Maria ci racconta…
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“Avevo trascorso tre interi mesi nella casa della mia cugina, andando alla fonte, lavando i panni, preparando un corredino per il futuro bambino e, soprattutto, pregando, amando e attendendo il compimento di quello che l’angelo mi aveva detto da parte del Signore.
Intanto anche la mia maternità cominciava a diventare evidente … Ma era l’ora di tornare Nazaret.
Ebbi appena la gioia di vedere il bambino di Elisabetta, di ascoltare Zaccaria, che aveva ritrovato miracolosamente la voce e subito aveva esclamato:
Tu, bambino,
sarai chiamato profeta dell’Altissimo
perchè andrai innanzi al Signore
a preparargli le strade (Lc 1, 76)
Mentre tornavo a Nazaret, meditavo queste parole: “Tu, bambino, preparerai la strada al Signore!”.
Giovanni era stato mandato da Dio per preparare la strada al mio figlio, che non era soltanto mio figlio: era figlio di Dio!
Ma, giunta a Nazaret, mi aspettava una prova terribile.
Le persone mi guardavano con sospetto e mi interrogavano con l’occhio cattivo. Sembrava che mi dicessero: “Che hai fatto? Di chi è questo figlio? Non ti vergogni, scellerata?”.
A chi potevo dire: “E’ figlio mio…. e di Dio!”.
Chi mi avrebbe creduto? La cosa era troppo grande quasi incredibile!
Anche la mia famiglia era in crisi e anche Giuseppe visse un momento drammatico: conosceva la mia rettitudine, conosceva i sentimenti del mio cuore … e non sapeva spiegarsi che cosa fosse accaduto.
Aspettai che passasse la bufera nascondendomi tra le braccia di Dio: tacevo e soffrivo; soffrivo e aspettavo… Ma ero sicura che Dio mi avrebbe sollevata su ali di aquila e mi avrebbe riportato nella terra della pace.
Rilessi lentamente il Salmo 18, che racconta la storia di Davide, mio antenato, che si era trovato in mezzo a una tempesta di nemici: e Dio l’aveva soccorso e l’aveva liberato.
Mi facevano tanto bene queste parole:
Dio stese la mano dall’alto e mi prese,
mi sollevò dalle grandi acque,
mi liberò dai nemici potenti,
da coloro che odiavano
ed erano più forti di me.
Mi assalirono nel giorno della sventura,
ma il Signore fu mio sostegno;
mi portò al largo,
mi liberò perchè mi vuole bene.
(Sal 18, 17-20)
E fu così!
Un angelo apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perchè quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1, 20-21)
Dopo il sogno tutto cambiò.
E un nome, Gesù,
un mistero, Gesù,
una presenza, Gesù,
un atteso, Gesù,
cominciò a riempire la mia vita
e la vita di Giuseppe:
“Si chiamerà Gesù: egli, infatti, salverà il suo popolo dai suoi peccati”.
Era mio figlio!
Che grande mistero!
* * *
Un giorno, come un fulmine a ciel sereno, venne un ordine dell’imperatore Augusto: “Si faccia il censimento di tutti i popoli soggetti a Roma!”.
Roma!
Il nome di questa città incuteva terrore: da Roma venivano le terribili legioni che avevano conquistato il mondo, da Roma venivano le pesanti tasse che facevano piangere i poveri, da Roma venivano gli ordini secchi, da Roma veniva l’ordine di fare il censimento di tutto l’impero. Senza poter presentare obiezioni.
Roma!
Roma era lontana, eppure vicina; era un sogno, ovunque si sentiva il peso del suo comando e si vedevano le insegne del suo potere.
Non si poteva disubbidire a Roma: bisognava partire!
Noi eravamo originari di Betlemme, il villaggio del nostro antenato Davide; e pertanto dovevamo metterci in viaggio per essere registrati in quel luogo: il luogo delle nostre antiche radici.
Giuseppe, una sera, con l’occhio triste, mi sussurrò: “Maria, dobbiamo partire! Dobbiamo andare a Betlemme! Ci vorranno giorni e giorni di cammino. Per te ho provveduto ad acquistare un asinello, io camminerò davanti e veglierò sulla tua sicurezza. Ti proteggerò. Maria! Te la senti di affrontare questo viaggio?”
Guardai Giuseppe e appoggiai le mie mani sul grembo, che custodiva il mio tesoro: il tesoro di tutta l’umanità.
