La Sapienza ospitale
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La vita di un ministro ordinato è profondamente segnata dall’Eucaristia. Anche nel linguaggio la nostra gente è abituata a chiamare l’Ordinazione un “Prender Messa”. Per una volta, perciò, penso sia opportuno dedicare l’editoriale di UACNotizie alla celebrazione eucaristica che ritma, segna e definisce la nostra vita. E lo faccio partendo da un bel brano tratto dal libro dei Proverbi 9,1-6, sapendo bene che ci sono brani scritturistici, soprattutto neotestamentari, che ci permetterebbero di dire cose molto belle su questo tema. Questo il brano:
La Sapienza si è costruita la casa,/ha intagliato le sue sette colonne. Ha ucciso gli animali, ha preparato il vino/e ha imbandito la tavola. Ha mandato le sue ancelle a proclamare /sui punti più alti della città: «Chi è inesperto accorra qui!». I A chi è privo di senno essa dice: «Venite, mangiate il mio pane,/bevete il vino che io ho preparato. Abbandonate la stoltezza e vivrete,/andate diritti per la via dell’intelligenza».
A leggere queste parole si avverte subito la sensazione di un “trovarsi a casa”. La consistenza di una casa si vede proprio nel momento in cui è preparata una mensa e tutti i membri della famiglia sono intorno ad essa per condividere familiarmente il pasto. Una delle povertà che i tempi attuali provocano nella vita di tante famiglie è costituita proprio dal fatto che non si mangia quasi più in casa, tutti assieme. Potremmo dire allora che dove c’è una mensa c’è una casa. Quelle parole: “Venite, mangiate il mio pane, e bevete il vino che io ho preparato” ci fanno pensare al cenacolo e alle parole pronunciate da Gesù durante la santa cena. Il capitolo 9 conclude la prima sezione del libro dei proverbi. Qui troviamo una serie di brevi “massime” attraverso le quali un padre offre al figlio vari insegnamenti a proposito delle virtù da acquistare, dei difetti da evitare, del comportamento da assumere e dei rapporti umani da coltivare. Queste espressioni che si riferiscono a una tavola imbandita, a un invito rivolto a tutti, ma soprattutto a chi è inesperto, a chi è privo di senno, sui muri più alti della città, questo pasto costituito essenzialmente di pane e vino, ci orientano naturalmente all’Eucaristia.
E così ci chiediamo: Come non pensare che Gesù, mentre celebrava la Cena della pasqua ebraica, avesse in mente anche il banchetto della sapienza come immagine anticipatrice del mistero che stava per celebrare e per vivere? Particolarmente interessante nel nostro brano è il riferimento alla vita reale, concreto: Un pasto che nutre e che perciò è la condizione necessaria perché la vita acquisti una sua propria qualità, “nuova”, “migliore”, plasmata da una nuova sapienza.
Tutto questo è espresso da due immagini particolarmente efficaci nella loro semplicità:
- Abbandonate la stoltezza;
- Andate dritti per la via dell’intelligenza Innanzitutto “abbandonate la stoltezza”, interessante questa equiparazione: Male, peccato uguale stoltezza. E in secondo luogo, “Andate per le vie dell’intelligenza”, il che vuoi dire che la via del bene, dell’osservanza della sua Parola non è soltanto un atto religioso di obbedienza a Dio, ma è anche un atto d’intelligenza, che – per dirla con una espressione del linguaggio parlato – “ci conviene” perché è a nostro favore. Bisogna fuggire il male non solo e non tanto perché infrangendo delle regole si offende Dio, ma perché il male “fa male”, sciupa la vita, sfigura l’immagine che Dio ha impresso nell’uomo. Oltre che essere offesa a Dio, il male è offesa all’uomo, all’umanità tutta.
Mangiare in maniera indegna o superficiale il pane che il Signore ci offre non è solo mancanza di attenzione a tutto ciò che Lui ha fatto e fa per noi, ma è anche un atto di stoltezza, perché ci si fa male con le nostre stesse mani, ci si priva del nutrimento necessario, indispensabile per compiere la volontà del Padre.
Ma poi viene spontaneo domandarci: Come mai noi prepariamo, disii Miniamo r mangiamo tutti i giorni questo cibo preparato per noi e per i nostri fedeli spesso abbiamo la sensazione che non cambia niente, il nostro comportamento è sempre lo stesso, i difetti contro cui combattiamo (Ma è proprio vero poi che combattiamo??) sono sempre gli stessi se non addirittura si aggravano?
Evidentemente tutto si riduce a semplici atti di culto sganciati dalla vita. Momenti che talvolta ci gratificano sul piano estetico: (Che bella messa, che bei canti…che bella casula, perfino…che bella omelia!) ma che restano momenti assolutamente e solamente “formali”, senza alcuna incidenza nella vita. E questo noi Ministri ordinati, proprio non possiamo permettercelo!»
Don Luigi Mansi
Presidente Nazionale UAC
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