vita eterna
Sii sempre memore del monito di Gesù: «Che ti giova, se guadagnassi pure il mondo intero, se poi perdi te stesso? A che serve aver successo nel mondo se perdi alla fine la tua anima»?
La più grave e irreparabile follia sta nel concludere la propria esistenza nel fallimento davanti a Dio. Una forma di tristezza inguaribile nell’uomo gli deriva dal fatto che non sa o non vuole vedere davanti a sé la vita eterna.
Se ami molto le Missioni, la tua vita scorre nella pace; perché non fissi più la tua dimora tra le ombre del tempo, ma poni il cuore già dove è il definitivo. Per questo sai lavorare con un cuore di apostolo e tutto rendi apostolato. Se ami le Missioni, non puoi non amare la vita eterna. Così pure se dentro di te ardono la certezza del cielo e il braciere della «vita eterna» – la grazia di Dio -, non puoi non amare le Missioni.
Liberati presto dalle illusioni: tu costruisci case; metti da parte molto denaro; vuoi una salute florida; hai studiato molto; ci tieni a salire la scala sociale; ma ciò a che serve, se prima o poi anche tu silenziosamente te ne parti e dopo il terzo giorno nessuno più parlerà di te? E come sarà per te l’incontro con Dio come tuo giudice?
Vivi e lavora quindi per la vita eterna; procura di salvarti l’anima e di fare tutto perché anche gli altri sulla terra conoscano e amino Dio per salvarsi mediante il tuo esempio e la tua preoccupazione apostolica.
Se vuoi sapere se ami le Missioni, vedi quanta nostalgia sale dentro di te verso il cielo.
Chi vive veramente per il cielo, passa sulla terra come un fiume di generosità e mentre coinvolge gli altri al bene e alla fede, non solo è pieno di pace il suo approdo finale, ma lo è anche lo scorrere delle sue ore nella sua responsabilità e presenza comunitaria.
Ciascuno di noi porta nel clima quotidiano una forza di pace, pari alla misura della grazia santificante, che è la «vita eterna» penetrata in noi e carica di tensione verso l’esplosione della sua pienezza nella visione di Dio.
Quando si porta nel cuore l’abbondanza della grazia – l’altro nome della «vita eterna» – si vive con una grande attesa che preme e la morte è sentita e giunge senza tristezza. Allora si ha pure il culto del tempo, che non è più inteso materialisticamente come «il tempo è denaro», bensì apostolicamente come «il tempo sono le anime» da guadagnare a Dio.
Per chi fa apostolato vero l’esistenza è attraversata da mille alleluja e irrorata da voli d’angeli, anche se la croce lo atterra di frequente per farlo possedere dall’Amore.
Chi ama le Missioni, prima o poi arriva a tale pienezza d’amore, che solo la vita eterna ne potrà colmare il tormento di totalità e ne avvererà il travolgimento in beatitudine.
Sono queste le verità più elementari; ma tutti vi poniamo l’attenzione necessaria?
Quanti problemi si risolverebbero immediatamente e come apparirebbe inconfutabile la vocazione dell’esistenza umana, che ci è stata data come dono, risposta e dovere di gioia! E questo per tutta l’umanità! Dio è veramente grande nell’amore: Lo conosciamo così?
Occorrono apostoli così per accostarsi con dignità ad asciugare le lacrime di milioni di disperati nel mondo e per il compimento di una «nuova evangelizzazione».
Una vocazione
Mio padre non mi risparmiava i rimproveri e neppure la bacchetta; ma io, dopo qualche giorno di vita giudiziosa, tornavo alle mie scorribande.
Un giorno egli fu avvisato d’una mia nuova scappata, e si mise in cammino per cercarmi, proprio come il buon pastore che va in cerca della pecorella smarrita. Mi trovò e, con voce tonante, m’intimò: «Fermati!».
Rimasi là inchiodato, perché sapevo che mio padre non scherzava. Mi prese per mano senza proferire parola e mi ricondusse al villaggio. Ma prima di ricondurmi a casa mi fece entrare in chiesa, davanti all’altare della Madonna. Mi fece inginocchiare vicino a sé, e pregò così: «Madonna mia, non so più cosa fare di questo figliolo. Lo do a voi, ve lo regalo. Vedete un po’ voi se riuscite a cavarne qualcosa…».
Il mio caro vecchio possedeva la fede dei patriarchi: il suo esempio, la sua pazienza e la sua preghiera m’hanno salvato.
Grazie a Dio, con l’aiuto della Madonna mi rimisi seriamente allo studio; il parroco mi dava lezioni e poi mi aiutò ad entrare nel seminario di Précigné… Ed eccomi qua, missionario del Signore, nel Grande Nord canadese.
Emilio Grouard O.M.I. (1840-1931) Athabaska, Mackenzie (Canada)
ESISTENZA MISSIONARIA
Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi… Ciò che conta è la nuova creatura (Gal 6,15).
Voi, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne…
Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne; la carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda…
Le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose vi preavviso, come già ho detto, che chi le compie non erediterà il Regno di Dio.
Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé (=castità)… Ora quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e i suoi desideri.
Se pertanto viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito (cf Ef 5,1.13. 16-25). (Parola di Dio)
1. Conversione
Quante volte accade, volgendo lo sguardo al prossimo, alla società, al mondo, di provare un sentimento acuto fino all’angoscia, un imperativo forte di volere un cambiamento, un rinnovamento, un superamento di tante situazioni tristi!
«Bisogna cambiare tutto, rinnovare tutto»!… si dice, si crede, si vuole. Ma dov’è la «via giusta»? Si tratta di assumersi un impegno inevitabile, condotto così:
– Esigere la conversione della mente, del cuore, dei costumi da noi stessi il più possibile, prima che dagli altri; esigerla sempre da noi stessi, anche se gli altri vanno per loro conto; esigerla da noi stessi non solo all’inizio, ma fino alla fine. Esigerla in modo radicale e permanente da noi stessi con la morte del nostro orgoglio, della nostra sensualità, del nostro attaccamento alle sicurezze umane… collaborando con lo Spirito Santo e in ascolto della Parola di Dio…
– Eliminare e sradicare da se stessi il peccato fino alle minime sfumature e orientarsi con umiltà e decisione verso le più alte possibilità della santità. In questo occorre porsi alla scuola dell’ascesi classica della tradizione cristiana. Vi sono maestri di grande efficacia: s. Giovanni della Croce, s. Ignazio, s. Benedetto, Carlo de Foucauld, ecc… Come vi sono maestre di sicura dottrina ed esemplarità: s. Caterina da Siena, s. Teresa di Gesù, ecc…
– Vivere consapevolmente e con gratitudine il proprio battesimo, che nello Spirito Santo è «il rinnovamento personale» il più grande, anzi l’unico radicale rinnovamento dell’essere umano… Dal battesimo viene «il cuore nuovo», si diviene «dimora dello Spirito Santo»…
– Vivere la conversione come strappo dal mondo e come contestazione di esso, di satana e di ogni suggestione perniciosa, per quanto seducente e allettante…
– Vivere quotidianamente sia personalmente che come testimonianza le tre «rinunce» che si pongono alla base della scelta battesimale insieme all’adempimento degli impegni di fede, pure ivi espressi…
– Vivere la conversione come sequela di Cristo, come trionfo in noi dello Spirito Santo, che non solo estirpa il peccato mortale e veniale, ma anche le sue radici, per far affermare in noi la vita teologale, l’espansione delle beatitudini, la maturazione dei suoi sette doni con i conseguenti frutti spirituali…
– Attuare la vigilanza, perché se continuiamo a patteggiare col peccato, se ci sfiora anche la sua ombra pestilenziale, se accettiamo i compromessi col mondo, non saremo mai liberi, né lieti, né capaci di svolgere la Missione universale…
Per vivere la conversione, con cui comincia e progredisce una reale sequela di Gesù, la sua nella nostra «via crucis» esistenziale e apostolica e la sua amicizia nella grazia, è necessaria la nostra obbedienza al grido di Giovanni Battista e alla veemenza degli altri profeti, per scuotere la nostra condotta e infonderci la serietà del timore di Dio. Ogni autentico generale rinnovamento nasce da una personale ed incessante conversione del cuore; essa comprende anche l’urgenza di:
– riparare i nostri peccati e quelli del mondo, dando tutto l’amore a Dio e ai fratelli per il tempo nel quale non li abbiamo amati e ponendo un maggior amore nel vuoto che i peccati hanno creato nella storia;
– salvare le anime, perché abbiamo finalmente compreso che il prezzo infinito di una sola anima è sempre il sangue di Cristo;
– farci avvolgere e penetrare ogni giorno dal fuoco della Parola di Dio, che ha la capacità – se corrisposta – di togliere da noi ogni traccia di egoismo e di durezza…
– accostarci ogni volta al Vangelo con le lacrime del cuore, perché ancora siamo lontani dalla purezza che il Maestro ci chiede;
– operare appassionatamente per la conversione degli altri, perché solo chi raggiunge Dio e si butta nella sua tenerezza misericordiosa è salvo per sempre. Invece chi rifiutasse l’Amore infinito di Dio è «dannato» per sempre.
– La conversione ha la sua sorgente nel sacramento della penitenza, dove il perdono di Dio è senza limiti e la nostra serietà diventa amore per la croce.
2. Contemplazione
La contemplazione non è propriamente una forma di preghiera raccolta e interiorizzata, ma è la vita cristiana spinta alla sua più alta espressione: la familiarità sperimentata e avvincente che concede a noi il Dio vivente.
La contemplazione è docilità umilissima a Dio, accolto in noi; è conoscenza d’amore; è l’amore più alto che fruisce, per grazia, di una intimità soprannaturale fino all’esperienza trinitaria.
Dio si concede a coloro la cui vita interiore va crescendo attraverso la purificazione e la trasformazione del loro cuore e del loro apostolato. Costoro avvertono uno straripare delle ricchezze dell’Amore divino e una maggiore conoscenza del suo altissimo mistero.
La contemplazione è l’esperienza indicibile sulla terra, che un’anima vive quando è visitata da Dio in misura traboccante. Tutto il suo essere ne è penetrato, pervaso o assorbito. E perché questa «visita divina» avvenga, ordinariamente l’anima ha attraversato tenebre e aridità purificatrici. Insomma è distaccata da sé, dal mondo, da ogni peccato; e vive da tempo solamente di Dio e dei suoi interessi. Oppure è l’inizio dell’avventura di Dio con essa. Certo, Dio resta sempre libero di trattare le sue creature nei modi e nei tempi che Lui stesso stabilisce, perciò la contemplazione non si programma, ma l’anima vi si dispone e l’accoglie.
La contemplazione fa della fede non solo una notizia, ma una esperienza d’amore. L’anima conosce l’Invisibile e l’Ineffabile, perché ne viene «toccata».
La contemplazione è l’esigenza fondamentale di ogni apostolato; non ne è solo il vertice, ma anche la sorgente. Essa è propriamente costitutiva della stessa esistenza cristiana, che è crescita di grazia e di vita teologale.
– «Bisogna che il nostro zelo per l’evangelizzazione scaturisca da una vera santità di vita» (EN 76 d).
– «II mondo reclama evangelizzatori che gli parlino di un Dio, che essi conoscano e sia loro familiare, come se vedessero l’Invisibile» (cf 76 c).
Bisogna lasciarsi veramente possedere e condurre dallo Spirito Santo (cf 75 c).
Allora accadrà che in noi vi sarà «uno slancio interiore, che nessuno, né alcuna cosa potrà spegnere» (cf 80 h). La «contemplazione», tuttavia, esige i tempi del deserto, della croce, del silenzio, della solitudine, della meditazione, del tu a tu prolungato davanti a Dio.
La contemplazione esige, allora, l’umiltà di fermarsi, sostare, farsi conquistare dall’azione dello Spirito Santo, che fa cadere i nostri vizi, ci purifica dai nostri peccati, ci libera da noi stessi, ci spinge ai sacrifici più grandi e gioiosi, fino a farci entrare nel «silenzio dell’adorazione».
E’ l’esperienza del Dio vivente come «roveto ardente». E’ l’obbedienza totale all’appello di Dio. E’ portare nella propria persona i segni delle visite e della presenza divina.
Così la contemplazione fa divenire l’apostolo in mezzo agli altri una presenza sorgiva di salvezza e di santificazione.
Allora la contemplazione spinge l’apostolo in mezzo agli altri come «un roveto ardente», perché Dio che è in noi, ci brucia d’amore e ci colma di una potenza salvifica irradiante.
La contemplazione tuttavia – bisogna ripeterlo – conosce un itinerario a più tappe; occorre avere il coraggio prima di tutto di cominciare e poi la perseveranza eroica e dolce di non fermarsi più, facendosi accompagnare normalmente da una guida esperta.
Se vuoi sapere come puoi svolgere fino in fondo la tua Missione universale, ricordati che la contemplazione ne è il segreto.
I patriarchi biblici andavano errando da un posto all’altro – iniziando la storia della salvezza – alla ricerca della terra futura, ma sempre scavando pozzi e costruendo altari. Anche tu devi scavare dentro di te per purificarti e innalzarti nell’adorazione verso il volto di Dio.
3. Vocazione
Per vocazione intendiamo non solamente il primo appello con cui il Padre ci chiama a servirlo e a seguire per una via personale e definitiva il suo Figlio, ma anche il cammino spirituale e apostolico durante tutta l’esistenza, percorso sotto il «fuoco» e la «forza irresistibile» della stessa divina Parola, che non cessa mai di indirizzarsi a noi per essere obbedita.
Noi siamo legati a tale Parola dolcissima e inesorabile. Noi viviamo solo se dipendiamo da tale Parola. Essa diviene per noi «volontà di Dio», adesso e qui. Se questa Parola tacesse per noi, noi saremmo perduti. Entreremmo nel paese del silenzio, dell’oblio (Sal 93,17; 87,13).