E dissi: “Giuseppe, dobbiamo partire! Nei libri del profeta Michea sono scritte queste precise parole: “E tu, Betlemme di Efrata, così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti” (Mi 5,1). Giuseppe, l’imperatore non lo sa: mentre comanda, egli obbedisce! Obbedisce a un disegno di Dio! Partiamo!”
Ci mettemmo in viaggio alle prime luci del mattino: altre famiglie si unirono a noi e altre le trovammo nel cammino.
Sembravamo foglie trascinate dal vento; sembravamo granellini di polvere al bordo della strada: e, invece, eravamo al centro della strada, al centro della storia, però con il passo dell’umiltà e della mitezza e della povertà: il passo tipico di Dio.
Camminavamo.
Quanto era lontana Betlemme!
E io aspettavo il Bambino!
Camminavamo.
Il viaggio mi costò tanta fatica, tanta paura, tante umiliazioni e…. tanta fede.
Camminavamo.
E finalmente arrivammo a Betlemme.
Dentro di me spesso dicevo: “Signore, nella tua volontà è la mia gioia, mai dimenticherò la tua parola” (Sal 119, 16)
E la Parola che l’angelo mi aveva consegnato alcuni mesi prima era la bussola del mio cammino.
Era notte quando arrivammo a Betlemme: e il buio fa sempre paura.
Mi consolavo pensando a quanto aveva scritto il santo re Davide, che era stato il pastore nei dintorni di Betlemme: “Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino” (Sal 119, 105).
Ma il buio restava: e cominciava a far freddo, perchè Betlemme è a settecento metro sopra il livello del mare.
Giuseppe e io speravamo che qualche parente ci avrebbe aperto la porta di casa: speravamo fiduciosamente di trovare un po’ di calore, un po’ di cuore, un gesto di amicizia, una briciola di pietà.
Giuseppe bussava e chiedeva: “Avete un angolino per la mia sposa, che aspetta un bambino? Per me non c’è bisogno: resto fuori con il mio asinello”.
Mi guardavano e dicevano: “Poverina! Si vede che è stanca! Provate avanti: noi qui non abbiamo posto”.
Andavamo avanti e facevamo la stessa richiesta con voce implorante: “Avete un angolo della casa o un angolo della stalla? Noi siamo poveri e ci accontentiamo di poco!”.
Ma tutti avevano pronta una scusa, tutti avevano lo spazio occupato: dall’egoismo!
Cosa fare? Dove andare? Oh, come ho sentito in quel momento tutta la durezza e la freddezza del cuore umano!
Giuseppe e io ci trovammo soli in mezzo alla strada: e la notte si faceva sempre più buia.
Io vedevo le lacrime dagli occhi di Giuseppe: in silenzio! Il dolore si univa alla stanchezza e la stanchezza si univa all’umiliazione: era la nostra cena … da poveri!
Scesi lentamente e faticosamente dall’asinello, ma non riuscivo a camminare: sentivo che l’evento era vicino.
Mi sedetti per terra, abbassai la testa, piansi senza pronunciare una parola, mentre il sangue pulsava forte alle mie tempie.
Essere rifiutati è orribile!
Essere soli è terribile!
Però una certezza mi accompagnava e mi accarezzava: O Dio, i passi del mio vagare tu li hai contati, le mie lacrime nell’otre tuo raccogli; non sono forse scritte nel tuo libro? (Sal 56,9)
E dentro di me sussurrai: “Non siamo soli: c’è il Signore! Non lo vedo, ma c’è. Credo, credo, credo … E mi lascio condurre da lui”.
E mi sembrò di rivedere la luce del giorno dell’Annunciazione, mi sembrò di risentire le dolci parole dell’Angelo e nel mio cuore, come accade a primavera nei ridenti prati della Galilea, sbocciarono le stesse parole di quel giorno benedetto: Eccomi, sono la serva del Signore! Avvenga di me secondo la tua Parola (Lc 1,38)
E andammo a cercare una grotta: una grotta abbandonata dai pastori … tanto numerosi a Betlemme. E lì nacque mio figlio, lì nacque Dio!
Perchè non c’era posto per chi ha creato ogni posto, non c’era cuore per chi ha creato ogni cuore, non c’era amore per accogliere l’Amore!
La stalla fu l’unico dono che l’umanità fece al mio figlio: al mio Dio, al Dio vero, al Dio dell’universo.
La stalla! Soltanto la stalla: per Lui!
