L’apparizione di Gesù risorto agli Apostoli, nelle visioni di M. Valtorta
dal “Poema dell’Uomo Dio”
della mistica Maria Valtorta
Sono raccolti nel Cenacolo. La sera deve essere ben tarda, perché nessun rumore viene più dalla via né dalla casa. Penso che anche quelli che erano venuti prima si siano tutti ritirati o alle proprie case o a dormire, stanchi di tante emozioni. I dieci invece, dopo avere mangiato dei pesci, di cui ancora qualcuno sussiste su un vassoio posato sulla credenza, stanno parlando sotto la luce di una sola fiammella del lampadario, la più vicina alla tavola. Sono ancora seduti alla stessa. E hanno discorsi spezzati. Quasi dei monologhi, perché pare che ognuno, più che col compagno, parli con se stesso. E gli altri lo lasciano parlare, magari parlando a loro volta di tutt’altra cosa. Però questi discorsi slegati, che mi fanno l’impressione dei raggi di una ruota sfasciata, si sente che appartengono ad un solo argomento che li accentra, anche se così sparsi. E che è Gesù.
«Non vorrei che Lazzaro avesse udito male, e meglio di lui avessero capito le donne…», dice Giuda d’Alfeo.
«A che ora ha detto di averlo visto la romana?», chiede Matteo. Nessuno gli risponde.
«Domani io vado a Cafarnao», dice Andrea.
«Che meraviglia! Fare sì che esca proprio in quel momento la lettiga di Claudia!», dice Bartolomeo.
«Abbiamo fatto male, Pietro, a venire via subito questa mattina… Fossimo rimasti, lo avremmo visto come la Maddalena», sospira Giovanni.
«Io non capisco come poté essere a Emmaus e in palazzo insieme. E come qui dalla Madre, e dalla Maddalena e da Giovanna insieme…», dice a se stesso Giacomo di Zebedeo.
«Non verrà. Non ho pianto abbastanza per meritarlo… Ha ragione. Io dico che per tre giorni mi fa aspettare per le mie tre negazioni. Ma come, come ho potuto fare quello?».
«Come era trasfigurato Lazzaro! Vi dico: pareva lui un sole. Io penso gli sia successo come a Mosè dopo avere visto Dio. E subito vero, voi che eravate là? subito dopo avere offerto la sua vita!», dice lo Zelote. Nessuno lo ascolta.
Giacomo d’Alfeo si volta da Giovanni e dice: «Come ha detto a quelli di Emmaus? Mi pare che ci abbia scusati, non è vero? Non ha detto che tutto è avvenuto per il nostro errore di israeliti sul modo di capire il suo Regno?».
Giovanni non gli dà nessuna retta e, volgendosi a guardare Filippo, dice… all’aria, perché a Filippo non parla: «A me basta di saperlo risorto. E poi… E poi che il mio amore sia sempre più forte. Visto, eh! È andato, se voi guardate, in proporzione all’amore che avemmo: la Madre, Maria Maddalena, i bambini, mia madre e la tua, a poi Lazzaro e Marta… Quando a Marta? Io dico quando ella intonò il salmo davidico: “Il Signore è mio pastore, non mi mancherà nulla. Egli mi ha posto in luogo di abbondanti pascoli, mi ha condotto ad acque ristoratrici. Ha richiamato a Sé l’anima mia…”.
Ricordi come ci fece sussultare con quell’inaspettato canto? E quelle parole si riconnettono a quanto ha detto: “Ha richiamato a Sé l’anima mia”. Infatti Marta sembra avere ritrovato la sua via… Prima era smarrita, lei, la forte! Forse nel richiamo le ha detto il luogo dove la vuole. È certo anzi, perché, se le ha dato appuntamento, deve sapere dove lei sarà. Che avrà voluto dire dicendo: “Sponsali compiuti?”».
Filippo, che lo ha guardato un momento e poi lo ha lasciato monologare, geme: «Io non saprò che dirgli se viene… Io sono fuggito… e sento che fuggirò. Prima per paura degli uomini. Ora per paura di Lui».