La vocazione è l’appello costante di Dio, che chiama sempre a servrLo, a lavorare con Lui per il suo Regno. La vocazione è permanente.
Ecco come vivono gli apostoli: noi siamo conquistati dalla volontà di Dio. Dio cammina con noi. Il Padre ci indica a mano a mano una strada, che è tracciata e percorsa anche dal Figlio suo; su di noi risuona incessante il «seguimi!» del Figlio, che non finisce più…
Noi viviamo attimo per attimo, davanti al volto di Dio; non facciamo apostolato di nostra iniziativa, né secondo la nostra fantasia e i nostri umori o piaceri; su di noi c’è una forza, che non ci lascia in pace, ci afferra totalmente per buttarci all’avventura del Regno, sempre da capo.
Se ti domandano: «Perché fai questo?… Come mai agisci così? Come spieghi ciò che fai»?
A queste domande tu non sai rispondere che in un solo modo: «E’ la mia vocazione! Sto seguendo Gesù, il mio Maestro, la mia via… Il Padre opera sempre ed io faccio come Lui mi mostra (cf Gv 5, 17-39).
Anche a te stesso devi ripetere: «Devo seguire la sua vocazione su di me»…
Il senso della nostra vita è assicurato dalla Parola di Dio, che ha mille modulazioni ad ogni istante: è conferma, certezza, dolcezza, amore, afferramento, cibo, luce, dialogo, riposo, amicizia, coraggio, silenzio, sguardo, canto, martirio, purificazione, vita, eternità…
E’ una Parola, che è la stessa Presenza divina che guidava e scuoteva i profeti…
E’ la stessa esperienza che faceva Gesù tra di noi: «Ciò che piace a Lui io faccio sempre!… Il mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato e compiere la sua opera (cf Gv 8,29; 4,34).
La vita vissuta come «vocazione» impone uno stile di generosità, di dipendenza dall’alto, di prontezza, di libertà dal mondo, da satana e dal proprio io; contiene una obbedienza, che tende ad una pienezza di adesione totale, fino ad incarnarsi ed esprimersi nelle forme speciali riconosciute dalla Chiesa: contemplativa, sacerdotale, religiosa, laicale, familiare, ecc…
E’ chiaro che chi si assume specificamente un impegno di consacrazione verginale deve essere veramente chiamato da Dio con «speciale grazia». E la risposta col «sì» iniziale deve tramutarsi in fedeltà perenne con identica, anzi crescente oblatività.
Qui, però, vogliamo anche intendere come «vocazione» quella radicalmente rivolta a tutti, senza escludere nessuno: ogni battezzato è invitato e sollecitato a non vivere mai per sé, ma è ordinato a costruire il Regno di Dio e a salvare il mondo. La vocazione, in questo senso ampio e generale, non è meno forte per ciascuno: chiunque voglia dedicarsi al problema missionario totalmente – anche i laici: un uomo, una donna, una famiglia, in qualunque condizione di vita e di professione, ecc… – deve portare nel cuore la forza della «Parola di Dio» a cui va donato un consenso permanente.
A questo punto, però, si può e deve dire con chiarezza: dentro il campo e l’esperienza del nostro apostolato missionario – formazione, animazione e cooperazione missionaria – devono sorgere senza numero, per grazia dello Spirito Santo, numerosissime vocazioni alla consacrazione verginale, piena e definitiva!
Chiunque ama e vive per le Missioni con zelo grande sogna il fiorire di innumerevoli giovani esistenze, che si riservano a Dio con amore esclusivo ed eterno per camminare nel mondo ed annunciare il Vangelo a tutti i fratelli e le sorelle dei continenti.
4. Animazione
Intendiamo come «animazione» l’apostolato, che nella Chiesa i pastori, i missionari ed altri responsabili rivolgono a noi come informazione, proposta, stimolo, urgenza, testimonianza al fine di farci amare di più la Missione universale, come includiamo pure quello che noi stessi rivolgiamo agli altri, alle comunità per lo stesso scopo. Quindi è un’animazione accolta ed esercitata. Ora ogni animazione missionaria è prima di tutto e sempre un’attività «spirituale». Animare – nel senso più ovvio – vuol dire «vivificare».
L’impegno di animazione «spirituale» consiste nell’infondere e suscitare la «vita spirituale», nel trasmettere il fuoco potente dello Spirito Santo propriamente nella profondità dell’essere umano, nella sua coscienza, nel suo cuore.
E’ un’azione delicata e grande, che si dirige a quel «centro» decisivo della persona, che è il suo cuore, la sua interiorità, la sorgente della sua personalità e responsabilità.
Ora qui – non va mai dimenticato – vi può e vi deve arrivare solo lo Spirito Santo, creatore, vivificatore e santificatore del cuore umano. Ogni altra presenza, senza o contro lo Spirito Santo, è inutile, oppure è negativa, devastante e schiavizzante.
Lo Spirito Santo solamente può cambiare e trasfigurare il cuore dell’uomo, radicalmente, infondendo la vita trinitaria e liberandolo dalla morte spirituale.
«Animare» è ridare quel soffio divino di vita soprannaturale, ove questa fosse spenta; oppure è ridestarla, ove si fosse attenuata o sopita; oppure è ingigantirla e farla avvampare come un incendio, tale che non possa più contenersi…
L’animazione «spirituale» è un’attività apostolica preziosa e necessaria; impossibile però alle nostre sole risorse, tecniche, possibilità umane.
Bisogna avere in noi lo Spirito Santo e collaborare con Lui mediante la preghiera, la docilità, la purezza, la povertà, l’abnegazione, la fedeltà… Quanto più egli s’impossessa di noi, tanto più agisce tramite noi sugli altri, fin nel loro intimo io, smuovendo anche delle situazioni difficili per farvi entrare il Regno di Dio…
Ora i due tempi dell’animazione sono inseparabili: accogliere e fare animazione.
L’animazione missionaria, che noi dobbiamo accogliere all’interno della nostra interiorità e della nostra comunità, è sentirci sempre sotto il soffio dello Spirito e sotto l’urto degli eventi che, nella Chiesa e nel mondo, non ci permettono mai sonno, inerzia o comodità. L’animazione missionaria, che noi siamo chiamati a svolgere verso gli altri, consiste nel suscitare altri apostoli per la Missione universale; nel coinvolgere alla partecipazione missionaria il maggior numero di anime; nel trasformare le coscienze, nell’aiutare molti ad un cambiamento di vita, ogni giorno, perché anch’essi ne possano fare un dono all’impresa di salvare il mondo.
Solo nei santi si trova l’animazione adeguata che fa crescere il numero degli operai per la messe del Regno e fa irrompere nel mondo una corrente di redenzione!
Essa suscita anche opere, slanci, gesti; essa illumina e risolve anche situazioni inestricabili, personali o comunitarie; l’animazione è un apostolato che si compie nella docilità all’azione dello Spirito, il quale pone in atto i suoi doni per rendere le persone a Lui docili «veramente» capaci di essere «apostoli del Regno»…
E’ un apostolato non da dilettanti o da animi rozzi, arroganti, violenti, mondani, superficiali, attaccati a se stessi… E’ un apostolato delicatissimo e urgente, necessario e prezioso. Per questo esige grande capacità di rispetto verso le anime e di umilissima attenzione verso lo Spirito con una prontezza di sacrificio di alta qualità evangelica…
5. Cooperazione
Dedicarsi con fervore e continuità a promuovere molte attività per la cooperazione missionaria – ed aiutare gli altri a effondere ugualmente la stessa generosità e gratuità di fede, speranza e carità in modo ufficiale nelle comunità ed occasionalmente in ogni incontro personale – è proprio di chi è stato conquistato interiormente dallo Spirito Santo alle esigenze del Regno di Dio.
Le opere che ne derivano sono il segno del fiorire del Regno ed insieme il frutto di una necessità interiore che si apre alla risposta ad esso.
Se lo Spirito abita in te, in te arde l’Amore divino, infinito e dilatante. Allora ami, ami veramente tutti! Ed operi attorno a te, anche lontano, senza misura.
Cosa comporta, allora, amare e lavorare – nella cooperazione – per la Missione universale?
Include prima di tutto il «dono di se stessi».
Questo si consuma gradualmente nel sentire e vivere la propria esistenza finalizzata al Regno di Dio, che deve crescere in ogni parte della terra; nell’adoperarsi con tutte le forze e le risorse a dare un contributo permanente e integrale alla Chiesa missionaria «dalle frontiere universali».
Il dono di sé consiste nel far giungere e nello stabilire con le «frontiere universali» una costante solidarietà personale, familiare, comunitaria, sempre più ampia e crescente…
La cooperazione autentica è nell’amore totale, che si dispiega soprattutto quando è creativo, coinvolgente e trascinante.
Non si tratta quindi di dare qualche cosa alle Missioni, ma di sentire – e far sentire – e tradurre in stile e gesti autentici che la Missione universale appartiene anche a noi…
Non solo si aiutano le giovani chiese, tenendo presente la complessità della loro rete organizzativa e pastorale, ovunque è impiantata e respira e opera e deve crescere, ma si ha la coscienza e la responsabilità che la Missione universale, ed ogni realtà missionaria, è la «mia» missione ed arriva anche qui, nella mia comunità, alla soglia della mia casa, all’interno della mia stanza…
Noi non vogliamo solamente aiutare tutti i missionari, ma vogliamo a tal punto solidarizzare con essi, da sentirci «una cosa sola con loro», con i loro problemi, le loro conquiste e i loro fallimenti… così pure protenderci verso tutti «i non cristiani», che sono ancora la «stragrande maggioranza» del mondo (cf AG 10).
Questo «divenire una cosa sola» è il programma dell’AG 28 ed anche il nostro.
Cooperare vuol dire tendere tutti allo stesso scopo, in maniera consapevole e nel contempo ordinata; indirizzare, in piena unanimità, le forze di tutti all’edificazione della Chiesa, dove ancora deve nascere o dove è troppo piccola.
Ecco allora il traguardo della cooperazione missionaria: divenire tutti una «forza sola», spirituale e operativa; realizzare veramente un’«anima sola», una comunione con tutti e di tutte le nostre cose, ma sempre insieme e sempre in crescendo, per cui «il lavoro dei messaggeri del Vangelo e l’aiuto dei cristiani» e delle comunità sono così collegati e regolati da esprimere una possente strategia dello Spirito Santo e della sua Chiesa, che respira nello stesso tempo la completa unità e la più universale apertura verso il mondo da evangelizzare.
La comunione è un respiro che unifica e dilata insieme. La cooperazione vive e testimonia proprio questa comunione (cf id. 28).
La cooperazione, così, comporta che il cristiano partecipi alla Missione universale con tutto se stesso: la mentalità, lo stile quotidiano, il tempo, il denaro, la parola, i talenti, l’ascesi, la vita interiore, la riparazione, la preghiera, l’attività professionale, familiare, culturale, la testimonianza, l’irradiazione verso gli altri dello stesso amore…
E’ chiaro che oltre a donare la propria cooperazione, occorre provocare anche quella degli altri: da qui proviene il dovere apostolico e pastorale di coinvolgere tutti gli ambienti e tutte le comunità allo stesso scopo…
6. Condivisione
Per vivere sempre di più la Missione universale occorre scoprire ulteriori tappe e avanzare per gradi successivi, fino a quel traguardo finale, che è per tutti la santità. Solo il santo realizza compiutamente la sua esistenza per il Regno di Dio.
Vediamo adesso cosa è la condivisione: è la nostra responsabilità missionaria, che si traduce mediante fatti sempre più concreti e scomodi in uno stile abituale di assimilazione agli ultimi, verso i più poveri.
La Chiesa è comunione tra Dio e gli uomini e tra tutti noi in reciproca solidarietà. Allora, seguendo s. Paolo, risulta chiaro che se tutti partecipiamo ai beni spirituali, esiste una necessità quotidiana di scambiarci anche i beni materiali. E questo scambio è «un servizio sacro» (cf Rom 15,27).
La condivisione è l’unità concretamente vissuta. L’unità perfetta con Gesù e tra noi sarebbe il Paradiso ritrovato; se l’unità accadesse veramente, sarebbe già il Paradiso sperimentato sulla terra, tra noi.
L’unità porta ciascuno allo scambio reale dei suoi beni verso tutti; l’unità è la prova che Gesù è nei nostri cuori e in mezzo a noi. Niente di ciò che è propriamente nostro, lo è esclusivamente, perché ci vien dato dal Padre per essere distribuito a tutti.
La condivisione si attua quando si ha il coraggio dell’uguaglianza. Ma va ribadito: verso gli ultimi.
La condivisione è la prova che la realtà della Chiesa vive nei nostri cuori e nelle nostre azioni: «Il corpo, pur essendo uno, ha molte membra; e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. E in realtà, noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un corpo solo, giudei o greci, schiavi o liberi… Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte… Dio ha composto il corpo… perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra avessero cura le une delle altre» (cf 1 Cor 12; è bene conoscere tutto il cap. 12).
La condivisione prima di tutto e con sofferta serietà va attuata a livello spirituale: «A ciascuno è stata data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune…» (cf 1 Cor 17, 7).
Fare apostolato è mettere in comune ciò che lo Spirito ha dato a ciascuno; la mia preghiera è quella di tutti e per tutti; la mia grazia e quella di tutti e per tutti; la mia ricchezza intima, i miei doni spirituali sono quelli di tutti e per tutti. Così pure il modo migliore di svolgere l’apostolato è attuarlo «insieme».
La condivisione, però, deve manifestarsi anche a livello pratico: non solo ciò che sono è per tutti, ma anche ciò che ho è da considerarsi a servizio di tutti, in egual misura. Soprattutto verso i più bisognosi.
