La vita va "cantata" sempre e dovunque
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In casa eravamo sette fratelli, una famiglia povera, con tanti sacrifici vissuti soprattutto da mia madre che doveva provvedere ai figli e a sostenere un marito, nostro padre, che era un uomo fragile con a volte la debolezza dell’alcool; eppure mi ricordo che mia madre, mentre cuciva i nostri pochi vestiti con una vecchia “singer” a pedale, abiti che a seconda delle età ci scambiavamo, mentre li rammendava cantava sempre.
Tornava a casa dal duro lavoro sfinita, in casa c’erano tanti problemi e portava tanti pesi, ma nonostante tutto ciò mentre sistemava le cose di casa la sentivo cantare; quel canto dava una profonda sicurezza a noi figli: nostra mamma era contenta della vita! Quel canto era per noi bambini un inno alla vita: è come se nostra madre, con quelle note sulle sue labbra, ci dicesse che la vita anche se dura, anche se nel sacrificio, anche se tribolata, va accolta e vissuta come dono, va “cantata” sempre e comunque.
Nei momenti più duri e nelle prove più dolorose usciva dalle sue labbra questa invocazione: “Santa Croce di Dio, non ci abbandonare!”, e comprendevo che da quella Croce trovava la forza per ricominciare con fiducia. Non aveva tante volte neppure il tempo di andare in Chiesa, non era una “bigotta”, ma coglievo in lei una fede concreta, che si affidava a Dio aggrappandosi alla Croce: unendo il suo momento di sofferenza al dolore di Cristo nasceva in lei una speranza nuova, viva, che le dava la forza di cantare anche nell’ora del dolore.
Il suo canto era per noi musica dolce, era respirare serenità e fiducia, toccava e parlava ai nostri cuori più di mille parole. Quando oggi passo nelle nostre missioni dove accogliamo tanti bambini e sento che c’è caos, che i bambini litigano, che c’è un po’ di tensione e piangono, dico alle nostre suore e ai nostri giovani missionari di incominciare a cantare una canzone dolce e così tutto si placa, si calma: i bambini sono affascinati e rasserenati da un adulto che canta. Ci sentono cantare e pensano: “Mia mamma, mio papa, mia zia… è contenta!”.
Come possiamo chiedere a loro di non piangere quando noi piangiamo continuamente su noi stessi nel cervello, nei nostri pensieri, lamentandoci, “viaggiando” nel nostro passato di morte, chiudendoci nell’egoismo che ci fa vivere solo in funzione di noi? In fondo anche noi tante volte piangiamo forte solo che nessuno sente perché non urliamo, ma i bambini lo “sentono” con la loro sensibilità. I bambini vicino a noi piangono perché ci vedono tristi: chissà quanti giudizi abbiamo dentro, quante cose negative e tensioni loro respirano accanto a noi.
Bisogna avere il coraggio di cantare, cantare, cantare, anche se non abbiamo voglia, anche se ci sono i problemi: non è giusto farla pagare al bambino! Il bambino deve nascere in un clima di serenità, di fiducia nel presente e nel futuro, deve nascere con la percezione che la vita è un grande dono.
Alla luce dell’esperienza che condivido con tanti giovani che mi hanno raccontato la loro storia, posso testimoniare che i loro problemi non sono iniziati con l’uso delle prime droghe nell’adolescenza, ma sempre molto prima: hanno visto e vissuto una vita “intossicata” già nell’ambiente familiare e sociale, e respirando quest’aria pesante la vita stessa è divenuta poi un peso da rifiutare e non un dono da accogliere con gioia.
Sforziamoci di far respirare al bambino aria pulita e fresca: il bambino cresce così spontaneamente con la consapevolezza interiore che la vita è dono, è stupore, è canto, e quando sarà grande si scoprirà poi più maturo, più libero e responsabile, più stabile. Anche lui crescendo incontrerà i problemi e le contraddizioni della vita, ma nonostante tutte le difficoltà che potrà vivere, quella fiducia e quella bellezza della vita che avrà imparato alla scuola del volto sereno di mamma e papa, saranno la sua forza per sempre.
Madre Elvira Petrozzi
Comunità Cenacolo
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