«Dicono tutti: “È bellissimo”. Può mai essere più bello di quanto già era?», si chiede Bartolomeo.
«Io gli dirò: “Mi hai perdonato senza parola quando ero pubblicano. Perdonami anche ora col tuo silenzio, perché non merita la mia viltà la tua parola”», dice Matteo.
«Longino dice che ha pensato: “Devo chiedergli di guarire o di credere?”. Ma ha detto il suo cuore: “Di credere”, e allora la Voce ha detto: “Vieni a Me”, ed egli ha sentito la volontà di credere e la guarigione insieme. Me lo ha proprio detto così», afferma Giuda d’Alfeo.
«Io sono sempre fisso al pensiero di Lazzaro, premiato subito per la sua offerta… L’ho detto io pure: “La mia vita per la tua gloria”. Ma non è venuto», sospira lo Zelote.
«Che dici, Simone? Tu che sei colto, dimmi: che gli devo dire per fargli capire che Lo amo e chiedo perdono? E tu, Giovanni? Tu hai parlato molto con la Madre. Aiutami. Non è pietà lasciare solo il povero Pietro!».
Giovanni si muove a compassione dell’avvilito compagno e dice: «Ma… ma io gli direi semplicemente: “Ti amo”. Nell’amore è compreso anche il desiderio del perdono e il pentimento. Però… non so. Simone, che dici tu?».
E lo Zelote: «Io direi quello che era il grido dei miracoli: “Gesù, pietà di me!”. Direi: “Gesù”. E basta. Perché è ben più del Figlio di Davide!».
«È ben quello che penso e che mi fa tremare. Oh! io nasconderò il capo… Anche stamane avevo paura di vederlo e…».
«…e poi sei entrato per primo. Ma non temere così. Sembra che tu non lo conosca», lo rincuora Giovanni.
La stanza si illumina vivamente come per un lampo abbagliante. Gli apostoli si celano il viso temendo sia un fulmine. Ma non odono rumore e alzano il capo. Gesù è in mezzo alla stanza, presso la tavola. Apre le braccia dicendo: «La pace sia con voi». Nessuno risponde. Chi più pallido, chi più rosso, Lo fissano tutti con paura e soggezione. Affascinati e nello stesso tempo vogliosi quasi di fuggire.
Gesù fa un passo avanti, aumentando il suo sorriso. «Ma non temete così! Sono Io. Perché così turbati? Non mi desideravate? Non vi avevo fatto dire che sarei venuto? Non ve lo avevo detto fin dalla sera pasquale?».
Nessuno osa aprire bocca. Pietro piange già e Giovanni già sorride, mentre i due cugini, con gli occhi lustri e un movimento di parola senza suono sulle labbra, sembrano due statue raffiguranti il desiderio.
«Perché nei cuori avete pensieri così in contrasto fra il dubbio e la fede, l’amore e il timore? Perché ancora volete essere carne e non spirito, e con questo solo vedere, comprendere, giudicare, operare? Sotto la vampa del dolore non si è tutto arso il vecchio io, e non è sorto il nuovo io di una vita nuova?
Sono Gesù. Il vostro Gesù, risorto come aveva detto. Guardate. Tu che le hai viste le ferite e voi che ignorate la mia tortura. Perché quanto sapete è ben diverso dalla conoscenza esatta che ne ha Giovanni. Vieni, tu per il primo. Sei già tutto mondo. Tanto mondo che mi puoi toccare senza tema. L’amore, l’ubbidienza, la fedeltà già ti avevano fatto mondo. Il mio Sangue, di cui fosti tutto rorido quando mi deponesti dal patibolo, ti ha finito di purificare. Guarda. Sono vere mani e vere ferite. Osserva i miei piedi. Vedi come il segno è quello del chiodo? Sì. Sono proprio Io e non un fantasma. Toccatemi. Gli spettri non hanno corpo. Io ho vera carne sopra un vero scheletro».
Posa la Mano sul capo di Giovanni che ha osato andargli vicino: «Senti? È calda e pesante». Gli alita in volto: «E questo è respiro».