Non divido se non do fino a realizzare tra noi una uguale misura. Devo considerare i destinatari indigenti, quelli con cui sono chiamato a condividere per avvertire quanto sia stringente il dovere della condivisione: quanta gente nel mondo ha meno di me, ha nulla di fronte a me: Cosa faccio allora?
Bisogna arrivare a mettere in pratica una donazione, una immedesimazione, che parta dalla sincerità del cuore, fino al «prestito senza ritorno», al «dono della tunica», oltre che del «mantello», fino al programma integrale del discorso della montagna, dell’inno della carità (cf 1 Cor 13), delle umili e insuperabili «opere della misericordia spirituale e corporale».
La condivisione dovrebbe condurci a non avere più «spirito di proprietà», a non avere più l’esclusiva nell’uso di questo o di quello, a smettere di lottare nella società solo per rivendicazioni materiali personali o di gruppo, ignorando che bisogna invece ingaggiare la lotta per i valori morali e spirituali, per una convivenza più sana, soprattutto per il bene dei giovani.
La condivisione ci fa accogliere con gioia la proposta di Gesù di vivere nella libertà, affidandoci alla Provvidenza del Padre (cf Mt 6,25-34) e divenire noi stessi «Provvidenza del Padre» per i poveri e per ogni fratello comunque bisognoso.
La condivisione ci fa assumere la categoria, quasi dominante nel Vangelo, che i figli di Dio sono i «servi del Regno», come lo è stato Gesù, che è venuto per servire (= sacrificarsi e morire) e non per essere servito.
E allora dall’uguaglianza si passa anche alla rinuncia totale, come Gesù ha dimostrato in se stesso.
7. Comunione
Sulla «comunione» c’è più di un documento del magistero attuale.
Ivi si può trovare la ricchezza d’un programma personale e pastorale.
Proprio dalla Bibbia risulta che «questa parola diventa caratteristica per le comunità cristiane» (cf BJ pag 402). Inoltre, «questo termine esprime uno dei temi più importanti della mistica giovannea: unità della comunità cristiana, fondata sulla unità di ogni fedele con Dio, nel Cristo… Questa unione con Dio è manifestata dalla fede e dall’amore fraterno. La testimonianza apostolica è strumento di questa comunione» (= l’apostolato svolto in collaborazione con lo Spirito Santo è fonte e creazione di comunione) (cf id pag 563).
La comunione è dono che viene solo dalla SS. Trinità; è esperienza di questo dono e segno reale della «vita trinitaria» partecipata a noi nella Chiesa; ma diviene dovere ed anche impegno di essere fedeli a questa «unità vivente» tra di noi e di portare insieme i pesi e le responsabilità comuni per costruire il Regno nel mondo; infine è nostalgia dell’ultima visione, quando Dio e gli eletti saranno «una realtà sola» nella gloria trinitaria (cf Gv 17,22-26). Qui insistiamo su uno stile pratico di vivere in comunione.
Bisogna creare unità, tra quanti intendono lavorare per le Missioni, prima di tutto.
Non si fa unità, se non si guarda al centro: Gesù Cristo. Alla sua sete straziante sulla croce (Gv 19,28).
Ci ricorda: «Io sono in mezzo a voi», quando due o più si riuniscono nel suo Nome!
Unirsi a Cristo vuol dire portarLo dentro il cuore, in una purezza di coscienza, di trasparenza, di stile di vita. Vuol dire avere «la grazia santificante» in una forma piena e traboccante.
Bisogna aver perso di vista il proprio «io», le proprie rivendicazioni, i propri gusti…
Bisogna aver eliminato il peccato, che contiene una potenza disgregatrice senza limiti.
Bisogna avere la retta intenzione: è il coraggio di non inquinare mai la radicale sincerità d’impegnarsi solo per Cristo, solo per la sua gloria…
Quando si cerca il proprio «io» e si studia come raggiungere i propri interessi nel campo ecclesiale e apostolico, allora l’unità è già infranta, anche se se ne salva l’apparenza.
Bisogna, inoltre, fare unità dove ci si trova: sul lavoro, in famiglia, in una qualsiasi convivenza, sempre tenendo presente Gesù e la sua verità.
Bisogna evitare le connivenze con il successo, il piacere malvagio e il potere in genere.
Chi è cristiano deve unirsi prima di tutto ad altri cristiani; e questi devono venire fuori, in ogni ambiente; bisogna aiutare gli altri ad essere cristiani convinti, o convertirli ad essere semplicemente cristiani…
Bisogna agire tra i cristiani di comune intesa, anche sui problemi quotidiani, professionali, oltre che di apostolato; ma non si deve cercare quell’unità, che piace a questo o a quello o quella di gruppo, ma quella che guarda lontano… e piace a Gesù!
Bisogna far nascere Cristo in ogni ambiente, e questo accade se i cristiani convengono ad unirsi e a sorreggersi «a viso aperto», in qualunque zona di esistenza e di esperienza…
Non solo si deve far nascere Gesù ovunque, ma anche la «Chiesa» ed anche la sua missione.
Far nascere ovunque la «comunità cristiana» vuol dire avere il coraggio della propria fede. Dalla comunità si passa alla missione: bisogna insieme con gli altri migliorare l’ambiente, dedicarsi a tutti, far splendere il Cristo nella lucentezza delle proprie azioni e delle proprie parole, insieme «con la propria comunità»…
Il coraggio della parola si deve accompagnare al coraggio di una coerenza e di un sacrificio gioioso e spontaneo… ma non da soli… bensì «in comunità»…
Bisogna insistere: bisogna fare unità tra i cristiani con schiettezza sia per far nascere Cristo in mezzo a coloro che lo ignorano, sia per iniziare o risuscitare la Chiesa, la comunità di Gesù in mezzo al mondo, in ogni ambiente… La Chiesa è comunità in Cristo.
Ove sono due o più riuniti nel coraggio della testimonianza c’è Gesù ed anche la sua Chiesa con la sua missione dalla proiezione vicina e lontana.
E questa missione evangelizzatrice che la fa crescere perché le genera spiritualmente altre persone, che a loro volta diventano nuovi apostoli.
Tuttavia chi ha la passione della comunione non esclude nessuno; nella vita quotidiana il cristiano deve fraternizzare con tutti, perché sa che ad ogni incontro, per mezzo della sua testimonianza, ogni uomo e donna, anche chi fosse incredulo, anche chi non fosse cristiano, si trova ogni volta di fronte ad un appuntamento con Cristo e può accogliere un evento di salvezza.
Per il cristiano la sua verità non è dominio, ma umiltà e servizio; soprattutto è fatica di viverla nella fedeltà mai bastevole.
Per vivere la gioia dell’appartenenza alla Chiesa sono necessarie – semplicemente – anche la scoperta e l’esperienza della comunione con l’autorità. Senza l’autorità non nasce né si protrae per molto la comunità… La comunione non esiste senza «l’autorità invisibile», il Cristo, che è il «fondamento», il «centro», che da invisibile viene a farsi «visibile» nell’autorità della Chiesa e in quella della società.
Quale comunione con l’autorità? Nella verità totale: interessi, servilismi, ipocrisie, raggiri, mondanizzazioni, ribellioni, non sono verità!
Vivere la comunione con intensità sacrificale è servire e far crescere la Chiesa con maturità e coraggio. Chi ama le Missioni, sente che «la sua vocazione è l’amore» (cfr. s. Teresa di G.B.), è la comunione fino all’infinito!
8. Annuncio
Ecco ciò che deve realizzare una esistenza «missionaria»: «Andate e predicate il Vangelo ad ogni creatura»! Occorre annunciare «esplicitamente» Cristo e il Padre, con la passione, la dolcezza e la franchezza dello Spirito Santo.
Perché in questa conoscenza vivente che gli uomini tutti hanno di Gesù e del Padre, nello Spirito Santo, sta «la vita eterna» (Gv 17,1).
Si può fare agli uomini un dono più alto e necessario di questo?
L’errore più grave dei cristiani «addormentati» consiste nel pensare che gli uomini senza Gesù stiano bene lo stesso.
Chi non annuncia Gesù, potendolo, non solo non ama né Gesù, né i fratelli, ma priva costoro dell’unico vero bene, di cui tutti hanno bisogno, anche se non lo sanno. E fa ingiustizia a Gesù, che ama tutti.
Gesù è tutto: senza Gesù l’uomo è inguaribilmente «vuoto». E’ «perduto».
Andate e predicate. questo è impegno di tutti. «L’impegno di annunciare il Vangelo agli uomini del nostro tempo, animati dalla speranza, ma parimenti spesso travagliati dalla paura e dall’angoscia, è senza dubbio un servizio reso non solo alla comunità cristiana, ma anche a tutta l’umanità» (EN 1).
Occorre portare a tutti l’annuncio chiaro e forte di Cristo e del suo Vangelo di salvezza.
Bisogna aver chiara la coscienza che solo Cristo è il Salvatore… Tutti gli altri non possono, non riusciranno mai a salvare l’uomo, a dargli un significato, un valore, una pienezza… a liberarlo dal peccato.
Bisogna essere convinti di questa verità infrangibile: solo Gesù è colui che ama e salva l’uomo, ogni uomo e ogni donna, tutti i popoli, tutta l’umanità.
Chiunque per sua personale responsabilità non ama Gesù, non lo vuole conoscere, non vi aderisce, lo rifiutasse, non si salva… ossia non dà sulla terra un significato alla sua vita e nell’altra non viene accolto da Gesù.
Si mediti l’urgenza dell’annuncio: «Che ne è oggi di questa energia nascosta della Buona Novella, capace di colpire profondamente la coscienza dell'”uomo”»?
– Bisogna parlare di Cristo, annunziarlo a tutti, ovunque!
«Sì, questo messaggio è necessario. E’ unico. E’ insostituibile. Non sopporta né indifferenza né sincretismi, né accomodamenti…
E’ in causa la salvezza degli uomini. Esso rappresenta la bellezza della rivelazione.
Comporta una saggezza che non è di questo mondo. E’ capace di suscitare da se stesso, la fede, una fede che poggia sulla potenza di Dio.
Esso è la verità. Merita che l’apostolo vi consacri tutto il suo tempo, tutte le sue energie, e vi sacrifichi se necessario, la propria vita» (cf EN 5).
– Bisogna annunciare Cristo con la parola, certo, ma di più con la testimonianza: «Vedano le vostre opere buone e diano gloria al Padre»… Gli altri devono vedere Gesù nei nostri fatti…
La coerenza, la bontà della nostra vita, il sacrificio per essere fedeli a Cristo, è il vero annuncio di Lui e della sua novità!
«Sarete miei testimoni» ha detto Gesù «fino ai confini della terra»: questo programma non va mai archiviato. Si devono annunciare e testimoniare Gesù e la sua Chiesa.
Bisogna far vedere cosa è la Chiesa nel nostro servizio agli altri, nel nostro rispetto per loro, nella stima, nel coraggio, nella sfida umile e tenace, nella coerenza…
L’annuncio va agli altri, a tutti: ecco come nasce e fiorisce la Chiesa, quando ami il prossimo con il Cuore di Cristo e per il Cristo…
– Annuncio è, quindi, un donarsi a Cristo per servirlo – senza umane e mondane gratificazioni – nella comunità, negli altri… Bisogna annunciare Cristo con una vita umile, casta, povera, docile ed entusiasta… capace di contrapporsi al mondo, di dissociarsi dal male, di provocarlo profeticamente, persino con un martirio prolungato…
– Oggi urge annunciare Gesù ovunque: per strada, sulla spiaggia, a scuola, in università, nei laboratori della ricerca scientifica, in ospedale, sul treno, nei negozi, nei bar, nella dolcezza della casa; ma anche nelle opere della cultura, nei mass media, nell’arte…
Il «nome di Gesù» fa piegare ogni ginocchio nei cieli, sulla terra e sotto terra (= negli inferi) (cf Fil 2,10) e deve essere proclamato da ogni lingua (= quanti saranno i linguaggi, i dialetti, gli idiomi della terra? e le lingue scomparse?) (cf id.).
Nessuno ama di più il suo prossimo come chi annuncia Gesù, il suo amore e la sua salvezza. Non importa a quale prezzo.
Esiste una diffusa epidemia fra i cristiani, che è paradossale: vergognarsi della loro fede.
Come spiegare che ci si vergogni di un bene, che costituisce il maggior titolo di gloria?
E’ la fede in Cristo, gridata con la vita, assaporata con la contemplazione, offerta con la parola convincente, sempre carica d’entusiasmo, dimostrata con le opere dell’amore la nostra più grande gloria!
9. Martirio
Si può amare la Missione universale, si può lavorare e offrire la vita per il Regno di Dio senza il sacrificio? La croce nella vita di Gesù non è un caso, ma è un disegno preciso: «Il buon Pastore offre la vita per le pecore… Io offro la vita per le pecore» (cf Gv 10,11-15).
Il Figlio dell’uomo è venuto per dare la vita in riscatto per molti» (Mt 20,28).
Amiamo le Missioni con questa coscienza: la croce è un dono, è la fecondità più sicura. Allora tiriamone le conseguenze!
Amare è sacrificarsi. L’apostolato brillante, pieno di successi, forse è pericoloso. Per ogni vero apostolo c’è «il calice del Getsemani», anche se non senza l’angelo del conforto (Lc 22,42-43).
«Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua»!
Chi può dimenticare queste parole? Chi può dimenticare che Gesù è crocifisso?
Chi può mettere tra parentesi che l’amore più grande, ossia quello che arriva alla sua misura normale, è solo quello che si offre in sacrificio totale, ossia fino alla morte?
Il martirio non è un episodio nella vita della Chiesa e nell’esperienza dei discepoli di Gesù; è preventivato dalle parole e dalla vita del Signore e confermato da quanti portano la loro fedeltà a Cristo e alla sua missione fino alla perfezione.
Il martirio ha molte forme di compimento; ciascuno deve lasciar fare alla Provvidenza.
