L’accanimento terapeutico
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L’accanimento terapeutico è un impegno sanitario che, alla luce di numerose esperienze negative, appare decisamente criticabile. La scelta spetta al medico ma questi avrà il preciso dovere di giungere alla decisione finale solo dopo aver approfondito il caso con tutta la sua competenza professionale e secondo i principi dell’etica medica. Coloro che parlano di atteggiamento paternalistico da parte dello specialista sanno bene che se un malato rifiuta le medicine che il medico gli ha prescritto per il suo recupero, questi ha la facoltà di curarlo anche contro la sua volontà, così come potrebbe tirar fuori da una vecchia baracca in fiamme il vecchietto che non vorrebbe andar via.
Ma altro è rifiutare la morte quando ancora sussistono delle serie possibilità di recupero ed altro invece è accanirsi nel volere a tutti i costi fornire altre cure, nel momento in cui si è scientificamente appurato che le terapie praticate e praticabili non sono più proporzionate alla gravità della condizione clinica. Giunti a questo punto è oltremodo opportuno sospenderle. Anche se per il medico può apparire una sconfitta perché gli specialisti sono propensi a cercare varie soluzioni (a volte anche molto dolorose per il malato, che potrebbe cadere in prostrazione, come cicli reiterati di chemioterapia) prima di arrendersi, questi dovrà valutare attentamente la scelta da fare, tenendo conto dei criteri clinici e della onerosità dei costi da sostenere per il malato.
Ovviamente si rende indispensabile ogni maggiore professionalità (avvalersi anche di consulenze specialistiche) ed un grande senso della misura. Tutto ciò in un clima di assoluta serenità, avendo provveduto affinchè la persona che – in tempi molti lontani dall’evento aveva espresso un “testamento di vita” sia resa perfettamente consapevole di quanto sta per accadere – Risulta evidente che il malato terminale dovrà ricevere le eventuali terapie antinfettive e dovrà essere fortemente sostenuto con le necessarie cure palliative e la “terapia del dolore” che, potrebbero anche por6tarlo in alcuni momenti ad un certo torpore o ad una temporanea perdita di lucidità ma , in nessun caso devono procurargli la totale perdita di coscienza.
E’ assolutamente importante infatti che il malato abbia la possibilità di soddisfare ai propri doveri morali e familiari e, in modo particolare, sia in grado di prepararsi in piena coscienza all’incontro finale con Cristo. Come già detto, l’eventuale presenza di un dolore sopportabile, negli ultimi momenti di vita, riveste un particolare significato: diventa una partecipazione alla passione di Cristo e unione al sacrificio redentore che Gesù ha offerto al Padre. Ciò diventa fonte di grandi meriti.
Ovviamente il malato terminale, anche se “agli sgoccioli”, in nessun caso potrà essere privato dell’alimentazione e dell’idratazione (sarebbe un omicidio anticipato). Si provveda inoltre a trattare il malato con grande carità, come se fosse Cristo (“Ciò che avete fatto ad uno di questi fratelli l’avete fatto a Me” (Mt 25,40).
Don Manlio
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