«Oh! mio Signore!», Giovanni mormora piano, così…
«Sì. Il vostro Signore. Giovanni, non piangere di timore e di desiderio. Vieni a Me. Sono sempre quello che ti ama. Sediamo, come sempre, alla tavola. Avete nulla più da mangiare? Datemelo, dunque».
Andrea e Matteo, con mosse da sonnambuli, prendono dalle credenze il pane e i pesci e un vassoio con un favo appena sbocconcellato in un angolo. Gesù offre il cibo e mangia, a dà ad ognuno un poco di quanto mangia. E li guarda. Tanto buono. Ma tanto maestoso che essi ne sono paralizzati.
Osa parlare per primo Giacomo, fratello di Giovanni: «Perché ci guardi così?».
«Perché voglio conoscervi».
«Non ci conosci ancora?».
«Come voi non conoscete Me. Se mi conosceste, sapreste Chi sono e come vi amo, e trovereste le parole per dirmi il vostro tormento. Voi tacete. Come di fronte ad un estraneo potente di cui temete. Poco fa parlavate… Sono quasi quattro giorni che parlate con voi stessi dicendo: “Gli dirò questo…”, dicendo allo Spirito mio: “Torna, Signore, che io ti possa dire questo”. Ora sono venuto e voi tacete? Tanto mutato sono che più non vi paio Io? O tanto mutati siete da non amarmi più?».
Giovanni, seduto presso al suo Gesù, ha l’atto abituale di posargli la testa sul petto mentre mormora: «Io ti amo, mio Dio», ma si irrigidisce vietandosi questo abbandono per rispetto allo sfolgorante Figlio di Dio. Perché Gesù pare emanare una luce pur essendo di una carne pari alla nostra. Ma Gesù se lo attira sul Cuore, e allora Giovanni apre la diga al suo pianto beato. Ed è il segnale a tutti di farlo.
Pietro, due posti dopo Giovanni, scivola fra la tavola a il sedile e piange gridando:
«Perdono, perdono! Levami da questo inferno in cui sono da tante ore. Dimmi che hai visto il mio errore per quello che fu. Non dello spirito. Ma della carne che mi ha soverchiato il cuore. Dimmelo che hai visto il mio pentimento… Esso durerà fino alla morte. Ma Tu… ma Tu dimmi che come Gesù non ti devo temere… e io, e io… io cercherò di fare così bene da farmi perdonare anche da Dio… e morire… avendo solo un gran Purgatorio da fare».
«Vieni qui, Simone di Giona».
«Ho paura».
«Vieni qui. Non essere oltre vile».
«Non lo merito di venirti vicino».
«Vieni qui. Che ti ha detto la Madre? “Se non Lo guardi su questo sudario non avrai cuore di guardarlo mai più”. O uomo stolto! Quel Volto non ti ha detto col suo sguardo doloroso che ti capivo e che ti perdonavo? Eppure l’ho dato quel lino per conforto, per guida, per assoluzione, per benedizione… Ma che vi ha fatto satana per accecarvi tanto? Ora Io ti dico: se non mi guardi ora che sulla mia gloria ho ancora steso un velo per adeguarmi alla vostra debolezza, non potrai mai più venire senza paura al tuo Signore. E che ti avverrà allora? Per presunzione peccasti. Vuoi ora tornare a peccare per ostinazione? Vieni, ti dico».
Pietro si trascina sui ginocchi, fra il tavolo e i sedili, con le mani sul volto piangente. Lo ferma Gesù, quando è ai suoi piedi, mettendogli la mano sul capo. Pietro, con un pianto anche più forte, prende quella Mano e la bacia fra un vero singhiozzare senza freno. Non sa che dire:
«Perdono! Perdono!». Gesù si libera dalla sua stretta e, facendo leva della sua mano sotto il mento dell’apostolo, lo obbliga ad alzare il capo e lo fissa negli occhi arrossati, bruciati, straziati dal pentimento, coi suoi fulgidi occhi sereni. Pare gli voglia trivellare l’anima. Poi dice:
«Andiamo. Levami l’obbrobrio di Giuda. Baciami dove egli baciò. Lava col tuo bacio il segno del tradimento».