Sta di fatto che noi possiamo sperimentare solamente nella croce la gioia più pura, ogni giorno. Siamo veramente dei candidati al martirio.
Non si può chiamare «croce» il sacrificio affrontato senza gioia. Solo nella gioia, in quella gioia che scaturisce dalla comunione d’amore con Gesù, noi viviamo e portiamo anche il peso della croce.
Solamente chi vuole risparmiarsi, sa organizzarsi in modo tale da far centro della sua attività e delle sue intenzioni «se stesso».
Allora a costui non interessa nulla o quasi Gesù; e la missione, la salvezza degli altri, il destino del mondo, la partecipazione reale al travaglio dell’universo non abitano nel suo cuore.
Non interessa quasi per niente la gloria del Padre. Gente così riesce ad evitare la testimonianza del «sangue», delle «lacrime», delle «persecuzioni», delle «incomprensioni», dei «rifiuti»…
Chi di noi, forse, non si riconosce pavido cosi e molto egoista? Le forme quotidiane – ma anche estreme – del martirio sono quelle descritte nel discorso nella montagna; va tutto assimilato questo programma del Regno, che Gesù predica ai suoi discepoli e a tutto il mondo.
Ma prima che ai suoi discepoli, le beatitudini appartengono al Maestro, sono l’esperienza che Gesù fa per sé. Il povero, l’afflitto che piange, il mite, il puro, il perseguitato, l’affamato di giustizia è Gesù. Gesù ci offre il suo ritratto, la sua identità. Perché questa non deve essere pure la nostra?
Bisogna dirlo: ogni forma di apostolato riesce a dare frutti prima o poi, quando l’anima che lavora nella Chiesa, vive il programma delle beatitudini.
Vivendo queste, l’anima si assimila a Gesù e ne prolunga la dedizione, le qualità spirituali, i frutti per il Regno. Soprattutto ci si unisce a Gesù con la croce, il martirio.
Le beatitudini sono la sinfonia dei martiri quando questi fratelli e sorelle sono provati o nel cuore o nel fisico. Va affermato con verità: il martirio si compie – non solamente in qualche istante supremo, ma in quello prolungato lungo tutto il corso dell’apostolato – quando lo Spirito Santo avvia e forza l’anima a realizzare le «beatitudini»…
Se meditando le «beatitudini» s’intuisce chi sia Gesù e cosa abbia voluto fare della sua vita in mezzo a noi, può il discepolo aver dubbi, può subire la perdita di identità sulla missione, può discostarsi dal suo Maestro?
Questo riferimento al Vangelo non solo serva per te, perché niente ti trattenga dal seguire il Signore fino al sangue, ma serva anche ad essere appreso dagli altri che lavorano per le Missioni. Sei tu che lo devi evidenziare con la vita.
La Chiesa viene edificata e rinnovata nel mondo solo da una costante generosità di molte anime per lo più nascoste, che arrivano a superare come fosse un fatto normale ogni misura nell’amore; e questo eccesso d’amore e di croce si chiama martirio.
Nella Chiesa la storia del martirio non sarà mai chiusa! Esso riguarda anche noi, anche te! Ogni missionario!
10. Salvezza
Un’anima missionaria sa per Chi e come lavora e si affatica; ma sa pure «a che cosa» tende la sua estrema aspirazione. Ebbene, ella guarda, anela, sospira, si prodiga per il compimento finale: la salvezza eterna personale e dell’umanità.
La Missione scade a livello di dilettantismo, di evasione, se si ignora il fine decisivo: la salvezza eterna delle anime! Diminuisce pure il numero degli «operai» del Vangelo, il loro fervore, il loro sacrificio, se si offusca il fine eterno della salvezza. Tutto dobbiamo fare per la salvezza eterna del mondo. Su questa verità non deve scendere nessuna nebbia. In questa certezza non deve esserci nessuna incrinatura.
Il piano di Dio è la salvezza dell’umanità, in Cristo e nella Chiesa.
«La ragione dell’attività missionaria discende dalla volontà di Dio, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità. Vi è infatti un solo Dio ed un solo mediatore tra Dio e gli uomini, l’uomo Gesù Cristo, che ha dato se stesso in riscatto per tutti» (1 Tim 2,46)… Se tutti gli uomini sono creati per salvarsi eternamente, il disegno del Padre è che essi si salvino solo in Cristo: non esiste in nessun altro la salvezza dell’umanità (cf. At 4,12).
E’ dunque necessario che tutti a Lui si volgano, dopo averlo conosciuto attraverso la predicazione della Chiesa; ed a Lui e alla Chiesa, suo Corpo, aderiscano vitalmente attraverso il battesimo…
Benché Dio, attraverso vie, che solo Lui conosce, può portare gli uomini – che senza colpa ignorano il Vangelo – a quella fede senza la quale è impossibile piacere a Lui (Eb 11,6), è… compito imprescindibile della Chiesa (cf 1 Cor 9,16), ed insieme suo sacrosanto diritto diffondere il Vangelo, sicché l’attività missionaria conserva in pieno – oggi e sempre – la sua validità e necessità.. . » (cf AG 7 a).
Questa verità della salvezza eterna dell’umanità è la fornace del nostro zelo: va meditata tantissimo e assimilata pienamente, ma più ancora va sperimentata nella corrispondenza umile e fiduciosa alla grazia.
Seguiamo ancora l’AG: «Grazie all’attività missionaria Dio è pienamente glorificato, nel senso che gli uomini accolgono in forma consapevole e completa la sua opera salvatrice, che ha compiuto in Cristo» (cf 7 b).
La salvezza dell’umanità: ecco ciò che i nostri sforzi, sacrifici, preghiere, viaggi, attività, doni, parole, esempi, privazioni, ecc… la morte stessa, vogliono raggiungere!
Ami le Missioni veramente, anche con preoccupazione? La risposta è questa: vedi se vuoi la salvezza eterna di tutti. Difatti, amare gli uomini con il Cuore di Cristo, portare nel cuore la fiamma dello Spirito Santo, ossia essere animati, infervorati, spinti dal vero amore – la carità teologale – vuol dire semplicemente donare ad essi la salvezza eterna, la vita eterna.
I cristiani, per poter svolgere bene l’impegno missionario, devono «essere sollecitati da quella carità, per cui amano Dio e per cui desiderano condividere con tutti gli uomini i beni spirituali della vita presente e della futura» (cf AG 7 b).
I problemi del mondo sono tanti, ma la salvezza è il primo e l’ultimo. La salvezza eterna non esclude la solidarietà concreta, storica, ma la rende più obbligante e tempestiva, perché questo fratello o sorella destinato al cielo, con una dignità sconfinata e immortale, non può restare nella schiavitù della miseria o della fame o della malattia. Come non può restare nell’ignoranza di Dio e nel peccato.
Il dovere di procurare la salvezza eterna al prossimo mi spinge di più all’azione, perché è proprio solidarizzando concretamente con gli altri, che io stesso procuro anche la mia salvezza e rivelo agli altri la tenerezza di Dio e la mèta finale, dove non solo la fraternità sarà perfetta, ma ogni dolore sarà estinto e ogni emarginazione sanata.
Salvare così gli altri per il cielo comincia allora sulla terra: l’amore suggerisce molteplici vie, che hanno tutte la stessa verità e comportano la stessa responsabilità: ci salveremo insieme solo se ora fraternizziamo insieme, in Cristo e nella Chiesa.
Le Missioni si riveleranno appassionatamente urgenti e universali quanto più la salvezza eterna occuperà con evidenza e preoccupazione il cuore degli apostoli del nostro tempo.
Voglio solo ciò che costa
I nostri collaboratori sono diffusi in tutto il mondo: sono in tutto circa 80.000. Ma io non voglio che diventino un’organizzazione benefica, una società per raccogliere fondi.
Qualche tempo fa quaranta professori americani vennero alla nostra casa di Calcutta. Dopo un incontro, uno di loro mi disse: «Ci dica qualche cosa che aiuti a cambiare la nostra vita».
Al che risposi: «Sorridete. Imparate a sorridere agli altri; cercate di aver tempo per gli altri; godete con gli altri». Allora uno mi chiese: «Ma lei è sposata?» Risposi: «Sì. E qualche volta mi riesce difficile sorridere al mio sposo, Gesù».
Come sapete, le nostre sorelle fanno voto di completo e gratuito servizio ai più poveri fra i poveri, e con questo voto noi ci affidiamo soltanto alla divina Provvidenza.
La stessa cosa deve valere per i collaboratori. Come noi non accettiamo compensi per il lavoro che facciamo, così non dobbiamo diventare un’organizzazione per raccogliere fondi. Sono andata in molti posti, e dappertutto ho detto che non voglio denaro o altre cose superflue, ma solo ciò che costa.
Madre Teresa di Calcutta, India ai «Co-Workers» (collaboratori)
«PICCOLE COMUNITÀ MISSIONARIE»
Colui che sedeva sul trono disse: Ecco, io faccio nuove tutte le cose… e soggiunse: Scrivi, perché queste parole sono certe e veraci. Ecco, sono compiute!
Io sono l’Alfa e l’Omega, il Principio e la Fine…
Chi sarà vittorioso erediterà questi beni; io sarò il suo Dio ed egli sarà mio figlio. Ma per i vili e gli increduli, gli abietti e gli omicidi, gli immorali, i fattucchieri, gli idolatri e per tutti i mentitori è riservato lo stagno ardente di fuoco e di zolfo. E’ questa la seconda morte.
Gli eletti vedranno la faccia del Signore e porteranno il suo nome sulla fronte. Non vi sarà più notte…
Ecco io verrò presto e porterò con me il mio salario, per rendere a ciascuno secondo le sue opere.
Beati coloro che lavano le loro vesti: avranno parte all’albero della vita e potranno entrare per le porte nella città.
Fuori i cani, i fattucchieri, gli immorali, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ama e pratica la menzogna… Vieni, Signore Gesù! (dall’Apocalisse 21,5-6; 22,4-5. 12-15.20). (Parola di Dio)
1. Urgenza pastorale
Se ami le Missioni, se vuoi lavorare soprattutto per la Missione universale, forma anche tu una «piccola comunità missionaria».
Non esiste un cristiano isolato; egli è sempre membro della Chiesa.
«Io sono la vite, voi i tralci» (Gv 15,5).
Ciascuno di noi con il battesimo è legato al Cristo e in Lui e nella Chiesa a tutti i fratelli e le sorelle del mondo; e misteriosamente anche ai non cristiani.
Nessuno di noi è staccato dagli altri; come si potrebbe vivere senza il Cristo, senza la Chiesa e senza gli altri? Dovunque tu sia, qualunque cosa tu faccia, sei sempre in comunione di vita e di azione soprattutto con tutti i cristiani del mondo. Ciò che è tuo, appartiene e si distribuisce a tutti; ma a te giunge e si comunica pure ciò che appartiene agli altri.
Tra tutti i cristiani nella Chiesa – quando non c’è il peccato mortale, che rende i peccatori come dei tralci secchi – si verifica una circolazione di vita divina, di santità, di preghiera, di eroismo, di testimonianza la cui fonte, in modo incessante, è Gesù e più in alto, in maniera nascosta ed inesauribile, è il Cuore eterno del Padre.
C’è nel mondo uno scorrere invisibile di bene morale e di grazia tra tutti coloro che sono «i tralci vivi» dell’unica «vite», che è Cristo.
Soprattutto opera invisibile lo Spirito Santo, che sgorga dal Cuore di Cristo e permea, vivifica, eleva, fa crescere tutti i cristiani come Chiesa, come «Corpo mistico» di Cristo, come famiglia di Dio, rendendola aperta e ansiosa di raggiungere anche i non cristiani.
Questa unione tra tutti noi, in Cristo, ci arricchisce, per prima cosa, della santità di Cristo, ma anche di quella di ognuno, e ci rende responsabili verso tutti.
Cosa diamo agli altri, se siamo mediocri, se non sappiamo sacrificarci per amare di più Cristo, se non siamo pieni di Spirito Santo e di grazia? Così pure è evidente che siamo feriti dai peccati degli altri… Come pure colpiamo il prossimo con i nostri peccati.
Il cristiano, che vive la sua comunione spirituale con la Chiesa universale e con l’umanità, è sempre posto in una chiesa locale.
Qui è facilitato ad impegnarsi e a costruire qualcosa di bello, di immediato e concreto se s’inserisce in una «piccola comunità missionaria» di apostolato, che è come una «piccolissima chiesa», immagine della grande Chiesa. Se non c’è, puoi farla sorgere tu.
Bisogna che tu appartenga oppure faccia nascere una «piccola comunità»; ivi sperimenti, per fede, la presenza di Cristo con il Padre e lo Spirito; qui apri una finestra sulla «Chiesa universale» e ti giunge il vento che soffia sul mondo. In una piccola comunità, della quale tu puoi essere responsabile, o comunque membro attivo e generoso, puoi crescere nella fede, nella statura spirituale, ma puoi svolgere anche un apostolato meraviglioso.
Basta essere anche in pochi, perché il gruppo possa costituire una «comunità» cristiana e missionaria. Se aspetti la folla, forse non ti deciderai mai.
Gesù parla anche di «due o tre» riuniti nel suo Nome (Mt 18,20) per far esistere una comunità.
Allora cerca e chiama alcune persone amiche, che conosci; ed insieme fissate il giorno, l’ora e il luogo per pregare insieme periodicamente e per progettare un apostolato comune.
Può essere a casa di uno di voi, in parrocchia, – d’accordo col parroco – in qualche chiesina o cappella, forse sempre chiusa, in qualche convento accessibile…
L’ora più opportuna – che costi anche un po’ di sacrificio – decidetela voi.
– Se è in chiesa, salutate Gesù nel sacramento dell’Amore infinito: la ss. Eucaristia. Adoratelo e ringraziatelo perché vi ha chiamati a lavorare per il suo Regno.
