L’esilio: il tempo della tenerezza
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L’esilio più noto di cui ci parla la Bibbia è quello dei fiumi di Babilonia dove gli ebrei erano stati deportati. La vera natura dell’esilio babilonese era quella di una prova. La prima impressione che si ha quando si vive nella prova e in esilio è un’impressione di scoraggiamento e di tristezza: «Perché, mio Dio?» sono le prime parole che ci vengono alle labbra. «Perché, Signore?».
Ciò può persino andare oltre lo scoraggiamento, fino alla ribellione. Ma la ribellione resta ancora una preghiera, soprattutto se rivolta direttamente contro Dio, se ci si rivolge a lui come i due rabbini del campo di concentramento di Auschwitz che dicevano: «Signore, tu non esisti, perché se tu esistessi noi non saremmo qui in questa miseria».
E dopo essersi ribellati per dieci minuti, dicevano: «E adesso preghiamo». L’esilio di Israele a Babilonia ha rappresentato un tempo di benevolenza e di tenerezza estreme di Dio nei confronti del suo popolo. La tenerezza di Dio è attratta dai fiumi di Babilonia, come l’acqua attira il fulmine e il tuono. Il Signore ci insegna che non è con la forza «dei cavalli e degli eserciti», con grandi mezzi, che costruiremo il Regno di Dio.
L’esilio è il tempo della tenerezza di Dio. I più bei testi di Isaia sulla maternità di Dio sono stati scritti durante l’esilio. Israele, all’apogeo della sua potenza e della gloria di Gerusalemme, non era in grado di comprendere che Dio ci insegna a camminare, come una madre insegna i primi passi al figlio. Dio era concepibile solo come un valente guerriero alla testa del suo esercito, ma certamente non come una madre.
- P. Eduardo
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