Pietro alza il capo, mentre Gesù si china ancora di più, e sfiora la guancia… poi china il capo sulle ginocchia di Gesù e sta così… come un vecchio bambino che ha fatto del male ma che è perdonato.
Gli altri, ora che vedono la bontà del loro Gesù, ritrovano un po’ di ardire e si accostano come possono. Vengono prima i cugini… Vorrebbero dire tanto e non riescono a dire nulla. Gesù li carezza e rincuora col suo sorriso. Viene Matteo con Andrea. Matteo dicendo: «Come a Cafarnao…», e Andrea: «Io, io… ti amo io».
Viene Bartolomeo gemendo: «Non sapiente fui. Ma stolto. Questo è sapiente», e accenna allo Zelote, al quale Gesù sorride già.
Giacomo di Zebedeo viene e sussurra a Giovanni: «Diglielo tu…»; a Gesù si volge a dice: «Da quattro sere lo hai detto e da tanto Io ti ho compatito».
Filippo, per ultimo, viene tutto curvo. Ma Gesù lo forza ad alzare il capo e gli dice: «Per predicare il Cristo occorre maggior coraggio».
Ora sono tutti intorno a Gesù. Si rinfrancano piano piano. Ritrovano quanto hanno perduto o temuto di avere per sempre perduto. Riaffiora la confidenza, la tranquillità e, per quanto Gesù sia tanto maestoso da tenere in un rispetto nuovo i suoi apostoli, essi trovano finalmente il coraggio di parlare. È il cugino Giacomo che sospira:
«Perché ci hai fatto questo, Signore? Tu lo sapevi che noi non siamo nulla e che ogni cosa da Dio viene. Perché non ci hai dato la forza di essere al tuo fianco?».
Gesù lo guarda e sorride.
«Ora tutto è avvenuto. E nulla più Tu devi patire. Ma non mi chiedere più questa ubbidienza. Sono invecchiato ad ogni ora di un lustro, e le tue sofferenze, che l’amore a satana ugualmente aumentavano nella mia immaginazione di cinque volte quel che già non fossero, hanno proprio consumato ogni mia forza. Non me ne è rimasta altro che per continuare ad ubbidire, tenendo, come un che affoga con le mani spezzate, la mia forza con la volontà come fossero i denti afferranti una tavola, per non perire… Oh! non chiedere più questo al tuo lebbroso!».
Gesù guarda Simone Zelote e sorride.
«Signore, Tu lo sai quello che voleva il mio cuore. Ma poi non ho più avuto cuore… come me lo avessero strappato i manigoldi che ti hanno preso… e mi è rimasto un buco da cui fuggiva ogni mio pensiero antecedente. Perché hai permesso questo, Signore?», chiede Andrea.
«Io… tu dici il cuore? Io dico che fui uno senza più ragione. Come chi prende un colpo di clava sulla nuca. Quando, a notte fatta, io mi trovai a Gerico… oh! Dio! Dio!… Ma può un uomo perire così? Io credo che così è la possessione. Ora la capisco cosa è questa cosa tremenda!…».
Filippo sbarra ancora gli occhi al ricordo del suo soffrire.
«Ha ragione Filippo. Io guardavo indietro. Vecchio sono e non povero di sapienza. E più nulla sapevo di quanto avevo saputo fino a quell’ora. Guardavo Lazzaro, così straziato ma così sicuro, e mi dicevo: “Ma come può essere che egli sappia ancora trovare una ragione ed io nulla più?”», dice Bartolomeo.
«Io pure guardavo Lazzaro. E poiché io so appena ciò che Tu ci hai spiegato, non pensavo al sapere. Ma dicevo: “Almeno nel cuore fossi uguale!”; invece io non avevo che dolore, dolore, dolore. Lazzaro aveva dolore e pace… Perché a lui tanta pace?».