– Fate dei canti: invocate lo Spirito Santo. Fate anche un esame di coscienza, perché lo Spirito Santo vi purifichi intimamente.
– Poi viene l’ora di ascoltare la Parola di Dio. Silenzio, raccoglimento, avidità santa di questa Parola, della presenza di Dio; servitevi per esempio dei brani continui della Bibbia, oppure delle indicazioni di un sacerdote, o seguite il cammino formativo che altre «piccole comunità» stanno facendo…
– Assimilate la Parola di Dio; vi penetri fino alla radice dell’anima, fino ad una conversione continua e sempre più esigente. La Parola illumina e purifica. Bisogna sperimentare che essa taglia, distacca, estirpa, sradica il peccato e le sue abitudini. Però dona anche la soavità dello Spirito Santo.
– Poi, pregate con la stessa Parola di Dio. E’ il momento della risposta personale a Lui. Parlate a Dio con le sue stesse sillabe ed espressioni.
– Ci si può confrontare, inoltre, reciprocamente su quanta luce lo Spirito abbia fatto nella vostra coscienza e circa le situazioni vissute o su quelle da proseguire ed affrontare ulteriormente…
– La preghiera è intimità con Dio, ma da essa nasce pure l’azione verso il prossimo e la comunità pastorale e il mondo… Lavorate molto per Dio, oggi, nella vita sulla terra! Domani c’è l’eternità.
– Cantate, cantate, cantate…
Fate nascere tante piccole comunità, ovunque. Anche nei posti di lavoro, nelle scuole, nelle famiglie… Gesù è sempre il Maestro, il Re dei cuori, il Salvatore del mondo.
Impegnati anche tu a far nascere una tua «piccola comunità». Più stelle si accendono, meno è buia la notte. Fate nascere molte «comunità» di vita cristiana e missionaria; così Dio compirà dei miracoli per rinnovare la Chiesa e il mondo. Questa urgenza deve essere lucida fino alla sofferenza.
Se già fai parte o cominci ora a far parte di una piccola «comunità», la tua attività e la tua persona nel mondo, divengono luce «posta sul candelabro»…
E’ suonata per tutti l’ora di un grande impegno per la «nuova evangelizzazione» del Terzo Millennio cristiano nel mondo.
2. Visione soprannaturale
Una «piccola comunità missionaria» – o «gruppo ad gentes» – è formata da coloro che lo Spirito Santo raccoglie da ogni dove (=condizione di vita, geografia, cultura, età, esperienza personale, ecc.) facendoli convergere in Gesù Cristo, vivente dentro di loro e in mezzo a loro, in una unità fraterna (cf 1 Pt 1,22-1,3), spirituale e missionaria.
Coloro che portano Gesù «nel cuore» finalizzano la loro esistenza e la loro attività da soli e comunitariamente: – alla gloria del Padre,
– alla santità personale e comunitaria,
– allo splendore della Chiesa,
– all’avvento del Regno di Cristo su tutta la terra,
– alla «nuova evangelizzazione», che la Chiesa va svolgendo verso molteplici situazioni umane, che sono le frontiere del Terzo Millennio cristiano.
Questa «piccola comunità» deve trovarsi periodicamente insieme, per crescere spiritualmente e per lavorare insieme al servizio della parrocchia e della diocesi con un’intensa dedizione al rinnovamento pastorale e per il vantaggio della Chiesa universale e missionaria. L’adesione e la presenza personale nella «piccola comunità missionaria» nasce, quindi, dalla luce e dall’ispirazione dello Spirito Santo, che per ciascuno si scopre e diventa una chiamata di Gesù a seguirlo più da vicino.
Questa sequela comporta l’impegno di realizzare: – una comunione con Lui e con i fratelli,
– una costante formazione di crescita umana e cristiana con una fedeltà a prolungare la sua missione universale,
– l’annuncio e la testimonianza personale della Parola di salvezza,
– la diffusione e comunicazione della vita divina o grazia soprannaturale a quanti più possibile,
– il coraggio della coerenza ai comandamenti, che concretizzano la portata esistenziale e sociale della sua Parola,
– la testimonianza della carità, che è la «legge» e l’«esigenza suprema» della vita cristiana e missionaria, e nello stesso tempo è sorgente, compendio, vincolo, segno e meta di ogni perfezione.
Questa esperienza «integrale» della vita spirituale si irradia immediatamente all’interno ed al di fuori della stessa «piccola comunità»: all’interno, come adempimento personale di compiti apostolici che ciascuno assume ed al di fuori come apostolato per testimoniare Gesù e trasformare ogni ambiente con il fermento evangelico.
Diventa, inoltre, missionaria o come partenza definitiva tra i non cristiani, o come «dono personale» per un «irraggiamento permanente» verso gli altri ovunque e soprattutto all’interno delle comunità cristiane (famiglia, parrocchia, campi d’apostolato, ecc.), per seminare in tutti la gioia della fede e l’urgenza di tendere alla partecipazione verso la Missione universale.
Le attese dei «non cristiani» verso la luce, che è Cristo, le attese del Padre verso i figli dispersi che nel mondo vanno radunati, costituiscono sempre il nostro tormento emergente e la nostra responsabilità suprema.
L’autentica appartenenza alla «piccola comunità missionaria» deriva così da una risposta di fede alla chiamata di Cristo, alimentata da una preghiera che illumina e rafforza tale decisione; come anche dal consiglio del sacerdote e da una verifica personale.
La partecipazione alla «piccola comunità missionaria» comporta una coraggiosa e consapevole fedeltà. Questa si appoggia per ciascuno su una visione di fede che fa approfondire le esigenze del proprio battesimo e della propria incorporazione nella Chiesa. E’ pure attenta sempre «all’opera» ed alle «ore» del Regno di Dio nella storia dell’umanità.
La fisionomia «cristiana» delle «piccole comunità missionarie» sta a significare che le ideologie, le motivazioni puramente psicologiche e culturali, gli interessi personali più o meno dichiarati o talvolta le infiltrazioni meschine, ecc. sono radicalmente insufficienti o controproducenti per costituire e per sorreggere l’impegno totalitario di apostolato, che devono svolgere gli aderenti (cf AA 4 ab).
Insomma, principio, fondamento, storia, spiritualità e attività, traguardo e meta di ogni nostra dedizione è Gesù, il Cristo. E Gesù ci rivela e ci pone nel mistero adorabile, che è la ss. Trinità, come viene indicato soprattutto dall’AG 2.9.
Tutti quanti noi – non solo da soli, ma anche in comunità – dobbiamo ardere di desideri e creare una molteplice attività, radicati in questa convinzione: l’umanità intera con la santa Chiesa, per mezzo di Gesù Cristo nello Spirito Santo, deve fare comunione con il Padre.
3. Sviluppo spirituale
Ogni «piccola comunità missionaria» – o «gruppo ad gentes» – ha un’anima, un dinamismo, una vivacità, un’esperienza, una fioritura, un clima «teologale», dato precisamente dalla testimonianza di fede, speranza e carità (AA 3 a; 4 d).
– Vita di fede
Tutto nelle persone deve avere motivazione, finalizzazione, fondamento e risonanza in Dio.
Nulla deve stare a cuore a ciascuno ed a tutti come il primato di Dio, della sua santità, della sua volontà e della sua gloria.
In tutto – persone, azioni, parole, sentimenti, confronti… – deve brillare la sincerità della fede, nello stile personale, nelle relazioni vicendevoli, nel sacrificio degli impegni, nella generosità a collaborare, nel cantiere dei progetti, nel programma delle iniziative, nel bilancio del lavoro svolto… Solo e sempre: Dio servito per primo! (s. Giovanna d’Arco).
Inoltre, la fede impegna a costruirsi una personalità forte e amabile, basata su un’ascesi cristiana di libertà profonda e matura che è costante adesione al Padre, a Cristo ed alla Chiesa, nella capacità e nella chiarezza di saper discernere e affrontare ogni situazione di vita, prendendo decisioni tempestive e convenienti sempre in vista del bene delle anime e in sintonia con la volontà di Dio, anche se ciò personalmente costasse. E’ pure esercizio di umiltà verso la Chiesa. Se è volontà di Dio il sacrificio, d’altronde, non costa molto!…
– Vita di speranza
Oltre il traguardo della vita eterna sempre presente e cercata in ogni circostanza, a livello personale e comunitario, la speranza è il coraggio di costruire delle novità sante, è la freschezza di inventività, di operosità dinamica.
Inoltre la speranza è la roccia dei momenti difficili, in cui bisogna aver fiducia solamente in Dio, che è Padre, ma anche in se stessi, con umiltà, e negli altri. Bisogna aver fiducia, nel senso che ciò che si fa, ha sempre validità per il Regno, anche se non ne costatiamo i frutti immediati.
Bisogna ricordarsi che chi inizia non è sempre lo stesso che prosegue o raccoglie.
Bisogna aver la pazienza attiva di resistere, di saper attendere operosamente e disciplinatamente quando ci fossero ostacoli insormontabili.
Bisogna apprendere e conoscere le stagioni delle preparazioni interiori nel deserto, nella solitudine, nella eventuale sconfitta, anche nell’apparente abbandono di Dio…
Sempre la nostra fiducia però deve riposare nel cuore di Dio. La speranza è la certezza che il futuro è sempre di chi ama, di chi è retto, di chi dona la vita per le causa di Dio e della Chiesa.
Anche la povertà è un segno forte della speranza: essa difatti consiste nel contare su Dio e non sugli uomini, né «sui potenti» o sui mezzi mondani o vanamente risonanti… La fiducia in Dio fa odiare le false apparenze…
La speranza è la virtù dell’esilio e della pace finale, già pregustata qui sulla terra. E’ la certezza delle vittorie apostoliche.
– Vita di carità
La carità teologale è lo Spirito Santo in noi, è vita soprannaturale con un dinamismo altruistico.
Essa fa evitare i sentimentalismi, le invidie, le gelosie, le rivalità, l’odiosità dell’io, ecc… Non conosce l’orgoglio che non sa perdonare, non sa consigliare e correggere e non sa farsi consigliare e correggere.
Non conosce il rifiuto di una disponibilità continua, di un servizio a tempo pieno; rifugge dall’ipocrisia e dalla vanità. Non deve esserci ricerca di vantaggi personali, di ambizioni umane, di soddisfazioni egoistiche. Privilegia la gratuità e il nascondimento.
Porta ad un equilibrio psicologico ed affettivo. Costruisce la persona lineare, trasparente, senza le complicazioni interiori o di relazione, le forme distorte, capricciose, volubili, ostinate.
E’ decisa a vincere sempre la sensualità, l’impurità, l’erotismo, perché altrimenti ne sarebbe sconfitta.
Ogni apostolo con la sua «piccola comunità missionaria» ha come programma l’inno alla carità di s. Paolo (cf 1 Cor 13).
4. Esperienza ecclesiale
Nella «piccola comunità missionaria» si fa centro attorno al Cristo Vivente: «Io sarò con voi fino alla fine del mondo» (cf Mt 28,20). Dove c’è Gesù, ivi nasce, vive e cresce la Chiesa. Bisogna averne coscienza, responsabilità e gioia.
– Si vive allora della Parola di Dio ascoltata, letta, meditata, assimilata, verificata, testimoniata con l’esempio, diffusa con il chiaro annuncio. Questa Parola deve anche incarnarsi in molteplici forme di cultura dall’ispirazione cristiana.
La Parola di Dio va assiduamente – quotidianamente – meditata, da soli e in comune. Non esiste comunità senza Parola di Dio, né fra le persone v’è incontro vero, se al centro non c’è la Parola di Dio. Anche la preghiera nasce dall’ascolto della Parola di Dio e ne è la risposta.
La libertà dell’uomo è solamente nell’obbedienza a Dio! – Si vive della vita di grazia, convinti che solo chi possiede fervidamente la grazia vivifica anche il mondo e lo eleva in ogni situazione.
La «vita di grazia», inoltre, va fatta conoscere «a tempo opportuno e inopportuno» (cf 2 Tim 4,2) e comunicata agli altri per la gioia e la salvezza di tutti.
Lo zelo più alto consiste nello spendersi per comunicarla perfino ai non cristiani: «Andate e battezzate»…, cioè, fate vivere gli uomini della «vita trinitaria»…
La «grazia» va alimentata con i sacramenti, la liturgia, le opere buone, il sacrificio, l’esercizio delle virtù. Soprattutto con il fervore dell’amore.
– Si vive la legge di Dio, perfezionata dal discorso della montagna (cf Mt cc 5-7).
Neppure uno iota o un apice della legge cadrà, senza che essa sia compiuta, ci dice Gesù.
Chi non osserva le cose minime, nella vita futura sarà considerato minimo… Anche una parola inutile verrà giudicata alla fine del tempo…
La perfezione della legge è la carità, la perfezione della carità è il martirio. Esso sta nel «dare la vita» per Dio e i fratelli. Ma il dono di sé si deve vivere ad ogni nuovo giorno che Dio ci concede! L’anima canta: «Nella tua legge è la mia gioia»…
Chi osserva la legge divina, chi compie la volontà di Dio, gode della pienezza dei frutti dello Spirito Santo (cf Gal 5,22).
– Si vive dell’obbedienza alla Chiesa (= nella sua dottrina di fede, nel rispetto della divina Liturgia, nelle sue leggi, nei suoi legittimi rappresentanti), perché Gesù ha amato la Chiesa e si è sacrificato per lei, per renderla santa e splendente di bellezza celeste.
– Si vive, inoltre, l’esperienza della «messa in comune dei beni» secondo l’ispirazione del Signore, secondo le condizioni di ciascuno, come segno di fraternità, di vero servizio, di lode a Dio e di dedizione alla Missione universale. Si possiede davanti a Dio in tesori imperituri solo ciò che si dona, solo ciò che può chiamarsi «amore».
