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Marta (Marthe) Robin – Un’anima Eucaristica – II Parte

11 Febbraio 2014 | Filed under: Marta Robin, Santi Beati e Venerabili
     

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MARTHA-ROBIN3

Anoressica e priva di sonno.
In mancanza del riflesso vitale della deglutizione, l’anoressia divenne totale e cessò qualsiasi funzione di assimilazione. Non poteva inghiottire niente tranne, cosa misteriosa e incomprensibile, l’Ostia consacrata. Non essendoci deglutizione, l’Ostia era come aspirata e per 52 anni visse di sola Eucarestia. Non potendo né mangiare né bere, la sete la torturava; le si umettavano le labbra e la bocca perché potesse parlare. Diceva: “L’Ostia passa in me, non so come. Mi procura un’impressione che mi è impossibile descrivere. Non è il nutrimento normale, è diverso. Una vita nuova entra in me. Gesù è in tutto il mio corpo, come se io risuscìtassi….La comunione è più dell’unione, è la fusione! ”

Ed ancora: “Se mi chiedessero cosa è meglio fare, l’orazione o la comunione, risponderei l’orazione. <Pregate, pregate senza sosta!>. E’ più difficile fare orazione che comunicarsi. La comunione è una gioia per l’anima; l’orazione un colloquio segreto tra Dìo e l’anima. La comunione non suppone sempre la virtù; si può fare la comunione e rendersi colpevoli. Pregare ogni giorno non vuoi dire essere virtuosi, ma è una prova che si lavora per divenirlo. Si trovano dei cristiani che fanno la comunione tutti i giorni e sono in stato di peccato mortale, ma non si trova mai un’anima che faccia orazione tutti i giorni e viva nel peccato. L’orazione è necessaria per non restare o diventare le devote nullità di cui se la ridono i demoni”.

Ma ciò che confondeva i medici di più dell’anoressia era la perdita quasi totale del sonno. Ormai non dormirà quasi più e dovrà sopportare tutte le sue sofferenze senza il riposo benefico delle notti. Non ci furono più per lei, né notte, né giorno. Visse fuori del tempo. per 52 anni visse di sola Eucarestia. Non potendo né mangiare né bere, la sete la torturava; le si umettavano le labbra e la bocca perché potesse parlare. Diceva: “L’Ostia passa in me, non so come. Mi procura un’impressione che mi è impossibile descrivere. Non è il nutrimento normale, è diverso. Una vita nuova entra in me. Gesù è in tutto il mio corpo, come se io risuscìtassi….La comunione è più dell’unione, è la fusione! ”

Ed ancora: “Se mi chiedessero cosa è meglio fare, l’orazione o la comunione, risponderei l’orazione. <Pregate, pregate senza sosta!>. E’ più difficile fare orazione che comunicarsi. La comunione è una gioia per l’anima; l’orazione un colloquio segreto tra Dìo e l’anima. La comunione non suppone sempre la virtù; si può fare la comunione e rendersi colpevoli. Pregare ogni giorno non vuoi dire essere virtuosi, ma è una prova che si lavora per divenirlo. Si trovano dei cristiani che fanno la comunione tutti i giorni e sono in stato di peccato mortale, ma non si trova mai un’anima che faccia orazione tutti i giorni e viva nel peccato.

L’orazione è necessaria per non restare o diventare le devote nullità di cui se la ridono i demoni”. Ma ciò che confondeva i medici di più dell’anoressia era la perdita quasi totale del sonno. Ormai non dormirà quasi più e dovrà sopportare tutte le sue sofferenze senza il riposo benefico delle notti. Non ci furono più per lei né notte, né giorno. Visse come fuori del tempo.

In questo periodo ebbe la fortuna di ricevere una visita importante: due francescani cappuccini, in giro di missione nelle parrocchie più scristianizzate della regione, conobbero Marta e ne furono edificati. In particolare uno di loro, grande studioso di Teresa di Lisieux, orientò le sue letture spirituali e le suggerì di entrare nell’Ordine francescano secolare, cosa che lei fece il 2 novembre 1928. La notte che segui questo evento, dovette lottare contro la presenza stessa del demonio.

Nel 1929 Marta, che fino ad allora aveva conservato una relativa capacità di movimento delle mani, perse l’uso anche di queste. Non restandole più niente, poteva soltanto offrire le sue sofferenze e pregare.

Le stimmate
Una piccola contadina sconosciuta, quasi ignorante, paralizzata, esaurita per il digiuno, in una fattoria isolata fuori da tutte le strade, tenterà di sollevare il mondo con l’unica leva dell’amore che la collega a Cristo, suo modello. Lo scopo della vita di Marta è amare, come dovrebbe esserlo di ogni creatura. La sua vocazione specifica è quella di accogliere la sofferenza che l’unisce a Cristo.

Alla fine di settembre 1930 vide Gesù che le chiese: “Vuoi essere come me?”. Come poteva rifiutare, lei che aveva fatto atto di abbandono e di offerta all’amore di Dio?

Pochi giorni dopo rivide Cristo crocifisso che le ripeteva la stessa domanda. Poi prese le sue braccia paralizzate e gliele aprì. Due dardi di fuoco che uscivano da Gesù trapassarono le sue mani e i piedi; un terzo dardo la colpì in pieno petto. In seguito Gesù l’invitò a ricevere la corona di spine sul capo, e le ferite cominciarono a sanguinare.

Il venerdì seguente, e poi ogni venerdì, rivivrà la passione di Cristo fino alla fine della sua vita. Nei dintorni corse la voce di questo avvenimento straordinario e ben presto la gente cominciò a salire alla Plaine per incontrare Marta e pregare con lei.

Il sacramento della sofferenza
Per comprendere Marta Robin bisogna affrontare il mistero, il senso della sofferenza accettata, offerta, desiderata, ed infine trascesa e vinta. Subisce la sofferenza nella sua infanzia; si ribella nella sua adolescenza. Poi l’accetta con sottomissione, amore e abbandono a Dio, abbandono che implica l’identificazione a Cristo nella sua passione. Scopre allora che questo abbandono le fa conoscere Dio.

Ecco uno dei suoi scritti più belli: “il cuore dell’uomo si misura dall’accoglienza fatta alla sofferenza…..Per quanto prevista, per quanto ci si offra ai suoi colpi rassegnati in antìcipo, per quanto si possa essere avidi, innamorati del suo fascino austero e vivificante, non per questo resta meno estranea e importuna. E’ sempre diversa da come la si aspetta e attendendolo, anche chi la affronta energicamente, la desidera e l’ama, non può impedirsi, nello stesso tempo, di tremare al suo arrivo.

Essa uccide qualcosa di noi per mettervi qualcosa che non siamo noi. ” Ed ancora: “Il senso del dolore è di rivelarci quello che sfugge alla conoscenza e alla volontà egoistica, è di essere la via dell’amore effettivo, perché ci stacca da noi e dalle nostre tendenze umane per farci incontrare i nostri fratelli e donarci a tutti”.

‘”E’ la follia della croce, che consiste nel far uscire dalla morte l’immortalità, dall’umiliazione la gloria, dal nulla l’anima, perché non cessa di gridarci la vanità di ciò che accade”. La sofferenza quindi è la chiave del distacco e la leva segreti del mistero umano. dell’amore: ecco il segreto di tutti i mistici e uno dei Accettando tutto, Marta sapeva di essere un’ostia vivente, capiva che il suo compito era convenire la gente. Il suo misticismo non la portava alla solitudine, ma la induceva ad affrontare l’umanità per portarla al Padre. Ma come far amare l’Amore?

(continua)


     

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