Gesù guarda a turno prima Filippo, poi Bartolomeo, poi Giacomo di Zebedeo. Sorride e tace. Giuda dice: «Io speravo giungere a vedere ciò che certo Lazzaro vedeva. Per questo gli stavo sempre presso… Il suo viso!… Uno specchio. Un poco prima del terremoto del Venerdì egli era come uno che muore stritolato. E poi divenne di colpo maestoso nel suo dolore. Vi ricordate quando disse: “Il dovere compiuto dà pace”? Noi tutti credemmo fosse solo un rimprovero per noi o un’approvazione per se stesso. Ora penso che lo dicesse per Te. Era un faro nelle nostre tenebre, Lazzaro. Quanto gli hai dato, Signore!».
Gesù sorride a tace. «Sì. La vita. E forse con quella gli hai dato un’anima diversa. Perché, infine, che è lui di diverso da noi? Eppure non è più un uomo. È già qualcosa di più dell’uomo e, per quello che era in passato, avrebbe dovuto essere ancora meno di noi perfetto di spirito. Ma lui si è fatto, e noi… Signore, il mio amore è stato vuoto come certe spighe. Solo pula ho dato», dice Andrea.
E Matteo: «Io nulla posso chiedere. Perché già tanto ho avuto con la mia conversione. Ma sì! Avrei voluto avere ciò che ebbe Lazzaro. Un’anima data da Te. Perché penso anche io come Andrea…».
«Anche Maddalena e Marta furono dei fari. Sarà la razza. Voi non le avete viste. Una era pietà e silenzio. L’altra! Oh! se siamo stati tutti un fascio intorno alla Benedetta, è perché Maria di Magdala ci ha stretti con le fiamme del suo coraggioso amore. Sì. Ho detto: la razza. Ma devo dire: l’amore. Ci hanno superati nell’amore. Per questo sono stati quelli che furono», dice Giovanni.
Gesù sorride a tace sempre.
«Ne hanno avuto gran premio però…».
«A loro apparisti».
«A tutti a tre».
«A Maria subito dopo tua Madre…».
È chiaro negli apostoli un rimpianto per queste apparizioni di privilegio.
«Maria ti sa risorto già da tante ore. E noi solo ora ti possiamo vedere…». «Non più dubbi in loro. In noi, invece, ecco… solo ora sentiamo che nulla è finito. Perché a loro, Signore, se ancora ci ami e non ci ripudi?», chiede Giuda d’Alfeo.
«Sì. Perché alle donne, specie a Maria? L’hai anche toccata sulla fronte, a lei dice che le pare di portare un serto eterno. E a noi, i tuoi apostoli, nulla…».
Gesù non sorride più. Il suo Volto non è turbato, ma cessa il suo sorriso.
Guarda serio Pietro che ha parlato per ultimo, riprendendo ardire man mano che la paura gli passa, e dice:
«Avevo dodici apostoli. E li amavo con tutto il mio Cuore. Io li avevo scelti e come una madre ne avevo curato la crescita nella mia Vita. Non avevo segreti per loro. Tutto dicevo, tutto spiegavo, tutto perdonavo. E le umanità, e le sventatezze, e le caparbietà… tutto. E avevo dei discepoli. Dei ricchi e dei poveri discepoli. Avevo donne dal fosco passato o dalla debole costituzione. Ma i prediletti erano gli apostoli. È venuta la mia ora. Uno mi ha tradito e consegnato ai carnefici. Tre hanno dormito mentre Io sudavo sangue. Tutti, meno due, sono fuggiti per viltà. Uno mi ha rinnegato avendo paura, nonostante avesse l’esempio dell’altro, giovane e fedele. E, quasi non bastasse, fra i dodici ho avuto un suicida disperato e uno che ha dubitato tanto del mio perdono da non credere che a fatica, e per materna parola, alla Misericordia di Dio. Di modo che, se avessi guardato alla mia schiera, se l’avessi guardata con occhio umano, avrei dovuto dire: “Meno Giovanni, fedele per amore, e Simone, fedele all’ubbidienza, Io non ho più apostoli”.