* Si tratta, anzitutto, di parteciparsi i beni spirituali per edificarsi vicendevolmente, con ordine e discrezione, con psicologia matura e purificata, nel rispetto dei «dieci comandamenti» e dei disegni del Padre, intuiti in ciascuno.
* Si comunicano le risorse psicologiche, morali e intellettuali, per fare insieme un migliore apostolato e sorreggersi in esso con un aiuto reciproco, un sostegno spirituale, una partecipazione reale alle situazioni personali e fraterne nella vita quotidiana o nei momenti straordinari. E’ evidente che in tutto ciò la regola d’oro da seguire è l’autentica capacità di discernimento dei carismi.
* Però si possono condividere anche dei beni materiali, secondo le possibilità e i doveri di ciascuno.
Tutto questo va considerato sempre in vista della crescita personale, della maggior disponibilità al servizio della Chiesa (particolare e universale) e della sua Missione universale, come pure in risposta ai tanti drammi dei fratelli vicini e lontani…
La reale appartenenza alla «piccola comunità missionaria» richiede che, non solo nel suo ambito, ma anche in ogni posto di responsabilità sociale e professionale, ci si senta sempre «in comunione e tensione ecclesiale», preoccupati di «fare Chiesa» e di vivere la Missione universale nel tessuto pastorale e in quello storico della società, mai perdendo di vista l’unico fine decisivo per tutti, che è la salvezza eterna.
5. Apertura apostolica
La «piccola comunità missionaria» deve splendere come «comunità aperta» agli altri, «inviata» agli altri, altrimenti non è apostolica. Non è nemmeno cristiana.
Non si tratta di star bene insieme, ma di lavorare tutti «insieme» verso gli altri per la «nuova evangelizzazione». Gli «altri» sono il termine del nostro impegno, non noi stessi, non questa o quella persona all’interno.
Se nell’ambito della comunità ognuno deve educarsi ed abituarsi al rispetto, alla collaborazione, alla considerazione dell’altro, questo tuttavia non basta; tutti i membri sanno che devono essere preparati e decisi ad andare al di là, agli altri, a servire gli altri, a donarsi e a donare tempo e fatica e risorse agli altri, con integrale purezza di cuore e di azioni, con il disinteresse della propria stima, della gratitudine, di qualsiasi guadagno o vantaggio, soprattutto di denaro, di cuore, di onore.
Bisogna vivere e rapportarsi agli altri con un’apertura d’animo, con una luce negli occhi, che è la sincerità massima, con una cordialità e creatività per non appesantire o bloccare la convivenza e l’apostolato con un’abitudine stanca o con un freddo distacco…
Questo però non vuol dire dimenticare il giusto riserbo, un pudore spirituale, la discrezione rispettosa di sé e degli altri. Ma chi sono gli altri, ai quali siamo inviati?
La «piccola comunità missionaria» non deve far centro se stessa, ma gli altri; ecco, soprattutto, dove deve aprirsi e sentirsi inviata: alla chiesa particolare – famiglie, gruppi, parrocchia, diocesi – e alla Chiesa universale nella sua faticosa missione verso i non cristiani, mediante le giovani chiese.
Non deve finalizzare persone, attività, beni e risultati a se stessa; se deve aiutare i propri membri, deve farlo con lo spingerli ad essere vivi, operanti apostolicamente nei loro doveri, nei propri ambiti: familiari, professionali, di Chiesa e di società. Ogni «piccola comunità», insomma, deve essere «sale e fermento» nella parrocchia e nella società non solo per contribuire ad una vita pastorale robusta e profonda, ma anche per orientare tutti i cristiani alla permanente solidarietà universale.
La «piccola comunità missionaria» ha sempre un assillo: mirare con l’animazione e con altre iniziative apostoliche di preghiera, di presenza e di relazione, a suscitare ovunque «apostoli e operai del Regno di Dio», convinta che la società diviene più sana e vivibile e la Chiesa più vivace e dinamica con l’aumento di tali anime!
Sa che più vi sono anime ardenti più cresce il Regno di Dio nel mondo!
La «piccola comunità missionaria» ama, allora, la povertà anche negli scopi: essa vuole essere povera; riparte sempre da capo in ciò che fa.
Se però si vuol sapere quale sia lo scopo emergente che le sta a cuore, allora va ribadito che esso è principalmente quello di suscitare «operai per la messe», «vignaioli per la vigna», «costruttori per la casa di Dio» nel mondo (cf Vangelo).
Ogni «piccola comunità missionaria» deve rifarsi al modello evangelico: Gesù prega nella solitudine e nel silenzio della notte e non per una sola volta! Poi chiama i suoi a stare con Lui, a fare con Lui le prime esperienze di apostolato, soprattutto a fondersi tra di loro e a fare unità con il Maestro. Vuole che apprendano cosa significa «essere inviati»: come il Padre ha mandato me, così io mando voi (= apostolo vuol dire inviato). Vuole che, uniti, imparino ad essere e a sentirsi insieme «con Lui» nuovo Israele, ossia Chiesa della Nuova Alleanza. E come Chiesa, ogni «piccola comunità missionaria» deve vivere di continuo l’esperienza di essere simultaneamente discepola e missionaria del Maestro.
Quali sono dunque i ritmi dell’apostolato della «piccola comunità missionaria»?
– L’apostolato prima si vive all’interno stesso della comunità: ognuno deve imparare a crescere nell’obbedienza, nella santità, nell’accoglienza immediata, nel perdono, nell’emulazione santa, nella gara all’umiltà.
– Poi, l’apostolato si apre a tutti gli orizzonti: nel quotidiano, in famiglia, sul lavoro, negli ambienti della Chiesa, nelle relazioni sociali, nella comunione anche con quelle forme organizzative che sono proprie dei «movimenti e momenti ecclesiali» come pure con le strutture e i servizi della società.
– E’ un apostolato infine specifico e proprio dell’animazione e cooperazione missionaria, richiesto dalla Missione universale e ad essa finalizzato, con tutte le iniziative cadenzate nel corso dell’anno e all’interno d’una realtà pastorale strutturata, che va rispettata, nella quale si deve trovare uno spazio conveniente per il proprio servizio.
In questo «lavorare insieme» pastoralmente come «piccola comunità missionaria» ognuno dei membri vi porta il suo specifico contributo secondo la sua condizione personale e sociale ed il suo carisma.
La Missione universale non permetterà mai di poterci sentire soddisfatti, tale è l’enormità dei suoi bisogni spirituali e materiali.
6. Elevazione quotidiana
Tu conosci molte persone, soprattutto quelle che abitualmente vivono con te nel paese, nel lavoro, nel quartiere della città ed anche quelle che incontri per motivi di relazioni culturali, politiche, sportive…
Attraverso queste persone ti fai un’idea della società nel suo insieme; concorrono a ciò anche i mass media ed altre occasioni (studi, viaggi, incontri, ecc…).
Ebbene, davanti agli altri, sia conosciuti che anonimi, hai un cuore puro, zelante, uno sguardo cristiano, oppure hai un cuore indifferente e duro, per cui pensi a te e basta? Gli altri li osservi con sguardo superficiale o addirittura malvagio? Ciò accade quando pensi agli altri solo per usarli nel far denaro, per incrementare interessi sordidi, oppure quando ti difendi da loro con la tua indifferenza, il tuo sospetto, il tuo cinismo. La fede ha una necessaria dimensione sociale: la carità.
Consideri la società come una massa informe, in mezzo alla quale sgattaioli per fare «ciò che ti pare e piace»? Vedi, in mezzo a queste gente occorre, per dovere, dare testimonianza cristiana! Ossia il meglio di te!
Per il contributo della tua vita e della tua parola, ogni giorno, il Regno di Dio deve crescere proprio in mezzo a questa folla umile e stanca o distratta, apparentemente anche superficiale; tu devi essere attento al loro cuore dove, forse, risiedono sofferenza o speranza che solo Dio conosce.
La società: Dio ti chiederà conto di ciò che hai fatto per gli altri in strada, in ufficio, quando compri un giornale o un settimanale, quando ti diverti, quando tratti la gente come se ciascuno fosse il tuo cliente.
Dio ti chiederà conto se hai contribuito a costruire una società «pulita», dove Egli possa avere il suo posto decisivo nella coscienza e nel comportamento di ciascuno, di tutti…
Se credi di non dover rendere conto di nessuno a Lui, allora sei facilmente dominato dal denaro, dal partito, dal gruppo di potere e, talvolta, anche da ricerche di piaceri innominabili, insomma dall’egoismo.
Se non capisci che questa società – la nostra, a vari livelli – va sanata, va guarita; se non ti rendi conto che non si può chiamare «civiltà» questa, dove il peccato è l’ingrediente più diffuso, sorridente o prepotente, per ogni successo, allora anche tu vai al macero, prima o poi. Se non trasformi questa società testimoniando, evangelizzando, sacrificandoti, come puoi amare le Missioni? Le Missioni esistono per salvare la gente finalizzandola al cielo, ma servono anche per dare qui, sulla terra, ad ognuno lo splendore della completa dignità di figlio di Dio, a livello planetario.
Se tu, nel tuo immediato contesto sociale, non elevi la società coi valori cristiani, anche il mondo intero soffre a causa tua, non solo per il tuo disimpegno, non solo per il tuo personale e negativo accumulo di disfunzioni e di tragedie, ma anche perché hai trascurato d’intervenire a raggio universale.
Come fanno le acque del tuo fiume a giungere lontano, se la tua sorgente è arida?
A che serve, poi, che giungano lontano, se la sorgente fosse inquinata?
Se rifletti che ogni atteggiamento pur piccolo di ciascuno ha sempre un influsso reale fino ai confini del mondo, allora conosci il valore grande per il Regno di Dio anche di una esistenza umile e nascosta, ma gradita a Lui; così pure tremi di paura davanti a qualunque atteggiamento indifferente, egoistico, violento, che si manifestasse pure nel privato, perché anche questo sai che percorre la terra con una forza di inquinamento.
L’amore per le Missioni provoca ed induce ad agire con fermissima onestà dovunque tu sia e a dare sempre l’esempio di una fede pura e coraggiosa.
7. Famiglia santa
L’appartenenza alla «piccola comunità missionaria» ti fa scoprire quel dono di Dio che è la famiglia e t’infonde riconoscenza e freschezza di sentimento anche verso la tua casa.
Se esiste un piccolo angolo del mondo, dove puoi essere veramente te stesso/a, dove puoi far fiorire gli ideali più belli, dove è più facile che il mondo diventi un giardino e esso diventi il tuo mondo, questo è la tua casa, la tua famiglia. E’ vero, oggi è tanto difficile tale esperienza, perché la casa ha perso la sua intimità e centralità.
Tuttavia si deve affermare la verità cristiana: genitore o figlio che tu sia, la casa può divenire lo specchio dei tuoi sogni nel bene e nelle virtù. Per raggiungere questo ideale serve un molteplice dono: quello della grazia, della fede, della preghiera, della coscienza, del sacrificio…
Come puoi cambiare il mondo in meglio, se non ti adoperi a fare della tua casa l’oasi tranquilla e creativa della solidarietà, della schiettezza, del servizio e della gratuità reciproca e costante?
E’ qui, che la tua fede e il tuo sacrificio possono fiorire in santità e zelo.
Come può il minuscolo mondo della tua casa divenire l’esperienza permanente e fondamentale capace anche dell’elevazione del mondo? Ciò accade quando tu vi fai abitare il Dio vivente.
In un tempo in cui si vuol far progredire la cultura e l’apertura all’accoglienza, può venir escluso proprio Lui, il Dio vivente?
Non si gestisce la famiglia secondo i modelli o i suggerimenti del mondo, della pubblicità, della sufficienza del denaro, insomma dell’egoismo. Bisogna avere un «segreto»: la regina della casa è solo la volontà di Dio con la sua grazia santificante.
Dio è il Vivente, da cui discende ogni paternità e maternità, ogni comunione feconda d’amore.
Dio è colui che dona la grazia che impreziosisce divinamente ogni pur piccolo evento familiare, ma chiede umiltà e collaborazione.
Dio è la gioia infinita nella patria del cielo; ma lo è in illimitata misura anche sulla terra. La nostra casa è anche la dimora, la piccola patria di Dio sulla terra.
La famiglia cristiana sa tuttavia che sulla terra ogni cosa è provvisoria: soldi, salute, posizione sociale, età, cultura… Perciò si volge a Dio e poggia su di Lui. Nella famiglia Dio vive insieme con noi.
Solamente Dio è la sorgente perenne della benedizione sulla famiglia, della sua intimità, della sua fecondità, ma anche della sua apertura, solidarietà e apostolato.
Ama la tua famiglia, che è il tuo bene più grande sulla terra.
Amala e difendila; non trovare scuse per tradirla o profanarla, perché la famiglia è la «pupilla» della creazione divina; è il cuore e il tempio sacro dell’universo. E tu, o sia sposato o sia giovane, metti al primo posto la castità per far splendere o costruirti una famiglia sicura. Non esiste l’amore senza la castità. Dove non c’è la castità c’è la passione, il vizio, il piacere, l’immoralità, l’egoismo, il peccato.
Cerca anche di riparare eventualmente ciò che tu hai potuto fare contro di essa; cerca di riparare, se puoi, anche quello che altri fanno di male alla santità della famiglia, nella società.
Ascolta: la preghiera, il sacrificio, l’umiltà, la forza divina dei sacramenti della Chiesa, la fedeltà verso la legge di Dio, la comunione con la santa Chiesa, la purezza dei costumi e dei sentimenti, la non schiavitù del denaro, della carriera, del successo, la serena certezza della vita eterna sono le colonne che sorreggono il sacrario della famiglia.
La Missione universale ti obbliga a fare della tua casa un capolavoro di santità e di comunione.