Ma improvvisamente, la grotta si riempì di luce: una luce che non accecava, una luce che infondeva gioia, una luce che sembrava un abbraccio di pace …
E sentii un canto mai udito, un canto di voci bellissime che, dall’alto, faceva piovere sulla povera grotta queste parole profumate di Paradiso: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama” (Lc 2,14)
Gli uomini non si erano accorti di ciò che era accaduto e, allora, intervennero gli angeli per svegliare i cuori appesantiti dal vuoto di tante inutili attese e di tante ingannevoli speranze.
Ed ecco una sorpresa, che mi riempì il cuore di immensa emozione: vidi sbucare dal buio della notte ed entrare nella luce della stalla un pastore, un altro pastore, un altro ancora e un altro e un altro … e poi alcune pecorelle che silenziosamente si sdraiarono ai miei piedi insieme ai loro agnellini: sembrava che volessero pregare e adorare, in riparazione di ciò che gli uomini non erano capaci di fare.
Ma un pastore, togliendosi il cappello, si fece più avanti e mi disse: “E’ proprio vero quel che ci è stato detto! Poco fa, una luce ci ha avvolti, mentre vegliavamo i nostri greggi nel cuore della notte. E un angelo ci ha consegnato questo messaggio: “Non temete, ecco, vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia!” (Lc 2,10-12).
E i pastori si fecero avanti con dignintà, con rispetto, con gli occhi che brillavano come le stelle, con le mani piene di umili doni per il mio Bambino.
Che emozione! E’ proprio vero quanto dice il profeta Isaia: “Io – dice il Signore – non ti dimenticherò mai. Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani” (Is 49, 15-16).
E mio cuore di giovane madre esclamò: Il Signore scriverà nel libro dei popoli: “Là costui è nato”. E, danzando, canteranno: “Sono in te tutte le mie sorgenti” (Sal 87, 6-7).
E a Betlemme era nata la speranza per tutti i popoli.
A Betlemme era nato ogni uomo: era nato con mio figlio, perchè egli era nato affinchè tutti nascessero a vita nuova.
Betlemme è vicinissima a Gerusalemme: dopo quaranta giorni salimmo al tempio, così come prescrive la Legge del Signore. Portammo con noi due tortore come offerta: l’offerta dei poveri, che non si possono comprare un agnello!
E presentammo il Bambino del mistero … al mistero di Dio!
Sentivamo che qualcosa di straordinario si compiva in ogni nostro passo, ma non potevamo capire fino in fondo il disegno dell’Altissimo. Dell’Altissimo ci si fida: e basta!
Tenevo il Bambino stretto al mio petto, così come fa ogni madre, quando un uomo, di nome Simeone, mi venne incontro e allargò le braccia per prendermi il Bambino.
Istintivamente stavo per fuggire, volevo difendere il mio piccolo, ma sentii che potevo fidarmi e, allora, aprii le mie braccia e consegnai il mio “tesoro” a quell’uomo sconosciuto, che però mi sembrava di conoscere.
L’uomo pronunciò parole indimenticabili e disse con una gioia che gli usciva dagli occhi prima che dalla voce:
Ora lascia, o Signore, che il tuo servo
vada in pace secondo la tua parola;
perchè i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli,
luce per illuminare le genti,
e gloria del tuo popolo, Israele.
(Lc 29,32)
Poi si fece serio, il suo volto sembrò essere attraversato da una nube improvvisa e aggiunse: “Questo bambino spaccherà la storia: o con lui o contro di lui! Questo bambino sarà lo spartiacque: tutti dovranno fare i conti con lui, perchè egli è l’ultimo dono di Dio: o si accoglie o si rifiuta!”.
Tremai! Come può una mamma restare indifferente a ciò che riguarda il proprio figlio? Ripresi il bambino tra le mie braccia come per difenderlo ma Simeone, “lo sconosciuto-conosciuto”, mi fissò intensamente e mi disse: “E anche a te una spada trafiggerà l’anima!” (Lc 2,35).
Se una spada era pronta per me, sua madre … che cosa era pronto per lui, mio figlio?
Quella spada mi si conficcò subito nel cuore: subito!
Infatti una spada annunciata è una spada che fa male … immediatamente.
Ma ebbi la forza di dire dentro di me:
Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla;
su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Mi rinfranca,
mi guida per il giusto cammino,
per amore del suo nome.
Se dovessi camminare in una valle oscura,
non temerei alcun male,
perchè tu sei con me.
(Sal 23, 1-4)
Ero già nella valle oscura del dolore, ma non avevo paura.
(segue ….)
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