Questo avrei dovuto dire mentre soffrivo nel recinto del Tempio, nel Pretorio, per le vie e sulla Croce. Avevo delle donne… E una, la più colpevole in passato, è stata, come Giovanni ha detto, la fiamma che ha saldato le spezzate fibre dei cuori. Quella donna è Maria di Magdala. Tu mi hai rinnegato e sei fuggito. Ella ha sfidato la morte per starmi vicino. Insultata, ha scoperto il suo volto, pronta a ricevere sputi e ceffoni, pensando di assomigliare così di più al suo Re crocifisso. Schernita nel fondo dei cuori per la sua tenace fede nella mia Risurrezione, ha saputo continuare a credere. Straziata, ha agito. Desolata, stamane, ha detto: “Di tutto mi spoglio, ma datemi il mio Maestro”. Puoi osare ancora la domanda: “Perché a lei?”.
Avevo dei discepoli poveri: dei pastori. Poco li ho avvicinati, eppure come seppero confessarmi con la loro fedeltà! Avevo delle discepole timide, come tutte le donne ebree. Eppure hanno saputo lasciare la casa e venire fra la marea di un popolo che mi bestemmiava, per darmi quel soccorso che i miei apostoli mi avevano negato. Avevo delle pagane che ammiravano il “filosofo”. Per loro ero tale. Ma seppero scendere ad usi ebrei, le potenti romane, per dirmi, nell’ora dell’abbandono di un mondo d’ingrati: “Noi ti siamo amiche”.
Avevo il volto coperto di sputi e sangue. Lacrime e sudore gocciavano sulle ferite. Lordure e polvere me lo incrostavano. Di chi la mano che mi deterse? La tua? o la tua? o la tua? Nessuna delle vostre mani. Costui era presso alla Madre. Costui riuniva le pecore sperse. Voi. E se sperse erano le mie pecore, come potevano darmi soccorso? Tu nascondevi il tuo volto per paura del disprezzo del mondo, mentre il tuo Maestro veniva coperto del disprezzo di tutto il mondo, Lui che era innocente.
Avevo sete. Sì. Sappi anche questo. Morivo di sete. Non avevo più che febbre e dolore. Il sangue era già corso nel Getsemani, tratto dal dolore di essere tradito, abbandonato, rinnegato, percosso, sommerso dalle colpe infinite e dal rigore di Dio. Ed era corso nel Pretorio… Chi mi volle dare una stilla per le fauci arse? Una mano d’Israele? No. La pietà di un pagano. La stessa mano che, per decreto eterno, mi aprì il petto per mostrare che il Cuore aveva già una ferita mortale, ed era quella che il non amore, la viltà, il tradimento, vi avevano fatta. Un pagano.
Vi ricordo: “Ebbi sete e mi desti da bere”. Non uno che mi desse un conforto in tutto Israele. O per impossibilità di farlo, come la Madre e le donne fedeli, o per mala volontà di farlo. E un pagano trovò per lo Sconosciuto la pietà che il mio popolo mi aveva negato. Troverà in Cielo il sorso a Me dato. In verità vi dico che, se Io ho rifiutato ogni conforto, perché quando si è Vittima non bisogna temperare la sorte, non ho voluto respingere il pagano, nella cui offerta ho sentito il miele di tutto l’amore che dai Gentili mi verrà dato a compenso dell’amarezza che mi dette Israele. Non mi ha levato la sete. Ma lo sconforto, sì. Per questo ho preso quel sorso ignorato. Per attirare a Me colui che già verso il Bene piegava. Sia benedetto dal Padre per la sua pietà!
Non parlate più? Perché non chiedete ancora il perché ho così agito? Non osate di chiederlo? Io ve lo dirò. Tutto vi dirò dei perché di quest’ora. Chi siete voi? I miei continuatori. Sì. Lo siete nonostante il vostro smarrimento. Che dovete fare? Convertire il mondo a Cristo. Convertire! È la cosa più delicata e difficile, amici miei. Gli sdegni, i ribrezzi, gli orgogli, gli zeli esagerati sono tutti deleteri alla riuscita. Ma, poiché nulla e nessuno vi avrebbe persuaso alla bontà, alla condiscendenza, alla carità per quelli che sono nelle tenebre, è stato necessario -comprendete?- necessario è stato che voi aveste, una buona volta, frantumato il vostro orgoglio di ebrei, di maschi, di apostoli, per dare luogo solo alla vera sapienza del ministero vostro.