La famiglia, che nasce dal sacramento del matrimonio, rende ben visibile il fatto enorme che Dio è la sorgente, la pienezza, la consumazione e la stessa trascendenza dell’amore, come pure la sua espansione apostolica e missionaria. Le famiglie sante sono necessarie per la Chiesa che deve evangelizzare il mondo.
8. Fedeltà alla chiesa particolare
Considera la chiesa particolare nei due ambiti, che s’includono reciprocamente: la parrocchia e la diocesi. – Una forte esperienza di fede condotta nella «piccola comunità missionaria» ti rende ancor più consapevole di quale fervorosa partecipazione ha bisogno la tua comunità parrocchiale.
Tu hai una famiglia più ampia di quella naturale, fiorita dal sacramento del matrimonio.
E’ la famiglia dei credenti in Cristo; è l’insieme delle altre famiglie, che convergono verso un altare, che sperimentano di essere una comunità di fede, di grazia, di testimonianza e di condivisione a molti livelli, ma sempre in Cristo. E’ una comunità di credenti, che si sentono in dovere non solo di vivere la fede nel suo interno, esprimendola nella carità, ma sentono pure di doverla portare ovunque per illuminare e trasformare ogni ambiente, ogni situazione, ogni istituzione della società, affinché la dignità dell’uomo sia rispettata e Dio sia glorificato in Gesù e nella Chiesa, nella storicità concretamente sociale.
Se la famiglia è la tua «prima» piccola Chiesa, la tua parrocchia è come la prima «famiglia spirituale», che ti appartiene. Tu conosci, frequenti, sei membro attivo della parrocchia? Insieme con la tua famiglia? Oppure ignori, trascuri, ami poco la tua parrocchia? Essa, forse, non riceve da te nessun servizio, oppure appena una anonima e abitudinaria presenza, tanto da poterti far dire che tu stai a posto? Ma questa carenza di «coscienza e appartenenza ecclesiale» è una povertà grande per te! E’ un danno, un vuoto anche per la tua parrocchia.
Se non hai una coscienza ed una esperienza di appartenenza attiva alla tua chiesa locale, come puoi interessarti a fondo delle Missioni, che consistono nel far crescere la Chiesa universale, dove ancora essa non esiste?
Quanto più gratitudine ed entusiasmo hai nel vivere per e dentro la tua comunità, dando il tuo tempo e il tuo impegno apostolico, tanto più aiuto le Missioni ricevono da te.
Un’offerta in denaro, frutto anche dei tuoi buoni sentimenti, è poca cosa; amare i lontani, poi, potrebbe risultare una evasione sterile e meschina, se tu, qui, non dai il tu personale contributo ai problemi della parrocchia.
La parrocchia non è una struttura o una agenzia burocratica; deve essere per tutti una comunità di fede e di salvezza; essa è costituita dalla gente, che ha bisogno di sorreggersi per portare insieme i pesi quotidiani ed andare insieme in Paradiso più facilmente.
E’ nel servizio alla parrocchia, che la «piccola comunità missionaria» trova la sua motivazione e funzione apostolica. L’animazione missionaria con la cooperazione universale, che ne segue, non avviene sopra o ai margini della vita pastorale, ma nel suo interno. Per questo occorre dedicarsi soprattutto alla catechesi «autentica» e allo stile di «andare» ai lontani, di «avvicinarli» alla Parola di Dio e alla Chiesa;
– Insieme con la tua parrocchia devi sentirti legato dall’affetto anche verso la tua chiesa diocesana. Conosci il nome del tuo vescovo? Sai che Dio gli farà il tuo nome, quando si presenterà davanti a Lui, nel senso che Dio gli domanderà conto di cosa egli ha fatto per te, per salvarti?
Nella geografia spirituale del mondo v’è disegnata la tua «chiesa particolare»; questa notizia la trovi nelle pagine dell’Apocalisse.
Devi conoscere e amare la tua diocesi: in essa vi sono molte comunità parrocchiali, molti gruppi e movimenti di apostolato, vi sono tutte le famiglie cristiane, vi sono uomini e donne, d’ogni età e condizione, che la fede deve rendere di fatto fratelli e sorelle. E certamente in essa vi sono anche dei cristiani «assenti», «lontani», come pure nel suo tessuto storico e sociale vi sono dei non battezzati ed anche altri appartenenti a varie sette e gruppi religiosi.
La tua «chiesa particolare» è la patria della tua anima e merita che ti dia da fare per farvi crescere la vita cristiana e collaborare con gli altri al bene comune.
Cosa fai concretamente per la tua diocesi? Hai un ruolo apostolico ben definito? Vivi nell’indifferenza verso di essa? Partecipi ai suoi eventi con passione santa e convinzione attiva? Oppure i fatti religiosi o sociali della tua diocesi non ti riguardano?
Compi gesti concreti di solidarietà materiale, sociale, culturale, spirituale, che rivelano una coscienza viva di appartenenza responsabile verso di essa?
Anche la sua storia deve interessarti per non correre il rischio di rompere con le sue radici antichissime; è una storia che contiene valori, tradizioni e modelli, nati per lo più con dei santi, che sono fioriti oppure sono passati nella tua terra.
Se ami la tua «chiesa particolare», avverti che amare e aiutare le Missioni non consiste principalmente nell’aiutare questo o quel missionario, anche se sono della tua terra, ma consiste nell’aprirla a tutte le «giovani chiese», che vanno maturando una responsabilità di evangelizzazione sia nella loro difficile situazione interna, sia verso i loro gruppi umani non ancora cristiani, le cifre dei quali hanno un linguaggio tremendo.
In genere, le giovani chiese sono un piccolo «pugno di lievito» in una massa umana interminabile; eppure esse hanno la forza della speranza.
Se ami la tua «chiesa particolare», avverti l’esigenza di renderla partecipe e ansiosa per l’evangelizzazione dei vasti gruppi umani, in mezzo ai quali la Chiesa universale mediante le giovani comunità va sorgendo come miracoloso inizio dello Spirito Santo, già gravido delle future espansioni. Una diocesi aperta all’universalità è sana e viva!
Ora, il compito di spalancare le porte della diocesi al mondo è anche tuo e della «piccola comunità missionaria». Ama la tua chiesa diocesana; prega per essa e il suo pastore. Contribuisci con sacrificio al fiorire delle sue iniziative apostoliche e delle molteplici vocazioni.
Soprattutto coltiva in te la santità per la sua crescita spirituale. Non potresti farle dono migliore. Ora sei certamente più convinto che la tua passione per la Missione universale ti fa vivere ben radicato nella comunione con la tua chiesa particolare perché ciò che tu senti e operi ti viene da essa, che aspira al tutto ed è in comunione col tutto.
9. Fervore per la Chiesa universale
L’appartenenza alla «piccola comunità missionaria» è e deve essere un’esperienza rinnovata della Pentecoste. Quasi un miliardo di cattolici vivono sulla terra, nei luoghi più sperduti. Essi fanno parte del «Corpo mistico» di Cristo. E’ vero che il «Corpo mistico» comprende oltre noi, che siamo pellegrini sulla terra, anche gli eletti del cielo e le anime purganti, che sono in attesa della visione beatifica di Dio. E’ la meravigliosa «comunione dei santi». Torniamo, però, sulla terra e alla nostra storia.
Cristo ha fondato e inviato la sua Chiesa nel mondo, perché ognuno che aderisce a Lui, diventi con Lui un solo essere, una sola vita, una sola comunione vivente e universale.
La Chiesa è proprio questo mistero vivente di comunione universale in Gesù: tutti noi i battezzati apparteniamo a Cristo, perché siamo legati a Lui e tra noi, formando una sola realtà vivente: il «Corpo mistico».
E nella Chiesa ognuno partecipa alla sua missione indilazionabile, premente e grave di annunciare il Vangelo a tutti gli uomini di tutti i tempi.
Il cristiano che ama le Missioni sa di appartenere a Gesù e di vivere con Lui una comunione profonda. Sa pure che esiste uno scambio, una circolazione costante di vitalità spirituale, che è la «vita divina» della grazia, che deriva prima di tutto da Cristo e si diffonde in tutti i membri della Chiesa, purché non siano in peccato mortale; ma questa «vita soprannaturale» viene arricchita anche dalle preghiere, dai sacrifici, dalla bontà, dalla generosità, dalle virtù, dalle opere buone in ogni senso, dal martirio, che costituiscono l’esperienza di ogni giorno della Chiesa, in quanto vissuta dalla moltitudine dei suoi figli nel mondo.
Certo, anche i nostri peccati, la nostra pigrizia, la nostra cattiveria si comunicano agli altri, ferendoli e inquinandoli; e soprattutto «perseguitano» e «crocifiggono» Gesù.
Chi ama le Missioni gode che, attraverso la Chiesa, egli possa raggiungere tutti e riversare dei benefici su tutti, come pure possa ricevere grazia e ricchezze spirituali da tutti e venire consolato da tutti.
Per questo ama con gioia le Missioni, le quali gli appaiono costantemente e altamente come il grido, la tensione e la comunione dell’universalità, la constatazione vissuta della bellezza della «comunione dei santi», l’appello ad offrire e a ricevere il dono di una generosità che non ha frontiere e non ha scadenze.
E tale comunione ha come scaturigine e abisso il fervido mistero trinitario.
Se ami le Missioni, non puoi limitarti ai tuoi piccoli o meschini «affari» personali; tu respiri il mondo e ti senti dentro l’oceano dell’umanità, in cui si agita il destino finale di ciascuno.
Se ami le Missioni, il tuo cuore è aperto alle frontiere visibili e invisibili del Regno di Dio. La moltitudine degli eletti nella visione beatifica di Dio, con l’altra moltitudine delle anime, che la santità di Dio purifica nell’attesa della visione – nel Purgatorio – con questa nostra umanità fluttuante nei continenti, ti è nel cuore; tutti in Gesù ti appartengono.
Tu pure sei all’interno di questo «progetto» trinitario, che vuole tutti salvi, purché non si rifiutino a Lui nel loro orgoglio e nella loro ostinazione.
Vi sei «dentro» per fare ciò che ti è chiesto.
Tuttavia questo sguardo e questo abbraccio spirituale con la Chiesa universale non ti bastano ancora; vi sono i non cristiani. Si tratta di un numero impressionante; ma se fosse uno solo degli uomini ancora non cristiano, il tormento ci sarebbe lo stesso.
Anche essi sono chiamati dal Padre al suo Regno, anche su di essi e in essi deve splendere la gloria di Dio, anche essi sono raggiunti arcanamente dallo Spirito santificatore, anche per essi il sangue di Gesù è il prezzo della redenzione.
Ma lo sanno? Sono avvertiti dal nostro annuncio?
10. Evangelizzazione come tormento
La «piccola comunità missionaria» ti presenta il panorama della storia dei popoli, soprattutto quello attuale. L’umanità è distribuita sui continenti e questi sono un insieme di popoli e nazioni.
L’umanità è divisa per lingue, razze, culture e tradizioni; inoltre le vicende d’un popolo s’intersecano con quelle dell’altro. Da milioni di anni l’uomo, compone le comunità nascendo, vivendo e morendo sulla terra.
Come oggi vadano le cose nei vari posti del mondo, te ne parla l’informazione costante.
Tu sei cristiano; non sei né un’isola, né puoi contentarti di ripeterti: Ho già troppi problemi miei a cui badare! Tu sai che Dio è Padre di tutti, conosce tutti per nome; nonostante le deviazioni umane e le cose feroci che accadono tanto spesso, Dio vuole salvare questa umanità, che è succeduta a quella precedente e va lasciando continuamente il posto ad una successiva. Passiamo tutti così presto, che è come un battito di palpebre l’esilio di ciascuno sulla terra. Se si riflettesse che l’esistenza umana è «un soffio»!…
Ebbene, devi sapere che Dio va costruendo da sempre, in mezzo e con questa umanità dolente, il suo Regno, per lo splendore della sua gloria, la felicità delle sue creature, riparando anche lo scempio che il peccato ha fatto fin dall’inizio della sua creazione e che spesse volte con più o meno consapevolezza l’uomo continua a ripetere.
Il Regno del Padre vede prima di tutto impegnati il Cristo e lo Spirito Santo, Maria di Nazareth, come pure gli angeli del cielo e gli uomini e le donne del «sì» alla sua volontà; ma anche Abele, Abramo e Giovanni Battista. E poi Pietro, Paolo, Andrea, Giovanni… Maria di Magdala… Dio però vuole la tua, la nostra parte, la responsabilità di tutti.
Nelle cose del mondo, che vanno come vanno, vi devi scoprire anche la presenza e l’influsso tenebroso di satana e dei suoi satelliti, visibili e invisibili; l’uomo da solo non sarebbe capace di essere in molti orrori così raffinato nella crudeltà verso sé e verso gli altri e così tanto ribelle verso Dio.
Ebbene, qui sta il tuo compito: all’interno delle vicende umane, anche a livello cosmico, tu devi costruire il Regno di Dio.
Tu puoi agire con la forza più poderosa che esiste, quella dell’amore, della speranza e della fede. La fede vince il mondo (1 Gv 5,4). La tua forza creatrice e rinnovatrice è la grazia, la santità. Così tu non passi invano: il tuo sforzo quotidiano ha risonanza non solo universale, ma anche eterna. Gli uomini passano, soprattutto passano inutilmente i superbi, quelli che hanno riempito del loro nome il mondo (sal 49,12); tu, invece, scegli di servire Dio e i fratelli anche nell’oscuro àmbito del quotidiano, dove il tuo cuore sia al riparo dalla vanità; così la tua vita sarà spesa totalmente per il Regno…
Nella «piccola comunità missionaria» il tuo amore per le Missioni ti fa portare il mondo nel cuore e spendere la vita come dono quotidiano per tutti, fossero anche molto lontani. Nello Spirito Santo la tua forza apostolica è sempre creatrice e non ha altra ambizione che di far diventare molte altre anime come te: ardenti e irresistibili nello Spirito Santo per far avanzare il Regno, pur in mezzo alle sciagure del mondo. Anzi redimendole per poter salvare tutti.
«Andate in tutto il mondo ed evangelizzatelo»: è questo per te il comando di Cristo!
La grazia di una conversione
– «Il mondo non è soltanto stupido, è cattivo… Quanto a me, adesso tutto mi è indifferente: strapazzi, dolori, tutto. Amo solo Gesù e sua Madre; a Lui voglio consacrare la mia vita in espiazione dei miei peccati.
Come mi fa bene scrivere queste cose! E’ la prima volta e ne provo una gioia nuova, inconfondibile» (131). – «Il mondo che l’approva – si riferisce alla condotta immorale di una persona cara – è composto di esseri che non conoscono Dio, che vivono unicamente la vita della terra e che non pensano alla loro anima né alla loro morte, né all’al di là. Quel mondo accomodante e spensierato io non posso sopportarlo, mi ripugna; e se resto serena e dolce è perché Dio ha cambiato la mia anima, la vuole sua; e prima di chiamarla a sé, vuole mostrarle definitivamente la vanità del tutto» (lettera al confessore dopo tre mesi dalla conversione, 19.6.1917) (130).
– «Oh, io non sono mai stata tanto felice come dopo l’ora di Dio!» – esclama all’impresario del teatro di Parigi (136).
– «Qualunque siano le mie sofferenze fisiche o morali oggi – scrive al suo confessore – io le amo e preferirei morire piuttosto che tornare indietro» (da Lourdes,1917) (157).
– «Ho paura di tutto e soprattutto di me stessa. Però amo Dio e gli domando di farmi morire piuttosto che offenderlo volontariamente» (162).
– «Ti auguro il successo che ho avuto io: la grazia del Signore!» risponde al giovane attore Sacha Suitry, che la sta invitando a ritornare sulla scena (173).
– Prima di partire per Tunisi come missionaria, scrive alla superiora delle suore di Nevers, sr M. Bernadette: «Preghi per la sua piccola bambina di sette anni – ella ha in realtà 58 anni. Il resto è morto, morto».
Eva conta gli anni dalla sua conversione: «La vita vera è solo quella della grazia; al di fuori della grazia è la morte, anche quando ci si illude di vivere» (259).
– «Domando a Dio dal fondo del cuore di farmi morire subito piuttosto che perderlo» (174).
L’ORA DI UNA NUOVA EVANGELIZZAZIONE
«Credimi, donna, è giunto il momento… E’ giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori». «Io vi dico: Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura… (Gv 4,21.23)». (Parola di Dio)
1. Per una «nuova evangelizzazione»
«Andate a predicare il Vangelo» mantiene sempre vivo il suo valore ed è carico di un’urgenza intramontabile. Tuttavia la situazione attuale, non solo del mondo ma anche di tante parti della Chiesa, esige assolutamente che la parola di Cristo riceva un’obbedienza più pronta e generosa.
Ogni discepolo è chiamato in prima persona; nessun discepolo può sottrarsi nel dare la sua propria risposta: «Guai a me, se non predicassi il Vangelo!» (1 Cor 9,16).
– Interi paesi e nazioni, dove la religione e la vita cristiana erano un tempo quanto mai fiorenti e capaci di dar origine a comunità di fede viva e operosa, sono ora messi a dura prova, e talvolta sono persino radicalmente trasformati dal continuo diffondersi dell’indifferentismo, del secolarismo e dell’ateismo.
Si tratta, in particolare, dei paesi e delle nazioni del cosiddetto Primo Mondo, nel quale il benessere economico e il consumismo, anche se frammisti a paurose situazioni di povertà e di miseria, ispirano e sostengono una vita vissuta “come se Dio non esistesse”.
Ora l’indifferenza religiosa e la totale insignificanza pratica di Dio per i problemi anche gravi della vita non sono meno preoccupanti ed eversivi rispetto all’ateismo dichiarato.
E anche la fede cristiana… tende ad essere sradicata dai momenti più significativi dell’esistenza, quali sono i momenti del nascere, del soffrire e del morire. Di qui l’imporsi di interrogativi e di enigmi formidabili che, rimanendo senza risposta, espongono l’uomo contemporaneo alla delusione sconsolata o alla tentazione di eliminare la stessa vita umana che quei problemi pone.
– In altre regioni o nazioni, invece, si conservano tuttora molto vive tradizioni di pietà e di religiosità popolare cristiana; ma questo patrimonio morale e spirituale rischia oggi d’essere disperso sotto l’impatto di molteplici processi, tra i quali emergono la secolarizzazione e la diffusione delle sette. Solo una nuova evangelizzazione può assicurare la crescita di una fede limpida e profonda, capace di fare di queste tradizioni una forza di autentica libertà.
Certamente urge dovunque rifare il tessuto cristiano della società umana. Ma la condizione è che si rifaccia il tessuto cristiano delle stesse comunità ecclesiali che vivono in questi paesi e in queste nazioni […].
– A tutti gli uomini contemporanei ripeto, ancora una volta, il grido appassionato con il quale ho iniziato il mio servizio pastorale: «Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla Sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa “cosa è dentro l’uomo”. Solo Lui lo sa!
Oggi così spesso l’uomo non sa cosa si porta dentro, nel profondo del suo animo del suo cuore. Così spesso è incerto del senso della sua vita su questa terra. E’ invaso dal dubbio che si tramuta in disperazione.
Permettete, quindi – vi prego, vi imploro con umiltà e con fiducia – permettete a Cristo di parlare all’uomo. Solo Lui ha parole di vita, sì! di vita eterna» (124).
Spalancare le porte a Cristo e accoglierlo nello spazio della propria umanità non è affatto una minaccia per l’uomo, bensì è l’unica strada da percorrere se si vuole riconoscere l’uomo nell’intera sua verità ed esaltarlo nei suoi valori […].
L’uomo è amato da Dio! E’ questo il semplicissimo e sconvolgente annuncio del quale la Chiesa è debitrice all’uomo. La parola e la vita di ciascun cristiano possono e devono far risuonare questo annuncio: Dio ti ama, Cristo è venuto per te, per te Cristo è «Via, Verità, Vita!» (Gv 14,6).
Questa nuova evangelizzazione, rivolta non solo alle singole persone ma anche ad intere fasce di popolazioni nelle loro varie situazioni, ambienti e culture, è destinata alla formazione di comunità ecclesiali mature, nelle quali cioè la fede sprigioni e realizzi tutto il suo originario significato di adesione alla persona di Cristo e al suo Vangelo, di incontro e di comunione sacramentale con Lui, di esistenza vissuta nella carità e nel servizio […].
La Chiesa, mentre avverte e vive l’urgenza attuale di una nuova evangelizzazione, non può sottrarsi alla missione permanente di portare il Vangelo a quanti – e sono milioni e milioni di uomini e di donne – ancora non conoscono Cristo Redentore dell’uomo.
E’ questo il compito più specificamente missionario che Gesù ha affidato e quotidianamente riaffida alla sua Chiesa […]. Il problema missionario si presenta attualmente alla Chiesa con una ampiezza e una gravità tali che solo un’assunzione veramente solidale di responsabilità da parte di tutti i membri della Chiesa, sia come singoli sia come comunità, può far sperare in una risposta più efficace […].
La Chiesa deve fare oggi un grande passo in avanti nella sua evangelizzazione, deve entrare in una nuova tappa storica del suo dinamismo missionario. In un mondo che con il crollare delle distanze si fa sempre più piccolo, le comunità ecclesiali devono collegarsi tra loro, scambiarsi energie e mezzi, impegnarsi insieme nell’unica e comune visione di annunciare e di vivere il Vangelo. «Le chiese cosiddette più giovani – hanno detto i Padri sinodali – abbisognano della forza di quelle antiche, mentre queste hanno bisogno della testimonianza e della spinta delle più giovani, in modo che le singole chiese attingano dalle ricchezze delle altre chiese» (127) […].
Per l’evangelizzazione del mondo occorrono, anzitutto, gli evangelizzatori. Per questo tutti, a cominciare dalle famiglie cristiane, dobbiamo sentire la responsabilità di favorire il sorgere e il maturare di vocazioni specificamente missionarie, sia sacerdotali e religiose sia laicali, ricorrendo ad ogni mezzo opportuno, senza mai trascurare il mezzo privilegiato della preghiera, secondo la parola stessa del Signore Gesù: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi! Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe!» (Mt 9,37-38). (Giovanni Paolo 11, Ch. L., 34.35).
2. Maria, stella dell’evangelizzazione
E’ importante la presenza della Madonna nella nostra vita e nelle nostra dedizione missionaria.
Maria di Nazareth è una persona viva. Per questo ella può e vuole essere vicina a noi, può familiarizzare con noi. Dobbiamo, però, volere anche noi la sua presenza e la sua guida. Lei desidera stare vicino a noi e condurci nella vita. Ella è veramente nostra madre.
Ed è una Donna, di fronte alla quale nessun’altra può stare.
E’ perfetta! E’ «piena di grazia»! Ella è viva, vicina a noi, interessata a noi, premurosa, preveniente e materna. «Una volta sola che la si è vista, non si desidera più nulla sulla terra» ha detto s. Bernadette.
Chi ama la Madonna, entra pian piano in un altro mondo, in un’altra realtà.
Intanto, dentro di sé avverte il disciogliersi di ciò che è duro, morto, intossicato e soffocante. Dove giunge Maria è come se alla notte succedesse l’alba ed il levarsi della luce nel profondo dei cuori.
Dove c’è Lei, si sente salire la forza di una vitalità pura e sincera. E’ la grazia dello Spirito Santo.
La presenza della Madonna nella nostra vita ci mette nella verità. La verità penetra in noi e comincia a smuovere, a togliere e distaccare tutto ciò che è morto, guasto, sporco.
La presenza della Madonna nella nostra vita tocca veramente il nostro intimo; ed è qui che fa succedere una «rigenerazione spirituale» e apostolica. Perché con Maria viene la «Potenza dell’Altissimo» (cf. Lc 1,35).
Ella ci fa scoprire la nostra interiorità; qui ella fa accadere quello che gli altri non possono fare nulla. Ella diventa per noi, se l’amiamo, veramente un «evento interiore».
Chi di noi ha sperimentato qualche cosa «di dentro», ma in senso profondamente spirituale, originale, in modo tale che si è ritrovato come una persona totalmente «nuova» e per di più satura di pace e di bellezza – sempre dentro di sé – può capire questo.
In genere si fa fatica, anzi è impossibile per molti sperimentare, parlare e soprattutto comunicarsi eventi interiori o aiutarsi a far accadere esperienze di questa portata.
La maggior parte delle persone vivono e organizzano la loro esistenza al «di fuori» di loro stesse: denaro, vestiti, divertimenti, piaceri, evasioni, accumulo di ricchezze, salute fisica, successi di fronte al mondo, ecco il loro assillo. Allora anche la propria persona – intesa solo come corpo, come fisico esteticamente coltivato, ed anche come unica fonte o ricerca di felicità, che coincide non raramente con l’erotismo – è vista e considerata solo dal punto materiale, se non addirittura da quello biologico.
Ciò è triste, perché chi vive così è veramente «alienato». Tuttavia proprio a costoro la presenza di Maria può veramente far succedere nella loro storia interiore qualcosa di grande, un grande bene: il trionfo della grazia sul peccato mortale.
La Madonna ci dice: «Donatevi a Dio; accogliete Dio in voi; consegnate la vostra persona, la vostra anima, la vostra volontà a Lui… Amate il Dio vivente… e vedrete cosa Lui farà di voi»!
Se tu incontrassi qualche persona, che Dio abbia a sé conquistata e dimorasse in lei con la sua pienezza, allora potresti intuire chi è Maria. Questo miracolo è opera anche della Madre!
Prova anche tu! Fa’ che il Dio Vivente abiti in te. Prova veramente! Cerca la presenza e l’aiuto di Maria. Nasce così la santità. La persona diviene meravigliosa.
Allora in questa persona si fa presente il mondo futuro, la vita dell’eternità, la luce intramontabile, la gioia purissima, senza attraversamenti torbidi… Allora vedi la persona nuova, ossia una persona che va realizzandosi nella sua fioritura di bellezza, di bontà, di creatività, di irradiazione, di potere immenso per l’elevazione spirituale di anime e di popoli.
La persona che, per di sé, straripa di felicità, fino ad una incontenibile traboccanza, è solo quella in cui Dio ha posto la sua dimora.
Dio non è un’idea, né un’astrazione o una fantasia puerile.
Dio è il Vivente. Lascialo venire in te, lascialo incendiarti della sua bellezza e della sua grazia.
Se Maria è vista, vissuta, amata, corrisposta da te come una presenza amica, pura, tenera, decisa e possente, anche la tua persona entra nel mistero della gioia di Dio; Dio ti è prossimo, intimo, incontenibile.
Nel Vangelo c’è scritto che Gesù consegnò la Madonna a Giovanni, dicendo a Lei: «”Ecco tuo figlio”… e a lui: “Ecco tua Madre”».
E il Vangelo annota: da quel momento lui la prese con sé, in casa sua, nei suoi interessi, nelle sue occupazioni (cf Gv 19,37).
Ogni cristiano deve fare così con Maria di Nazareth! Ciò che sperimenterà, sarà l’universo dello Spirito Santo dentro di lui, nelle sue azioni, in ogni luogo o relazione o compito che gli è proprio. Maria rinnova in noi tutto, nella gioia!
Maria rinnova il cuore e lo stile del cristiano e con lui eleva la società e ringiovanisce la Chiesa, universalizzandola.
La Missione universale sarà il tuo orizzonte abituale, quotidiano, assillante quando la Madonna ti avrà educato con la sua presenza alla purezza e all’umiltà e con la sua preghiera ti avrà ottenuto la pienezza dello Spirito Santo.
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