Alla mitezza, pazienza, pietà, amore senza borie e ribrezzi. Voi vedete che tutti vi hanno superato nel credere e nell’agire, fra quelli che voi guardavate con sprezzo o con compatimento orgoglioso. Tutti. E la peccatrice di un giorno. E Lazzaro, intinto di cultura profana, il primo che in mio Nome ha perdonato e guidato. E le donne pagane. E la debole moglie di Cusa. Debole? Invero ella tutti vi supera! Prima martire della mia fede. E i soldati di Roma. E i pastori. E l’erodiano Mannaen. E persino Gamaliele, il rabbino.
Non sussultare, Giovanni. Credi tu che il mio Spirito fosse nelle tenebre? Tutti. E questo perché domani, ricordando il vostro errore, non chiudiate il cuore a chi viene alla Croce. Ve lo dico. E già so che, nonostante lo dica, non lo farete che quando la Forza del Signore vi piegherà come fuscelli al mio Volere, che è quello di avere dei cristiani di tutta la Terra. Ho vinto la Morte. Ma è meno dura del vecchio ebraismo. Ma vi piegherò.
Tu, Pietro, in luogo di stare piangente e avvilito, tu che devi essere la Pietra della mia Chiesa, scolpisciti queste amare verità nel cuore. La mirra è usata per preservare dalla corruzione. Intriditi di mirra, dunque. E quando vorrai chiudere il cuore e la Chiesa ad uno d’altra fede, ricorda che non Israele, non Israele, non Israele, ma Roma mi difese e volle avere pietà. Ricordati che non tu, ma una peccatrice seppe stare ai piedi della Croce e meritò di vedermi per prima. E per non essere degno di biasimo sii imitatore del tuo Dio. Apri il cuore e la Chiesa dicendo: “Io, il povero Pietro, non posso sprezzare, perché se sprezzerò sarò sprezzato da Dio ed il mio errore tornerà vivo agli occhi suoi”. Guai se non ti avessi spezzato così! Non un pastore ma un lupo saresti divenuto».
Gesù si alza. Maestosissimo.
«Figli miei. Ancora vi parlerò nel tempo che fra voi resterò. Ma per intanto vi assolvo e perdono. Dopo la prova che, se fu avvilente e crudele, è stata anche salutare e necessaria, venga in voi la pace del perdono. E, con essa in cuore, tornate i miei amici fedeli e forti. Il Padre mi ha mandato nel mondo. Io mando voi nel mondo a continuare la mia evangelizzazione. Miserie di ogni sorta verranno a voi chiedendo sollievo. Siate buoni pensando alla miseria vostra quando rimaneste senza il vostro Gesù. Siate illuminati. Nelle tenebre non è lecito vedere. Siate mondi per dare mondezza. Siate amore per amare. Poi verrà Colui che è Luce, Purificazione e Amore.
Ma intanto, per prepararvi a questo ministero, Io vi comunico lo Spirito Santo. A chi rimetterete i peccati saranno rimessi. A chi li riterrete saranno ritenuti. L’esperienza vostra vi faccia giusti per giudicare. Lo Spirito Santo vi faccia santi per santificare. Il sincero volere di superare il vostro mancamento vi faccia eroici per la vita che vi aspetta. Quanto ancora è da dire ve lo dirò quando l’assente sarà venuto. Pregate per Lui. Rimanete con la mia pace e senza orgasmo di dubbio sul mio amore».
E Gesù scompare così come era entrato, lasciando fra Giovanni e Pietro un posto vuoto. Scompare in un bagliore che fa chiudere gli occhi tanto è forte. E, quando gli occhi abbacinati si riaprono, trovano solo che la pace di Gesù è rimasta, fiamma che brucia e che medica e che consuma le amarezze del passato in un unico desiderio: di servire.
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